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Per i diritti delle donne, il femminismo nelle istituzioni

copertina-maciotidi Maria Immacolata Macioti

Si era parlato, in un passato non troppo lontano, di un vuoto storiografico circa il femminismo degli anni ’70 in Italia. Vuoto oggi in parte colmato, nonostante alcune perduranti difficoltà di fondo. Scrive infatti Anna Maria Isastia, storica, che tuttora non esiste un archivio della Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio.

Notazione fatta per spiegare come mai, per raccontare, per esaminare il pensiero e l’opera di Elena Marinucci, la studiosa abbia dovuto ricorrere a documenti a lei prestati dalla stessa senatrice. E non solo di documenti si è trattato: la Isastia ha avuto, con la Marinucci, lunghi colloqui nel corso del 2016, immagino registrati, anche se questo non viene specificato, ma lo si immagina dalle varie citazioni riportate. Un fatto, questo dei colloqui, normale per me sociologa attenta tra l’altro ai temi della memoria, all’approccio qualitativo. Non tanto per una storica come la Isastia, più abituata alla consultazione degli archivi, al reperimento di documenti e carte.

Comunque oggi, grazie anche allo sforzo di documentazione che c’è dietro al volume di A.M. Isastia, Una rivoluzione positiva Conversazioni con Elena Marinucci (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2017) basato su carte d’archivio e su colloqui in merito, ne sappiamo di più riguardo a un tema ad oggi non molto frequentato: quello di come il femminismo sia entrato nelle istituzioni, di come abbia ottenuto legittimazione e raggiunto obiettivi essenziali. Anche, come spiega e documenta la storica, grazie all’impegno della Marinucci.

Oggi noi tutti viviamo in un contesto in cui si danno per scontati alcuni diritti delle donne: ma le persone di una certa età, al contrario dei più giovani, sanno bene che non è stato sempre così e che con grande fatica si sono ottenuti alcuni riconoscimenti. Oggi, semmai, da ribadire: i recenti, numerosi ‘femminicidi’ avvenuti in Italia, come si dice con una brutta espressione, ma anche le tante persistenti disparità di genere nel mondo del lavoro e non solo farebbero pensare che molto vi sia ancora da fare.

Il testo si articola in sei capitoli, cui vanno aggiunti una Introduzione, delle Conclusioni e degli interessanti documenti posti in Appendice. Come avviene di regola nei libri storici più curati, un Indice dei nomi completa il lavoro.

Ripercorro tappe importanti della storia d’Italia e della storia delle donne, leggendolo. La Marinucci è stata senatrice dal 1983, per tre legislature. Ha svolto poi compiti rilevanti in posizioni quali quella di sottosegretaria alla Sanità (1987-’92), di presidente della Commissione Sanità del Senato, dal 1992 al ’94 e, ancora, come eurodeputata dal 1994 al ’99. Scrive la Isastia, nella Introduzione, che la Marinucci

«ha legato il suo nome soprattutto a una lunga attività a favore delle donne e alla divulgazione dei concetti delle “pari opportunità” e delle “azioni positive”. Al suo lavoro si deve inoltre la creazione della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio».
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Elena Marinucci e Bettino Craxi, 1977

Nella lettura della storica, la Marinucci, dopo una prima fase movimentista, avrebbe vissuto la rivoluzione femminista in maniera istituzionale. Un fatto importante, questo, nelle parole della stessa politica, per ottenere legittimazione e raggiungere fondamentali obiettivi.

Veniamo così subito a sapere della sua formazione nella Unione Donne Giuriste, della frequentazione con Maria Magnani Noya, parlamentare socialista. Tornano nomi allora ben noti: quello di Massimo Teodori e del Movimento Liberazione della Donna (MLD), di Alma Sabatini, di Adele Faccio e della Cambria, ad esempio. Leggo e penso che oggi probabilmente solo le donne più anziane ricordano queste protagoniste degli anni ’80, così note e vivacemente impegnate ai loro tempi.

Nelle parole di Elena Marinucci riportate in questo testo spicca Emma Bonino, definita «un vanto per l’Italia», anche se Elena le rimprovera di non aver condiviso la proposta delle Nazioni Unite circa «azioni positive» e «quote». Comprensibile, a mio avviso, questa riluttanza: ma devo ammettere che  oggi in Italia ancora si trascinano situazioni (le più evidenti sono convegni, dibattiti, mostre ecc., certamente spie di altro) in cui magari si ha una sola presenza femminile contro dieci e più presenze maschili, fatto che sarebbe, in altre nazioni più attente, inconcepibile.

Nella formazione della futura senatrice socialista troviamo il Teatro della Maddalena in Roma, all’epoca creato e diretto da Dacia Maraini, dove si facevano incontri serali; poi, i collettivi di via Germanico e il Pompeo Magno, all’epoca noti e molto frequentati. Compare in queste pagine la rivista «Effe», fondata nel 1973 da Daniela Colombo. Poi, via del Governo Vecchio, la Casa delle donne … Tutti luoghi ben noti a chi era giovane in quegli anni e si interessava del sociale. È questa la stagione delle grandi speranze per le donne che si ritrovano nell’UDI, Unione Donne Italiane, realtà laica, di impostazione social comunista, o anche nel CIF, Centro Italiano Femminile, più legato al cattolicesimo. Anche se, ci ricorda l’autrice, esiste una certa diffidenza tra questi organismi e il movimento femminista. Ritrovo in queste pagine uno slogan all’epoca molto cantato nei cortei al femminile: «Maschio, maschietto, non stare lì a guardare, a casa ci sono i piatti da lavare!».

Elena intanto si è laureata, si sposa. Il marito è un avvocato socialista assessore al Comune dell’Aquila. Avranno due figli. Lei riuscirà poi a insegnare all’Aquila e a Roma nelle scuole, avendo quindi un proprio stipendio, raggiungendo una propria sicurezza economica. La Isastia ne segue l’ingresso nell’Unione delle Donne Giuriste, dove si discute del diritto di famiglia, del riconoscimento dei figli ‘adulterini’, ma anche del cosiddetto ‘delitto d’onore’ e del ‘matrimonio riparatore’; e ancora, della condizione carceraria. La Marinucci scrive e manda articoli a «L’Avanti» e al «Manifesto». Collabora con Loris Fortuna alla preparazione della proposta di legge sul divorzio. Si opporrà poi con determinazione alle proposte abrogative, con molte altre donne: e come è noto la legge verrà salvata.

Leggo e ricordo i dibattiti in merito alla Sapienza, la mia stessa partecipazione pro divorzio. Ricordo il parere favorevole di vari amici, noti all’epoca come «preti del dissenso». Ma anche i problemi che investirono all’epoca molti di loro, tra cui lo stesso Franzoni, abate di S. Paolo in Roma.

Allora, ricorda la Isastia, il PCI aveva qualche diffidenza nei confronti del femminismo, accusato di distrarre dalla politica seria: Elena Marinucci si sarebbe quindi accostata al socialismo e a Bettino Craxi. Ed ecco nascere la Lega delle Donne per il Socialismo. Ecco proporsi il tema delle interruzioni di gravidanza: e di nuovo mi imbatto in nomi ben conosciuti, quale quello di Tullia Carettoni, interessata alla contraccezione, o di Luigi Laratta, dell’AIED, con cui io stessa ho collaborato per qualche anno. Con fatica passa, in quegli anni, l’idea che se va tutelato il nascituro, va però tutelata anche la madre.

2La Marinucci è ormai presa da una serie di progetti, impegni, battaglie. Ben presto sostituirà la Magnani Noya come responsabile della Sezione Femminile Nazionale. Ed ecco il tema delle «discriminazioni positive». Leggiamo quindi i nomi di Luciana Castellina  di Livia Turco, di tante protagoniste dell’epoca. Nascono i «Quaderni delle donne socialiste», si amplia il ventaglio dei temi affrontati.

La Isastia segue attentamente i cambiamenti che subentrano nella vita politica italiana e delle donne  impegnate in politica, l’allargamento dell’orizzonte su piano internazionale, l’ingresso, nel 1983, in Senato della Marinucci, la cui candidatura sembra sia stata sollecitata da Craxi. La senatrice si impegna per ridurre i tempi di attesa per il divorzio, per una proposta di legge sulla violenza contro le donne, troppo spesso colpevolizzate e lasciate sole. Lavorerà nella Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, presso la Presidenza del Consiglio. Si adopererà in più modi per allargare la presenza femminile in Parlamento, ma anche in campi particolari: ad esempio, a favore di direttrici d’orchestra donne: fatto, all’epoca, inaudito. Ancora, un ampio numero di donne, tutti nomi noti, si vedranno assegnate onorificenze della Repubblica. E non basta: si avranno proposte di revisione della lingua italiana, dichiarata particolarmente sessista, attraverso l’impegno di una Commissione, da cui poi un seminario, l’elaborazione di «raccomandazioni» uscite a firma di Alma Sabatini, linee guida rivolte soprattutto alle scuole e all’editoria scolastica. Ma le onde di questa iniziativa si allagheranno, sia pur lentamente, all’Ansa, ad altre realtà.

Trovo, ancora, nomi noti: quello di Rosanna De Longis, che dirigerà più tardi la Biblioteca di storia contemporanea in Roma, di Dacia Maraini e altre donne tra cui Bianca Pomeranzi e Bia Sarasini, che lavorano con i carcerati, perché possano avere e adoperare il computer. Emerge nel testo anche il nome di una sociologa, Carla Faccioli. Che non conosco, mentre a Sociologia alla Sapienza lavora Franca Faccioli.

Si passa quindi a un altro tema a me molto noto: la Commissione dovrà dare un parere sul progetto di legge sul servizio militare femminile volontario. La storica ricorda al proposito un tardo testo di Fiorenza Taricone, del 2009, un altro di Fatima Farina, del 2015: ma la Farina aveva lavorato, se non erro, con il collega Fabrizio Battistelli (Archivio disarmo) ed era già presente da anni, anche con pubblicazioni, sul tema. Mi rendo conto, leggendo, della difficoltà di comunicare alcuni contenuti. Visto il rifiuto della Commissione, il tema si è riproposto anni dopo. Noi sociologi siamo stati così piuttosto presenti nel dibattito. Battistelli, per il suo ruolo, ma anche Franco Ferrarotti ed io stessa, visto che siamo stati coinvolti, con la mia amica e collega antropologa Gabriella Marucci, in primo luogo in una giornata sperimentale prevista presso i Lancieri di Montebello in Roma. Ampia traccia se ne ha nel trimestrale «La critica sociologica» (nn. 107-108, autunno inverno 1993-1994). Poi, in altre occasioni di confronto e in ampie pubblicazioni.

Ma perché soffermarsi su questo punto? Perché sembra, stando a quanto riportato dalla Isastia, che la Commissione non abbia ravvisato, nella richiesta delle donne, una battaglia per la parità e l’uguaglianza ma piuttosto la conseguenza del rarefarsi delle presenze degli uomini nelle Forze Armate. Ancora, la Isastia scrive che la Marinucci non era d’accordo con questa impostazione, con l’affossamento del disegno di legge: ma aveva rispettato il parere della Commissione da lei presieduta. A me pare utile ricordare che la prof.ssa G. Marucci ed io stessa abbiamo potuto visionare centinaia di lettere pervenute allo Stato Maggiore dell’Esercito, da cui si evinceva esattamente il contrario. Si notava infatti da più parti che due campi restavano preclusi alle donne: la Chiesa (no al sacerdozio alle donne) e quello militare, cosa che le scriventi trovavano intollerabile: e molti stralci della corrispondenza in merito sono stati da noi pubblicati nella rivista diretta da Ferrarotti, in un primo momento. Poi, in più ampie e documentate pubblicazioni dovute al colonnello, poi generale Giorgio Ruggeri e allo Stato Maggiore dell’esercito. Un fraintendimento, quindi, durato anni, che si risolverà positivamente per le donne e che mi sembra bene ricordare.

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Elena Marinucci

Eppure il tema della comunicazione sembra essere ben presente alla Marinucci e a chi con lei lavora. I legami con la Rai si moltiplicano. Ed ecco il tema dell’8 marzo, del suo significato. Tra i testi citati, ancora uno di Tilde Capomazza e Marisa Ombra, nomi di personalità impegnate da anni in battaglie culturali per le donne, figure che ho potuto conoscere personalmente grazie all’amica e collega Maria Michetti, una delle colonne dell’UDI.

La Marinucci lascerà la presidenza della Commissione nel giugno 1987. Ma non tralascerà per questo di occuparsi dei diritti delle donne. Ed ecco le Consigliere di parità, idea di Renata Livraghi, ripresa dalla Marinucci. Si tratta di «figure istituzionali con funzione di promozione e di controllo dell’attuazione dei principi di pari opportunità e non discriminazione fra uomini e donne nel lavoro». Segue  l’ingresso di Elena nel governo, in un ministero estraneo e difficile, quello della Sanità, come sottosegretaria. Da qui l’attenzione al tema delle infermiere. E la riforma Ruberti. Domina la scena poco dopo il tema di una pillola abortiva introdotta in Francia (la Roussel Uclaf), con le inevitabili polemiche e gravi fraintendimenti. Ancora, la storica segue il percorso della protagonista del suo libro  come Presidente di Commissione Igiene e Sanità (1992-1994). Poi, il crollo di Craxi e l’ingresso della Marinucci nel Parlamento Europeo, dove si occuperà ancora di donne, ma si interesserà in primo luogo di America centrale e Messico, di Ucraina, Bielorussia e Moldavia..

Impossibile in questa sede dar conto passo dopo passo di tutto ciò che la Marinucci ha fatto, di tutto ciò che dalla Isastia è stato ricostruito. Vorrei però ricordare, questo sì, almeno la pubblicazione di fascicoli divulgativi: il primo dedicato alle donne, il secondo alle piccole e medie imprese, il terzo intitolato Perché l’Europa? Quale Europa? I cinque anni come eurodeputata, spiega l’autrice, segnano la fine dell’impegno pubblico della Marinucci, che ha ormai più di 70 anni e trova opportuno ritirarsi.. Anche se la politica continuerà a interessarla …

Chiudono il testo la Conclusioni dell’autrice, in cui si sofferma ancora su importanti contributi della Marinucci, che è però rimasta senza un partito di riferimento dopo la fuga di Craxi ad Hammamet.  Delle cinque Appendici, una a me è sembrata particolarmente interessante anche per i nostri giorni, su Il sessismo nella lingua italiana. Credo infine che chi, come me, ha vissuto buona parte di quegli anni che hanno visto l’impegno di Elena Marinucci, si sentirà emotivamente partecipe, nonostante la minuziosità del discorso, mentre più giovani donne potranno comprendere meglio le tante difficoltà vissute in un’epoca non troppo lontana per la parità: a guardar bene, un obiettivo ancora oggi non pienamente raggiunto.

Dialoghi Mediterranei, n.32, luglio 2018
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Maria Immacolata Macioti, già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali, ha insegnato nella facoltà di Scienze politiche, sociologia, comunicazione della Sapienza di Roma. Ha diretto il master Immigrati e rifugiati e ha coordinato per vari anni il Dottorato in Teoria e ricerca sociale. È stata vicepresidente dell’Ateneo Federato delle Scienze Umane, delle Arti e dell’Ambiente. È coordinatrice scientifica della rivista “La critica sociologica”  e autrice di numerosissime pubblicazioni. Tra le più recenti si segnalano: Il fascino del carisma. Alla ricerca di una spiritualità perduta (2009); L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia (con E. Pugliese, nuova edizione 2010); L’Armenia, gli Armeni cento anni dopo (2015).

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