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Patrimonio culturale e conflitti armati. La Dichiarazione di Abu Dhabi
Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2017 @ 00:26 In Cultura,Società | No Comments
di Olimpia Niglio
Nel 2013 la rivista “Predella” dedica il n.32 al tema monografico il Dono dei padri. Il patrimonio culturale nelle aree di crisi, curato da Elena Franchi che nell’editoriale afferma:
«[…] La devastante esperienza della Seconda guerra mondiale aveva dimostrato che le nuove guerre non erano più dirette solo a obiettivi militari, ma colpivano anche i centri abitati, la popolazione civile, il patrimonio culturale. È la “guerra totale”, che assimila i soldati ai civili e travolge tutte le risorse di un Paese, con il ricorso ad armi più potenti e nuove strategie, alla guerra economica, alla guerra psicologica».
Gli eventi degli ultimi anni non solo non hanno cambiato questo scenario proposto già durante l’ultima guerra mondiale ma per di più lo ha rafforzato nonché degenerato in quanto ad essere colpito in prima istanza, oggi più di ieri, è soprattutto il patrimonio umano, così come dimostrano gli eventi terroristici che negli ultimi tempi stanno trafiggendo fortemente la cultura occidentale.
Simbolo di questa tragica realtà è la Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche a Berlino, distrutta dai bombardamenti anglo americani durante il secondo conflitto mondiale, restaurata come rudere a memoria proprio degli eventi bellici che colpirono tutta l’Europa ed oggi (19 dicembre 2016) scenario di una nuova modalità di conflitto, ossia quella terroristica che annienta l’uomo, le sue tradizioni, la sua cultura e l’eredità. Quest’ultimo concetto ben espresso nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società del 2005 (meglio nota come Convezione di Faro) che non solo riconosce «[…] la necessità di mettere la persona e i valori umani al centro di un’idea ampliata e interdisciplinare di eredità culturale […]». ma in più rimarca l’importanza del valore proprio dell’eredità culturale individuato saggiamente come risorsa per lo sviluppo sostenibile e per la qualità della vita, in una società in costante cambiamento.
Tuttavia il patrimonio umano ha costituito un riferimento importante già a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1864 che prevedeva proprio la protezione delle vittime nei conflitti armati e la tutela della popolazione civile, temi poi ribaditi nelle successive Convenzioni di Ginevra del 1906, 1929 e 1949. In realtà, su questi temi, sin dall’inizio del XX secolo si sono susseguiti numerosi documenti normativi internazionali finalizzati a regolamentare e controllare l’uso della forza e i danni alla popolazione civile. In relazione a questo tema il 24 ottobre del 1945 con la Carta di San Francisco venne ratificata la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (O.N.U.).
Si è dato così origine all’elaborazione di numerosi documenti aventi la funzione proprio di far conoscere e diffondere la cultura contro i conflitti armati. Tra le principali finalità esposte nella suddetta Carta delle Nazioni Unite , all’art. 1, comma 3 si legge quanto segue:
Alla salvaguardia del patrimonio umano (Niglio, 2016) si lega poi la tutela del patrimonio realizzato da quest’ultimo, ossia quanto più comunemente indicato come “bene culturale” che proprio durante i conflitti armati, e non solo, è stato ed è oggetto di grande distruzione nonché dispersione, anche mediante forme di mercato illegale. Tuttavia, sin dalla fine del XIX secolo iniziano a diffondersi le prime norme per la difesa del patrimonio storico-artistico in occasione di conflitti armati, in un’epoca in cui inizia proprio a delinearsi una coscienza internazionale che si mobilita sempre più a favore della salvaguardia dei beni culturali e della loro importanza per le comunità a cui appartengono.
Fu lo Zar Nicola II di Russia che promosse la prima Conferenza di Pace dell’Aja, tra il 18 maggio e il 29 luglio del 1899, durante la quale furono adottate le prime convenzioni e approvati gli accordi internazionali vincolanti in tema di patrimonio culturale durante i conflitti armati. A questa prima conferenza ne seguì una seconda sempre all’Aja tra il 15 giugno ed il 18 ottobre del 1907 proprio per confermare e ratificare quanto stabilito già nel 1899 e codificare così i diritti internazionali durante le guerre. Ed è proprio in queste convenzioni che furono espressamente previste alcune regole fondamentali per la tutela dei beni culturali.
Sono poi seguiti i trattati di Washington del 15 aprile 1935 per la Protezione delle istituzioni artistiche e scientifiche e dei monumenti storici (noto anche come Patto di Roerich) e certamente più nota la Convenzione dell’Aja del 12 maggio 1954 sulla Protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. In particolare l’art. 4 “Rispetto dei beni culturali” al comma 1 recita che
Con riferimento a quest’ultimo, sempre all’Aja, il 26 maggio del 1999 (Francioni, 1999; Gioia, 2000) è stato adottato un altro importante protocollo aggiuntivo nel quale l’art. 6 “Rispetto per i beni culturali” afferma che
Tuttavia non mancano molte contraddizioni rispetto alla realtà. Anche questo secondo protocollo del 1999, da una parte, evidenzia il riferimento alle esigenze militari limitando così la possibilità di attacco ai soli casi in cui il bene culturale, per sua specifica funzione, è un obiettivo militare; dall’altra introduce anche una nuova tutela rafforzata, per quei beni che costituiscono fondamentale importanza per la comunità, ovviamente il tutto svincolato dall’istituto delle necessità militari (Brocca, 2001). In definitiva, nel protocollo II del 1999 si è inteso sottolineare che il bene culturale è prima di tutto un bene di carattere civile che, in base al principio di distinzione, non può mai essere oggetto di attacco deliberato. Il problema della sua protezione si pone soltanto quando il bene culturale sia divenuto, per sua specifica funzione (bene culturale in generale) o per suo adottato uso (bene sotto protezione “rafforzata”), un obiettivo militare.
Da tutto questo ne deriva quindi una ragione, se pur assolutamente discutibile, per quanto osserviamo ogni giorno dai media e dal web in merito ai danni irreversibili inferti al patrimonio ereditato dai nostri padri. Non ultimo, e certamente molto noto, il caso della città di Palmira in Siria che a partire da marzo del 2016 è stata ed è tuttora oggetto di danneggiamenti rispetto ai quali nulla hanno potuto le norme e le convenzioni internazionali.
Intanto gli eventi degli ultimi mesi in Europa e in Medio Oriente stanno proprio dimostrando la fragilità delle istituzioni e delle organizzazioni intergovernative che continuano a far appelli, redigere carte e fare riunioni mentre le popolazioni restano soffocate sotto i bombardamenti o, ancor peggio, vittima di attentati imprevedibili e dai quali è difficile difendersi. Quindi tutto questo sta mettendo in forte discussione la libertà umana, le democrazie (là dove esistenti) e di conseguenza la circolazione di idee e lo sviluppo delle nazioni.
A confermare questo impegno istituzionale e normativo internazionale, il 3 dicembre 2016 nell’emirato di Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti, è stata adottata la Dichiarazione di Abu Dhabi nell’ambito della “Conferenza Internazionale sulla salvaguarda del patrimonio culturale nelle aree di conflitto” [1]. Questa dichiarazione è stata adottata da oltre 40 Paesi insieme ad organizzazioni internazionali e private nonché UNESCO ed ICOMOS.
Il documento presenta un incipit molto propositivo e più volte ribadito anche dalle convenzioni sopra citate. In particolare afferma che il patrimonio culturale è specchio della comunità, dell’uomo ed ancora è custode di memoria collettiva nonché testimone dello spirito creativo e produttivo. Intanto, però, i conflitti armati e terroristici stanno mettendo violentemente in crisi questo patrimonio attaccando proprio le sue radici per smantellare tradizioni e certezze relative all’identità culturale dei popoli. Infatti senza il patrimonio umano e culturale, la memoria è cancellata per sempre e di conseguenza il futuro è compromesso. Ovviamente non sono mancate esperienze molto simili anche nel recente passato sia in Occidente come in Oriente.
Se solo riflettiamo sulla storia europea nel nuovo continente americano al principio del XVI secolo o sugli avvenimenti più recenti che hanno caratterizzato l’Europa orientale subito dopo il secondo conflitto mondiale, facilmente risaliamo a quei popoli che sono stati sottomessi a nuovi regimi totalitari, demolitori di riferimenti culturali e che solo dopo la caduta del muro di Berlino, nel novembre 1989, hanno iniziato un processo di ricostruzione identitaria tuttora in corso. Tutto questo sta a testimoniare che quanto stiamo assistendo oggi è parte di una storia di luttuosi eventi che non ha mai avuto fine, che seppur per un certo periodo alcune nazioni occidentali hanno vissuto relativamente in democrazia e in pace, questa è stata una situazione solo apparente. Infatti queste stesse nazioni, mentre hanno sostenuto all’interno dei propri confini nazionali princìpi di libertà e democrazia, non hanno fatto ugualmente oltre tali confini, dove invece hanno perseguito e continuato ad affermare forme di supremazia politica e culturale mettendo così in discussione le culture locali. Questi stessi metodi oggi, in Occidente, stanno rimettendo in gioco proprio quella libertà culturale e quella democrazia che queste stesse nazioni occidentali altrove hanno invece mascherato dietro forme di neocolonialismo, provocando così dissensi e scontri culturali.
Proprio queste ultime sono state fautrici di iniziative finalizzate a cambiare i destini di tanti popoli ed è su questo tema che forse vale la pena fare qualche riflessione concreta, in quanto l’omologazione e la supremazia solo di alcune culture non hanno favorito né favoriranno quel dialogo interculturale fondamentale per il futuro dell’umanità, caratterizzata da un’infinita moltitudine di tradizioni e di culture che è corretto rispettare in tutte le sue forme.
Solo rimettendo al centro delle discussioni il rispetto delle diversità culturali (Dichiarazione universale dell’UNESCO sulle diversità culturali, Parigi 2 novembre 2001; Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, Parigi 20 ottobre 2005) possiamo pensare concretamente di costruire il futuro del mondo, perché la diversità culturale è importante così come la biodiversità per qualsiasi forma di vita. In questo modo la diversità culturale è il patrimonio comune dell’Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future.
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