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Pastorali, fra terra e cielo. Immagini e suoni del Natale

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2021 @ 02:33 In Cultura,Società | No Comments

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Anonimo, Adorazione dei pastori, part. XVI sec. (Palazzo Abatellis Palermo)

di Diego Cannizzaro, Mario Sarica

L’antico legame tra la musica pastorale e il Natale ci riporta, prima, al racconto evangelico dell’evento fondante la fede cristiana, ovvero la nascita rivelatrice di Gesù Cristo, salvifica per l’umanità, testimoniata dai pastori “veglianti” guidati dagli angeli; e, poi, ad un ricco catalogo iconografico che, dai prototipi bizantini, attraverso gli epocali cambi di registro figurativo, a  partire da quelli medievali, con Cimabue, Giotto e Duccio di Buoninsegna, cui si aggiunge l’umanissimo presepe vivente di Greccio del 1223 voluto da san Francesco d’Assisi, giunge fino a noi, alimentato fin dalle origini da sorgenti sonoro-musicali di devozione condivise fra angeli e pastori.Un fitto e ininterrotto dialogo musicale irrompe dunque sulla scena della natività di Gesù, tra gli angeli in cielo, ai salteri e alle arpe, ai liuti, agli organi portativi, ma anche alle prese con strumenti a fiato, perfino con le cornamuse, e i pastori in terra, che assieme ai frutti del loro lavoro, formaggi e ricotte, offrono in segno di festa il suono dei loro arcaici aerofoni, zampogne e flauti, a sancire così una nuova armonia tra gli uomini e Dio.

La svolta storica che attesta, tuttavia, l’affermazione del tema della Natività, senza soluzione di continuità attraverso i secoli successivi, declinato sia nel doppio registro figurativo dell’Adorazione dei pastori e della Visita dei Re Magi, sia come genere musicale fra colto e popolare, strumentale e vocale, nella forma del dialogo pastorale, oratoriale e drammatizzato, si registra tuttavia a partire dal XVI secolo.

Sul versante figurativo-musicale, come archetipo della rappresentazione della Natività, grande fortuna avrà l’invenzione compositiva del grande incisore-pittore Albrecht Dürer, con i pastori-suonatori adoranti, replicata da tanti artisti italiani con varianti sul tema. Si osservano infatti opere, di volta in volta, connotate in maniera originale, non solo sul versante delle architetture, ora rurali ora con resti della classicità, con paesaggi di campagna locale, ma anche in relazioni alla postura delle figure principali della Natività, spesso caratterizzate sul piano musicale dalla presenza di pastori-suonatori e angeli-musicanti.

Con queste opere figurative si inaugura una nuova, lunga e feconda stagione, anche in ambito profano, dell’iconografia musicale, sollecitata nel caso dell’Adorazione dei pastori, anche al richiamo ideale rinascimentale all’Arcadia mitologica. La replica degli aerofoni pastorali, e in particolare di quelli a sacco, ovvero le zampogne italiane, nelle rappresentazioni della Natività, risulta quasi sempre particolarmente dettagliata, quindi in grado di coglierne i caratteri organologici distintivi, disvelando spesso il riferimento dal vero ai caratteri morfologici di ogni area regionale.

Un lungo percorso storico-iconografico di emancipazione, quello musicale-pastorale, in grado di depurare dalle valenze negative, attribuite da un’antica e mitologica credenza, i “lascivi e lussuriosi strumenti a fiato”, per trasfigurarli in “offerta musicale” di grande dignità cerimoniale e religiosa. E la Sicilia sul versante iconografico dei suoni pastorali sulla scena della Natività vanta un ricco catalogo di opere d’arte. Dalla prima raffigurazione di un pastore-suonatore di zampogna ‘a paro’ di anonimo di area peloritana dei primi del XVI secolo – pittura su tavola che risente dell’influsso dello stile fiammingo esposta a Palazzo Abatellis a Palermo – la produzione artistica si accresce nel tempo, dando così forma etnorganologica isolana ai suoni della devozione religiosa per la Nascita del Bambino Gesù. Da rilevare anche che, oltre ai pastori-suonatori di zampogna ‘a paro’ (ciaramedda), è possibile osservare in alcune pale d’altare siciliane, soprattutto dell’area centro orientale, anche quelli di flauti diritti di canna, doppi e tripli. E ciò attesta la conoscenza e pratica diffusa di tutta la famiglia di aerofoni siciliani di tradizione, cui si aggiungono anche i clarinetti di canna semplici e doppi e l’oboe popolare, bifira o pifara, configurando così uno strumentario a fiato unico anche sul più ampio orizzonte mediterraneo.

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Caravaggio, Adorazione dei pastori, 1609 (Museo Regionale Messina)

Oltre il dipinto su tavola di anonimo, a fare scuola in Sicilia sul tema della Natività, con frequenti presenze di pastori-suonatori, nella Città dello Stretto, fra Cinque e Seicento, bisogna citare firme illustri come quelle di Cesare da Sesto, della cerchia leonardesca, Polidoro Caldara da Caravaggio, Deodato Guinaccia, Catalano il Vecchio, il rivoluzionario Caravaggio, con le Adorazioni dei pastori di Messina e Palermo, e ancora Domenico Marolì, e sui Nebrodi il tortoriciano Giuseppe Tomasi; mentre in area palermitana emergono fra tutte le Natività di Pietro D’Asaro, anch’esse connotate dalla presenza di pastori-suonatori.

Sul versante musicale colto, poi, a riprova del fecondo e continuo scambio di saperi con il fondo di tradizione orale, c’è da evidenziare fra Cinque e Seicento la ricorrenza del cosiddetto Dialogo Pastorale per voci e strumenti, di antica memoria, che riconosce nell’opera di Giovanni Francesco Anerio, maestro di cappella della basilica di S. Giovanni Laterano, a Roma, ovvero il Dialogo pastorale al presepio, per tre voci e strumenti del 1600, accostabile al genere laudistico, con riferimenti alla forma dominante dell’epoca, il madrigale, un modello pastorale di grande fortuna, tra l’arcadico e il devozionale. E nel Seicento, ad attestare il vasto interesse sul tema, c’è anche da registrare l’assunzione della danza pastorale siciliana, solitamente in 6/8, dall’andamento largo, fra i titoli della letteratura strumentale, e non solo italiana, soprattutto nella stilizzazione di danze regionali nelle suite. E per restare in ambito siciliano e messinese, dobbiamo almeno segnalare sul tema, la grande produzione musicale irradiata dalla Cappella musicale voluta dal Senato peloritano alla fine del Cinquecento, e attiva nella Basilica Cattedrale fino all’Ottocento. Nella vasta produzione di Dialoghi pastorali di ambito messinese, ci limitiamo a segnalare il De Pastoribus vocatis per Angelum ad Presepe…, in forma oratoriale del 1722, di Giuseppe Maria Trainiti.

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Maroli, Natività, 1640 (Chiesa Madonna delle Grazie, Messina)

Ma ad attestare ai primi del Seicento l’incontro fecondo fra colto e popolare, in tema di musiche del Natale, ecco la sonata pastorale trascritta per organo, che inaugura una lunga e ininterrotta stagione strumentale-organistica. Alla zampogna, dunque, nelle sue diverse varianti organologiche regionali, emblema della cultura musicale pastorale del Natale, si riconoscono così qualità espressive di assoluto valore, al punto da accoglierla a pieno titolo nella letteratura musicale “alta”. Le tipiche sonate natalizie di tradizione animavano d’altra parte le novene, dentro e fuori le chiese, grazie appunto ai pastori-suonatori che diffondevano lo spirito devozionale del Natale di più antica memoria. E l’organo, quasi come debito di riconoscenza, rende omaggio ad un certo punto all’aerofono pastorale, anche con l’adozione di registri ad hoc. Mentre sul piano performativo replica quasi sempre integralmente la canonica forma tripartita tradizionale, che prevede una sorta di ricerca iniziale, un tema centrale, la vera e propria pastorale, e un finale in tempo ternario di danza. Ancora sulla forma canonica della musica natalizia per organo, ovvero la Pastorale, va segnalato, sul versante della scrittura, il costante riferimento alla scansione di tempi in 6/8, 9/8 o 12/8, alla linee melodiche per terze, all’accompagnamento di bordoni.

La Sicilia nel più ampio orizzonte di cultura musicale italiana ed europea si configura così come un’area compositiva nel genere pastorale fortemente connotata, perché legata strettamente alla forma musicale di tradizione. Un lungo percorso attestato nel corso dei secoli da un continuo scambio virtuoso fra registro colto e popolare, fra oralità e scrittura, che giunge fino all’Ottocento, con riflessi significativi anche nel Novecento.

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Pietro D’Asaro, Natività, sec. XVII (Galleria Abatellis, Palermo)

L’organo, strumento-principe della Chiesa, ha dunque ben “intercettato” ed alimentato nei secoli lo stile musicale tradizionale dei pastori-suonatori concentrati in Sicilia soprattutto nell’area nord-orientale, vettori di devozione in ambito domestico ed urbano in occasione dell’esecuzione della tradizionale Novena. L’esito di questa lunga frequentazione d’ascolto e riscrittura è un ricco catalogo di trascrizioni e parafrasi, nell’ambito delle solenni celebrazioni natalizie in chiesa, in cui i fedeli si trasformano ritualmente in pastori offerenti al bambino Gesù. Le immagini sonoro-pastorali, ovvero le pale d’altare della Natività, dialogano così con i suoni dell’organo, dando vita a vere e proprie icone “socializzanti”, ad imitazione della zampogna, in una circolarità e condivisione di una sorta di metalinguaggio dentro il codice cerimoniale, comunicativo e rituale liturgico.

Prototipo del genere pastorale oltre Stretto a partire dal Seicento è il Capriccio pastorale del ferrarese Girolamo Frescobaldi (1583/1643), organista in Vaticano, storicamente la più antica composizione organistica esplicitamente denominata Pastorale. Un vero e proprio modello fondativo, quello dello “stupor del tasto”, la cui materia prima musicale è attinta a piene mani dai noti repertori della zampogna “zoppa” e di quella “a chiave” dell’Italia centrale e meridionale, che invadevano con i loro suoni le vie di Roma. E dopo Frescobaldi, ecco altre esemplari Pastorali all’organo, vere e proprie trascrizioni di canoniche sonate tradizionali, come quelle di Domenico Zipoli e Bernardo Pasquini.

Rivolgendo ora lo sguardo in Sicilia, come già segnalato, è la Cappella Musicale del Duomo di Messina ad emergere come polo centrale di riferimento per i titoli pastorali anche per le altre Cappelle Musicali, quelle di Noto, Caltagirone, Palermo e di Malta, quest’ultima stretta all’Isola maggiore da tanti legami culturali e commerciali. E tra tutti, oltre la metà del Seicento, è Bernardo Storace, vicemaestro e organista della Cappella peloritana, proveniente dall’ambito romano, nella seconda metà del Seicento, a proporre una sublime e memorabile Pastorale. Si tratta di una vera e propria trascrizione di sonata degli zampognari peloritani, esemplare e di rara bellezza musicale. E non è un caso, noi crediamo, che Storace l’abbia voluta porre come sigillo alla sua unica opera conosciuta, perché impaginata come titolo finale alla Selva di varie compositioni per cimbalo et organo, pubblicata a Venezia nel 1664. L’opera comprende una raccolta di danze e arie secentesche, ancora oggi frequentate da organisti e clavicembalisti, che ha conosciuto una splendida performance discografica con i fiati pastorali del Kalamos Ensemble, guidato da Pinello Drago, suonatore e costruttore di aerofoni pastorali di Galati Mamertino.

Circa i distintivi caratteri di scrittura musicale della composizione di Storace, c’è da evidenziare dentro l’ampiezza del testo, la figurazione ritmica, l’accompagnamento per terze della seconda voce, l’ostinato ripetersi delle medesime cellule melodiche. E poi, l’evidente modularità della scrittura dell’originale trascrizione musicale, fanno pensare all’intera “Prima parte” della Pastorale come alla dilatazione di una toccata introduttiva di quelle zampogne ‘a paro’, che Bernardo Storace senza dubbio sentiva suonare in occasione del Natale, per le strade e nelle chiese di Messina dai pastori che venivano giù nella Città dello Stretto dai Casali dei Peloritani di “Mezzogiorno” e di “Tramontana”.

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Bernando Storace, Prima pagina Pastorale Selva, Venezia 1664

Questa esemplare Pastorale formalmente si suddivide in quattro parti dalle indicazioni ritmiche differenti: la prima è in tempo C, la seconda in 3/2 e 6/4 (il cambio metrico coincide con l’indicazione di “Aria”), la terza parte, con l’indicazione di “Allegro”, è in C come pure la “Quarta ed ultima parte”. La struttura complessiva della composizione ricalca del resto, in forma ampliata, la successione di movimenti delle sonate natalizie delle zampogne “a paro” della Sicilia nord-orientale, che prevede, appunto, una breve toccata, cui seguono senza soluzione di continuità un’aria in tempo lento e un movimento di danza. La Pastorale di Storace potrebbe essere eseguita, ed è stata in verità eseguita più volte, soprattutto da Pinello Drago, alla zampogna “a paro” messinese. Nell’aerofono pastorale, caratterizzato da due chanter di eguale lunghezza, e da due o tre bordoni, sempre in tonalità maggiore, la lunga nota al pedale equivale alla note “re” del bordone, ovvero al 5° grado della scala maggiore intonata. E così, le due voci-chanter (di canto e armonia) affidate alla tastiera hanno la tessitura compatibile appunto ai due chanter, sempre a distanza di quarta. L’unica avvertenza per l’organista è quella di tener presente la differente modalità di emissione sonora delle canne labiali dell’organo rispetto alle ance semplici (con taglio inferiore) dell’aerofono pastorale.

Storace pubblica nella Selva pure quattro Passagagli, contraddistinti da un basso armonico ostinato: in un uno di essi Storace impiega frequenti cambi di tempo come elemento distintivo di sezioni differenti, a volte scrivendo indicazioni quali “modo pastorale”, “a tempo”, “grave”, “allegro”, “vario” ed “ordinario”: il “modo pastorale” si caratterizza per l’imitazione degli stilemi tipici delle musiche siciliane per zampogna.

Il caso Storace è tra i più significativi della storia della musica occidentale e di gran lunga il più interessante del XVII secolo, nell’ambito dei rapporti fra tradizione musicale colta e popolare. La Pastorale di Storace costituisce l’esito più alto di una frequentazione diffusa con la prassi tradizionale pastorale, condivisa, peraltro, da altri musicisti di spicco della Cappella Musicale del Duomo di Messina, di provenienza in gran parte continentale, quali Vincenzo Tozzi, maestro di Cappella, coevo di Storace, che scrisse quattro Dialoghi pastorali; Antonino Drago, organista del Duomo, e Filippo Muscari, autori rispettivamente di Allegrezza Pastori Villanella in pastorale e Fida sampogna mia.

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Pietro D’Asaro, Scena pastorale, part., 1630, Palazzo Abatellis, Palermo

Nel più vasto panorama siciliano, Messina si configura, quindi, come un polo musicale storico d’eccellenza relativamente alla scrittura musicale delle Pastorali (le composizioni di Tozzi, di Drago e Muscari, assieme ad altri di origine messinesi, sono conservate presso l’archivio della Cattedrale di Mdina, a Malta). Attraverso i secoli, poi, l’interesse non solo per le Pastorali, ma anche per i Dialoghi pastorali, drammatizzazioni vocali e strumentali su testi poetici originali sulla Natività, nella Città dello Stretto, verrà alimentato con regolarità, lasciando così sedimentare un patrimonio culturale musicale unico, che si nutre parimenti di tradizione “alta” e “bassa”. Tra i testi più rilevanti, da annotare anche il Dialogo pastorale, scritto da uno degli ultimi maestri di Cappella, il napoletano Luigi Platone, che comporrà, riprendendo il tema principale del suo Dialogo, una Sinfonia pastorale, eseguita nella sua melodia principale dagli zampognari messinesi – siamo nell’Ottocento – come ci informa l’erudito e musicista messinese Luigi La Corte Cailler. Il “filo rosso” delle Pastorali messinesi, fra oralità e scrittura, prosegue anche nel Novecento, con due titoli significativi, una attribuita con molte incertezze all’arciprete di Taormina Salvatore Cacopardo, siamo nella prima metà del Novecento, molto nota in ambito tradizionale; e l’altra dell’organista messinese Meo della chiesa del Carmine, attivo fino agli anni ’70 del XX secolo. Queste due Pastorali, eseguite all’organo da Mons. Salvatore De Domenico, attestano in maniera inequivocabile la singolare continuità di scambio tra oralità e scrittura, ovvero la replica di trascrizione per organo di sonate pastorali natalizie dei ciarimiddara peloritani, salvate così dall’oblio e donate in forma musicalmente godibilissima.

A proposito degli zampognari peloritani di oggi, c’è da segnalare che, sebbene decontestualizzati dalla originaria cultura pastorale, vantano numeri considerevoli su tutto il territorio provinciale, con competenze e qualità diversificate. Non mancano per fortuna veri capiscuola, sia come eccellenti suonatori, sia come abilissimi costruttori, ultimi testimoni e custodi di una prassi tecnico-organologica e di un sapere performativo plurisecolare, che contagia anche le nuove generazioni. C’è infatti una diffusa consapevolezza del valore e qualità di un bene intangibile come quello musicale, che deriva dalla millenaria storia dell’aerofono a sacco, che va sempre più salvaguardato e fatto conoscere. E in tutto ciò un ruolo decisivo è svolto, fin dagli agli anni Ottanta del Novecento, dall’incessante lavoro di ricerca etnomusicologica ed etnorganologica, imprescindibile riferimento per chi vuole accostarsi a queste forme musicali di tradizione e alla prassi d’uso strumentale e interpretativo della zampogna “a paro”, soggetta anche da più di un costruttore a varianti organologiche.

pastorali-siciliane-booklet-coverRitornando sul versante performativo, per quanto riguarda il resto della Sicilia, si tenga presente che la tradizione strumentale della Pastorale sviluppatasi a Messina nel XVII secolo, si espanderà su tutto il territorio isolano, lasciando tracce significative. Paradigmatiche le melodie tradizionali, “ninnaredde” o “nannaredde”, canti di novena e di questua, con accompagnamento anche di strumenti a plettro e da banda, che ancora oggi si intonano durante la novena nei territori dei Nebrodi e delle Madonie, quest’ultime un tempo ricadenti fino a Cefalù nell’arcidiocesi di Messina. Nelle trascrizioni per organo dei temi pastorali, in alcuni casi prevale la penna del musicista colto che, pur nell’anonimato, ha saputo ben fondere la spontaneità delle voci e melodie popolari d’origine.

E a riprova dell’interesse più vasto che le Pastorali suscitano in Sicilia, il programma musicale dell’opera discografica oltre il caposcuola Storace, propone altre opere esemplari, che ricalcano sostanzialmente il rispetto formale e musicale della Pastorale. Si tratta, più in particolare, di due musicisti, Paolo Altieri e Francesco Azopardi, rispettivamente maestri di Cappella a Noto e Malta. Entrambi compirono i loro studi musicali a Napoli, e in quella sede probabilmente sentirono per la prima volta le melodie tradizionali eseguite alla zampogna “a chiave” campana, per poi ascoltare in Sicilia la zampogna “a paro”. Sul versante musicologico, Altieri nei suoi diversi titoli si mantiene più fedele alla Pastorale caratterizzata dal tipico ritmico cullante sostenuto da lunghe note al pedale. Azopardi, anche lui rapito dalle Pastorali, trasferisce a Malta il clima musicale del Natale siciliano, recependo, per così dire, in maniera più estensiva il concetto di Sonata pastorale, creando opere in più sezioni con richiami tematici evidentissimi, fra i quali il più popolare del tempo, divenuto icona musicale del Natale, Quando nascette Ninno il Tu scendi dalle stelle di Sant’Alfonso de’ Liguori, anch’esso napoletano.

Lo stilema della pastorale cullante, che non perde di vista la forma sonata classica della zampogna, come si diceva giunge fino al Novecento, e la performance discografica mette in fila due Pastorali di area messinese. Spostandoci in area Madonita, esattamente a Gangi, ascoltiamo la pastorale di Mauro Patti, anch’egli fedele ai valori musicali della tradizione. Restando ancora nel Novecento, si osserva che i caratteri tipici delle Pastorali messinesi, già ben delineati nell’opera di Storace, si trovano incredibilmente evocati nel Capriccio pastorale di Pietro Alessandro Yon, piemontese di nascita che divenne organista nel 1926 della Cattedrale di St. Patrick in New York; il compositore-concertista avrà certamente ascoltato i temi musicali popolari natalizi dai dischi a 78 giri o cantati e suonati dagli stessi siciliani emigrati negli Stati Uniti d’America, e li ha elaborati in maniera originale nella sua fantasia per organo Il Natale in Sicilia e nel brano Cornamusa siciliana.

Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021

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Diego Cannizzaro, laureato in Lettere Moderne ad indirizzo musicologico presso l’Università di Palermo con una dissertazione sull’arte organaria antica siciliana, ha conseguito il Diploma di Pianoforte col massimo dei voti presso il Conservatorio di Palermo ed il Diploma di Organo e Composizione Organistica con la lode presso il Conservatorio di Perugia sotto la guida di Wijnand Van de Pol. Si è perfezionato in organo e clavicembalo con Luigi Ferdinando Tagliavini, Harald Vogel e Montserrat Torrent-Serra presso l’Accademia di musica italiana per organo di Pistoia, la Norddeutche Orgelakademie di Bunde (Amburgo) e l’Università di Santiago de Compostela. Vincitore di borsa di studio, ha conseguito il Dottorato di ricerca in “Storia ed analisi delle culture musicali” presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Attivo come organista, pianista e clavicembalista, è stato invitato in diverse rassegne musicali internazionali.         
Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).

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