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Origini filogenetiche della danza: il Corpo come strumento e la Terra come tamburo
Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2016 @ 00:59 In Cultura,Società | 1 Comment
Tra i quattro e i cinque mesi di vita intrauterina, quando siamo ancora nella pancia di nostra madre, le nostre orecchie iniziano già a sentire la sua voce, grazie alla conduzione ossea del suono lungo la colonna vertebrale, che fa da ponte tra la sua laringe e la cassa di risonanza del bacino [1]. Insieme alla voce materna, un altro pervasivo suono di cui facciamo esperienza è il ritmo del suo battito del cuore. Questo suono è la nostra prima ed essenziale esperienza ritmica, oltre che acustica.
Una seconda esperienza fondamentale è quella del ritmo del passo che impariamo a conoscere anch’esso dentro la pancia e che continuiamo ad apprezzare anche fuori, accoccolati sulle spalle o tra le braccia delle nostre madri durante le innumerevoli marce che la nostra specie ha fatto per millenni. Passeggini e automobili sono un’invenzione degli ultimi due secoli: un periodo di tempo davvero troppo breve perché la nostra biologia di mammiferi bipedi – iniziata all’incirca quattro milioni di anni fa con gli australopitechi [2] – possa esserne stata modificata nei suoi tratti fondamentali.
Il bipedismo ha trasformato bacino, ossa delle gambe, piedi, torace e apparato respiratorio, garantendoci una maggiore efficienza nella corsa e resistenza nella camminata e cambiando allo stesso tempo letteralmente il nostro punto di vista di parecchi centimetri, aprendo il nostro sguardo a superfici molto più ampie (il che ci ha reso una specie nomade); ha liberato gli arti superiori dalla funzione di appoggio trasformando le mani in utensili (il che ci ha reso costruttori, sperimentatori e inventori); ha trasformato la nostra cavità orale e faringea dandole la possibilità di diventare un apparato fonatorio (il che ci ha permesso di scoprire e utilizzare la voce come strumento di comunicazione ed espressione). Sono intervenute successivamente altre modificazioni del bacino, della colonna vertebrale e del sacro per permettere un parto la cui fisiologia si è radicalmente trasformata.
I neonati umani nascono non completamente sviluppati, dipendendo in toto da chi si prende cura di loro per diversi anni. A confronto dello sviluppo neurologico e cognitivo di un neonato di scimpanzé, capace di tenersi aggrappato da solo al pelo della madre, il piccolo della nostra specie è neurologicamente prematuro di più di un anno. Anche se il restringimento del canale del parto dovuto al bipedismo ha reso più difficile la nascita di piccoli con grande volume cerebrale, i ricercatori oggi ritengono che l’espansione del cervello del feto non sia stata limitata dalle dimensioni del bacino materno [3], ma piuttosto dal suo tasso metabolico [4]. L’ipotesi è che «i vincoli energetici della madre e del feto siano i determinanti principali della lunghezza della gestazione e della crescita fetale negli esseri umani e tra i mammiferi» [5]. Quando le esigenze metaboliche del feto minacciano di superare la capacità della madre di soddisfare entrambi i fabbisogni energetici, avviene il parto. Inoltre, fattore ancora più importante, il momento della nascita di fatto sembra ottimizzare lo sviluppo neuronale cognitivo e motorio [6], come se i neonati umani si fossero adattati per essere pronti ad assorbire tutto il materiale – culturale e non – a loro disposizione [7], nascendo con un organismo ancora plastico e “modellabile” [8].
L’esogestazione è in effetti il prolungamento dell’endogestazione (il cervello raddoppia quasi le sue dimensioni nel primo anno di età) e le cure parentali – necessarie per lo sviluppo di piccoli nati fortemente immaturi – si sono prolungate nel tempo. Ciò significa che la capacità di fornire attenzioni e cure adeguate e la capacità di coesione sociale (la cura verso le madri che si occupano dei cuccioli, o la cura verso i cuccioli in generale) possono essere diventati fattori fondamentali per la sopravvivenza della specie.
Il processo di adattamento al bipedismo, comparso nell’ambiente della foresta, sembra abbia creato comunità più numerose rispetto alle precedenti specie di ominidi, che gradualmente hanno potuto usufruire di spazi sempre più aperti, con un vantaggioso adattamento alla vita negli ambienti della savana; questo perché probabilmente sono intervenute anche trasformazioni sociali che hanno reso le comunità più coese: la nascita di forti relazioni diadiche (con le quali intendiamo le coppie madre-figli, le coppie genitoriali, e in generale le relazioni di affiliazione tra individui, anche di sesso o di età differenti) che hanno provocato sia la trasformazione delle modalità di allevamento dei cuccioli che di spartizione e condivisione del cibo e delle risorse. Ovviamente è difficile stabilire, tra le trasformazioni fisiologiche, comportamentali e sociali cui abbiamo accennato, cosa sia successo prima e cosa dopo, cosa contemporaneamente, o se ci siano delle relazioni causa-effetto, o ancora delle inter-dipendenze circolari. È però interessante notare come il bipedismo si sia sviluppato di gran lunga precedentemente alla prima sostanziale espansione del volume encefalico (manifestatasi intorno ai due milioni di anni fa).
Anche gli studi recenti delle neuroscienze hanno dimostrato che il fare viene prima del comprendere e che la mente scaturisce dal corpo. I centri cerebrali della motilità manuale precedono, nella loro formazione, le forme di pensiero intellettuale. «Nessuna descrizione scientifica o di altro tipo equivale all’esperienza del radicamento corporeo» [9]. Alla base dell’apprendimento c’è l’azione, secondo un meccanismo arcaico che è proprio degli animali (e quindi anche nostro), in cui il comprendere viene prima del linguaggio. Il bipedismo (con le sue ripercussioni su aspetti fisiologici, sociali, comunicativi) sembra aver avuto impli- cazioni profonde per l’evoluzione delle nostre capacità cognitive. L’indipendenza del tronco e delle braccia dal movimento delle gambe e le nuove possibilità e capacità ritmiche hanno accresciuto notevolmente il potenziale corporeo, il che ha comportato la necessità (e la possibilità) di un nuovo livello di controllo sensomotorio e l’evoluzione dell’intelligenza fisico-motoria per gestirlo.
Possiamo quindi dire di aver imparato prima a muoverci e poi a pensare, e se andiamo a guardare nello specifico, a camminare, correre e muoverci ritmicamente. Cosa ha provocato tutto questo? Come abbiamo accennato il bipedismo, insieme a un nuovo modo di usare lo sguardo e un nuovo modello di relazioni, ha aperto la possibilità di coprire distanze molto maggiori e muoversi nello spazio aperto della savana. Questo deve aver comportato degli aggiustamenti notevoli nella percezione e nella gestione del territorio, se non proprio la nascita di un’idea di “spazio” da percorrere, in cui muoversi, dal quale partire e al quale tornare. Di spazio vicino e quotidiano o lontano e estraneo, di spazio “interno” e di spazio “esterno”.
La territorialità [11], caratteristica comune a tutte le specie di primati (compresi noi), ha probabilmente subìto anch’essa una trasformazione in seguito alle nuove possibilità fisiche e spaziali: nel definire, delimitare e difendere lo spazio proprio di ogni individuo, le interazioni degli spazi all’interno del gruppo e un habitat la cui ampiezza si è ampliata vertiginosamente, il corpo bipede, con le sue possibilità di movimento – e di movimento ritmico in particolare – deve aver avuto un ruolo importantissimo. Scrive Blacking (1973: VI-VII):
È possibile che gli effetti del bipedismo sul modo in cui ci muoviamo e utilizziamo i nostri corpi nello spazio e nelle relazioni, unitamente al suo impatto sullo sviluppo del cervello e dell’apparato sensomotorio e vocale, abbiano creato le premesse per quella grande evoluzione ritmica che è la danza, la quale a sua volta ha comportato una evoluzione nelle nostre capacità di gestione del corpo (e la sua interazione con gli altri corpi e con lo spazio che li contiene) come strumento di analisi e conoscenza della realtà? [12] In più, le mani rese disponibili dal bipedismo possono sia tenere in braccio un piccolo bisognoso di assistenza che produrre suoni per la percussione. Sachs ipotizza che la musica strumentale sia iniziata come atto percussivo del corpo: percuotere natiche, ventre, cosce, battere le mani o battere i piedi sul terreno, per poi passare ad utilizzare materiali più duri o diversamente sonori (legni, pietre, parti animali) tratti dall’ambiente circostante o trasformati [13].
Da qui i vari tipi di movimento sincronico condiviso che noi oggi distinguiamo secondo contesti d’uso e scopi differenti (teatro, sport, lavoro, rituale, danza…) ma che devono aver avuto una origine comune in un tempo in cui i nostri antenati stavano ancora creando l’idea stessa di sincronia attraverso il movimento corporeo coordinato e ritmico di gruppo. Noi abbiamo suddiviso in categorie e competenze differenti ciò che un tempo deve essere stato un intreccio simbolicamente densissimo [14]: la danza – intesa come insieme di movimenti ritmici dell’intero corpo – comprende infatti un insieme di significati estremamente complesso [15].
La danza è sempre orientata nello spazio in modi simbolicamente significativi; funge da luogo e percorso di apprendimento e di gioco, permettendo l’immagazzinamento di informazioni nel sistema nervoso a seconda delle esperienze compiute dall’organismo nell’interazione con l’ambiente; coordina le attività del gruppo-comunità e lo tiene insieme, mantenendo gli esseri umani alla distanza di comunicazione; fonda una ritmica della territorialità in cui lo spazio pericorporeo e il movimento attraverso lo spazio sono definiti e usati con grande cura e raffinatezza. Ma se può essere nata – anche – come un modo per definire e difendere la propria territorialità, essa serve anche a sincronizzare i ritmi del corpo con delle mappe “cronospaziali” collegate ad altri – differenti – ritmi biologici, creando quelle reti di memoria proprie dell’apprendimento e della trasmissione orale delle conoscenze che imprimono nel corpo degli esseri umani la storia della nostra relazione e del nostro adattamento al territorio.
Il ritmo è un aspetto fondamentale della vita e della sopravvivenza biologica degli organismi. Esseri umani, piante, animali ed ambiente vivono, si riproducono ed evolvono in una ragnatela ritmica. Il ciclo giornaliero del sole ci dà il ritmo circadiano di attività e riposo; il suo ciclo stagionale regola la crescita, il fruttificare e il riposo invernale delle piante, la migrazione e i cicli di accoppiamento degli animali a cui erano legati caccia e raccolta. La luna ci dà i flussi e riflussi delle maree e il ciclo mestruale femminile che presiede alle leggi del concepimento e della nascita. Per non parlare di micro-cicli come quello respiratorio o della circolazione del sangue, della ritmica vitale delle contrazioni del parto, o dei macro-cicli delle rivoluzioni planetarie e astrali. Tutti in modi diversi interconnessi.
Le comunità umane e proto-umane hanno basato la loro sopravvivenza sulla comprensione di questi ritmi naturali, al tempo in cui non esistevano calendari, orologi e supermercati e molto prima che fosse inventata l’agricoltura. Una conoscenza derivata da un’osservazione quotidiana minuziosa, memorizzata (fisicamente radicata nel corpo, potremmo immaginare) e trasmessa di generazione in generazione per millenni. La necessità di conoscere, prevedere, controllare, riprodurre e connettersi con le strutture cicliche ha dato origine ai più antichi sistemi di misurazione del tempo-nello-spazio: l’astronomia, le percussioni, la danza. Suonare (il proprio corpo, le percussioni) è riprodurre quei ritmi su cui si basano la sopravvivenza e la connessione fisiologica, emotiva e spirituale dell’essere umano con il resto del Cosmo; danzare è la riproduzione di quei ritmi usando il corpo come strumento e la Terra come tamburo e danzare in comunità è la riproduzione dell’Eden, in cui ritmo e relazione erano tutt’uno.
Ora, se osserviamo le cose più in profondità, ci accorgeremo di una interessante coincidenza: in molte delle attività che sono state influenzate o trasformate dal bipedismo si attivano una serie di ormoni che i ricercatori definiscono oppioidi endogeni [16], la cui presenza è in grado di modificare notevolmente la biochimica del cervello. Nello stato di veglia ordinaria i due emisferi cerebrali operano in differenti ritmi di onde cerebrali: ad esempio, mentre l’emisfero sinistro produce onde beta, il destro può trovarsi in stato alpha, oppure i due emisferi potrebbero generare lo stesso tipo di onde cerebrali ma rimanere fuori sincrono tra di loro. Il tracciato EEG mostra una desincronizzazione cerebrale che corrisponde a uno stato di attivazione diffuso: le cellule nervose trasmettono molti messaggi differenti ed elaborano simultaneamente molte informazioni. In alcune circostanze determinate, grazie anche all’entrata in circolo degli oppioidi endogeni, i due emisferi iniziano ad operare allo stesso ritmo. Questo stato di unione ritmica dell’intero cervello – in cui i due emisferi e le differenti parti del cervello [17] iniziano a lavorare sincronicamente e simultaneamente – viene definito sincronizzazione emisferica [18]: può verificarsi negli stati di creatività intensa, nella meditazione profonda, durante il parto o l’atto sessuale, suonando le percussioni, danzando o nella cosiddetta trance agonistica [19], creando degli stati non ordinari di coscienzache possono arrivare fino a quelle sensazioni estatiche, orgasmiche, o di connessione con il divino che Maslow ha definito peak experience [20]. Durante il parto [21], ad esempio, vengono immessi nell’organismo delle femmine Sapiens una cospicua quantità di oppioidi, come l’ossitocina [22], e le endorfine [23], lo stesso avviene durante l’allattamento. L’ossitocina entra in gioco, in realtà, in tutte le attività “affiliative” dell’essere umano: l’accoppiamento e l’orgasmo, le relazioni sociali e di coppia (tutti momenti fondamentali per la sopravvivenza della specie). Basta un abbraccio per aumentare la secrezione di questo ormone.
Anche le esperienze “ritmiche” descritte al principio di questo articolo sono inestricabilmente intrecciate con le nostre – prime e fondamentali – esperienze relazionali: l’abbraccio dell’utero (in cui veniamo cullati, nutriti, tenuti al caldo e al morbido, senza mancanze o desideri) e l’abbraccio di chi si è preso cura di noi nei nostri primissimi anni di vita. In entrambe le situazioni siamo inondati da una produzione di oppioidi endogeni. Il desiderio dei neonati di venire cullati – lungi dall’essere un capriccio per snervare genitori troppo occupati – è la legittima, fisiologica richiesta di un cucciolo di mammifero che conosce e ri-conosce il ritmo (del cuore e del passo) e il contatto del corpo come luoghi/tempi naturali di piacere, accoglienza e accudimento.
Corsa, esercizio fisico prolungato in coordinazione, movimento ritmico da cui nasce la danza; parto, cure parentali e relazioni affiliative: tutte in qualche modo nate o trasformate dal bipedismo, tutte accomunate dal rinforzo biologico positivo della secrezione di ormoni oppioidi che le rendono fonte di piacere e attaccamento. In che modo, in che ordine, in che tempi tutti gli elementi che abbiamo preso in considerazione hanno avuto origine, si sono incontrati ed intrecciati tra loro? Non lo sappiamo ancora e non è detto che lo sapremo mai con certezza. Certo è che nel lunghissimo processo – ancora in divenire – che ci rende esseri umani, il ritmo e la relazione (individuo/ambiente, adulti/cuccioli, donna/uomo, essere umano/cosmo) sono stati – e potrebbero ancora essere – fattori necessari e imprescindibili.
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