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Note su una mostra. Per un nuovo metodo di disseminazione dei risultati di ricerca
Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2016 @ 01:01 In Città,Migrazioni | No Comments
di Chiara Brambilla
La mostra Houdoud al bahr | I Confini del Mare è stata allestita per la prima volta dall’1 al 5 luglio 2016 presso la Sala alla Porta S. Agostino di Bergamo con il patrocinio del Comune di Bergamo [1].
Questa mostra è stata ideata sulla base dei dati raccolti nel corso della ricerca etnografica – condotta dal Centro di Ricerca sulla Complessità (Ce.R.Co.) dell’Università degli Studi di Bergamo nell’ambito del Progetto Europeo 7PQ EUBORDERSCAPES – nella regione di frontiera italo/tunisina, fra e nei due spazi urbani di Mazara del Vallo (Trapani) e Mahdia (Tunisia), letti alla luce delle loro reciproche relazioni [2]. Il lavoro di ricerca etnografica condotto ha previsto anche la realizzazione del film documentario “Houdoud al bahr | I Confini del Mare: Mazara-Mahdia” che costituisce, nella sua versione breve, parte della mostra omonima, la quale dedica al documentario la sua Terza Sessione.
Dalla ricerca etnografica sul borderscape italo/tunisino alla mostra
Il lavoro di ricerca dell’equipe dell’Università degli Studi di Bergamo, sulla base del quale la mostra è stata ideata, si è focalizzato su di un’esplorazione critica del potenziale concettuale della nozione di borderscape (Brambilla, 2015a), che può essere usata per esprimere la complessità spaziale e concettuale della frontiera, come spazio non statico ma fluido, e sul potenziale euristico dell’approccio del borderscaping nello studio delle frontiere in epoca di globalizzazione e migrazioni (Brambilla, Laine, Scott, Bocchi, 2015).
La riflessione concettuale e le ricerche empiriche condotte hanno fatto emergere come la frontiera non possa essere ridotta a essere una linea statica demarcante i limiti territoriali dell’autorità e della giurisdizione politica, come la sua rappresentazione cartografica l’ha imposta. La frontiera non è una geometria, ma un luogo complesso, mobile (nello spazio e nel tempo) e relazionale, uno spazio fluido attraversato da una molteplicità di negoziazioni, rivendicazioni e contro-rivendicazioni socio-culturali, politiche ed economiche, che si attualizzano a livello delle pratiche quotidiane. Occorre, allora, “umanizzare” la frontiera, imparando a guardare, ad ascoltare e, al contempo, a dar voce alla pluralità di esperienze diverse che abitano e attraversano la frontiera, cercando strategie virtuose per rendere visibili. L’esperienza, che delle frontiere si fa, non è, infatti, la stessa per tutti. Alla luce di ciò, dalla ricerca emerge l’urgenza di descrivere come le esperienze delle frontiere si scontrino, spesso, con la teoria geopolitica e con le rappresentazioni mass-mediatiche dominanti, mostrando al contempo come la retorica e le politiche delle frontiere impattino, confliggano e siano in una relazione dinamica con la vita quotidiana e come queste retoriche e politiche sono esperite, vissute e interpretate da chi abita la frontiera.
La frontiera, allora, va intesa come uno spazio politico e sociale dinamico e conflittuale, composto da una pluralità di attori (non solo gli Stati e gli attori istituzionali), discorsi, pratiche, norme e interessi (Brambilla, 2015a). La frontiera è abitata da tensioni molteplici tra l’affermarsi e l’esercitarsi, in essa e tramite essa, dei poteri egemonici, giacché la frontiera serve come strumento politico per ordinare la realtà in base all’immaginario geopolitico moderno, e l’originarsi in questo margine, di discorsi e pratiche contro-egemoniche che aprono alla possibilità di nuove soggettività e agency politiche (Mezzadra, Neilson, 2013; Brambilla, 2015b; Brambilla, 2015c). Per tale via, pare possibile restituire spessore storico e geograficità alle frontiere del Mediterraneo, così come a qualunque altra frontiera di là di questo, “oltre la linea” (Brambilla, 2016).
La mostra Houdoud al Bahr | I confini del mare è stata ideata, come anticipato, sulla base dei dati raccolti nel corso della ricerca etnografica condotta nella regione di frontiera italo/tunisina con particolare riguardo, in essa, agli spazi urbani di Mazara del Vallo in Sicilia di Mahdia in Tunisia, così come anche alle loro molteplici relazioni presenti e passate.
La città di Mazara del Vallo – in provincia di Trapani, nella zona sud-occidentale della Sicilia – fronteggia il continente africano attraverso 137 chilometri di Mar Mediterraneo, essendo geograficamente più vicina alla città di Tunisi che allo stivale italiano.
Mazara non è solo nel borderscape italo/tunisino, essendo, quindi, una “città di confine”, ma un borderscape di per se stessa, una “città-confine”, rispecchiando la complessità della regione di frontiera italo/tunisina nella quale si trova. Destinazione di un primo cospicuo flusso migratorio di tunisini verso l’Italia, già negli anni ’70 del secolo scorso (Guarrasi, 1983) [3], Mazara intrattiene un rapporto particolare con la città costiera tunisina di Mahdia, luogo d’origine della maggioranza degli immigrati giunti negli anni a Mazara [4]. Situata a sud di Monastir e a sud-est di Sousse, Mahdia è la capitale dell’omonimo Governatorato ed è un importante centro nazionale e internazionale per l’industria della pesca e in secondo luogo per l’industria tessile. Prima di essere zona d’emigrazione verso Mazara, Mahdia è stata destinazione di numerosi mazaresi che nella città tunisina si trasferirono per lavorare prevalentemente nell’industria ittica, ma anche in altre attività industriali, sino agli anni’40-’50 del Novecento (Tartamella, 2011).
L’attenzione rivolta alla storia della relazione tra il borderscape urbano di Mazara e quello di Mahdia racconta di un processo di «mediterraneanizzazione» progressiva dello spazio di confine nel Canale di Sicilia, attraverso cui trova espressione la complessità di questo borderscape euro/africano (Ben-Yehoyada, 2011: 388-390; 397-398). Tale complessità può essere colta attraverso l’approccio “multi-situato” del borderscaping. Si tratta di un approccio multi-situato non solo nello spazio, ma esso incoraggia una resa multi-situata del confine che comprende diverse localizzazioni socio-culturali, politiche, economiche, legali e storiche, dove si articola uno spazio di negoziazione e rinegoziazione continua tra diversi attori (non solo lo Stato), discorsi e pratiche.
Giovani (migranti) e visibilità pubblica
Tra i diversi attori coinvolti nella ricerca, vi è un gruppo sul quale lo studio offre spunti di riflessione particolarmente significativi. Si tratta dei giovani (i cui genitori sono di origini mazaresi) e dei giovani di origini tunisine (i cui genitori provengono dalla vicina Tunisia) che oggi vivono insieme a Mazara. I giovani sono di norma esclusi dalla vita amministrativa e politica, costretti a una “cittadinanza differita o diminuita”, per certi versi comparabile a quella dei migranti. Ascoltare e dare voce ai modi, con i quali questi giovani intendono il borderscape che abitano, significa riconoscere il loro diritto di partecipare alla sfera pubblica, accogliendo la loro agency come forma di resistenza alle rappresentazioni e alle pratiche egemoniche che si basano su una concezione esternalista e contemplativa, “in-attiva”, del borderscape italo/tunisino. Significa, anche, permettere l’attualizzarsi di quella che de Certeau (2001: 7-16) ha definito «contro-microfisica delle pratiche quotidiane», agite dai ragazzi, che le iscrivono nel borderscape in cui abitano come spazio di vita e vivibilità mettendo in discussione le configurazioni egemoniche e ricercandone di nuove e “comuni”.
Affinché tale agency possa darsi è tuttavia importante improntare una metodologia di ricerca capace di restituire “visibilità pubblica” alle esperienze di questi giovani. Abbracciando l’idea di visibilità arendtiana (Arendt, 1958), la possibilità di partecipazione politica dipende, infatti, dalla visibilità nella sfera pubblica. Tuttavia, l’essere pubblicamente visibili può avere questa valenza progressista solo a condizione che altri marcatori d’identità (appartenenza razziale, etnica, di classe …) rimangano invisibili: vale a dire che la visibilità pubblica si fonda su una sfera privata che assicura “invisibilità naturale”. A causa delle «patologie dell’in/visibilità» (Borren, 2008: 219-225) su cui si regge lo spettacolo dei confini nel Mediterraneo, i migranti soffrono di una invisibilità pubblica che si combina con una visibilità naturale. L’invisibilità pubblica sottrae agency ai migranti, riducendoli a essere un insieme di “tratti naturali” d’identità articolati nella sfera pubblica da altri. Coinvolgere i giovani figli di migranti, rendere visibile la complessità “viva” delle loro soggettività politiche, offre opportunità virtuose per ovviare a tali patologie dell’in/visibilità riportando all’attenzione, invece, le pratiche complesse che sottendono alla sfera pubblica diasporica, nella quale i migranti possono essere agenti attivi in una diversa immagine delle migrazioni attraverso il Mediterraneo.
Metodi interdisciplinari estetici e narrativi: per una nuova agency geografico-politica
Coerentemente a queste considerazioni, lo studio con i giovani mazaresi di origini tunisine e non, ha utilizzato una metodologia di ricerca qualitativa interdisciplinare tra scienze sociali e umane. Più precisamente, si sono favoriti metodi estetici, narrativi, tenendo conto del ruolo rilevante delle storie e delle narrazioni – siano esse dei testi scritti, delle narrazioni orali o delle storie raccontate con mezzi visuali – per esprimere i processi identitari. Più precisamente, si sono utilizzati metodi narrativi visivi (disegni, auto-fotografia, foto-elicitazione, mappe partecipative e brevi video), oltre ad altri metodi della ricerca qualitativa, tra i quali le passeggiate a piedi e lo shadowing, così da incoraggiare la capacità di espressione dei ragazzi attraverso forme narrative visive, che recuperano all’attenzione la rilevanza della loro immaginazione spaziale, raccontandoci della loro particolare relazione con il borderscape che abitano [5].
Particolare importanza ha avuto il metodo videografico. Le attività con i ragazzi sono state filmate e incluse nel film documentario “Houdoud al bahr | I confini del mare: Mazara – Mahdia” e i ragazzi stessi hanno girato parte delle immagini. In quest’ottica, il metodo videografico e gli altri metodi visivi impiegati sono intesi non solo come strumenti estetici, ma anche analitici e comunicativi, utili non solo per descrivere visualmente discorsi e pratiche sociali, ma anche per favorire una migliore comprensione dei modi in cui il territorio è costruito, percepito, interpretato e rappresentato da chi lo abita.
I materiali iconografici presenti in mostra, ad eccezione delle fotografie della serie Note sul borderscape italo-tunisino, provengono dalle attività laboratoriali svolte con i ragazzi di Mazara del Vallo durante la ricerca. Adottando l’approccio metodologico descritto, si sono svolti, nel corso del 2014 e del 2015, due laboratori tematici con i ragazzi: l’uno sul tema “Il paesaggio come mediatore interculturale” e l’altro su “Il confine italo/tunisino: immaginazioni, immaginari e immagini”. Nelle attività sono stati coinvolti quattro gruppi di giovani di diverse età. A Mazara, i laboratori si sono svolti con: un gruppo di bambini di 7-9 anni, frequentante il doposcuola della Casa della Comunità Speranza; un gruppo di bambini di 9-10 anni, frequentante la classe IV, poi V, sezione B della scuola elementare Daniele Ajello; un gruppo di ragazzi di 11-12 anni, frequentante la classe I sezione C della scuola media Paolo Borsellino; un gruppo di giovani di 16-19 anni, frequentante il Centro Voci del Mediterraneo della Fondazione San Vito. Con quest’ultimo gruppo si sono svolte delle attività laboratoriali anche a Mahdia durante i mesi estivi, periodo in cui i ragazzi di origini tunisine tornano in Tunisia approfittando delle vacanze scolastiche.
I metodi impiegati e la particolare declinazione tematica dei laboratori sono stati entrambi finalizzati a stimolare i ragazzi a problematizzare la loro relazione con lo spazio di confine che abitano, ripensandolo non più come geometria lineare divisiva, ma come uno spazio costruito, abitato e reticolare, come uno spazio politico in continuo divenire e, dunque, spazio di opportunità politica.
Attraverso le loro traiettorie di vita spazio-sociali, le loro multiple percezioni, esperienze e immaginazioni del borderscape italo/tunisino, i giovani mazaresi di origini tunisine e non, “incarnano” il borderscape e praticano un’identità che trae la sua forma specifica e il suo carattere flessibile dal loro essere abitanti della «costellazione mediterranea» che si è sviluppata nel Canale di Sicilia nei secoli (Ben-Yehoyada, 2011: 388-390). In questo contesto, l’agency geografico-politica dei giovani riflette un flusso identitario transnazionale che trova espressione in sensi multipli di appartenenza al luogo, i quali descrivono un attaccamento emozionale ad esso piuttosto che un’istanza ufficiale di cittadinanza (Brambilla, 2016).
Il percorso della mostra
La mostra Houdoud al bahr | I Confini del Mare è un percorso nel quale i risultati emersi dal lavoro di ricerca nella regione di frontiera italo/tunisina, fra e nei due spazi urbani di Mazara del Vallo (Trapani) e Mahdia (Tunisia), sono proposti come possibile strumento conoscitivo ed esperienziale. “Canale” del percorso: un tratto di mar Mediterraneo che separa e unisce nello stesso tempo, e che definisce e collega le due terre e culture di cui i ragazzi delle scuole di Mazara del Vallo, coinvolti nel progetto di ricerca, sono testimoni. I materiali prodotti e messi in mostra appartengono ai ragazzi intervenuti nella ricerca così come ai visitatori che si lasceranno guidare dalle loro voci e dalle loro tracce, e che si faranno interrogare sul loro significato personale di frontiera e di “casa”.
Unica regola da seguire, lungo questo tragitto ideale, simbolico, eppure – in fondo – non poi tanto immaginario, quella del “vietato non toccare” e l’invito a interagire, a muoversi e a muovere. Cosa? I pannelli, i totem, le scatole di cartone, i fogli, le fotografie delle sezioni della mostra, concepite come tappe di un paesaggio da attraversare, luogo e occasione per mettersi in gioco e interrogarsi sui temi che la mostra propone, partendo da essa e per proseguire oltre i suoi confini. A questo fine, il visitatore, adulto o bambino che sia, potrà – se vorrà – seguire i suggerimenti di attività proposti, da fare in sede per poi proseguire al di fuori di essa. La città di ciascuno potrebbe così diventare sede di un laboratorio a cielo aperto, in cui i lavori di scoperta sono, potenzialmente, sempre “in corso”.
A completare il percorso, Note sul borderscape italo-tunisino, una serie di fotografie in bianco e nero che raccontano le due città – come fossero degli appunti o note di viaggio – attraverso i volti e i luoghi che le attraversano e le abitano.
In qualità di materiale di studio realizzato sul campo nell’ambito della ricerca, queste fotografie accompagnano il visitatore lungo il percorso, offrendo ulteriori suggestioni e preziose testimonianze.
Le quattro sezioni della mostra
1. Tra terra e mare | La città in cui vivo
Puoi partire da qui, da questo mare da navigare, fatto di strade da attraversare, lasciandoti guidare dallo sguardo dei ragazzi che abitano a Mazara del Vallo e che hanno raccontato la loro città attraverso la fotografia e il disegno. Bella, brutta, inquietante, perturbante, ospitale, in ogni caso “terra”. A tua disposizione, dietro ognuna delle venti tessere che compongono questo mare simbolico, una fotografia o un disegno che ritrae o rappresenta un frammento della città e di ricordo che, come in un gioco di memoria, esercita gli occhi alla lettura, all’osservazione attenta, alla reciprocità degli sguardi. Voltando le tessere scoprirai che fotografie e disegni si intrecciano, si richiamano, si completano. Tu stesso potrai contribuire a raccontare, creando storie e associazioni fra una o più tessere. La città, man mano che ti inoltrerai in essa, perderà i tratti del mare magnum sconosciuto e diventerà familiare, oltre che mappa da cui partire per provare a orientarti con occhi nuovi nella città in cui vivi.
2. Oltre la linea | Cos’è frontiera?
Il viaggio ti porta, ora, di fronte a un “confine” da attraversare. Immagina di passare fra gli spazi della linea tratteggiata che ti si snoda davanti e che si distende lungo il Canale di Sicilia. Fai un percorso simbolico fra un totem e l’altro. Come la frontiera non è una linea statica, una geometria, così i pannelli che hai di fronte non sono stati pensati per “fare muro”, ma per parlare della frontiera come di uno spazio mobile, fluido, che si arricchisce attraverso e nella relazione fra gli individui. Percorrendo lo spazio fra i totem, hai inoltre la possibilità di scoprire in cosa è consistito il progetto di ricerca portato avanti dal Centro di Ricerca sulla Complessità dell’Università di Bergamo fra Mazara del Vallo e Mahdia, nell’ambito del progetto europeo EUBORDERSCAPES. A tua disposizione, su alcune facce dei pannelli, trovi dei testi e delle immagini che parlano del progetto europeo e delle attività svolte con i ragazzi di Mazara del Vallo, alcuni di origini italiane, altri di origini tunisine.
3. Houdoud al bahr. oltre i confini del mare | Il documentario
Ad attenderti, ora, trovi una nuova “terra”, che si svela attraverso il documentario “Houdoud al bahr| I confini del mare: Mazara-Mahdia” (Italia, 2015) [6]. Fermati a conoscere e a “seguire” i ragazzi di Mazara del Vallo. Alcuni sono ritratti nel loro viaggio verso il “luogo delle origini”. Si tratta di Mahdia in Tunisia, città non più quotidiana per loro – dove sono nati i loro genitori o dove in alcuni casi sono nati loro stessi, che oggi vivono a Mazara – eppure, in ogni caso, pregna di significato e luogo di vissuti.
4. Abitare il mediterraneo | La città in cui vivo come vorrei che fosse?
In quest’ultima sezione ti attende il quotidiano. Ti trovi nella terra oggi abitata dai ragazzi di Mazara o in quella immaginata per il loro futuro. Si tratta della terra che verrà, e che si sceglierà come terreno su cui fondare la propria “casa”. In questo senso, guardata e costruita, immaginata con occhi nuovi, sarà, allora, la vera terra dell’opportunità, non solo promessa, ma scelta e abitata. In questo senso, dunque, si tratta anche della tua terra: di quella che abiti oggi o che sceglierai di abitare domani.
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