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Naseeb Arida, un poeta siriano tra New York e Iram

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Arida, a sinistra col cappello, insieme a una delegazione della Syrian-Lebanese League in visita al Presidente Wilson, White House, Washington DC, 1921

di Francesco Medici

A partire dalla fine del XIX secolo, in seno alle comunità cristiane di siro-libanesi emigrati negli Stati Uniti d’America, si assiste al fiorire di numerosi periodici in lingua araba. Il 15 aprile del 1892 i fratelli Ibrāhīm e Naǧīb ‘Arbīlī sono i primi a fondare a New York il settimanale «Kawkab America» («Kawkab Amīrikā» in arabo, ovvero “L’Astro d’America”), che nel 1898 divenne un quotidiano la cui pubblicazione sarebbe cessata nel 1908. Altri giornali newyorkesi degni di menzione rivolti ai lettori di origine araba sono «Mir’āt al-‘Arab» (“Lo Specchio degli Arabi”, 1893), «al-Ayyām» (“I Giorni”, 1897), «al-Mohajer» («al-Muhāǧir» in arabo, ovvero “L’Emigrante”, 1903). Il primo mensile arabo-americano in lingua inglese, «The Syrian World» (“Il Mondo Siriano”), pubblicato dal 1926 al 1932, fu fondato e diretto da Sallūm Mukarzil [1].

Nome di spicco tra gli animatori del giornalismo arabo negli Stati Uniti è quello del poeta, scrittore, critico letterario e nazionalista siriano Naseeb Arida (Nasīb ‘Arīḍah). Nato a Homs (Ḥimṣ) il 17 agosto 1888 [2] da genitori di fede cristiana ortodossa, frequenta per cinque anni le scuole missionarie russe, prima nella città natale, poi a Nazareth, in Palestina, dove conosce il libanese Mikhail Naimy (Mīḫā‘īl Nu‘aymah), suo compagno di studi, destinato a diventare, anche quest’ultimo, un altro celebre intellettuale arabo della diaspora. Dati l’ottimo rendimento scolastico e l’eccellente padronanza della lingua slava, ottiene una borsa di studio per trascorrere un anno nella Russia zarista, ma vede purtroppo sfumare l’opportunità di recarvisi a causa dello scoppio della guerra russo-giapponese (1904-1905).

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Naseeb Arida e Mikhail Naimy a Nazareth

Nel 1905 emigra a New York per lavorare nello stabilimento tessile di un cugino, all’inizio come semplice impiegato e successivamente come titolare. Risalgono a questo periodo le sue prime collaborazioni con giornali quali «al-Hudà» (“La Retta Via”), fondato nel 1898 da Na‘‘ūm Mukarzil, e «Meraat-ul-Gharb» («Mir’āt al-Ġarb» in arabo, ovvero “Lo Specchio dell’Occidente”), fondato nel 1899 da Naǧīb Diyāb, di cui Arida, a partire dal 1937, avrebbe assunto la direzione.

Nel 1912, a New York, fonda la casa editrice Al-Atlantic Publishing Co. (ribattezzata nel 1916 Al-Funoon Publishing Co.) e nell’aprile dell’anno successivo dà alle stampe il primo numero del suo mensile culturale «al-Funoon» («al-Funūn» in arabo, ovvero “Le Arti”), che sopravvisse fino all’agosto del 1918. Il periodico pubblicò, seppure in modo alquanto discontinuo, un totale di 29 numeri, prima della definitiva e sofferta chiusura dovuta – si dice – a una congerie di fattori, quali l’aumento del costo della carta, la penuria degli abbonamenti, la scarsa disponibilità di forza lavoro e infine lo scoppio del primo conflitto mondiale.

al-funoonArida stesso vi pubblicò numerosi racconti, poesie, traduzioni dal russo e testi teatrali. Molti altri suoi interventi sarebbero comparsi successivamente anche sul bisettimanale «As-Sayeh» («al-Sā’iḥ» in arabo, ovvero “Il Viaggiatore”, 1912-1958), fondato a New York dai fratelli ‛Abd al-Masīḥ Ḥaddād e Nadrah Ḥaddād, suoi concittadini siriani, di cui, nel 1923, sposa la sorella Najeebi (Nağībah, 1886-1976). L’autore suole firmare i suoi contributi con vari pseudonimi, quali Alif (la prima lettera dell’alfabeto arabo), Malik (Re), al-Ġarīb al-Sākit (Lo Straniero Silente)[3].

Fine conoscitore della letteratura araba, i suoi saggi vertono principalmente sui poeti classici della sua terra, come Dīk al-Ǧinn al-Ḥimṣī (777-849) [4]. Il romanzo Asrār al-balā al-rusī (“I segreti della corte russa”), traduzione o riscrittura dal russo di un’opera originale non ben identificata, già pubblicato a puntate su «al-Funoon» a partire dal 1913, fu riunificato in volume vent’anni più tardi [5].

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Associazione della Penna, New York 1920

Fin dalla sua prima formazione nel 1916, Arida riveste un ruolo di primo piano all’interno di al-Rābiṭah al-Qalamiyyah (Associazione della Penna), il più importante circolo di intellettuali arabo-americani di New York. Lo stesso anno diviene anche membro del Syrian-Mount Lebanon Relief Committee (Comitato di Soccorso per la Siria e il Monte Libano), costituito a New York al fine di inviare aiuti umanitari nella regione siro-libanese, prostrata dalla carestia e dalle reiterate atrocità perpetuate dall’Impero ottomano. Nel 1917 aderisce attivamente al Syrian-Lebanese League of Liberation, anche noto come Syrian-Mount Lebanon Volunteer Committee (Lağnah Taḥrīr Sūriyā wa Lubnān in arabo), cioè il Comitato per la Liberazione della Siria e del Libano il cui obiettivo era quello di promuovere l’arruolamento volontario dei siro-americani al fianco delle forze alleate per combattere i Turchi nei territori arabi.

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Arida con la moglie e la figlia

Benché senza prole, Naseeb e Najeebi condividono intanto una serena vita coniugale a Brooklyn. Tuttavia, alcuni anni dopo il loro matrimonio, la piccola Nora (Nūrah, 1914-2001), figlia di ‘Abd al-Mağīd Ḥaddād, un altro dei fratelli di Najeebi, rimane orfana di madre. La nipotina, immediatamente accolta nella casa della coppia, sarà allevata come una figlia. Durante la seconda guerra mondiale, Arida lavora per un paio d’anni come redattore presso la sezione araba dell’American Military Information Office.

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Gli spiriti confusi

Sfortunatamente, non esistono traduzioni in italiano delle sue liriche, fuorché quella di un singolo componimento, Yā aḫī, yā aḫī (letteralmente “Fratello mio, fratello mio”), inserita con il titolo Uniti nell’antologia Calchi di poesia araba contemporanea a cura di Fuad Cabasi (Fu’ād al-Ka‘abāzī [1922-2011], poeta, traduttore, saggista, islamologo e ambasciatore libico presso la Santa Sede del Vaticano a Roma):

 Avanti, avanti!

Andiamo nelle tenebre

nel deserto

                                              nell’orror

                                         uniti pel sentiero

                                      degli uomini lottanti

                                            ma senz’armi

                                         all’infuori del Vero.

                                       Andiamo, andiamo!

                                                Se i lupi

                                          lanceranno i cori

                                             dei loro ululati

                               noi risponderemo col nostro canto;

                                           se incontreremo

                                               giorni cupi,

                                        allora accenderemo

                                     le torce dei nostri cuori.

                                       Andiamo, andiamo,

                                              e vinceremo.

                                       Quando sarò stanco

                                           sorreggimi ed io

                                      ti sarò sempre a fianco,

                                            o Fratel mio! [6].

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I segreti della corte russa

La silloge al-Arwā al-ā’irah comprende quasi un centinaio di componimenti che spaziano dai più vari temi intimo-esistenziali allo struggimento per la propria terra lontana, dalla rievocazione del glorioso passato della civiltà araba al più fervente orgoglio nazionalistico. I toni sono contemplativi, dolenti e nostalgici, spesso pessimistici, ma talvolta anche elegiaci ed epici, come in Iḥtiḍār Abī Firās (“La morte di Abū Firās”), che canta la dipartita del grande principe-poeta aleppino Abū Firās al-Ḥamdānī (932-968), oppure mistici, come nel celeberrimo poema ‘Alā ṭarīq Iram (“Sulla via di Iram”)[7], in cui la leggendaria città perduta della Penisola araba – “l’Atlantide del deserto”, come la definì Lawrence d’Arabia – si fa metafora del «rifugio dello spirito»[8] dove, oltre la materia, risiede la vera conoscenza. È lo stesso Arida, in una nota esplicativa, ad offrire al lettore la chiave interpretativa del testo:

«Nella tradizione araba, Iram ḏāt al-‘imād [Iram dalle alte colonne] è una città meravigliosa che il mitico Šaddād bin ‘Ād edificò con blocchi d’oro e diamanti. Era un incanto alla vista. Nessuno sarebbe stato in grado di fissarvi lo sguardo, neppure da lontano, alla luce del giorno. Poi questa città delle meraviglie decadde e fu inghiottita dalle sabbie. Tuttavia essa esiste ancora, in un luogo nascosto, ricca di magici palazzi e tesori incustoditi. Ma nessuno può avvicinarvisi. Molti hanno tentato di trovarla, ma sono morti o si sono smarriti nel deserto, oppure hanno fatto ritorno a mani vuote. Quanto detto è ciò che narra appunto il mito. Ma la città cui allude il poeta è la dimora dello spirito. Egli intraprende dunque un lungo viaggio di ricerca con le sue carovane e descrive, tappa dopo tappa, la via che ha percorso. Al termine del viaggio l’autore immagina di averne intravisto lo splendore in lontananza»[9].
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Tomba di famiglia

Nella raccolta, la città di New York si configura quindi come una sorta di anti-Iram, l’archetipo del regno dei beni materiali, e dunque illusori. La metropoli tentacolare americana, con i suoi grattacieli e la sua frenesia, vorrebbe stritolarlo, fagocitarlo, ma il poeta esule, pur abbacinato dai suoi bagliori ingannevoli, non dimentica i tortuosi vicoli e le «pietre nere» dell’amata Homs. Il disorientamento e il turbamento che albergano nel suo animo sono gli stessi provati da tutti i siriani immigrati oltreoceano, anch’essi ‘spiriti confusi’ che cionondimeno non rinunciano né alle proprie origini né alla propria identità.

Malgrado il desiderio di essere sepolto nel suo suolo natìo, le spoglie di Naseeb Arida riposano a Brooklyn presso il Green-Wood Cemetery insieme a quelle della moglie e della figlia adottiva. Incisi sulla lapide si possono ancora leggere i versi di una sua breve lirica, il cui incipit recita: «Deponete una bambola sulla mia tomba di pietra / sarà simbolo di vita dopo la mia morte».

Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021 
Note
[1] Cfr. Poeti arabi della diaspora, versi e prose liriche di Kahlil Gibran, Ameen Rihani, Mikhail Naimy, Elia Abu Madi, traduzione e cura di F. Medici, presentazione di K.J. Boloyan, prefazione di A.A. Rihani, con due poesie musicate dai Malaavia, Stilo Editrice, Bari 2015: 19-40.
[2] Alcuni documenti fanno risalire il suo anno di nascita al 1887.
[3] Per una bibliografia completa dei contributi di Naseeb Arida pubblicati su «al-Sā’iḥ» e «al-Funūn», cfr. http://www.al-funun.org/nasibaridah/arabic/index.html
[4] Cfr. O. Capezio, Il poeta Dīk al-Ǧinn nell’interpretazione di Nasīb ‘Arīḍah, «Quaderni di Studi Arabi», Vol. 4 (2009): 177-192.
[5] N. ‘Arīḍah, Asrār al-balā al-rusī, al-Hudà, New York 1933.
[6] N. ‘Arīḍah, al-Arwā al-ā’irah: dīwān, Maṭbaʻat Ğarīdat al-Aḫlāq, New York 1946: 112 (cfr. Id., Uniti, in Calchi di poesia araba contemporanea, a cura di F. Cabasi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1962: 70-71).
[7] Ibid., 211-217; 179-197.
[8] M. Nu‘aymah, Nasīb ‘Arīḍah: Šā‘ir al-Ṭarīq (“Naseeb Arida: il poeta della Via”), «al-Adab», 1953, 5: 9.
[9] al-Arwā al-ā’irah, cit.: 178. La mitica città e la sua distruzione sono menzionati anche nel Corano: «Non hai visto quel che fece il Signore della gente di ‘Ād a Iram dalle alte colonne, che non aveva pari su tutta la terra?» (89,6-8).

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Francesco Medici, membro ufficiale dell’International Association for the Study of the Life and Work of Kahlil Gibran (University of Maryland), è tra i maggiori esperti e traduttori italiani dell’opera gibraniana, nonché autore di vari contributi critici su altri letterati arabi della diaspora tra cui Mikhail Naimy, Elia Abu Madi e Ameen Rihani. Si è inoltre occupato di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare di Leopardi, Pirandello e Luzi. Docente di materie letterarie nella scuola secondaria, lavora attualmente presso un CPIA di Bergamo come insegnante di italiano L2.

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