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Muri, guerre di cracker, paure e vecchi fantasmi

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2017 @ 00:38 In Cultura,Società | No Comments

Tra Usa e Messico (ph.Gregory Bull.AP)

Tra Usa e Messico (ph. Gregory Bull.AP)

di Nino Giaramidaro

Radiosa, con un padellone dietro che la circoscrive in un alone di vicesantità, gli occhi stellari e il volto da ultima diva degli anni Quaranta oscuri. Lui bruttino, polposo, col mento fascistissimo e una voce sireno-tenorile. Non ho visto i titoli di testa né di coda, ma in quell’Italia pacelliana e DC, in una scena d’addio, non si baciavano: un abbraccio senza foga, le labbra di lui accostate all’esile collo di lei.

Un film su Iris, verso le sette del mattino. Dieci novembre anno scorso, alla televisione tricelebrano la vittoria di Trump, lì in quegli States dediti alla pena di morte, esportatori con Winchester e Sherman della democrazia americana mentre costruiscono e vigilano il “muro messicano”. Da oceano a oceano dovrà arrivare, ma gli spezzoni già alzati sono cosparsi di croci più fitte di quelle del muro di Berlino. E l’America si gioca la briscola Trump a sostegno del suo ultimo sogno di una nuova libertà: il muro dovrà pagarlo il Messico. Come in Cina le pallottole giustiziere a carico dei parenti dell’ucciso. O altrove la tassa-rimborso spese sempre gravata sui familiari del messo a morte.

Siamo nel Paese dove le elezioni le decide l’Fbi mentre la Cia scopre quali Stati devono essere sottoposti a tutela democratica, cominciando con l’arresto dei cittadini che scappano dagli inferni e sbarcano negli Usa.

Credo siano pronti gli incartamenti per perpetrare un pacchetto di “liberazioni”. Prima mossa, la paura unta dall’etere nel groviglio di satelliti, antenne e superantenne, segnali, laser impazziti, onde conosciute e incognite: tutto che arriva sulle tastiere di video senza anima, davanti ai quali sbavano hacker, lamer e cracker desiderosi di trasformarsi in generali a cinque stelle della star war sulla quale, per ora, si spingono bande larghe e larghissime dei moderni sabotatori.

Tra Ceuta e Spagna

Tra Ceuta e Spagna

In Francia il ministro della Difesa rivela che lungo il 2016 un esercito di cracker ha sferrato 24 mila attacchi. Tutti respinti secondo l’orgoglio nazionale. Invece, qui da noi, Occhionero – che non è un nickname ma un cognome romano – con il suo malware si è intrufolato nei segreti ministeriali, in quelli di grandi uffici e aziende, fra i dispacci riservati e tra le carte di personaggi pubblici, sino al Presidente del consiglio Renzi e al numero uno della Bce Draghi, facendo più di un occhio nero ai sistemi di controspionaggio informatico, diffondendo veline a tanti servizi segreti e a chissà quali altri loschi interessati. Ma lui dice che non è vero.

Manipoli, avanguardie, scaramucce di confine siderale, scontri ancora disarmati. Onde minime del Loran, Muos con antenne da 20 metri di diametro, il misterioso Chayka russo.

E Trump, il Presidente della paura, promette controriforme, protezionismi e isolazionismi ariani; lui, il Sigfrido che forse riuscirà a non fare baciare più Robert Redford e Demi Moore e a completare la grande muraglia della vergogna. Lì, nei luoghi del mito Paramount: Randolph Scott a El Paso, Tom Mix, tutto bianco, a Tucson, laggiù nell’Arizona, saloon e mandrie a San Diego, Laredo, Joseph Cotten e John Wayne, o Jennifer Jones e Gregory Peck, qualche Barrymore, la bellissima Dolores Del Rio e Alan Ladd; tutti sull’Appaloosa, quando restavano vivi, al trotto nella valle solitaria, verso un orizzonte lontano, con il The End che li colpiva alle spalle.

Che ne sarà delle donne americane, e degli uomini? Scenderanno dal taxi sulla Quinta strada con la bottiglia di whishy incartata nell’ipocrisia in una mano e nell’altra un Colt 16? Mostrare bottiglie di alcolici nude in pubblico è illegale, non lo è andare in giro con un fucile mitragliatore. Gli americani ritengono la vista dell’alcool più pericolosa delle pallottole. Si erigeranno muretti fra un quartiere e un altro, fra il marciapiede di destra e quello opposto?

Il cielo sopra l’Europa vede Faust che ancora alza «gli occhi ai comignoli delle case che nella luce della luna sembrano punti interrogativi» (Dino Campana). Demone primitivo, alacre attorno a muri e muretti che spuntano immemori di quello di Berlino, delle umiliazioni al check point Charlie, davanti ai vopos con gli occhi perforanti, nel silenzio orribile della “striscia della morte”, la terra di nessuno. La Friedrick Strasse tagliata a metà, tutto tagliato a metà. Il mondo tagliato a metà e pieno di spie e spioni.

Sì, gli agenti segreti, le spie saranno i generali, gli strateghi delle guerre silenziose sulle quali non verranno più “girate” epopee di eroi insanguinati. Non vi saranno vittime sotto le bombe, ma morti di freddo, in catastrofi ferroviarie, nel buio dei sub way impazziti – i subbuè dell’italico pidgin, – navi che si inabissano, aerei sofisticatissimi che vanno a sbattere perché il feldmaresciallo ha messo il dito su “canc” sorseggiando un Baker’s Old. Gente ignara che stramazza perché nell’audio è arrivato un supersuono, vetture lanciate in un autoscontro aizzato da elettroni sciagurati.

Si è verificato in Florida il 7 maggio scorso il primo incidente mortale con un’auto “a guida autonoma”. Vittima il conducente di una Tesla S, che aveva inserito il sistema di guida automatica su un’autostrada nei pressi di Williston. È andato a schiantarsi contro un albero. Il numero uno della Tesla, Elon Musk, ha manifestato il suo cordoglio su Twitter ai parenti del morto. Immediata la caduta del titolo della casa automobilistica in borsa: perdita di oltre il 3 per cento.

 Tra Israele ed Egitto

Tra Israele ed Egitto

Troppi film ho visto nei quali milioni di dollari saltano da una banca all’altra per pensare che, con un po’ di cattiva volontà, non sia possibile una guerra degli accrediti. Al cospetto di un tale probabile futuro (anteriore, anteriore), i muri e i muretti diventano tornasole del tempo dell’odio. La vita con la paura appollaiata sull’uscio di casa. Sì, anche la cassetta della posta diventa un contenitore di panico: la leggenda delle bustine travestite da cosmetico che vi si possono trovare, letale veleno imbellettato, imbucato da anonimi sicari di pelle e religione diverse dalla nostra. Gira e rigira fra gli sms su una catena di sant’Antonio oliata dal terrore. Sin’ora non risulta trovata una sola dose venefica, ma il livello di apprensione ha guadagnato altri centimetri nel termometro delle psicosi.

La Tour Eiffel si va allontanando sempre di più nei sogni delle vacanze, e una visita alla chiesa della memoria sul Kurfurstendam di Charlottemburg diventa un desiderio controllato dallo sgomento. La Gedachtniskirche ricorderà sempre meno quello che il demone Europa può elargirci.

“Mein Kampf” in un anno ha venduto 85 mila copie in sei riedizioni, e gli editori di Hitler – che fanno soldi, sì – sembrano spergiurare attribuendosi il merito di un’edizione critica per arricchire il dibattito sulla crescita di “opinioni politiche autoritarie”. Mentre il populismo ci confonde con una nebbia informativa, un impenetrabile nuvolone di notizie inutili. La strategia della distrazione. Cioè «deviare – dice Chomsky – l’attenzione del pubblico da problemi importanti e da cambiamenti attraverso inondazioni  continue di informazioni insignificanti. La strategia della gradualità: per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per anni consecutivi». Da parte di un potere oscuro, inafferrabile che sta in nessun luogo. Un potere «emigrato – ha spiegato il filosofo Bauman – al di fuori della portata di qualunque nazione, compreso gli Stati Uniti, che sono un ex impero e una ex potenza mondiale». Sop, System of  Pluricracies, dice il professore americano Cornelius Noon, una forma di potere globale non eletto e non elettivo con fini e mezzi diversi dalla democrazia, che disprezza la vecchia etica del bene comune.

In questa realtà ammantata di notte, non si trova nemmeno il nemico, il più striminzito e miserabile. La Mitteleuropa lo cerca nei migranti, già privati anche della umana dignità, gli Usa di Obama rivolevano la fidata cortina di ferro, e il presidente se n’è andato esortando gli americani a diventare “guardiani della democrazia”, come i pasdaran del cattivo Iran sono i “guardiani della rivoluzione”. Le parole diventano circolari e il loro punto buono è solo quello che tocca gli Stati Uniti.

Trump vuole far rivivere un Goffredo di Buglione dei due mondi, l’Inghilterra gioca la carta della sua ultima decadenza, lasciando anche l’Europa e mettendosi “a disposizione” di The Donald. E Putin dice che le accuse di hackeraggio alla Madre Russia sono una caccia alle streghe, Baba Jaga da esportazione.

Tra Ungheria e Serbia

Tra Ungheria e Serbia

«Siamo in attesa che la peste torni a inviare i suoi ratti» (Albert Camus, 1947).  E in questo avvio di secolo senza dilucolo – quella piccola luce del giorno cominciante – fra precarietà, legami che si dissolvono, disistima di sé, «sta crescendo la necessità di qualcosa di solido che può essere ricercato nella comunità», secondo il filosofo polacco. Per lo scrittore francese è la “solidarietà umana”, che darebbe senso anche alla condizione umana. E Chomsky  incoraggia ad agire in associazione. Sarebbe proprio questo desiderio la ragione del successo dei social network: riacquistare fiducia in se stessi, far parte di società, comunità anche se virtuali.

Ci giungono suggerimenti moltiplicati contro i padroni del male, che intensificano la distrazione con la televisione ossessiva, notiziari reiterati ogni dieci minuti con le stesse parole e immagini incomprensibili e incomunicanti che si ripetono nello stesso tg come se girassero su un vinile inceppato. Sovrabbondanza, iterazione allucinogena, verso l’abisso di estraneità, assenza, evaporazione del buon senso e della decrepita logica.

I figli – bamboccioni, ci dicono, soprattutto quelli che non ne hanno – si fanno quasi vecchi in casa dei genitori e non vanno via presto a cavallo del sogno americano del self made man. Fuggiaschi  dall’inopia e da giornate vuote e senza nessun verbo al futuro, che dopo dieci-quindici anni di lontananza diventano estranei ai genitori e i genitori estranei a loro. Padri e madri che nella società liquefatta prima o poi troveranno un Taigeto, una Rupe Tarpea da riattivare nella civiltà del progresso. Giù, epatici di additivi, coloranti, conservanti, nitrati e nitriti, fosfati, e con la testa svuotata dall’infobesity.

Dove ci porteranno gli States di Trump, guardingo anche con i colori dell’arcobaleno, con la sua America über alles, la tortura – il waterboarding, ma potrebbe diventare ricinoboarding – che il Presidente della paura apprezza (“credetemi, funziona”), e l’habeas corpus sempre più non habeas? Un vento da tenersi il cappello nel quale il Papa stigmatizza povertà e guerra: la «terza guerra mondiale che nessuno può negare, a pezzetti ma c’è».

Il banchiere bengalese Yunus, inventando il microcredito, ha preconizzato un futuro in cui i nostri nipoti andranno nei musei per vedere che cosa fosse la povertà.

Dopo millenni di pessimismo della ragione che sempre vince l’ottimismo della volontà, c’è questa profezia bengalese per non rassegnarci ad aspettare un altro, altri uomini della Provvidenza? Uomini forti, mascelluti e scorreggianti, che sapranno ricondurci a passo romano verso il margine della notte.

Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017

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Nino Giaramidaro, giornalista prima a L’Ora poi al Giornale di Sicilia – nel quale, per oltre dieci anni, ha fatto il capocronista, ha scritto i corsivi e curato le terze pagine – è anche un attento fotografo documentarista. Ha pubblicato diversi libri fotografici ed è responsabile della Galleria visuale della Libreria del Mare di Palermo. Recentemente ha esposto una selezione delle sue fotografie degli anni sessanta in una mostra dal titolo “Alla rinfusa”.

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