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Muri e strade di Sicilia. Per una riflessione sull’arte urbana

copertinadi Fabiola Di Maggio

La street art è luogo delle immagini, non nel senso in cui le immagini rimandano a dei luoghi per evocazione, ma nel senso in cui, per osmosi, le immagini diventano gli spazi stessi in cui insistono e gli spazi sono le immagini che li incorporano. Dei luoghi, le opere di street art ricordano o ridefiniscono l’identità, li incorniciano, li aggiornano, li riattivano, li proiettano e collegano con altre realtà e con altri spazi, siano essi reali o virtuali. Fondamentalmente la street art è un’oper-azione nello spazio e, come tale, ha delle implicazioni socio-antropologiche che ne spiegano la funzione e la funzionalità.

Sviluppatasi negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso negli Stati Uniti e in Europa, la street art è oggi un fenomeno visuale globale e intermediale. Si fa spazio in Italia negli anni Novanta e Duemila, interessando dapprima Milano, Bologna, Torino e Roma, per spingersi in seguito verso sud dove trova in Napoli e Palermo le sue espressioni più importanti e consistenti.

Graffiti, stickers, poster, stencil, forme diverse di muralismo artistico, operazioni di bricolage consistenti nella trasformazione artistica di comuni oggetti urbani come segnali stradali, fontane, o strisce pedonali, rendono le città dei veri e propri musei all’aperto dove si ripristinano immaginari e memorie sommerse, oppure si innescano processi di immaginazione inedita con inevitabili effetti sulla comunità, che così viene pienamente ed effettivamente coinvolta in tali dinamiche, e sui fruitori tout court. Per il suo carattere spesso effimero, la street art ha dovuto, e deve, necessariamente rendersi visibile in media diversi. La fotografia è il mezzo più diretto ed efficace che sin dagli esordi della street art ha permesso la salvaguardia storico-visuale delle molte opere prodotte. Grazie alla fotografia, dunque, la street art è fruibile in più media: musei, gallerie, riviste, video, web nelle sue svariate forme di condivisione come piattaforme di immagini, blog e social network, che diventano gli “altri luoghi” della ricezione di street art e spesso, nei casi in cui le immagini vengono cancellate, gli unici possibili.

Alleg, Borgo Nuovo Palermo, 2015 (ph. Filippi)

Alleg, Borgo Nuovo, Palermo, 2015 (ph. Filippi)

Una lettura eterogenea e densa dei luoghi della street art siciliana ci viene offerta da un testo pubblicato nell’aprile di quest’anno che, in pochi mesi, ha riscosso un notevole e favorevole successo di critica, come pure un considerevole numero di lettori: Street Art in Sicilia. Guida ai luoghi e alle opere, edito da Dario Flaccovio. Il buon esito del volume non è solo legato all’idea di creare una guida pratica e agevole dei luoghi e delle opere di street art in Sicilia per viaggiatori curiosi, appassionati d’arte e turisti – che ne sono i maggiori fruitori –, ma anche alla triplice autorialità del testo redatto da studiosi e interpreti appassionati dell’argomento. Mauro Filippi, architetto e fotografo, Marco Mondino, semiologo e dottore di ricerca in Studi Culturali Europei, Luisa Tuttolomondo, sociologa e dottore di ricerca in Pianificazione e Politiche Pubbliche del Territorio.

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Collettivo FX, Pizzo Sella, Palermo, 2015 (ph. Filippi)

Architettura, semiotica e sociologia sono dunque le chiavi di lettura interdisciplinare che aprono le porte alla comprensione del fenomeno della street art siciliana, permettendone una ricezione ricca di sfumature e cortocircuiti che, come oggi è sempre più ampiamente dimostrato, solo l’interazione tra più scienze rende possibile. Per la restituzione corretta e il più possibile completa dell’arte urbana dell’Isola, i tre autori hanno condotto molteplici e interattive ricerche sul campo in uno scambio costante e diretto con organizzatori, amministratori e artisti.

Street art in Sicilia è uno strumento di fruizione, riflessione, analisi e critica nelle mani del lettore che, evidentemente, non potrà trovare nel volume un’enciclopedia compiuta e chiusa, ma un itinerario aperto, mutevole e in fieri che la street art, per sua stessa indole, prescrive. A questo proposito, la guida possiede un efficiente ampliamento digitale (streetartfactory.eu) che registra lo sviluppo delle pratiche di arte urbana in Sicilia con una cartografia sempre revisionata.

 Luprete, San Berillo, Catania, 2016 (ph. Filippi)

Luprete, San Berillo, Catania, 2016 (ph. Filippi)

Se si dà uno sguardo d’insieme alla mappa della Sicilia ci si accorge subito che sono Palermo e Catania le realtà più emblematiche della street art nell’Isola. Alcune esemplificazioni, scelte tra molte a disposizione, possono rendere conto di come la street art in Sicilia produca effetti di senso svariati e relazionali, legati sia alle forme e agli stili che ai luoghi stessi dei quali diventano manifesti.

A Palermo, in una delle frazioni più note della città, Alleg ritrae l’immagine di un pallone da calcio che raffigura il quartiere stesso di Borgo Vecchio con i suoi tratti caratteristici: palazzi, strade, macchine, gru. Con un effetto matrioska, simile a molta parte della produzione grafica di Escher, l’opera rappresenta il muro stesso che ospita il disegno del pallone. Sempre a Palermo, il Collettivo FX realizza un dipinto murale raffigurante due mani nell’atto di scattare una fotografia di paesaggio attraverso la visuale di una finestra di uno dei molti palazzi abusivi del luogo, che incornicia il panorama della città. Lo scenario in questione è dunque sia l’immagine ritratta, sia lo schermo stesso di una qualsiasi fotocamera digitale, costituito proprio dalla finestra. Creatività e critica socio-politica ed ecologica si ritrovano abbondantemente anche a Catania.

 BLU, Librino, Catania, 2015 (ph. Filippi)

BLU, Librino, Catania, 2015 (ph. Filippi)

Singolare, dal punto di vista artistico, risulta un’opera di Luprete nel quartiere catanese di San Librino. Si tratta del ritratto di una geisha che si incorpora perfettamente all’interno della nicchia di un portone, del quale l’artista sfrutta gli elementi architettonici posti in basso e in alto, mettendo in rilievo l’osmosi tra immagine e contesto. Ancora a Catania, nel quartiere di Librino, troviamo un’opera davvero emblematica di BLU, street artist fortemente impegnato nella difesa della causa sociale e ambientale. L’Etna è al centro di questo murale dello street artist italiano, che ha rappresentato la lava del vulcano in eruzione mentre si rovescia metaforicamente sulla città e sui poteri forti e corrotti che la amministrano, dei funzionari mascherati da lepri ed elefanti, che fuggono.

Allo stesso modo Messina, Agrigento e Trapani sono aree in cui l’arte urbana insiste palesemente in misura maggiore rispetto alle restanti province di Caltanissetta, Enna, Ragusa e Siracusa, che rimangono ancora delle realtà poco emergenti, sebbene anch’esse interessate dal fenomeno. A Messina, per esempio, in una zona che si affaccia su un’ampia distesa di mare, si trova la Real Cittadella, una fortezza costruita dagli Spagnoli nel XVII secolo, danneggiata nel corso del tempo e in stato di abbandono.

 Collettivo FX,Zona Falcata, Messina, 2016 (ph. Filippi)

Collettivo FX, Zona Falcata, Messina, 2016 (ph. Filippi)

All’interno della rocca sono state realizzate molte opere di street art con forte valore di critica e di denuncia, come quella del Collettivo FX rappresentante un Nettuno arenato, che con difficoltà prova a venire fuori dalle acque. L’opera è un chiaro riferimento a coloro che sono morti cercando di attraversare il Mediterraneo giungendo in Sicilia o passando per l’Isola. Favara, presso Agrigento, è la culla della Farm Cultural Park, un progetto artistico di riqualificazione del territorio, e del centro storico nello specifico, dove la street art regna sovrana come dimostra bene l’opera ibrida di NemO’s che consiste in un essere spaventoso dalla bocca spalancata, altamente contestualizzata nell’uso di una fessura – rappresentante le fauci – ricavata in un sottoscala all’interno di un locale della Farm, producendo un interessante effetto giocoso.

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NemO’s, Favara, 2015 (ph. Filippi)

Altro tema importante che accomuna molte opere di street art è quello del rispetto della memoria storico-culturale e della specificità di luoghi. In questo caso è pressoché d’obbligo il riferimento a Gibellina Vecchia colpita dal terremoto nel 1968, che ospita diverse opere di street art, come quella dell’artista valenciana Julieta XLF, realizzata all’interno di una casa disabitata e in rovina. L’immagine rappresenta la memoria del tragico terremoto che ha colpito il Belìce, custodita nelle mani della fanciulla inginocchiata e in lacrime. L’opera interagisce dunque con la storia di Gibellina della quale l’arte vuole essere mezzo di espressione identitaria e culturale.

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Julieta XFL, Gibellina Vecchia, 2014 (ph.Filippi)

La street art può anche essere semplicemente una riflessione su sé stessa quale frutto di incontri tra stili e forme espressive diverse. A Caltanissetta gli street artist siciliani Rork & Loste, hanno realizzato, all’interno di un ex pista di pattinaggio riqualificata grazie al progetto Eclettica Street Factory, un’opera il cui scopo è quello di sancire, simbolizzare e comunicare la fusione tra la cultura del writing, della street art e dei tatoo.

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Rosk Loste, Caltanissetta, 2016 (ph. Filippi)

Questo breve excursus illustrativo allude solamente alla ricchezza iconografica ed interpretativa della street art siciliana raccolta nel volume, dal quale viene fuori l’immagine dell’isola come vero e proprio “archivio in costruzione” di arte urbana. Le azioni creative legate alla street art, e all’immaginazione urbana tout court, come affermano gli autori del volume:

«si sono diffuse secondo dinamiche e interazioni coi territori ogni volta diverse. Soffermarsi sui muri è un modo per costruire un percorso alternativo di lettura delle città ma anche un esercizio per lo sguardo necessario a cogliere quell’insieme di segni grafici che costituiscono la cultura visuale urbana contemporanea» (Filippi-Mondino-Tuttolomondo 2017: 6).

In Sicilia sono presenti le stesse forme e dinamiche che descrivono il fenomeno della street art in tutto il mondo, ovvero quelle esperienze di genesi dell’opera d’arte che può essere spontanea, commissionata e condivisa con gli abitanti di un quartiere o di un borgo.

La street art, quale insieme di attività e sperimentazioni di rappresentazione e comunicazione artistico-visuali che operano nelle strade e negli spazi pubblici urbani – sorta prima come manifestazione temporanea, istintiva, alternativa e illegittima per divenire poi legale, riconosciuta e addirittura richiesta dallo stesso circuito dell’arte, nonché fatta propria dalla cultura popolare di massa – da un punto di vista iconografico, rende i luoghi dei container eterogenei e post-moderni di materiali, tecniche, stili, forme e contenuti.

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Pixel Pancho, Ragusa, 2015 (ph. Filippi)

Nella percezione antropologica dello spazio urbano, la street art si pone come un ponte di comunicazione visuale finalizzato alla realizzazione di un discorso aperto tra vari elementi, tangibili e intangibili, che raccontano, attraversano e “abitano” un certo luogo. La street art si incista soprattutto laddove si creano delle incrinature urbane legate per esempio al disfacimento dei centri storici e al loro inevitabile abbandono, come anche all’eccessivo sfruttamento edilizio. Fenomeni questi che costituiscono il teatro privilegiato per lo storytelling dell’arte urbana che, ponendo al centro alcuni siti o semplicemente riattivandoli, narra visivamente, attraverso il rapporto informato che le opere intrattengono con un certo spazio, la memoria di un luogo, di un evento o di un personaggio.

I luoghi privilegiati della street art sono dunque: centri e mercati storici, discariche rinnovate e convertite in piazzali fruibili, spazi all’aperto della vita serale e notturna, stradine marginali, siti occupati e ampie aree di telai abusivi. La strada e i suoi muri pertanto, quali nuovi luoghi e display dell’arte, costituiscono, per gli artisti che vi operano, delle forme necessarie a esprimere diversi contenuti: politici, in riferimento alla strutturazione dello spazio con i suoi dinamici e continui mutamenti o, all’opposto, alla sua perpetua immobilità; critici, legati alle fratture sociali e urbane, ma anche allo stesso sistema dell’arte; estetico-pubblicitari, in relazione all’importanza mediatica che negli ultimi decenni ha chiaramente assunto questo genere di produzione artistica.

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C215, Bacco trafugato, Palermo, 2015 (ph. Filippi)

Il discorso siciliano non esula da queste premesse, tanto che la Sicilia manifesta una creatività urbana: in grado di riflettere sulle identità dei quartieri e dei luoghi di intervento ma anche sui e le ibridazioni, sulle traiettorie degli streetartist lungo l’Isola e sul contagio tra forme artistiche diverse all’interno di quartieri di una stessa città o in generale di città differenti.

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Marascia, Salvino Catania pittore, in memoria, Mazara del Vallo, 2016 (ph. Filippi)

Tra operazioni spontanee e commissionate la Sicilia appare come un vero e proprio laboratorio in cui lo scambio e la relazione tra la scena locale e gli streetartist italiani e internazionali hanno contribuito a un dialogo costante e alla realizzazione di progetti a varie scale. Ci sono streetartist come NemO’s, Collettivo FX, Julieta XLF che hanno percorso quasi tutta la Sicilia e lasciato tracce in diversi luoghi. Spostandosi da una città all’altra si incontrano le opere di BLU, Ericailcane, Momo, Sten Lex, C215, Alex Void, Jef Aerosol, Ozmo, Hyuro, Clet, Okuda, senza dimenticare l’importante lavoro di molti streetartist siciliani come Rock &Loste, Vlady Art, Chrome Surgery, Gue, Poki, Luprete e I Mangiatori di Patate.

Da oltre un ventennio, dunque, la Sicilia è protagonista attiva nella scena della street art nazionale e internazionale. Le considerazioni che l’arte urbana ci permette di fare, e come appunto la nostra Isola dimostra pienamente, riguardano l’energia della narrazione visuale propria di questo fenomeno artistico. La street art capta e descrive visivamente una fenomenologia del contemporaneo, soprattutto quella delle pagine più brutte della nostra modernità: condizioni di assenza o precarietà del lavoro, diverse forme di ingiustizia sociale, stragi dei migranti, guerre e conflitti di ogni sorta, abusivismi di potere legati a politiche mafiose, degrado ambientale, inquinamento e cementificazione della natura.

Con il suo diventare parte attiva nello spazio possibile di certi luoghi, la street art, che sembra mostrare sempre di più i caratteri distopici di un presente incerto, mostruoso e degenerativo alla maniera dei romanzi di Herbert George Wells, Aldous Huxley, George Orwell o Cormac McCarthy, rende visibile, attraverso la denuncia dei gravi problemi condotta dagli artisti con la loro creatività immaginifica, la narrazione del presente promuovendone una riflessione critica quale mezzo di ispirazione per l’attuazione di tempi migliori. Un grido polifonico di denuncia e speranza al contempo, che non può e non deve rimanere inascoltato.

Dialoghi Mediterranei, n.28, novembre 2017

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Fabiola Di Maggio, dottore di ricerca in Studi Culturali e Visuali, antropologa delle immagini e curatrice d’arte. Si occupa di Arte fotografica satellitare ed è esperta nell’analisi di fenomeni visivi legati alle immaginazioni frattali e apofeniche per le quali ha proposto un’inedita connessione. Nell’ambito dei Visual Culture Studies, e dei Museum Studies specificamente, ha messo in rilievo l’importanza del Cold Visual Turn relativo alle forme e alle dinamiche che negli ultimi decenni caratterizzano la cultura museale contemporanea indicando con il neologismo “musiconologia” una nuova area di ricerca che unisce le prospettive epistemologiche dell’antropologia e dell’iconologia. Dal 2009 si occupa dello studio del concetto di “primitivismo” nell’arte contemporanea e del fenomeno della musealizzazione dell’arte extra occidentale secondo una prospettiva che incrocia le analisi culturali dell’antropologia e quelle estetiche della storia dell’arte. Nell’orizzonte dell’antropologia delle immagini di Aby Warburg, le sue riflessioni sono inoltre rivolte all’indagine dei rapporti formali tra astrazione e figurazione nell’arte occidentale, extra occidentale e preistorica.

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Una risposta a Muri e strade di Sicilia. Per una riflessione sull’arte urbana

  1. Paolo Grassi scrive:

    Segnalo che all’interno della mostra “ArteAmare” al Castello di San Terenzo di Lerici realizzeremo un’opera co-realizzata con i visitatori. Un muro che non separa ma unisce persone e ambiente.

    Il Castello ha origini che si rifanno agli anni del rinascimento (1400 D.C.) ed è stato probabilmente costruito con partecipazione di tutta popolazione per protezione del paese dagli assalti dei pirati saraceni.

    Ogni visitatore troverà nel Castello un fondale dove farsi fotografare con il volto inserito in una feritoia delle mura. Ogni foto rappresenterà un “mattone” del nuovo muro.

    Le fotografie inviate su Facebook o Instagram con l’hashtag #arteamare saranno ricomposte da Paolo Grassi alla fine della mostra per dare origine a un’opera collettiva denominata The Castle Wall.

    Così come le mura rinascimentali del castello proteggevano dall’assalto dei pirati il muro “virtuale”, opera d’arte collettiva, conterrà al proprio interno l’immagine e lo spirito delle persone che contribuiranno all’opera, sarà quindi un intervento di rinnovamento con al centro l’uomo, un intervento di “decostruzione rinascimentale”.

    Se le mura nelle città rinascimentali dovevano servire a creare la perfetta sintesi fra la natura, l’uomo e la storia il nuovo muro virtuale dovrà servire a unire le persone e a ristabilire una corretta relazione fra l’uomo e l’ambiente naturale. Forse una nuova utopia, come utopici erano i progetti delle città rinascimentali.

    Per ogni ulteriore informazione visitare i siti http://www.lephotoart.com e http://www.arteamare.it

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