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Minori stranieri non accompagnati e modelli di accoglienza

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2017 @ 00:33 In Migrazioni,Società | No Comments

COPERTINA MESSINAdi Luisa Messina

Il fenomeno migratorio investe, con flussi sempre crescenti, le coste della Sicilia. Rispetto a questo processo in continua crescita, si è cercato di indagare, andando direttamente sul campo, sulla questione delicata quanto caotica che coinvolge una categoria sempre crescente di migranti, quali sono i  minori stranieri non accompagnati (MSNA).

I minori stranieri, in ragion del fatto che non hanno raggiunto la maggiore età, seguono un percorso per certi versi diversificato rispetto agli uomini e alle donne che sbarcano nei nostri porti. Si tratta, fondamentalmente, di garantire diritti e tutele, di cui il Paese di accoglienza, e nel dettaglio il Comune di sbarco, deve necessariamente farsi carico.

Tra gli enti e le organizzazioni che si occupano della tutela dei minori stranieri, è apparso particolarmente singolare il ruolo promosso dall’associazione AccogliRete onlus, con sede a Siracusa.

AccogliRete è la prima associazione operante sul territorio italiano, nata nel 2013 per promuovere il ruolo del tutore legale per MSNA, poichè ogni minore per legge ha diritto a un tutore che lo segua lungo l’iter necessario per ottenere il permesso di soggiorno. Nella provincia di Siracusa, in particolare ad Augusta e in zone limitrofe, il 2013 fu l’anno in cui iniziarono sbarghi massicci che fino ad allora non si erano mai registrati. La questione dei MSNA cominciò ad essere sempre più preminente.

Il modo in cui venivano accolti e identificati richiedeva una regolamentazione e un’efficace  strutturazione: i minori alloggiavano in centri insieme agli adulti, e per proteggerli dalla promiscuità venivano sottoposti a misure quasi detentive; di conseguenza privi di ogni assistenza molto spesso si allontanavano e scappavano. In primo luogo occorreva identificare l’ente locale su cui doveva ricadere la responsabilità dei minori, rispetto a un panorama in cui i servizi sociali si trovavano completamente sprovvisti di ogni punto di riferimento intorno al quale costruire la propria azione, e il comune non voleva correre il rischio di dover far fronte a ulteriori impegni economici per via di inevitabili responsabilità territoriali.

L’Arci e l’associazione Avvocati Immigrazionisti cominciarono ad attivarsi sulla problematica,  e un  passo in avanti fu fatto quando si acconsentì alla nascita del primo movimento di tutori, i quali ricevevano direttamente dalla prefettura le liste dei minori sbarcati così da rendere più immediata la presa in carico da parte di un tutore e di conseguenza l’iter per richiedere i documenti. Al contempo, dall’agosto del 2013 i minori furono trasferiti in una struttura a loro dedicata, ovviando in questo modo al problema della promiscuità, e determinando una diminuzione dei casi di fuga.

Il nuovo centro, con sede a Priolo Gargallo (SR), si caratterizzò come struttura aperta ai tutori e alla collettività e poteva contare su una rete di volontariato. In questo modo era più semplice oltre che immediato individuare i casi vulnerabili, cosicché i tutori avviavano le pratiche di cancelleria riuscendo a sbloccare, in parte, un sistema che non funzionava.

Dal 2013 al 2014, in seguito all’operazione Mare Nostrum, si è assistito a un notevole incremento della presenza dei MSNA. Il Report di monitoraggio pubblicato sul sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali mostra come il loro numero abbia registrato un incremento di 3.572 ingressi rispetto allo stesso periodo del 2013.

Di fronte al panorama tracciato, il Comune di Augusta, se da un lato riusciva a gestire il flusso degli adulti migranti, dall’altro non era in grado di rispondere all’emergenza dei minori stranieri, i quali trovarono alloggio nel Centro di Prima Accoglienza “Scuola Verde” ad Augusta. Ma la struttura si rivelò totalmente inadeguata, il personale non era presente h24, nessun operatore assicurava la vigilanza notturna, presenziavano soltanto pattuglie di polizia, durante il giorno i ragazzi vivevano in strada e frequenti erano i casi di abusi e nonnismo.

Lezione di italiano all'interno della sede Accoglirete

Lezione di italiano all’interno della sede Accoglirete

Tuttavia, mentre una parte della popolazione si lamentava per l’incresciosa situazione, un’altra parte si attivò prendendo in considerazione l’idea dell’affido. Grazie all’intercessione di AccogliRete circa 35 ragazzi furono dati in affido a famiglie particolarmente virtuose che avevano avuto modo di conoscerli direttamente, e avevano dichiarato la volontà di prendersene carico. Un piccolo numero altresì trovò alloggio in comunità parrocchiali. Seppure questa fu una soluzione significativa dal punto di vista sociale, la questione rimaneva irrisolta dal punto di vista numerico, erano ancora tanti i minori che vivevano in situazione non idonee al loro benessere psico-fisico. I ragazzi sottoposti all’affido poterono contare su un più adeguato  processo di integrazione, tutti ebbero la possibilità di conseguire la licenza media e una volta raggiunta la maggiore età ognuno andò per la propria strada.

Tutto ciò  fu possibile fino a che i centri si caratterizzarono come strutture aperte. Ma gli enti nella loro evoluzione e pseudo organizzazione, cominciarono a strutturarsi in modo rigido così da porre nuovi paletti e, di conseguenza, ulteriori nuovi limiti e ostacoli all’azione finalizzata alla tutela e all’integrazione dei minori.

Ad oggi gli sbarchi continuano massicci, le strutture sono al collasso e non si sa dove collocare i minori, i quali non possono essere smistati nel resto delle regioni italiane poiché la responsabilità è di competenza del Comune di sbarco. La situazione, già problematica è oltremodo peggiorata: le strutture blindate non consentono alcun tipo di comunicazione con l’esterno,  i tutori difficilmente riescono a conoscere i ragazzi prima dell’incarico, e per di più il Tribunale per i minori di Catania ha tolto la competenza al giudice tutelare di Siracusa nell’assegnazione dei tutori, per cui sono numerosi i casi in cui gli stessi vengono nominati facendo riferimento a una lista sulla base della quale non si tiene conto né della prossimità territoriale, né tantomeno se un tutore conosce già il minore in questione. Sono stati registrati addirittura casi in cui alcuni volontari iscritti nelle liste vengono nominati tutori di minori che, di fatto, si sono allontanati dai centri di prima accoglienza da mesi. Evidentemente si ha a che fare con un sistema che non funziona. Per capire meglio è opportuno fare chiarezza su quali sono le strutture che accolgono i minori e come funzionano.

I MSNA identificati vengono accolti in strutture di prima accoglienza, i CPA, ma sempre di più adesso si parla di CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) pensati per sopperire alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di accoglienza. Qui i minori dovrebbero restare giusto il tempo per essere trasferiti in centri di seconda accoglienza, le Comunità alloggio o gli SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Tuttavia succede che permangono nei CAS per mesi e mesi, subendo a pieno tutti gli effetti deleteri che ne conseguono. Per via della natura transitoria di queste strutture non è previsto nessun tipo di progetto educativo, non si può accedere all’istruzione, non si può neanche iniziare un corso di lingua italiana, ci si limita a dormire e a mangiare e a cercare di passare il tempo nell’arco di una giornata interminabile.

Come già detto, si tratta di strutture al collasso, sovraffollate, che accolgono più del doppio delle persone rispetto ai posti disponibili. Nei CAS entrano i minori, gli operatori e, a presidiare l’ingresso, c’è sempre una pattuglia di polizia. A nessun altro è consentito l’accesso, sono di fatto parcheggi a lungo termine, non luoghi, spazi strutturati quasi come delle carceri, chiusi al libero accesso poiché ai limiti del legale e quindi fuori legge.  È davvero drammatico: ragazzi di 15, 16, 17 anni,  aspettano e si consumano nell’attesa di vedersi assegnare un tutore, di poter ottenere i documenti, di essere trasferiti in strutture idonee che diano loro i mezzi per cominciare a muoversi e, intanto, vedono fallire il loro progetto migratorio e si avvicinano alla maggiore età, e al rischio di essere trasferiti nei CIE, una volta maggiorenni, o in uno SPRAR per adulti e nella peggiore delle ipotesi di essere espulsi.

Tra le maglie di questa matassa difficile da districare continua a muoversi con perseveranza l’associazione AccogliRete, che sta tentando di firmare un protocollo di intesa per entrare nei CAS, per fare in modo che le cose si muovano verso un cambiamento positivo e soprattutto necessario. Quando finalmente per qualcuno si apre la possibilità di trasferimento in una Comunità alloggio non è poi così scontato che tutto vada per il meglio. La seconda accoglienza dovrebbe garantire un’azione finalizzata all’integrazione del minore attraverso piani educativi individualizzati. Il semplice fatto che la struttura può ospitare fino a un massimo di 12 persone, fa supporre migliori possibilità per il minore di essere seguito, di andare a scuola, di imparare la lingua italiana, e assumere pian piano gli stili e i ritmi di una vita normale. Eppure non è così scontato far funzionare le cose, quando, solo per fare un esempio, gli operatori/educatori delle strutture vengono pagati dopo mesi di ritardo, o non vengono pagati affatto, per cui si assiste a un continuo ricambio del personale. Spesso manca, altresì, una vera e propria progettazione costruita a partire dalle esigenze e dalle inclinazioni di ogni ragazzo, che già provato dall’esperienza del CAS o del CPA e dai traumi del viaggio, spesso soffre di depressione e fa fatica a trovare le motivazioni giuste che la mattina lo spingano a scender giù dal letto. Ci sono sicuramente alcune comunità alloggio che funzionano bene, ma ce n’è altrettante che si rivelano inadatte al compito che dovrebbero perseguire, nonostante abbiano avuto il lasciapassare dalla Regione e l’autorizzazione della AUSL per costituirsi.

Minori non accompagnati e minori stranieri a scuola di italiano, a Palermo

Minori non accompagnati e minori stranieri a scuola di italiano, a Palermo

Il modello verso cui oggi si tende con maggiore fiducia è invece quello dello SPRAR. Come per le Comunità, gli SPRAR per minori possono ospitare fino a un massimo di dodici persone, per un’età massima di 18 anni più sei mesi. La gestione in questo caso è sicuramente più trasparente, poiché è direttamente il comune che affida l’organizzazione delle strutture agli enti, attraverso gare di appalto. L’ente, in primo luogo, si deve impegnare a garantire la presenza, nelle proprie strutture, di alcune figure professionali: gli educatori,  l’operatore legale, il mediatore culturale, lo psicologo… In  secondo luogo sarà compito dell’ente presentare al personale addetto ai controlli una rendicontazione dettagliata e precisa sulle spese e sull’uso del pocket money.

Il modello di accoglienza deve obbligatoriamente essere pensato in collaborazione con gli altri enti pubblici, perché ai giovani ospiti sia garantita non solo la possibilità di frequentare la scuola ma anche quella di poter svolgere un tirocinio o uno stage formativo. Il minore, nell’attuazione del proprio piano educativo individualizzato, deve essere messo nella condizione di fruire degli stessi diritti dei coetanei italiani e poter competere per le stesse cose, in una condizione non tanto di uguaglianza quanto di equità; solo in questo modo, ponendo le basi per una buona accoglienza, si può cominciare a parlare di integrazione. Questo vuol dire ascoltare le esigenze dei minori, valorizzare la loro persona e le loro attitudini. È necessario muoversi all’interno di un sistema che, in rete col territorio, punti ad offrire ai MSNA gli strumenti necessari per orientarsi nel mondo ed emanciparsi dall’ottica dell’assistenzialismo e dalla retorica del pietismo.

In questa sede si vuole riportare l’esempio dello SPRAR di Pachino (SR), gestito dall’associazione Albero della vita. Poiché si organizza come una struttura aperta che lavora in rete con il territorio, è stato possibile accedervi per vedere come funziona. Anche in un CAS si è provato ad entrare, a Priolo Gargallo (SR), un paesino di 12mila abitanti, ma la visita è terminata davanti l’ufficio degli educatori. Tuttavia è bastato sostare in corridoio per percepire il dramma di giovani adoloscenti costretti a vivere mesi e mesi in queste strutture nell’inerzia e nell’inedia  più assoluta. Dal corridoio proveniva la voce di un gruppo di ragazzi seduti di fronte a uno schermo, e da un altro lato era possibile intravedere il cortile, dove altri stavano seduti fuori a passare il tempo. All’ingresso, una volta oltrepassato il cancello, dominava la presenza di una pattuglia con due uomini in servizio, ed si scorgeva del movimento al di là delle finestre che si aprivano su più piani, si intravedevano panni stesi, ventilatori, qualcuno appoggiato al davanzale. Le giornate sono scandite dai pasti e da semplici regole, come l’obbligo di rientrare ad una certa ora la sera, di mantenere il silenzio nelle ore notturne, di non fumare nei luoghi comuni, di non bere e introdurre droghe. Non ci sono volontari e non è previsto lo svolgimento di attività.

Questo è un CAS, un grande edificio a più piani, pieno di stanze e corridoi, sovraffollato, lontano dal centro abitato, isolato e invisibile agli occhi di chi non vuol vedere e invece blindato al passaggio di chi vuole entrare per aiutare, per capire, per conoscere, per denunciare il fatto che l’applicazione di soluzioni straordinarie è un modo più facile per fronteggiare l’emergenza, ma putroppo deleterio, inefficace e devastante per la personalità dei soggetti rinchiusi.

Entrare nello SPRAR di Pachino è servito invece a capire che una buona accoglienza è possibile, non vuol dire che mancano le criticità, ma laddove si presentano si risolvono utilizzando mezzi e modi idonei. Ai giovani ospiti viene data la possibilità di vivere in una casa accogliente, di essere seguiti da uno staff specializzato. Tutti sono chiamati in causa per collaborare, anche nelle faccende domestiche. C’è chi va a scuola, chi ha ottenuto un tirocinio, e sono previste anche attività di svago. Lo SPRAR di Pachino lavora in rete con il territorio, promuove l’integrazione dei giovani ospiti attraverso attività laboratoriali nelle scuole e pratiche sportive. Sono stati organizzati tornei di calcetto, nonché centri estivi con i boy-scout. La struttura è aperta ai volontari e a chiunque voglia proporre un progetto in linea con i principi e gli obiettivi promossi dall’associazione, sono diverse le strategie messe in atto per facilitare la socializzazione e i momenti di aggregazione e per garantire un’integrazione reale e partecipata, che coinvolga i minori e la collettività. E naturalmente la collaborazione con Accoglirete e i suoi tutori è costante.

 Licenza media per giovani profughi del SPRAR di Mineo

Licenza media per giovani profughi dello SPRAR di Mineo (Ct)

Di fronte alle problematiche fin qui elencate aver avuto la possibilità di muoversi all’interno del circuito di AccogliRete ha aiutato a mettere in luce il modello di accoglienza che funziona.  Singole persone, volontariamente, si sono costituite in un’associazione che ha tanto da insegnare in materia di diritti, accoglienza e tutela dei minori. AccogliRete promuove il ruolo del tutore legale per minori stranieri, ma è anche molto di più. Sostiene un percorso di alfabetizzazione di base, garantisce un servizio di supporto psicologico, porta avanti progetti di finanziamento per tirocini formativi. Nel periodo di volontariato è stato possibile ricevere una formazione costante, sia teorica che pratica.

Tra le varie attività e i progetti elaborati e realizzati, vale la pena soffermarsi sulla figura dell’operatore legale che in équipe con il tutore e il mediatore culturale si occupa di un lavoro molto delicato: prepara il minore al colloquio con la commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, nel caso in cui esistano i requisiti per chiedere la protezione internazionale. È stato possibile prendere parte a quella che viene definita un’intervista, rivolta al minore, per conoscersi, creare in qualche modo un legame di fiducia e ricostruire la sua storia di vita, quali sono i motivi che lo hanno poi portato a decidere di intraprendere il viaggio e indagare su quale sia il suo progetto migratorio. L’obiettivo sarà quello di individuare elementi significativi nella storia raccontata tenendo a mente che: «i minori stranieri non accompagnati che temono di subire persecuzioni nel loro Paese, per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche, hanno diritto di presentare domanda di asilo». Nel caso in cui i requisiti non sussistono sarà possibile chiedere la protezione umanitaria, avendo ben chiaro in ogni caso che lo status di minorenne sancisce il diritto all’inespellibilità e al collocamento in un luogo sicuro.

Prendere parte a un’intervista di questo tipo, ha fatto emergere invevitabilmente alcune criticità che non è il caso di vagliare in questa sede. L’ostacolo principale, inevitabilmente, ricade sulla reticenza da parte del minore a fidarsi delle persone presenti durante l’intervista, per raccontare quello che realmente è avvenuto nella sua vita, e quello che ha vissuto lungo tutto l’ iter che dalla sua terra di origine lo ha portato in Italia. Prima di iniziare il colloquio,  viene rassicurato, si afferma più volte che i suoi interlocutori sono lì per aiutarlo, e si indugia nel presentare il tutore sottolineando che è colui che si impegnerà a seguirlo per ottenere i documenti.

Dopo ogni intervista, appare chiaro, in molti casi, come le storie che raccontano si ripetono sempre uguali, quasi a seguire un formato prestampato, sono preparati a tutto questo, eppure basta trovarsi di fronte a loro per capire che hanno paura, hanno bisogno di tempo, non si fidano, ma allo stesso tempo hanno fretta di andare avanti e di continuare nel loro cammino. Allora qualcuno forse intuisce che si trova nel posto giusto, e un po’ si può fidare e comincia a raccontare la sua storia, il viaggio nel deserto, l’arrivo in Libia, ma le informazioni sono spesso confuse, la percezione del tempo è alterata, ci sono dei buchi neri sui quali è difficile fare luce, e quasi nessuno parla mai dei trafficanti. Ma è sulla base di queste storie che ci si prepara alla Commissione, e il compito dell’operatore legale e del tutore sarà quello di capire quale sia il modo migliore per muoversi al fine di ottenere la protezione.

 Siracusa, ragazzi italiani e stranieri insieme in una partita di calcio (ph. Messina)

Siracusa, ragazzi italiani e stranieri insieme in una partita di calcio (ph. Messina)

Come osservatore esterno è stato possibile concentrarsi sui dettagli che attraverso il mezzo  dell’intervista e per il fine a cui è destinata, per forza di cose vengono tralasciati. In superficie, tutte le storie generalmente seguono lo stesso principio: si parte da un evento scatenante, da quel momento, una volta presa la decisione di partire, inizia l’iter del viaggio che prevede periodi di sosta in alcuni Paesi di passaggio per lavorare e raccogliere i soldi necessari a proseguire verso la Libia. Il periodo in Libia, di solito, raccontato in modo frammentario, richiama o allude spesso a storie di violenza, di prigionia, sfruttamento, fino a quando si finisce nelle mani dei trafficanti e quindi in mare con la speranza di arrivare vivi a destinazione. A partire dal proprio Paese di origine il viaggio può durare mesi, anche anni. Quando ci si trova di fronte a un MSNA di 15 anni, è difficile pensare che da solo abbia affrontato un viaggio così lungo quando di anni magari ne aveva anche meno, dopo aver perso i genitori, o aver vissuto la guerra, aver provato i morsi della fame e la povertà.

Indagare sulle storie di vita di ciascun migrante può aprire gli occhi su tanti piccoli mondi locali densi di significati, la cui analisi potrebbe contribuire a far chiarezza, a conoscere i motivi profondi e stratificati che portano una persona a rischiare di perdere la vita per guadagnarne una più umana e possibile. Ci si mette in cammino portando con sè un pò di soldi, se si è fortunati un cellulare e poi un pesante fardello pieno di violenza, paura e sopraffazione che segna il corpo di questi piccoli migranti costretti a crescere troppo in fretta, destinati a portare lo stigma del clandestino dopo aver superate le dure prove del deserto e del mare.

AccogliRete ha dato la possibilità a noi volontari di ricevere tante informazioni su cosa vuol dire l’accoglienza in Sicilia, di conoscerne le strutture, di sviluppare un pensiero critico sul funzionamento di un sistema che è al collasso e che per tanti motivi non è efficace. Ma, soprattutto, ci ha offerto la possibilità di conoscere alcuni minori, di stringere dei legami per vivere a pieno gli effetti di una buona integrazione. Abbiamo cominciato a incontrarci la mattina per le lezioni di lingua italiana, o per scrivere insieme il curriculum vitae. Questi sono stati i mezzi che abbiamo avuto per facilitare la comunicazione, per conoscerci, ridere e giocare insieme. Quelle mattine in cui non riuscivamo ad esserci ci chiamavano per informarci che i ragazzi erano arrivati ed erano lì ad aspettarci, sempre più entusiasti e motivati. Siamo anche usciti fuori, nelle strade, tra la gente e, un pomeriggio, in una piazza assolata di un quartiere popolare di Siracusa, abbiamo cominciato a giocare. La piazza, deserta, in pochi minuti si è riempita, i bambini si sono uniti al gruppo, uno di loro ha messo a disposizione il suo pallone di calcio, e abbiamo improvvisato una partita. I passanti si fermavano a guardare incuriositi. Nel gioco condiviso e agonisticamente intrapreso attorno ad un pallone i confini si sono dissolti, le differenze stemperate, le paure cancellate. I  minori migranti e i bambini siracusani hanno dimostrato che si può stare insieme e uscire dalla marginalità. Attuare politiche di risanamento dei quartieri poveri della Sicilia – dove i minori migranti spesso vanno a finire – attraverso la partecipazione attiva della collettività potrebbe essere il primo passo verso una buona e feconda integrazione.

Dialoghi Mediterranei, n.23, gennaio 2017
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Luisa Messina, laureata in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo e in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, fa parte di alcune associazioni di volontariato che si occupano di emarginati e immigrati. È impegnata a studiare e analizzare i processi di violenza strutturale presenti nella società attraverso un approccio antropologico.

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