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Luce e ombra: una lettura interculturale
Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2015 @ 00:14 In Cultura,Società | No Comments
di Francesca Morando
Questo contributo è il frutto di alcune elaborazioni, ispirate dalla frequenza della XX Scuola Estiva di Astronomia della Società Astronomica Italiana e del MIUR, tenutasi a Stilo (RC), la quale, a seguito della proclamazione del 2015 come Anno Internazionale della Luce (IYL), da parte dell’UNESCO, ha sviluppato, come filo conduttore, il percorso educativo dal titolo “A cavallo di un raggio di luce tra scienza, letteratura, arte”, per auspicati fini didattici.
L’articolo si propone quindi come spunto per qualche suggerimento trasversale, di cui servirsi per esempio in classe, sui numerosi temi a cui la luce e la sua negazione, ovvero l’ombra, si prestano ad essere utilizzate, in particolare in ambito pedagogico e in chiave interdisciplinare e interculturale, invitando anche a ulteriori ricerche più approfondite.
Fra le più antiche attestazioni del fenomeno luminoso si riscontrano quelle nei testi sacri e giusto per citare qualche esempio, si riportano solamente tre brevi frammenti di diversi testi di tre tradizioni filosofico-religiose: la buddhista – il cui scopo ultimo è quello di raggiungere significativamente l’Illuminazione (della mente) – dalla quale proviene il brano scelto del Sutra della Luce Dorata (capitolo III):
la giudaico-cristiana, attraverso la Genesi della Bibbia:
e quella islamica, con la sūra XXIV, del Corano, chiamata appunto “al-Nūr” (la Luce)»:
La luce, condizione solare e quotidiana, fondamentale per i cicli vitali di tutti i viventi, ha influenzato vigorosamente, oltre ai ritmi biologici, anche le varie produzioni umane, come le scienze e le arti, comprese anche le lingue e di riflesso le varie letterature. Anche l’italiano, come gli altri idiomi, presenta delle locuzioni sulle immagini, fortemente poetiche ed espressive riguardo alla luce e all’ombra (e alle loro sfere semantiche), sia in senso stretto che in senso figurato. Qua di seguito se ne riporta una minuscola parte in senso allegorico, a titolo esemplificativo. “Dare alla luce”; “venire alla luce”; “vedere la luce”; “mettere in luce”; “fare (o gettare) luce su qualcosa”; “alla luce dei fatti”; “mettere in buona (o in cattiva) luce”; “fare qualcosa alla luce del sole”; nonché l’epoca storica, nota come “l’età dei Lumi o Illuminismo”; “senza ombra di dubbio”; “mettere in ombra”; “l’ombra di Banco” [1]; “dar noia all’ombra”; “essere l’ombra di se stesso”; “seguire qualcuno come un’ombra”; “diventare l’ombra di qualcuno”; “avere paura della propria ombra”; “vivere all’ombra del campanile” [2] e infine i verbi danteschi come “adombrare”; “sgombrare”; “disgombrare” (Sisto, 2002).
Da quanto detto si deduce che il campo terminologico della “luminosità” risulta essere sostanzialmente positivo, mentre quello dell’ombra, in certi casi, può anche cessare di ricoprire una valenza tendenzialmente negativa. Un risvolto “costruttivo” dell’ombra si può infatti riscontrare nell’antica arte del Teatro delle ombre (Patrimonio culturale immateriale dell’umanità dal 2009, nella versione turca), ovvero nella riproduzione di sagome di figure con bastoncini, proiettate su un telo bianco semi-trasparente nonché le ombre cinesi, ricavate dalle sagome scure delle mani sul muro, riproducenti animali; nella necessità dell’architettura islamica di creare volumi che, ombreggiando, continuano a riparare dal caldo torrido, come i numerosissimi esempi di ṣaḥn (cortile interno della moschea o della madrasa) e nella lunga rappresentazione iconica e pittorica, che ha impiegato l’utilizzo della luce con vari scopi e tecniche: per esempio nei mosaici bizantini l’impiego di tessere dorate serviva a evocare la presenza divina; nei quadri di Caravaggio le figure risultano platealmente delineate dal drammatico contrasto luce e ombra, perché caricate di significati psicologici e allegorici, e infine nelle pitture degli impressionisti, che esaltano proprio la resa cromatica della luce del giorno all’aria aperta.
Una diversa accezione semantica della parola “ombra” si riscontra presso i greci, i latini e nell’antico Egitto dove i defunti venivano indicati appunto come “ombre”, mentre Dante stesso porta sgomento tra le anime dell’Antipurgatorio, per via del fatto che egli risulta l’unico dei presenti a interporsi alla luce del sole, proiettando a terra la propria sagoma scura. Tale arcaica credenza, immortalata nella Divina Commedia, trova riscontro presso diverse tradizioni culturali, dove gli esseri non (più) terreni come i trapassati o le creature demoniache sono ritenuti privati di ombra. Tra queste ultime, la letteratura e il cinema, tratti dal folklore rumeno, dei Balcani e dell’Europa dell’est, hanno reso celeberrima, al di sopra delle altre creature leggendarie, la figura vampiresca del conte Dracula, il quale, agendo esclusivamente di notte, rifuggirebbe la luce del sole, come mortale. In altre mitologie i vampiri invece non proietterebbero la propria ombra. In ambito (pre-)islamico esiste parimenti una creatura demoniaca (vampiresca), assimilata ai ǧinn, chiamata ġūl, la quale, a sua volta, ha dato il proprio nome arabo alla stella Algol (β Persei), definita per antonomasia la “stella del diavolo” perché di luminosità cangiante (classificata in termini astronomici come stella variabile).
Gli antichi, senza l’ausilio dei telescopi, non potevano sapere che l’abbassamento e l’innalzamento della luminosità di questo sistema stellare ternario dipendeva dal fatto che una delle stelle compagne eclissa parzialmente la luce della stella più luminosa, quasi ogni tre giorni completi [3], per un periodo di dieci ore. Pertanto, relativamente all’astronomia culturale, nella tradizione greca, Perseo, incastonato fra le stelle, tiene nella mano, per la capigliatura, la testa mozzata del mostro Medusa, mentre nella leggenda islamica l’eroe [4] afferra per i capelli il capo reciso del diavolo barbuto, ovvero al-ġūl (Algol). Inoltre nella tradizione ebraica la stella è nota con il nome di Rōsh ha Sāṭān (testa di Satana), nonché Lilith (nome della mitica prima moglie demoniaca di Adamo, secondo la versione ebraica, elaborata durante la cattività babilonese).
In generale, quindi, questa stella veniva considerata, dai popoli che la osservarono a occhio nudo, nefasta e portatrice di sventure, specialmente nel momento di minore emanazione luminosa, al contrario del pianeta Venere, assiduamente studiato e venerato in quanto terzo astro più brillante nel cielo dopo il sole e la luna. Fra l’altro, in arabo, il nome del pianeta risulta kawkab al-zuhara e forse non a caso, dal momento che la radice rimanda al candore [5] e alla brillantezza (essendo “fosforo” [6] o “lucifero”[7] ). Lucifero, però, evoca probabilmente in maniera più immediata il nome dell’angelo più bello, che per sua volontà si sarebbe ribellato a Dio e da questo scaraventato con gli altri insorti negli Inferi.
Dal momento che i Maya elaborarono dei riti sullo “agguantamento” del sole è intuibile che, segnatamente ma non esclusivamente per costoro:
A questo punto sarebbe anche lecito capire meglio di cosa si parla quando si intende per “luce”, dal momento che il quesito è stato affrontato da grandi pensatori nel corso dei millenni. Senza la pretesa di spiegare in termini fisici un argomento tanto complesso, si può riassumere dicendo che l’emanazione luminosa (ovvero la radiazione elettromagnetica), rientrando nel campo della controintuitiva meccanica quantistica, possiede duplice natura, particellare e ondulatoria.
Lo scienziato che riformulò i postulati sui principi dell’ottica, demolendo secoli di teorie consolidate, fu il geniale ed eclettico medico, astronomo, fisico e matematico Ibn Ḥaytam (conosciuto anche con il nome latinizzato di Alhazen), che nel 1015 scrisse il suo Kitāb al-Manāẓir (Libro di Ottica), sperimentando per primo la camera oscura. Non sembra azzardato paragonare tale personaggio a Galileo Galilei per le scoperte e la sensibilità scientifica, dal momento che l’Unesco ha voluto celebrare entrambi gli scienziati, dichiarando il 2009 “International Year of Astronomy” (alla ricorrenza dei quattro secoli dalle prime osservazioni al cannocchiale di Galileo) e il 2015 “International Year of Light (and light-based Technologies)” nell’anno del compimento del millennio dalla scrittura del trattato dello scienziato di origini irachene, relativo all’ottica. Inoltre nei paesi arabo-islamici Ibn Ḥaytam è considerato talmente importante che esiste un sito [9] dedicato a lui e alle sue innovazioni. Oggi il suo nome è legato anche a un cratere lunare e a un asteroide, entrambi chiamati Alhazen.
Avendo accennato alle tematiche astronomiche, questo breve contributo non può esimersi dal delineare concisamente i principali fenomeni relativi alla luce cosmica. Anche in questo caso non si tratterà diffusamente di tale argomento ma verranno almeno schematizzati e semplificati alcuni fenomeni celesti, rappresentativi della luce e della sua negazione nell’Universo. Il più importante avvenimento energetico nel nostro Universo è stato il Big Bang, ovvero la nascita dello spazio-tempo, nonché della materia e posteriormente anche della luce, che si è diversificata dal “mare” di plasma particellare tra i 300 mila e i 400 mila anni successivi. Poiché l’Universo è un ambiente estremamente dinamico, la nascita, l’evoluzione metamorfica e la morte di diversi oggetti come le stelle e le galassie avvengono in continuazione, sebbene in tempi cosmici; tali avvenimenti generano tuttavia imponenti fenomeni radioattivi e luminescenti come per esempio i quasar e i lampi gamma, rilevabili attraverso distanze “astronomiche”, misurate in anni luce [10] e parsec [11]. La luce, però, quando oltrepassa l’orizzonte degli eventi dei buchi neri (limite oltre al quale non è più osservabile alcun fenomeno), seguendo la curvatura dello spazio-tempo, non riesce più a sfuggire dal buco nero, poiché la velocità di fuga al di sotto dell’orizzonte degli eventi supera la velocità della luce stessa. Questa, non essendo un corpo materiale ordinario, intrappolata in un buco nero, subisce particolari processi come l’effetto Doppler. Gli altri oggetti cosmici, invece, vengono irrimediabilmente risucchiati, spaghettificati e dunque fagocitati da queste voragini pantagrueliche.
Questi eventi astronomici di proporzioni immani non sono visibili ad occhio nudo, mentre sulla Terra sono ben note altre manifestazioni di condizioni particolari di luce, come per esempio le aurore boreali e le eclissi, che al contrario delle spaventose angosce che queste ultime suscitarono in passato, sono di fatto “innocue”, nonostante gli avvenimenti che gli esseri umani attribuirono a tali fenomeni cosmici, nel corso della storia, come per esempio la presa turca di Costantinopoli del 1453, quando i cristiani interpretarono l’eclisse come il segno dell’abbandono di Dio e di conseguenza della vittoria dell’Islam. La cosa più sorprendente è che tutta quella che riteniamo energia luminosa (e termica) colossale presente nell’Universo, in realtà, secondo la NASA, rappresenta una piccolissima percentuale dell’emissione elettromagnetica presente nel Cosmo (<5%), dal momento che quello che riteniamo vuoto, silente e buio è pervaso dalla cosiddetta “energia oscura” (68%), così come le varie forme di materia risultano anch’esse una ridotta parte dello Spazio, rispetto alla “materia oscura” (27%). Pertanto energia e materia oscure rappresentano entrambe la stragrande maggioranza quantitativa dell’Universo. Sulla Terra, nei luoghi densamente popolati, ogni notte viene prodotta una grande quantità di inquinamento luminoso artificiale, che ci priva del godimento dell’incanto del cielo stellato, di cui i nonni hanno ancora memoria (prima dell’introduzione dell’energia elettrica nei centri abitati). Di conseguenza, in tutela specialmente della ricerca scientifica, degli esseri viventi e delle future generazioni l’Unesco ha firmato la raccomandazione intitolata Starlight Declaration in Defence of the Night Sky and the Right to Starlight (2007) che auspica nel rispetto dei Diritti Umani:
In conclusione a questa breve rassegna sui risvolti scientifici e culturali insiti nella dualità luce e ombra [12], si riportano le poche righe seguenti, perché possano ispirare la cooperazione umana e il dialogo, dal momento che tutti gli uomini, credenti o meno, condividono la stessa condizione, sotto lo stesso cielo:
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