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Lo sguardo antropologico per capire il nostro tempo

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2017 @ 00:43 In Letture,Società | No Comments

COPERTINAdi Tommaso India

Vivere in una società complessa, frenetica, individualizzata e frammentata è molto difficile. Ci si lascia prendere dal momento, ci si lascia trascinare dalla precarietà pervasiva e spesso dimentichiamo dove siamo, qual è il contesto generale in cui ci muoviamo. È come se, trovandoci davanti ad un quadro, ci concentrassimo solo sulla singola pennellata dell’artista perdendo il senso della tela. Una delle grandi potenze delle scienze sociali, spesso sottovalutate o peggio ignorate, è quella di riuscire a dare una lettura dei fenomeni contemporanei e complessi tentando di ricomporre la frammentarietà della società in cui viviamo, di riunire i mille pezzi dello specchio frantumato. Per ritornare alla metafora del quadro, le scienze sociali hanno la capacità di farci fare qualche passo indietro, ci fanno prendere le distanze dal quadro e, a volte, ce ne fanno cogliere il senso generale.

A guardar bene, l’antropologia oggi offre una preziosa scatola di attrezzi per leggere i segni della nostra contemporaneità, per comprendere le sfide imposte dalla postmodernità. Gli oggetti di studio e lo stesso lessico della disciplina sono entrati nel dibattito collettivo, ma occorre che siano governati da un uso corretto delle categorie interpretative. Ecco perché nell’età della globalizzazione, in un mondo in profonda trasformazione nella stessa articolazione dello spazio e del tempo e nella implosione delle differenze culturali, lo sguardo antropologico può contribuire a decostruire narrazioni strumentali, retoriche del discorso pubblico, stereotipi intorno alla immagine dell’alterità. Ma può anche aiutarci a capire i nuovi profili identitari, i disagi esistenziali che si configurano nelle società liquide e nel trionfo su amplissima e diversissima scala della precarietà.

Leggendo il saggio di Amalia Signorelli, La vita al tempo della crisi (Einaudi 2016),  si ha la netta sensazione che, grazie ad una lettura impietosa della situazione socio-politica italiana, effettuata attraverso gli strumenti analitici dell’antropologia, si ricostituisca e si dia senso almeno ad una parte delle questioni che hanno caratterizzato l’Italia degli anni dell’ultima crisi economica.

Tesi centrale del piccolo volume dell’antropologa è che, nonostante il termine crisi sia al centro di molti discorsi pubblici a cominciare almeno dal 2007, la gente comune, che spesso ignora le cause del fenomeno economico, ne sente sulla propria pelle gli effetti devastanti, attraverso la netta percezione di uno stravolgimento di abitudini, di un cambiamento radicale degli stili di vita e di una compressione degli orizzonti spaziali e temporali dove potere crescere, formarsi e, in definitiva, trovare un proprio assetto identitario.

Il saggio di Signorelli si divide in due parti. Nella prima parte, composta da tre capitoli, l’autrice mostra innanzitutto come la crisi, arrivata alla ribalta dell’opinione pubblica fra il 2007 e il 2008, sia stata narrata al pubblico sottolineandone il carattere quasi esclusivamente economico-finanziario. In realtà, il fenomeno, come bene mostra la studiosa, possiede radici profonde nella nostra società, tanto da definirsi come una crisi culturale che si caratterizza principalmente nell’incapacità di trovare una via di ridefinizione valoriale al di fuori dell’incerto e cangiante universo capitalista. Una crisi totale, per utilizzare un termine di maussiana memoria, che mette in discussione l’esistenza degli uomini sia al livello individuale sia sociale. Come scrive l’autrice:

«Viviamo dunque all’interno di un orizzonte culturale assai nebuloso, dove si fanno sempre più labili  i riferimenti che dovrebbero consentirci di stabilire un ordine, un sistema dei ruoli, una gerarchia dei valori. L’insicurezza relativa riguardo al lavoro e al reddito si somma così a una più profonda e assai meno esplicitata insicurezza su come è fatto il mondo e su qual è il posto di ciascuno in esso ».

Questa visione della crisi come fatto sociale permette all’antropologa di potere analizzare il fenomeno con tre strumenti interpretativi tipici dell’antropologia, tre paradigmi epistemologici e metodologici che hanno fortemente influenzato la storia degli studi: la crisi della presenza, la domesticità utilizzabile (entrambi i concetti sono stati elaborati ed applicati per la prima volta da Ernesto de Martino) e le tecniche del corpo (un concetto elaborato da Marcel Mauss).

1.La presenza o dasein, come è noto, è un concetto fondamentale all’interno della filosofia di Martin Heidegger. Esso indica l’esserci, cioè la coscienza di sé, del mondo e di sé nel mondo che contraddistingue gli esseri umani. Grazie a questa coscienza gli uomini conoscono il mondo e agiscono in esso sia al livello individuale che sociale. Tale presenza tuttavia non è acquisita una volta per tutte, ma può essere soggetto a periodi più o meno lunghi in cui essa è minacciata da forze incontrollabili. La tesi fondamentale di Ernesto de Martino è che, per fare fronte alle crisi della presenza che mettono a rischio l’esistenza della società, al livello del reale come al livello del simbolico, gli uomini hanno elaborato dei rituali e delle pratiche volti al controllo di tali forze. Amalia Signorelli, attraverso la sua lettura della crisi odierna, ci mostra come tale crisi della presenza si ritrovi anche nella nostra società complessa e iper-stratificata e come, per essere esorcizzata, anche noi facciamo ricorso a rituali quotidiani.

Un altro caposaldo della lettura di Signorelli è rappresentato dal concetto di domesticità. Esso è il principio fondante l’umanità per de Martino e si configura come la capacità degli uomini di trascendere «ciò che appare come dato» trasformandolo in un universo di cose, nomi e valori condivisi e comuni. Il primo valore che emerge nell’universo della domesticità è quello dell’utilizzabile. È questo valore, infatti, che ci permette di trasformare il mondo. L’utilizzabilità di un bene, di un valore, di un concetto è la caratteristica principale che consente di incorporare quel particolare valore all’interno del nostro sistema culturale.

Strettamente legato al concetto di domesticità utilizzabile è la nozione di tecniche del corpo. Scrive a questo proposito l’autrice:

 «Mauss definisce una tecnica del corpo un “atto tradizionale efficace”: atto, si badi, non prescrizione, istruzione o conoscenza. La tecnica del corpo è  in quanto è in atto: la si può vedere, riconoscerla o e ne resta sorpresi o spaventati, solo quando è in atto. È tradizionale perché è cultura collettivamente prodotta e tramandata e individualmente appresa, incorporata è arricchita. E infine è efficace: una tecnica del corpo non adeguata per produrre i risultati attesi, non serve letteralmente a  niente e dunque viene dimenticata».

Ogni nostro comportamento, valore e pensiero è appreso ed espresso attraverso posture, movimenti e gesti che ci sono stati trasmessi dalla società in cui viviamo e che abbiamo elaborato e affinato attraverso l’esperienza.

Nel terzo capitolo di questa prima parte, infine, Signorelli illustra le premesse della sua riflessione indicando le peculiarità della società italiana attuale e connettendola con i grandi temi che poi verranno sviluppati dall’autrice nella seconda parte del volume. La prima peculiarità della situazione socio-culturale italiana al tempo della crisi è rappresentata dal fatto che, sebbene l’Italia sia un Paese che si è progressivamente trasformato passando da una società della penuria economica ad una società dell’abbondanza fino ad arrivare ad una società dello spreco, ciò ha inciso profondamente sull’assetto delle famiglie italiane. Sebbene queste si siano trovate in condizioni economiche indubbiamente migliori rispetto al passato, hanno cominciato a fare sempre meno figli dando vita ad una vera e propria crisi della natalità sempre più evidente nel periodo dell’attuale crisi.

Altro fattore peculiare della situazione attuale è la laicità della società italiana sempre più secolarizzata. Ciò si concretizza, al di là di un discorso meramente religioso, nella fine dell’ultima grande narrazione che poteva dare senso e trovare un orizzonte di spiegazione delle crisi attuali. Il venir meno dell’apparato simbolico afferente alla sfera magico-religiosa, in altre parole, ha lasciato lo spazio per una comprensione e rimodulazione delle crisi sociali e individuali a spiegazioni assolutamente eterogenee, estemporanee e composte dai sincretismi individuali più disparati.

UnknownLa terza peculiarità, infine, è rappresentata dall’insorgere stesso della crisi del 2007-2008, che, secondo l’autrice, è il biennio in cui gli effetti delle trasformazioni politiche ed economico-finanziarie sono diventate note a tutti. È una crisi, quella di cui siamo i testimoni e le vittime, maturata in un lungo arco di tempo che comincia con la fine dell’Unione Sovietica e dell’ideologia comunista, la caduta del muro di Berlino, l’apertura dei mercati mondiali, la finanziarizzazione dell’economia, le trasformazioni degli apparati comunicativi e la precarizzazione del lavoro.

Se si osservano da vicino queste tre peculiarità individuate da Signorelli, non si può fare a meno di notare che un unico filo rosso connette la crisi della natalità, la scomparsa dell’orizzonte magico-religioso e delle ideologie politiche intese come narrazioni pubbliche che danno senso al mondo: la mancanza evidente di un progetto. La nostra incapacità di pensare un futuro che sia progettato, preparato, costruito. L’unica vera peculiarità del nostro tempo, il tratto distintivo della società italiana attuale è «l’impossibilità strutturale di pensare, decidere e agire».

La seconda parte del volume affronta questa incapacità di progettare il futuro attraverso l’analisi delle trasformazioni dei tre pilastri che compongono le società occidentali: la famiglia, il lavoro e la politica. La crisi della natalità è un tema caro alla Signorelli, che lo inserisce all’interno delle trasformazioni dell’intero assetto familiare italiano negli ultimi quaranta o cinquanta anni. Una trasformazione che ha conosciuto il passaggio da un’Italia con una famiglia media di tipo patriarcale e numerosa ad un Paese con una famiglia mononucleare composta da una coppia, quando va bene, con uno o due figli. Questa trasformazione si è avuta anche con un apporto fondamentale dei movimenti femministi che hanno lottato per affrancare le donne da una sostanziale “schiavitù” alla maternità. Le lotte di questi movimenti, però, sono state svuotate lentamente della loro componente politica e civile dal momento che la dimensione di affrancamento e di affermazione dei diritti si è fatta sempre più rarefatta a causa delle condizioni economiche dei nostri tempi.

Il secondo aspetto su cui la crisi ha avuto un impatto violento attiene all’ambito del lavoro. Gli altissimi tassi di disoccupazione in generale e della disoccupazione giovanile in particolare, soprattutto quella nel Meridione italiano, dimostrano chiaramente come la flessibilizzazione del lavoro e la sua sostanziale precarizzazione siano il frutto di politiche economiche attente soltanto al benessere delle aziende e della classe egemonica. Il processo apparentemente inarrestabile della finanziarizzazione dell’economia e la diffusione di una logica imprenditoriale del lavoro, anche nei casi in cui la professione è svolta alle sostanziali dipendenze di qualcuno, hanno reso le nostre vite estremamente più incerte, precarie e con un orizzonte di progettualità sempre più angusto e limitato nel tempo.

3.Il terzo e ultimo aspetto su cui la crisi ha prodotto effetti devastanti è il rapporto con le istituzioni e la partecipazione politica. Anche in questo caso sono emersi problemi e vizi presenti nel nostro sistema politico da lunga data. La clientelizzazionee la conseguente corruzione del sistema politico sono solo due delle principali cause che hanno portato a un disinteresse da parte della maggior parte delle persone nei confronti del sistema politico-amministrativo italiano. La conseguenza di questo disinteresse è l’insorgere di movimenti politici populisti incapaci di avere un reale progetto per il futuro di questo nostro Paese.

L’analisi di Signorelli non è il frutto di una ricerca organica e sistematica e, come dichiara la stessa autrice fin dall’inizio del volume, non ha la pretesa di configurarsi come tale. Il libro è invece una base per una riflessione ampia, lacerante ma necessaria.  Leggendo il volume La vita al tempo della crisi, io che appartengo alla generazione precaria; che pur avendo ottenuto una preparazione di gran lunga superiore a quella dei miei genitori mi sento fortunato se percepisco uno stipendio da operaio con un contratto a tempo indeterminato inquadrato all’interno del jobs act; che non riesco a immaginare il mio futuro da qui a qualche anno né a costruire alcunchè di stabile e di lunga durata, confesso di provare una strana sensazione. È come se mi fosse arrivato un pugno dritto allo stomaco. L’asciuttezza della scrittura di Signorelli, la sua lucidità analitica, la sottile e lacerante argomentazione delle sue riflessioni arrivano nella profondità di ciò che sono: il figlio di una lunga crisi sociale; di una decadenza politica, civile e culturale incorporata dentro di me e che soltanto con una spietata analisi come quella di Signorelli posso individuare e tentare di combattere.

Dialoghi Mediterranei, n.23, gennaio 2017

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Tommaso India, attualmente si occupa di antropologia del lavoro con un particolare riferimento ai processi di deindustrializzazione e precarizzazione in corso in Sicilia. Si è laureato nel 2010 in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Palermo con una tesi intitolata Aids, rito e cultura fra i Wahehe della Tanzania, frutto di una ricerca etnografica condotta nelle regione di Iringa (Tanzania centro meridionale). Nel 2015 ha conseguito il dottorato in Antropologia e Studi Storico-linguistici presso l’Università di Messina.

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