- Dialoghi Mediterranei - http://www.istitutoeuroarabo.it/DM -
L’immigrazione nella politica della Prima Repubblica
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2022 @ 01:23 In Migrazioni,Politica | No Comments
Nella ricorrenza del decimo anniversario della nuova serie di “Affari Sociali Internazionali” [1], il Centro studi e ricerche Idos ha pubblicato sulla rivista una originale storia de L’immigrazione straniera in Italia nella Prima Repubblica (anno IX, 2021). A curare lo studio è stato il presidente onorario di Idos Franco Pittau che da sempre si occupa anche dell’altro versante del fenomeno della mobilità, avendo scritto verso la metà degli anni ’80 una storia dell’emigrazione italiana [2].
Questa volta sono stati ripresi e sviluppati diversi articoli scritti in precedenza (anche su questa rivista) sul periodo intercorso tra l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e il 1993. Il saggio è dedicato da Franco Pittau a sua moglie Lidia, recentemente scomparsa e nota operatrice del settore, per cui si può parlare di una “famiglia militante”, come si usava dire una volta.
Questo lungo periodo del secondo dopoguerra è ripartito in decenni. Per ciascuno di essi sono o individuati e analizzati i principali contenuti secondo una particolare sensibilità, che l’Autore definisce del “ricercatore-operatore”, sulla quale ritornerò. Il volume si apre con l’introduzione di Pittau, in parte autobiografica e in larga misura dedicata alla metodologia da lui seguita, come puntualizzato con questa frase: «Alcuni temi, sui quali non sempre si indugia, in questo lavoro hanno trovato un maggiore risalto perché ritenuti strettamente collegati con la vita concreta del cittadini stranieri (specialmente se residenti da noi in maniera stabile e, quindi, da ritenere fondamentali per una convivenza armoniosa tra gli italiani e gli immigrati».
Nel primo paragrafo mi soffermo sulla peculiare metodologia seguita nella trattazione. Nel secondo paragrafo mi rifaccio alla citata introduzione per spiegare i criteri con cui Pittau ha individuato e trattato gli eventi di ciascuna fase. Nel successivo paragrafo, dedicato alla caratterizzazione della Prima Repubblica rispetto al fenomeno della mobilità, ho tenuto conto dell’intervento svolto da mons. Guerino di Tora alla presentazione del volume. Le riflessioni finali focalizzano l’apporto di questa ricerca, che si affianca a una bibliografia nutrita e anche di notevole valore, e offre agli studiosi e agli operatori del settore e a quanti sono interessati alla materia, una sintetica, ma nello stesso pregnante, visione d’insieme di quel periodo.
I contenuti della monografia
Questo lavoro riflette la lunga esperienza di ricerca di Franco Pittau, che ha iniziato a operare nel mondo migratorio dai primi anni ’70. Questa lunga familiarità con i problemi del settore gli ha consentito di entrare nel merito anche degli aspetti meno trattati, quali la presenza dei profughi nell’immediato dopoguerra, l’accoglienza dei rifugiati provenienti da diversi Paesi negli anni immediatamente successivi (dagli indiani espulsi dall’Uganda e dai “boat people” vietnamiti o cileni in fuga dal regime di Pinochet o agli argentini dal regime militare, anche agli indiani cacciati dall’Uganda), l’insediamento delle prime collettività di immigrati già a partire dalla fine degli anni ’60, le prime convenzioni di sicurezza sociale con i Paesi di origine degli immigrati e la prima intesa con le comunità religiose diverse dalla Chiesa cattolica (fu quella con la Chiesa Valdese). Anche nella citazione dei personaggi è evitato il riferimento esclusivo a noti uomini politici del periodo e sono citate anche persone di spicco nel mondo sociale perché ritenute parimenti importanti.
Lo scritto si apre con le precisazioni sulla normativa riguardante gli stranieri e sull’atteggiamento sociale nei loro riguardi durante il periodo liberale (quando prevalse la flessibilità) e nel periodo del fascismo (ispirato alla rigidità), che lascia a lungo uno strascico anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana. I successivi capitoli, come accennato, sono ripartiti per decenni, una accortezza che consente di sottolineare la successione cronologica del percorso.
Gli anni ’50 segnati da consistenti spostamenti di persone a causa del conflitto mondiale (vi erano in arrivo rifugiati e profughi e in partenza per l’estero di masse di italiani senza lavoro) si svolsero sotto il segno dell’apertura garantista introdotta, a favore del cittadino straniero, dall’articolo 10 della Costituzione Repubblicana. Quegli furono gli anni degli accordi bilaterali per la collocazione degli emigrati all’estero, in Europa o oltreoceano (l’accordo con il Belgio fu stipulato addirittura nel 1946). Furono anche gli anni dell’entrata in vigore della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, e della nascita di due importanti organismi sovrannazionali: il Consiglio d’Europa nel 1950 e la Comunità Economica Europea nel 1967.
A segnare gli anni ’60 fu la grande crescita economica, il cosiddetto “miracolo economico italiano”. Continuava, intanto, un forte esodo degli italiani all’estero, per cui la preoccupazione principale del governo era di assicurare loro un buon trattamento e avvalersi delle loro rimesse: ciò, lasciava comunque spazio a un’apertura ai rifugiati (non numerosi in Italia) e una minore attenzione riservava agli immigrati, peraltro pochi (135 mila al censimento del 1951 e circa 20mila in più a distanza di vent’anni).
Negli anni ’70 (e anche negli ultimi anni del decennio precedente) iniziò l’insediamento delle prime comunità immigrate, che provenivano dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina (ma non mancarono i profughi italiani dalla Libia dopo la rivoluzione del colonnello Gheddafi): Pittau offre al riguardo notizie molto particolareggiate e fornisce diversi riferimenti bibliografici per l’approfondimento (indicando spesso testi reperibili sul web). Anche in quel decennio rimase preminente la consistenza dell’emigrazione italiana e ad essa continuò ad essere dedicata in prevalenza l’attenzione, di cui fu segno l’organizzazione nel 1975 della sua prima Conferenza Nazionale. Il numero degli stranieri era ancora ridotto (come accennato, circa 150 mila all’inizio di questo decennio) ma ciò nonostante iniziarono a intravedersi i primi segni di insofferenza, per cui il Parlamento ritenne opportuno procedere nel 1975 alla ratifica della Convenzione di New York contro le discriminazioni razziali.
Negli anni ’80 si concluse il cammino che portò all’approvazione della prima legge sull’immigrazione (legge Foschi del 1986, dal parlamentare democristiano che la sottoscrisse con un collega socialista e uno comunista), dando così un seguito concreto all’indicazione della Corte Costituzionale contenuta in una sentenza del 1977, nella quale si ravvedeva la necessità di modificare la normativa del periodo fascista del 1931 e realizzare quanto previsto dall’articolo 10 della Costituzione. Il libro offre pagine molto documentate sia sui lavori parlamentari preparatori, sia sull’influsso esercitato dalla Convenzione OIL (Organizzazioni Internazionale del Lavoro) n. 173/1975, ratificata dall’Italia nel 1982. Fortunatamente i timori sociali suscitati dagli attentati compiuti il 27 dicembre 1985, in contemporanea agli aeroporti di Roma e di Vienna, non furono d’ostacolo all’approvazione della legge, così come non lo fu l’attentato dell’attivista di estrema destra Ali Agca a Papa Giovanni Paolo II, nonostante avesse suscitato un enorme clamore.
Quegli furono anche gli anni della prima Convenzione internazionale con un Paese di nuova immigrazione (Tunisia, 1983), del nuovo Concordato con la Chiesa Cattolica e della prima intesa con la una comunità non cattolica, segnatamente con la Chiesa Valdese (entrambe le realizzazioni collocate nel 1984) e di una realizzazione d’eccellenza nella strategia pubblica d’informazione di massa con il programma televisivo “Nonsolonero” su RAI 2. A prima vista potrebbe apparire eccessiva. L’inclusione di un programma televisivo tra i fattori che caratterizzarono quel periodo potrebbe a prima vista sembrare ingiustificato, ma si supera tale dubbio quando si considera che una corretta informazione è fondamentale per favorire una convivenza armoniosa con gli immigrati: tra l’altro, il citato programma di Massimo Ghirelli ebbe anche l’accortezza di valorizzare il protagonismo degli immigrati e due di essi, intervenendo nelle trasmissioni come speaker, diventarono dei volti noti al grande pubblico (la capoverdiana Maria de Lourdes e il tunisino Karim Hannachi). Un siffatto protagonismo era in linea con la strategia di promuovere tra gli immigrati delle élite nei vari ambiti ma purtroppo non fu sostenuto dalla continuità, il programma “Nonsolonero” ben presto cessò, a dispetto della sua consistente audience, e la presenza dell’immigrazione e degli immigrati nei media con un ruolo di protagonisti è andata sempre più riducendosi.
Gli anni ’80 furono quelli delle prime leggi e delle prime regolarizzazioni. La prima regolarizzazione fu approvata nel 1982 a livello amministrativo e senza il supporto di una norma di legge (quindi esposta a eventuali contestazioni di natura giuridica), coinvolse solo poche migliaia di persone. La seconda invece, disposta dalla legge 943/1986, dettò condizioni rigide e solo dopo essere stata prorogata a più riprese riuscì a far emergere 20 mila stranieri privi di autorizzazione al soggiorno e al lavoro.
I primi anni ’90, gli ultimi anni della Repubblica fondata su un sistema di voto proporzionale, furono quanto mai significativi con l’approvazione, a febbraio del 1990 dopo la sua proposizione sotto forma di decreto legge alla fine dell’anno precedente, della legge Martelli (n. 39/1990), che regolò per la prima volta gli aspetti relativi al soggiorno, superando la normativa del 1931, creò un apposito fondo a sostegno del settore e, tra le altre innovazioni, pose fine alle restrizioni che impedivano di accogliere i richiedenti asilo che non venivano dall’est Europa.
La posizione di Pittau non concorda del tutto con quanti asseriscono che sarebbe stato possibile fare di più, perché l’on. Martelli, in condizioni senz’altro difficili e ampiamente illustrate nel volume, riuscì a muoversi accortamente facendo approvare innovazioni importanti, qui riassunte a complemento del breve cenno prima fatto: l’abolizione della riserva geografica per l’accoglienza dei richiedenti asilo (forse, in una Europa divisa in blocchi, furono le considerazioni di natura politica a riservare l’accoglienza solo a rifugiati dell’Europa dell’est), la previsione di un primo dispositivo per la programmazione dei flussi, la nuova regolamentazione del soggiorno degli stranieri, l’istituzione di un fondo per la loro integrazione e l’abolizione della disposizioni del 1931. Nel corso della legislatura, durante la quale fu approvata la legge Foschi, il Ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro presentò un disegno di legge in tal senso ma la sua tardiva presentazione e forse anche la mancanza di quella coralità di consensi, riversatasi invece sulla proposta Foschi in materia di lavoro, ne impedì l’approvazione prima della scadenza di quella legislatura.
Va anche detto che l’approvazione della legge fu facilitata da una grande manifestazione antirazzista a Roma, nel 1989, suscitata dall’uccisione di un richiedente asilo sudafricano (Jerry Essan Masslo). Derubato dei suoi pochi risparmi e assassinato nelle campagne vicino a Napoli, era un segno che, nel passato, si sentiva il cambiamento di atteggiamento nei confronti degli immigrati, e la manifestazione antirazzista fu una reazione che attestava che la sensibilità alla base era tutt’altro che scomparsa.
Anche la legge n. 30/1990 dettò condizioni per una regolarizzazione dei cittadini stranieri e questa simbiosi (accorpamento di una nuova legge con una nuova regolarizzazione) sarebbe stata destinata a ripetersi anche nei successivi interventi legislativi (fino al 2020 si sono contate 9 regolarizzazioni, senza includere quella di natura amministrativa del 1982). Nelle intenzioni di Martelli e del governo la nuova normativa del 1990 (ma così si è pensato anche in seguito) avrebbe dovuto regolare in maniera efficace i flussi in entrata per evitare l’insorgere di sacche di irregolarità. La regolarizzazione del 1990 fece emergere 200 mila immigrati, che si aggiunsero al mezzo milione cittadini stranieri già regolarmente presenti. Pertanto, si può ritenere che l’Italia abbia iniziato a diventare un Paese di immigrazione di massa in quegli anni.
Gli ultimi anni della Prima Repubblica, nonostante il crescente deterioramento dei partiti per il ricorso alle tangenti, non furono avare di realizzazioni, anche quando erano evidenti i segni di crisi. Nel 1992 fu approvata la riforma (purtroppo in senso restrittivo per gli immigrati e ciò avrebbe potuto essere evitato) della normativa sulla cittadinanza. Con la riforma furono accolte richieste avanzate da molto tempo dagli italiani all’estero. La considerazione degli immigrati solo in senso penalizzante induce a parlare di un certo strabismo manifestato dal Parlamento in questa occasione, perché non si considerò che la legge del 1990 aveva iniziato a proporre come strutturale la presenza straniera. Purtroppo, da allora fino ad oggi, si è rivelato quanto mai difficile sopperire alle carenze della normativa sulla cittadinanza, specialmente per la mancata presa in considerazione dei figli degli immigrati nati o venuti da piccoli in Italia. Pittau, che ha iniziato la sua attività di ricercatore con lo studio dell’emigrazione italiana evita accuratamente di contrapporre gli uni agli altri e afferma, invece, che le esigenze delle due categorie devono essere prese ugualmente in considerazione [3].
Un’altra importante riforma fu la cosiddetta Legge Mancino, che completava con indubbia efficacia le disposizioni previste dalla Convenzione di New York ratificata nel 1975. Quindi la Prima Repubblica finì il suo corso perché, pur essendo riuscita a realizzare importanti riforme, in ambito migratorio così come in altri ambiti, non ebbe il coraggio di autoriformarsi, parlando con chiarezza alla cittadinanza e chiedendo che fossero destinate in maniera palese ai partiti politici le risorse necessarie per il loro funzionamento. Si continuò, invece, a ricorrere al sistema occulto delle tangenti, fino all’intervento della magistratura e al rifiuto popolare; si ritenne che questa deriva sarebbe stata definitivamente superata con l’adozione di un sistema elettorale maggioritario.
Per quanto riguarda il suo impatto sul fenomeno migratorio Pittau considera negativi gli esiti di questa modifica elettorale, perché, essendo state le forze politiche polarizzate in due blocchi (centrodestra e centrosinistra), è venuta meno la presa in carico dell’immigrazione come una questione nazionale (cioè di interesse generale) e la stessa è stata considerata di prevalente interesse del centrosinistra.
Il particolare punto di vista prescelto è frutto della simbiosi tra studio ed esperienza, un’ottica da Pittau definita del “ricercatore-operatore”. Pittau, dopo la laurea in filosofia, fu fortemente attratto dal mondo delle migrazioni e dal 1970, anno in cui si recò a lavorare tra gli italiani in Belgio (a Bruxelles), per poi trasferirsi in Germania (a Dusseldorf), ha totalizzato, fino ad oggi, un contatto con il fenomeno migratorio di oltre mezzo secolo: ciò fa di lui un testimone privilegiato della nascita e dello sviluppo dell’immigrazione straniera in Italia.
Questa lunga esperienza gli ha consentito di essere sensibile a una molteplicità di aspetti del fenomeno migratorio, completando così le suggestioni derivanti dalla bibliografia del settore. È Pittau stesso ad affermare di sentirsi spesso prettamente un testimone rispetto al periodo di cui parla, specialmente negli anni in cui è stato coordinatore della redazione del Dossier Statistico Immigrazione e della campagna di sensibilizzazione in tutta Italia.
A seguito della sua personale esperienza in altri Paesi di immigrazione, in quello che scrive si coglie anche una continua attenzione alla dimensione internazionale del fenomeno migratorio, che ha conferito un respiro ampio alle sue riflessioni. Inoltre, una grande attenzione è dedicata anche ai dati statistici, motivata dalla sua convinzione che gli stessi, se ben utilizzati, inducono a sfuggire dalle interpretazioni pregiudiziali. Secondo lui le statistiche non devono essere considerate un’alternativa al ragionamento, e tuttavia, utilizzati in maniera rigorosa, lo rinforzano e lo tengono lontano dalle conclusioni “superficiali”.
Per quanto riguarda il modo di esporre le sue riflessioni Pittau, pur senza allontanarsi dalla linea del rigore, predilige quella che meglio si adatta alla molteplicità di lettori ai quali si indirizza e, in particolare, ai lettori impegnati a livello operativo, ai responsabili delle associazioni, agli impiegati degli uffici preposti all’immigrazione. Perciò, per quanto possibile, è ricorso a uno stile semplice, ha evitato il linguaggio specialistico, la sovrabbondanza di note e digressioni erudite ma non essenziali.
Non è del tutto vero che riesce a scrivere con semplicità solo chi ha approfondito abbastanza l’argomento che tratta, perché la questione è alquanto più complessa. È vero, però, che non sempre chi scrive si propone di attenersi a quella semplicità che consente di andare oltre la ristretta cerchia degli specialisti del settore. Per i ricercatori del Centro studi Idos questa impostazione costituisce, per così dire, una pregiudiziale perché le loro ricerche nascono come sussidi da utilizzare nelle iniziative di sensibilizzazione e di formazione. Non è affatto ozioso adoperarsi affinché gli approfondimenti in materia d’immigrazione possano avere un uditorio sempre più ampio di lettori.
Questo saggio è un misto di storia, politica, statistica, normativa, sociologia e sensibilità culturale. A quest’ultimo riguardo segnalo il brano dedicato all’ambivalenza dello straniero analizzato nel classico excursus scritto dal sociologo Georg Simmel all’inizio del Novecento e le critiche alla “’unidimensionalità” nella società moderna mosse da Herbert Marcuse e fatte proprie dai movimenti studenteschi alla fine degli anni ’60. È molto interessante anche l’attenzione ai movimenti di base che si occupano degli immigrati. Diversi capitoli riferiscono delle esperienze condotte nell’area romana, dove le realizzazioni sono state molteplici (in ambito culturale, religioso, sanitario, sociale).
Pittau ricorda anche il fecondo dinamismo che animò la capitale in materia di dialogo religioso, come attestato dal volume Per conoscere l’islam. Cristiani e musulmani nel mondo di oggi (Piemme, 1990). Con questo studio, pubblicato alla vigilia della Prima Guerra del Golfo, il carismatico direttore della Caritas diocesana di Roma, mons. Luigi Di Liegro, volle sconfessare la tesi di chi vedeva nel conflitto uno scontro di civiltà e di religioni, un atteggiamento che avrebbe minato alle radici la convivenza con i musulmani presenti in Italia.
Particolarmente importanti sono i riferimenti al processo d’integrazione europea, avviato per porre fine alla storia militare dei Paesi europei, in precedenza sempre in lotta tra di loro, tramite la collaborazione sovranazionale, avviata con il Consiglio d’Europa (1950) e continuata con la Comunità Economica Europea (1957). Di queste istituzioni sovrannazionali viene evidenziato l’apporto per la promozione dei migranti, specialmente attraverso la “libera circolazione dei lavoratori”, prevista dal Trattato di Roma del 1957 e attuata con un Regolamento del 1968.
L’approccio della Prima Repubblica
Evidenziate le caratteristiche metodologiche, è utile considerare come la particolare atmosfera di quel periodo abbia esercitato una profonda influenza sull’Autore, che di esso faceva parte. L’impegno e le realizzazioni dei politici della Prima Repubblica e il sostegno loro accordato dall’opinione pubblica sono stati oggetto dell’intervento svolto il 31 maggio 2022 (al citato convegno organizzato a Roma presso l’Auditorium di via Rieti) da mons. Guerino Di Tora, che ha riproposto alcuni spunti tratti dalla ricerca. Questo prelato, succeduto nel 1997 a mons. Luigi Di Liegro, poi diventato vescovo ausiliare di Roma, fu il referente “politico-pastorale” di Pittau, allora responsabile dell’Ufficio studi della Caritas diocesana di Roma. Il supporto di mons. Di Tora fu determinante per potenziare la redazione del Dossier Statistico Immigrazione e il suo programma di sensibilizzazione territoriale in tutta Italia.
Quella fase, in cui si cercò di mantenere e consolidare un approccio corretto al fenomeno migratorio, merita, secondo mons. Di Tora, di essere ricordata per le seguenti ragioni. Proprio allora iniziarono a essere curate le proiezioni demografiche, non sempre al tempo avvertite come un segnale d’allarme, quasi fossero prive di fondatezza, mentre successivamente confermate dai docenti che obbligano a considerare più seriamente l’immigrazione come una futura componente strutturale dell’Italia, come già da tempo è avvenuto in atto nei Paesi del Centro e Nord Europa.
Gli anni della Prima Repubblica hanno costituito un periodo di un forte e generalizzato impegno sociale, nel volontariato, nell’associazionismo, nel sindacalismo e negli stessi partiti politici, allora quanto mai dinamici e vicini alla loro base, così come, in una certa misura, lo furono anche le strutture pubbliche. La Prima Repubblica può essere considerata l’espressione di una società più impegnata nel sociale, attraverso le sue strutture e le sue aggregazioni sociali, il che era ovviamente un riflesso dell’impegno dei singoli cittadini.
Anche la Chiesa cattolica in quel periodo visse una straordinaria fase d’impegno per quanto riguarda la comprensione dell’immigrazione e l’azione da svolgere a suo favore. Ne fu un esempio straordinario, come prima ricordato, mons. Di Liegro, un sacerdote in cui la sensibilità religiosa si fondeva totalmente con l’impegno sociale: non vi era questione di giustizia, di solidarietà, di convivenza civile e di apertura culturale che lo lasciasse indifferente e non lo portasse a richiamare l’attenzione dei giornalisti e, per loro tramite, della società civile e dei decisori pubblici: per suo conto, prima ancora che arrivassero le risposte pubbliche, iniziava a operare, chiamando a collaborare centinaia di volontari e collaborando lui stesso con tutti i movimenti sensibili alla solidarietà. Egli riusciva a svolgere questo compito di abnegazione civica ed ecclesiale con una naturalezza e un’efficacia incredibile, specialmente nel settore dell’immigrazione.
La Prima Repubblica, secondo mons. Di Tora, va ricordata come un periodo di sensibilizzazione sociale generalizzata. Si cercò di essere “uomini segno” per riuscire a conseguire risultati significativi in ambiti importanti come quelli della legalità, della solidarietà, del dialogo tra le religioni, dell’incontro tra le culture, e, naturalmente, dell’immigrazione. Aiuta a riassumere tutto questo la consegna data da papa Paolo VI ai fedeli, invitati a essere testimoni più che predicatori del messaggio cristiano, impegnandosi a unire le opere alle parole.
Vi è un altro aspetto molto importante, evidenziato da mons. Di Tora. Durante la Prima Repubblica, su rilevanti argomenti sociali, era possibile collaborare anche tra diversi schieramenti politici. Questo rapporto tra i partiti ha consentito l’approvazione a larghissima maggioranza delle prime due leggi sull’immigrazione, mentre oggi di questa strategia collaborativa si è purtroppo persa la traccia. Inoltre, nella Prima Repubblica era anche più radicato il senso di appartenenza dei cittadini all’allora Comunità Economica Europea, così come tra i politici erano più sentiti i riferimenti alle Organizzazioni internazionali. Rispetto ad allora è andata scemando la sensibilità al raggiungimento di un trattamento egualitario degli immigrati ed è diventato molto più difficile far valere la loro pari dignità con l’offerta delle pari opportunità, considerandoli nuovi cittadini, e non concorrenti, invasori e financo potenziali nemici.
Alla citata presentazione del volume, avvenuta il 31 maggio 2022, anche l’attuale presidente del Centro studi e ricerche Idos, Luca Di Sciullo, ha sottolineato che negli anni ‘90 c’è stata una certa continuità con la linea iniziata nella Prima Repubblica. Poi, lamenta Di Sciullo, sono stati continui gli interventi per ridimensionare le garanzie raggiunte. La normativa sull’immigrazione, diventata oggetto di contrapposizione ideologica tra i due schieramenti politici, ha fatto venire meno le prospettive di mediazione e sono stati continui gli interventi al ribasso all’insegna del motto “Gli italiani innanzitutto”.
Prima Repubblica e immigrazione
La Prima Repubblica finì di esistere a causa dei mali della partitocrazia, ma la sua portata non si esaurì a questo aspetto. L’espressione “roba da Prima Repubblica” utilizzata in senso di spregio, è ingiusta perché non tiene conto degli aspetti positivi di quel periodo e delle figure politiche di spicco che vi operarono: la ricerca condotta da Pittau aiuta a prenderne coscienza. Si riscontrano in quel periodo aperture mentali e impostazioni delle questioni che anche oggi restano validi, sia a livello istituzionale che personale. “Sporcarsi le mani” (un’espressione cara a mons. Di Liegro), calarsi nelle questioni concrete (senza diventare completamente succubi dei propri interessi), ipotizzare soluzioni, non rifiutare le mediazioni che rappresentano comunque un progresso rispetto al passato, superare l’astensionismo sociale e favorire un coinvolgimento corale: tutto questo merita di essere recuperato e potenziato.
Secondo l’Autore il periodo della Prima Repubblica, pur alle prese con diversi gravi problemi (basti pensare a quello del terrorismo), sul tema dell’immigrazione riuscì a esprimere un’apertura fortemente motivata e praticò un’encomiabile apertura all’accoglienza, dettata anche dalla necessità di essere coerenti con il passato come Paese di emigrazione, evitando di ridurre il fenomeno della mobilità umana in un problema di ordine pubblico. Le prime due leggi, quella sul lavoro degli immigrati dell’on. Foschi 1986 e dell’on. Martelli nel 1990, furono delle leggi non perfette ma coraggiose e innovative in un contesto europeo improntato alla chiusura agli immigrati.
É necessario riuscire a focalizzare nuovamente l’importanza dell’immigrazione nel nostro Paese attraverso politiche adeguate, anche innovando naturalmente, ma non dimenticando o rinnegando il passato. La ricerca di Franco Pittau pubblicata dal Centro studi Idos, ricca di particolari sotto diversi aspetti inediti, merita di essere letta, tanto più per chi vive nell’area romana. Come prima ricordato, quelli che vivono in quest’area troveranno qui un pezzo dimenticato della storia della città, quello straordinario dinamismo nei riguardi degli immigrati, riscontrabile in quegli anni a Roma, in ambito sociale, interculturale e sanitario, con l’apertura a obiettivi e percorsi oggi divenuti patrimonio comune. Ma non rimarranno delusi neppure i lettori non romani di una ricognizione storica che, lungi dal mitizzare il periodo della Prima Repubblica, ha inteso evidenziare come, in quella stagione durante la quale in Europa prevaleva un approccio restrittivo nella falsa illusione della temporaneità della presenza straniera, le prime due leggi italiane sull’immigrazione riuscirono, anche grazie a un ampio sostegno trasversale ai partiti, a far valere una politica realistica ma aperta.
______________________________________________________________
______________________________________________________________
Article printed from Dialoghi Mediterranei: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM
URL to article: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/limmigrazione-nella-politica-della-prima-repubblica/
Click here to print.
Copyright © 2013-2020 Dialoghi Mediterranei. All rights reserved.