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Leggende plutoniche nel repertorio Pitrè-Salomone Marino
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2018 @ 01:11 In Cultura,Letture | No Comments
Una mitologia molto diffusa riguarda tesori nascosti in cavità del sottosuolo, o in luoghi simbolicamente equivalenti, configurati secondo ideologie d’incantesimo e sottoposti a restrizioni rituali che li rendono, di fatto, inattingibili. Alle rappresentazioni narrative collegate, alle cosiddette leggende plutoniche, i demologi siciliani del secondo Ottocento e del primo Novecento hanno dedicato un’attenzione tra le più rilevanti nel quadro regionale europeo. Tra di loro (M. Alesso, U. A. Amico, R. Castelli, M. Di Martino, G. Frosina-Cannella, C. Grisanti, S. A. Guastella, A. G. Gubernale, C. Melfi, F. Neri, F. Pulci, S. Raccuglia, G. Ragusa Moleti, G. Rametta Garofalo, B. Rubino, C. Angelo Sacheli, S. Salomone, F. Sanfilippo, C. Simiani, G. Traina, I. A. Trombatore, A. Tropia, F. Vacirca, P. Vetri), un ruolo d’orientamento hanno avuto Giuseppe Pitrè (1841-1916) e Salvatore Salomone Marino (1847-1916), con uno scambio scientifico e personale che pure in questo caso ha lasciato tracce importanti.
Punto di partenza possono essere i volumi IV-VII della «Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane» (= BTPS) di Pitrè, intitolati Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani (1875), con oltre quattrocento trascrizioni suddivise in cinque serie. Le storie specifiche sui tesori, in Sicilia e altre zone del Sud Italia denominate anche con varianti locali di trovature, sono state “raccolte” dallo stesso Pitrè (CCXXVII, La muntagna di la fera, Borgetto PA – CCXXVIII, Li vèrtuli di la muntagna di la fera, Borgetto PA – CCXXXa, Lu bancu di Ddisisa, Borgetto PA – CCXXXb, Pizzu Gaddu, S, Giuseppe Jato e Camporeale PA – CCXXXc, Lu bancu di Ddisisa, Borgetto PA – CCXXXI, Rocca d’Antedda, Salaparuta TP – CCXXXII, La Rocca di lu Pizziddu, Cammarata AG – CCXXXVIII, Lu Pizzareddu, Capaci PA – CCXL, La muntagna di lu Raja, Salaparuta TP – CCXLI, La seggia di lu turcu, Salaparuta TP) che le ha integrate con altre inviategli da Salomone Marino (CXXXVIII, La truvatura, Borgetto PA – CCXVI, Li Diavuli di la Zisa, Borgetto PA), G. Di Giovanni (CCXXIV, La Grutta di lu Pizzu Beddu, Casteltermini AG – CCXLV, Curaggiu Don Menu!, Casteltermini AG), V. Gialongo (CCXXXII, La muntagna di Santu Cuonu, Polizzi Generosa PA – CCXXXIV, La Chisulidda di lu Sarvaturi, Polizzi Generosa PA) e M. Di Martino (CLXXXV, Lu mastru e li spirdi, Noto SR). Non sono ancora proposte tutte insieme, anche se risultano per lo più incluse nella Serie terza dedicata alle «tradizioni storiche e fantastiche di luoghi e di persone», genere allora piuttosto frequentato dalla ricerca demologica:
Oltre all’amicizia, il motivo che conduce Salomone Marino a trasmettere (e a sua volta ricevere) documenti folklorici inediti va dunque ricercato nel suo prevalente interesse per attestazioni di “storia popolare” che offrissero riscontri allo studio di personaggi, eventi e luoghi della storia ufficiale. Appena uscite le Fiabe di Pitrè, infatti, egli interviene due volte sulla rivista «Nuove Effemeridi Siciliane» (1875, 1876), integrando con altri documenti quella Serie terza dell’amico e precisando alcuni aspetti, anche su presunti siti di tesori incantati, proprio in ragione del suo particolare intento storiografico “dotto”:
Ma l’attenzione di Salomone Marino verso argomenti “fantastici” o “meravigliosi” correlati a quell’interesse storiografico “oralistico” per le “etnofonti” si ha ancora di lì a poco con Leggende popolari siciliane in poesia (1880), malgrado vi compaiano solo tre narrazioni legate ai tesori (XXII, La Casa ‘ncantata, Camporeale PA – XXIII, Lu Bancu di Disisa, Borgetto PA – XXIV, Lu Zagariddaru, Partinico PA) e malgrado in anni più recenti siano state avanzate riserve filologiche su questa e altre sue opere: valga per tutte quanto hanno ricostruito Aurelio Rigoli e Alberto Varvaro sul repertorio dedicato alla Baronessa di Carini. Nel lavoro del 1880 l’immaginario plutonico è comunque posto in relazione con un quadro articolato e attendibile di credenze (prime fra tutte quelle sulle Donni di fora); in secondo luogo, le pagine di «annotazioni e riscontri», dopo le precedenti di C. Avolio (Canti popolari di Noto, 1875), M. Di Martino (Usi e credenze popolari siciliane, 1874), S. A. Guastella (Canti popolari del circondario di Modica, 1876) e R. Castelli (Credenze ed usi popolari siciliani, 1878-80), vanno oltre le necessità da “raccoglitore”, mostrando accurate propensioni comparative.
Nella storia delle trovature e dei rapporti tra i due studiosi, uno sviluppo rilevante si ha nel biennio 1888-89. Dopo le Fiabe del 1875 «pareva che poco rimanesse tuttavia da raccogliere in Sicilia»; eppure nelle Fiabe e leggende popolari siciliane del 1888, dedicate a Thomas Frederick Crane, Pitrè riesce a mettere insieme altri «centocinquantotto racconti tradizionali nei dialetti e nelle parlate di quarantun comuni dell’isola, oltre a venticinque varianti, parte per esteso in dialetto, parte riassunte in italiano» (p. VII). Numerato come XVIII della BTPS, quel volume va dunque considerato il quinto della raccolta novellistica di tredici anni prima. I criteri di presentazione sono identici, anche se in parte è mutata la distribuzione in ‘serie’. Altre otto narrazioni sui tesori mantengono l’inserimento con le illustrazioni di luoghi regionali particolari (come nel 1875): Pitrè attribuisce a se stesso il rilevamento di tre in trascrizione siciliana (XCVIII, Lu gran tisoru di la Zisa, Palermo – CII, La truvatura di Beddumunti, S. Lucia del Mela ME – CIII, Munti Scuderi, Messina); una quarta, sempre in siciliano, è dovuta a C. Simiani (CVIII, ‘I Cientu Puzzi, Ragusa); le rimanenti quattro sono comunicate, «in forma italiana», da Guastella, sebbene conservino una titolatura nella lingua locale di Chiaramonte (CIX, L’Ebreu di la Grutta d’ ‘i Funnacazzi – CX, La Chiusa di S. Giuvanni – CXI, La Chiesa di Santa Margarita – CXII, La Grutta di crapa d’oru).
Nel 1889 è ultimata un’altra quadrilogia della BTPS: Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, con dedica affettuosa a Salomone Marino. Frutto di lavoro ventennale, nella progettazione dell’autore
Nel quarto volume degli Usi, per la prima volta in una monografia dedicata all’Isola, c’è una sezione distinta su I Tesori incantati; ma soprattutto, come già nella BTPS per altri settori d’indagine, c’è un primo studio specifico, Dei Tesori incantati, che costituirà un canone autorevole e “autoriale” per molti altri autori dell’epoca, con uno sguardo d’insieme rispetto a localizzazioni rinomate (Zisa, Bancu di Ddisisa, Munti Scuderi, Cala Farina, Rocca d’Antedda e altre), ricorrenze terminologiche (truvatura, trovu, bancu, ncantisimu ecc.), custodi e altre figure fantastiche (Mercanti, Monacella, Nanu moru, Schiavo, Vecchia di li fusa, Vuvitini ecc., approfonditi pure nel rilevante capitolo dedicato a Esseri soprannaturali e meravigliosi), concezioni dell’incantesimo, operatori e prontuari cerimoniali, anche extra-regionali.
Segue una raccolta di sessantatre attestazioni (più quelle inserite nello studio) a partire dalle quali, diversamente da quanto avvenuto per le fiabe, la documentazione sulle leggende assume una fisionomia disomogenea: pur mantenendo numerazione e titoli che fanno pensare a nuove varianti narrative integrali, prevale l’esigenza di estendere le notizie sui luoghi di attestazione anche nell’impossibilità di fornire testi in trascrizione siciliana e dunque ricorrendo a versioni (traduzioni) e soprattutto a riassunti in italiano (le tre parole in corsivo sono proprio quelle usate dall’autore).
Le ripercussioni di questa procedura sono tante. Sulle trascrizioni dalla lingua parlata, in linea con tendenze filologiche del tempo, il demologo palermitano s’era già pronunciato in termini risoluti (cfr. ad esempio Pitrè 1875/I: XVI, XXIV-XXXIII, LX-LXIII; 1888: IX-XII). Un brano, tra gli altri, restituisce con immediatezza le sue idee:
Egli è dunque costretto a pubblicare versioni soprattutto quando così gli sono fornite dai collaboratori (caso più frequente), quando gli è sottoposta una trascrizione insoddisfacente (cfr. ad es. Pitrè 1875/I: XVI) o quando la ritiene di difficile lettura per le particolarità linguistiche dell’area di provenienza (cfr. ad es. Pitrè 1913: 137). Denomina invece riassunti le sintesi (talvolta con estrapolazioni di brani originali e suoi “aggiustamenti”) che ricava da opere già date alle stampe.
Tralasciando altri particolari, dei diciassette testi presenti in Pitrè 1889/IV, solo cinque sono inediti: tre rilevati dallo stesso autore (21, La Truvatura di lu Munti, Trapani – 34, La Turri di Bapillonia, Pietraperzia EN – 55, ‘Nna truvatura di Francufonti, Francofonte SR), uno da M. Di Martino (51, Darrieri S. Giuvanni, Avola SR) e uno da B. Morasca (9, Lu cozzu di lu ritunnu, Ciminna PA); quattro sono ripresi da Pitrè 1875 (uno dei quali rilevato da Salomone Marino), sei da M. Di Martino (Tesori incantati, «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», 1885) e due da Salomone Marino 1876 e 1880. Cinque riassunti si riferiscono invece a testi già pubblicati in Pitrè 1875 e 1888.
Come nel 1875 dopo l’uscita delle Fiabe, anche stavolta Salomone Marino integra da una rivista («Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», 1889) con attestazioni inedite su Tesori incantati in Sicilia di Salemi (TP) e Borgetto (PA). Sottolineando l’importanza della recente trattazione di Pitrè e ritenendo che a quel punto sia lasciato poco spazio a novità, se non sul piano delle varianti, offre «all’Amico del cuore qualche nuova tradizione, inedita, fin qui, la quale o conferma le sue, o vi aggiunge particolari più minuti, o mette in luce qualche altro aspetto di queste curiose e caratteristiche credenze su’ tesori nascosti e resi inaccessibili agli uomini per via di incanto e per la potenza di esseri malvagi» (pag. 417). Come si apprenderà in seguito dagli studi di A. Rigoli e altri, sono trascrizioni in siciliano riportate su un taccuino denominato Tradizioni popolari siciliane e non confluite nell’intervento del 1876 (oggi, però, i contenuti dell’intero taccuino sono accessibili nell’edizione critica del Centro Internazionale di Etnostoria, 2008). I quattro documenti della natia Borgetto (III, Li dinari ‘ncantati – IV, Pirchì li dinari si ‘ncàntanu – V, Li dinari ‘mmusati – VI, Lu postu di li Truvaturi), per trame narrative e qualità espressive della fonte (il contadino Giuseppe Valenza), recano all’etnologia dei tesori incantati particolari tutt’altro che «minuti».
Su solchi già tracciati, e qui soltanto sintetizzati, si mantengono i contributi successivi: In cerca del Tesoro, capitolo XXIII di Costumi ed usanze dei contadini di Sicilia (Salomone Marino 1897), e due sezioni di Leggende plutoniche espressamente concepite per Studi di leggende popolari in Sicilia (Pitrè 1904) e Cartelli, pasquinate, canti e leggende del popolo siciliano (Pitrè 1913), volumi XXII e XXIV della BTPS. In questi ultimi lavori, le trascrizioni in siciliano si riducono a poche unità, prevalendo riedizioni e “riassunti” da opere diverse (M. Alesso, M. Di Martino, V. Graziano, C. Grisanti, C. Melfi, L. Molino Foti, G. Mulè Bertolo, F. Neri, F. Pulci, S. Raccuglia, F. Sanfilippo, V. Sardo Sardo).
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