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L’anarchico dimenticato

Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2019 @ 01:21 In Cultura,Letture | No Comments

copertinadi Mariza D’Anna

Anarchia deriva dal greco “αναρχία”, governodominio, ma che tradotto diventa “senza-comando”, “senza-potere”, “senza-autorità.  “Né Dio né padrone” potrebbe essere l’espressione concisa ma efficace per dare significato alla parola anarchia. Sébastien Faure, anarchico francese tra i maggiori sostenitori del sintetismo, l’anarchismo senza aggettivi, aveva detto: «Chiunque neghi l’autorità e combatta contro di essa è un anarchico», assumendo così una definizione semplice ma non esaustiva del pensiero anarchico che al contrario ha in sé molte sfaccettature in correlazione con le altre dottrine politiche e con la vita dell’uomo. Considerazioni non certo conclusive di un pensiero che ha una sua complessità di ragionamento e che porta al concetto di autodeterminazione dell’individuo, unico e diverso da tutti gli altri con un pieno diritto di scelta. Una sorta di “filosofia della libertà individuale” che la persona adotta per relazionarsi in tutti gli aspetti sociali, politici e umani nella sua esistenza.

L’opposizione ad una politica che avrebbe portato come fine ultimo ad un cambiamento sociale ha fatto dell’azione “anarchica” un motivo di lotta di classe e di pensiero che, fuori dai ragionamenti filosofi, si è concretizzata in diversi periodi storici ricordati per alcune azioni, ancora controverse, passate alla storia. In Italia la vicenda del ferroviere Giuseppe Pinelli è tra le più note, emblematica di quel periodo sovversivo e oscuro in cui si inserisce la strage di piazza Fontana a Milano. Il 12 dicembre 1969 nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, alle 16,37 scoppiò una bomba che causò la morte di 16 persone. L’operaio Pinelli, come noto, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre precipitò da una delle finestre della Questura dove si trovava dopo essere stato fermato nell’ambito delle indagini sulla strage. Fu una vicenda assai complessa e controversa che sfociò in sentenze che decretarono la morte per “malore attivo” ma non bastarono a fugare dubbi e incertezze.

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Andrea Salsedo da giovane

Ora, di quel clamore mediatico che per decenni ha riempito le cronache dei giornali e ha fatto meditare sulla politica degli anarchici del tempo, non c’è nulla nella storia di un altro “autentico” anarchico che molti, molti anni prima in America aveva “anticipato” la stessa fine che poi fece Pinelli in Italia. Siamo nel 1920, è il 3 maggio quando Andrea Salsedo vola giù dal 14° piano del palazzo di Giustizia di New York e muore sul colpo. Salsedo era un giovane siciliano, nato a Pantelleria il 29 settembre 1881, convintamente anarchico, tipografo ed editore. Ma cosa era accaduto al giovane emigrato in America dalla piccola isola del Mediterraneo? Qualcosa che avrebbe poi richiamato la fine dell’operaio Pinelli, inserito ovviamente in un diverso contesto politico. La storia di Salsedo però è rimasta confinata e marginalizzata in quella degli anarchici Sacco e Vanzetti ma comunque mai considerata da una ricerca di verità a posteriori.

Venuto a conoscenza dei fatti e partendo da un approccio rivalutativo, Salvatore Bongiorno ha studiato il caso che, con dovizia di particolari storici e ricostruzioni politiche, è diventato libro dal titolo New York, 15 Park RowLa storia dimenticata di Andrea Salsedo, uscito per la giovane e attenta casa editrice trapanese Margana edizioni, che ne ha sposato il progetto.

Le ricostruzioni dell’Autore nelle oltre duecento pagine del libro consentono per la prima volta di affrontare organicamente sin dalle origini le vicende che hanno portato all’oscura morte dell’anarchico siciliano, ricostruzioni felici ed esaustive che godono della puntigliosità archivistica di accurate ricerche bibliografiche e documenti storici in grado di ricreare nell’insieme il complesso contesto storico siciliano e americano di quegli anni. Un approccio quello dell’Autore che restituisce l’attenzione che merita ad un fatto che aveva varcato i confini della Sicilia per spingersi in America ma che non ha avuto il ritorno in Patria che avrebbe meritato.

Salsedo era nato nell’isola al centro del Mediterraneo, all’epoca ancora più lontana da ogni centro di interesse politico, e anche «l’educazione cattolica ricevuta difficilmente avrebbe potuto far pensare ad una svolta così rabbiosamente anticlericale del giovane pantesco», scrive Bongiorno; era un “cane sciolto” che non riusciva a frenare la sua natura “ribelle e curiosa” e che dopo le tragiche vicende dei Fasci siciliani «si avvicina al verbo socialista».

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Luigi Galleani

Sarebbe stato destinato ad altre venture se lì, nella sua isola, non avesse incontrato Luigi Galleani, confinato politico che a Pantelleria aveva aperto una sorta di scuola di pensiero per giovani locali dove si discuteva di politica, radicalismo sociale e anarchia. In quel luogo il giovane Salsedo si innamora delle idee che quel carismatico personaggio propugnava con fervore. Galleani aveva una esperienza robusta alle spalle nata all’Università di Torino dove era studente di legge, corroborata da puntate in Francia e in Svizzera da dove era stato espulso prima di essere arrestato e mandato al confino. Del circolo sociale che aveva aperto sull’isola, ristretto certamente, Salsedo era stato tra i più assidui frequentatori abbracciando idee che non voleva solo condividere ma anche realizzare, e l’editoria poteva essere una strada di propaganda.

Così Salsedo trasferitosi a Marsala aveva preso a stampare un foglio, “La Falange”, dove metteva per iscritto la sua ribellione. Il foglio per le idee che propugnava era però destinato al sequestro e per questo Salsedo aveva deciso di trasferirsi a New York dove aveva ritrovato il suo mentore Galliani che, fuggito da Pantelleria, frequentava un circolo anarchico le cui idee confluivano in una rivista dal titolo “La Cronaca sovversiva”. Salsedo pronto ed esperto sul campo, aveva messo a disposizione la sua abilità da tipografo per quella causa che prometteva grandi obiettivi e aveva dimostrato la sua abilità nella stampa dando alla luce la rivista “Il domani”.

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Attentato a New York, 1921

Gli anarchici a New York iniziavano intanto ad essere presi di mira e la Federal Bureau Investigation faceva piazza pulita di circoli e di riviste a cui rispondevano con gli attentati e le bombe; e quella scoppiata a Washington fu l’inizio della persecuzione di Salsedo accusato di aver stampato alcuni volantini trovati sul luogo della strage. Arrestato, venne sottoposto a violenze e torture dagli uomini dell’Fbi che chiedevano i nomi dei suoi sodali. Raccontarono poi i testimoni, la moglie Maria Petrillo e l’amico Roberto Elia, arrestato con lui ma poi rilasciato, che quelle percosse e quelle violenze lasciarono segni gravissimi sul corpo dell’anarchico pantesco che, dopo due mesi, nel quartiere generale dell’Fbi morì precipitando dal 14° piano. Suicidio, si disse. Caso archiviato, si decretò negli ambienti istituzionali.

Ma il nome di Salsedo era volato tra gli scranni della sala d’udienza durante il processo nel quale erano imputati i due anarchici Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, conclusosi per entrambi con la condanna alla pena capitale, la sedia elettrica. La storia di Salsedo, nella drammaticità degli eventi, aveva avuto un momento di notorietà quando si era intrecciata con quella dei due anarchici italiani ma era stata archiviata in silenzio come una appendice senza onori di cronaca. Era stato Nicola Sacco a dichiarare che Salsedo «era stato pestato brutalmente e che i suoi aguzzini lo avevano fatto volare dalla finestra per giustificare quel corpo martoriato e quel viso sfigurato», mentre Vanzetti aveva detto «da lui si voleva conoscere l’intera mappa dell’anarchismo in America».

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Park Row Builind, anni venti, il grattacielo da cui precipitò Andrea Salsedo

Louis F. Post, segretario aggiunto presso il Ministero del Lavoro, nel suo libro di memorie riprenderà il caso nei suoi diversi aspetti oscuri e sottolineerà il fermo illegale della vittima in una prigione segreta, i metodi di interrogatorio la strana posizione del cadavere sul marciapiede.

E ancora di più il suicidio resterà incomprensibile perché Salsedo non aveva alcuna ragione per compiere il disperato gesto, il reato “confessato” non era penalmente rilevante e avrebbe goduto della libertà provvisoria. Anche la tesi della polizia che si sarebbe suicidato per non rivelare i nomi degli anarchici non ha trovato mai sufficienti riscontri. Ma la denuncia dei giornali americani che iniziarono a svelare i retroscena di quella vicenda aveva dato una luce nuova destinata tuttavia a non avere echi futuri, l’esatto contrario di quanto accadde a Sacco e Vanzetti che dopo molti anni dall’esecuzione capitale, vennero riabilitati. Per Salsedo la storia non si ripete, resta sepolta nella sua patria e così in America non sostenuta da circostanze eclatanti, non riconosciuta come avrebbe meritato.

La meritoria opera di Salvatore Bongiorno sul caso ha una doppia valenza perché partendo dall’analisi del caso offre una visione chiara dell’anarco-comunismo nell’America di quegli anni. «Si legava molto a un sindacato – dice Bongiorno a Pantelleria Internet – che diversamente da quello principale degli americani, guardava anche agli immigrati e agli italiani in particolare. Il loro obiettivo era di cambiare la società nel momento in cui andava in onda la rivoluzione sovietica, nella grande idea di uguaglianza e libertà. Pensavano fosse arrivato il tempo del potere operaio ma le cose poi andarono diversamente».

foNegli anni ‘70 il premio Nobel Dario Fo fa tornare alla luce, in qualche modo, la vicenda di Salsedo. Nella commedia Morte accidentale di un anarchico dedicata al caso di Giuseppe Pinelli, Fo per evitare le denunce (sulla questione spinosissima e controversa nella quale l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi fu l’epilogo più tragico ed efferato) sposta l’azione dall’Italia agli Stati Uniti, dove appunto, negli anni Venti, si era registrato un fatto di cronaca simile che aveva come protagonista Salsedo, un escamotage teatrale che tuttavia non bastò a mettere in luce la vera storia dell’anarchico siciliano.

Quando la Rai nel 2010 decise di proporre la ricostruzione per la tv del caso Sacco e Vanzetti, la figura di Salsedo riaffiorò tra le nebbie. La figlia Silvestra, intervistata da Pantelleria Internet, tornò sulla vicenda e svelò che il padre aveva scritto un libro dal titolo Faccia a faccia con il nemico che andò disperso come molti documenti custoditi nella casa sull’isola che, disse, vennero rubati da qualcuno che saccheggiò il suo appartamento. «Era un innocente», disse la figlia. E l’amministrazione comunale di Pantelleria, dopo l’uscita del libro di Bongiorno presentato sull’isola quest’anno, si ripromette ora di riportare alla luce la storia dimenticata e chiedere al governo americano la riabilitazione del loro cittadino.

Dialoghi Mediterranei, n. 40, novembre 2019
Riferimenti bibliografici
Anna Bandettini, L’anarchico di Fo è tornato sulla scena, in “La Repubblica”, 2 dicembre 2002
Fabio Casalini, L’anarchico che scoprì di non saper volare, in “Viaggiatori ignoranti”, agosto 2018
Pino Casamassima, Un anarchico a New York, Focus Storia, 2015
Rosa Casano del Puglia, L’affaire Salsedo nell’America degli anni Venti – Morte di un anarchico siciliano, in “Brigantino , il Portale del Sud” – ottobre 2011
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Mariza D’Anna, giornalista professionista, lavora al giornale “La Sicilia”. Per anni responsabile della redazione di Trapani, coordina le pagine di cronaca e si occupa di cultura e spettacoli. Ha collaborato con la Rai e altre testate nazionali. Ha vissuto a Tripoli fino al 1970, poi a Roma e Genova dove si è laureata in Giurisprudenza e ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante. Ha scritto il romanzo Specchi (Nulla Die) e Il ricordo che se ne ha (Margana), memoria familiare ambientata in Libia.

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