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L’Algeria in bilico perenne, tra Islam e islamismo

coperrtinadi Roberto Cascio

Tra le molteplici proposte della letteratura non specialista che tenta di addentrarsi dentro il labirinto del radicalismo islamico, è compito decisamente difficile indicare testi che possano risultare quanto meno interessanti per la comprensione del fenomeno islamista. Le librerie traboccano di instant-book che pretendono di indicare una via sicura di comprensione, fallendo inevitabilmente nel loro intento e rischiando invece di lasciare il lettore travolto da dati statistici, grossolane ricostruzioni storiche dei Paesi arabi, nonché da discutibili interpretazioni sociologiche e letture ideologiche. Una notevole eccezione deve però esser fatta per il testo di Boualem Sansal, recentemente tradotto in italiano dall’editore Neri Pozza, dal titolo Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista.

Lo scrittore algerino non è sicuramente un nome nuovo della letteratura mondiale: nel 2015 il suo romanzo 2084. La fine del mondo ha conosciuto un grande successo, tanto da essere insignito del Gran Prix du Roman de l’Académie française. L’affascinante romanzo di Sansal, narrante l’immaginaria vita dentro un regime dispotico di stampo religioso, è elemento rivelatore delle posizioni progressiste e coraggiose dell’autore nei confronti del radicalismo religioso e dei fondamentalismi. Nel nome di Allah diviene quindi testo interessante e degno di una lettura attenta, poiché frutto della riflessione di un autore che ha vissuto e vive tutt’oggi le diverse fasi di ascesa e declino dell’islamismo contemporaneo, ripercorrendone le tappe anche attraverso la storia del suo Paese, l’Algeria, dilaniato e sconquassato duramente prima dalle guerre di liberazione, e poi dalla guerra civile successiva al “golpe bianco” del 1991. 

Una personale prospettiva di lettura

Risulta essenziale, per una corretta lettura del testo, aver sempre presente l’incipit del testo, in quanto l’autore delinea qui limiti e pretese della sua opera, in maniera puntuale e sincera:

«Questo volumetto, dedicato all’ascesa dell’islamismo nel mondo arabo, non ha altra pretesa se non quella che può avere uno scrittore quando, affrontando un argomento, tenta di guardarlo in un certo modo, chiamiamolo letterario: in altre parole attraverso la sua soggettività e tuttavia con la speranza che tale soggettività pervenga a una certa verità. Qui non si cercherà però lo “sfumato artistico”, inappropriato per questo genere di argomento, ma di illuminare il tema in un’ottica specifica, che metta in evidenza punti a mio parere essenziali».

A ulteriore chiarimento di quanto prima scritto, Sansal continua:

«il mio testo non è un trattato accademico, non sono né uno storico né un filosofo; non è neppure un’inchiesta giornalistica, e men che meno un rapporto da specialista dell’islamismo, e di certo non un saggio di islamistica. È la riflessione di un testimone, di un uomo il cui Paese, nella fattispecie l’Algeria, si è dovuto misurare molto presto con l’islamismo, fenomeno che fino a quel momento gli era ignoto».

Delineare in questo caso il limite della ricerca ha una importanza decisiva: se il limite esclude la scientificità del testo e una sua ipotetica valenza accademica, allo stesso tempo esso implica che ciò che ricade sotto il dominio affermato da Sansal, quello di una voce intellettuale dell’Algeria contemporanea, debba avere un qualche valore, ovvero potersi affermare come libera interpretazione di un fenomeno che ha sconvolto i Paesi arabi (e non), rompendo quel silenzio in cui troppo spesso gli intellettuali di orientamento musulmano si rifugiano per timore di affrontare lo spinoso tema del rapporto tra Islam e modernità.

I sette capitoli che formano il testo di Sansal rappresentano quindi una visione personale, ma non per questo povera, dell’islamismo e del suo successo nel mondo contemporaneo. Spazio viene dato nel testo a riflessioni sui cardini dell’Islam, sulle sue divisioni e sulla sua spinta rivoluzionaria che ha accompagnato prima i popoli arabi nella guerra di liberazione dal colonizzatore, per poi affascinarli col sogno di ricostituire lo Stato islamico, vera terra di libertà per il fedele musulmano. Lungo le pagine del testo emergeranno quindi diversi spunti di riflessione a cui sembra opportuno dedicare particolare attenzione, tenendo sempre in mente le direttrici indicate dall’autore.

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Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika

Gli elementi di base per l’Islam: un’introduzione alla tematica islamista

Sansal introduce il lettore al testo ripercorrendo dapprima la drammatica storia dell’Algeria contemporanea (che si avrà modo di approfondire infine, anche con l’aiuto degli strumenti forniti dallo stesso Sansal) e dedicando poi un intero capitolo (il secondo) a tre “elementi di base”, utili bussole per la lettura del testo. Secondo l’autore algerino, il lettore deve quindi riflettere e considerare:

1) Il grado di coercizione dell’Islam e l’ambito di applicazione della shari᾽a.

2) Le diverse fazioni in cui si suddivide l’Islam (scuole teologiche, correnti più o meno importanti, sette minoritarie).

3) La libertà nell’Islam.

Particolarmente interessante appare la riflessione intorno al primo degli elementi di base. Sansal mostra di essere conscio delle difficoltà di definire l’islamismo, fenomeno che gli stessi studiosi di islamistica faticano a delimitare all’interno di un solo termine:

«Nelle discussioni sull’islamismo si sentono usare tanti termini che sembrano dire la stessa cosa, ma riferiti a realtà così diverse da lasciare confusi. Per esempio, gli attivisti islamici (…) vengono designati con numerosi appellativi: musulmani, fondamentalisti, integralisti, salafiti, jihadisti. Il profano ne esce scoraggiato, l’islamismo gli sembra più misterioso che mai».

La confusione  terminologica è tutt’altro che ingenua, racchiudendo in potenza la gravissima equiparazione tra islam e islamismo che intossica quotidianamente l’opinione pubblica, impedendo una riflessione chiara e oggettiva del fenomeno islamista:

«È comprensibile che, con una tale profusione lessicale, alcuni finiscano per creare qualche amalgama, il più dannoso dei quali è per tutti confondere l’Islam, religione quanto mai rispettabile e fulgida, con l’islamismo, che è la strumentalizzazione dell’Islam in un’ottica politica».

L’amalgama temuto da Sansal è un rischio che corre principalmente il lettore che ritenga l’Islam una religione monolitica, con un preciso credo e con riti ben definiti. Le diverse scuole giuridiche, le sette minoritarie, le scissioni all’interno del mondo musulmano (descritte come secondo elemento base da Sansal) raccontano invece una realtà ben diversa: «Queste divisioni dell’Islam (…) coprono l’intero spettro della fede e della legge, dall’Islam contemplativo e poetico dei mistici sufi (…) fino all’islamismo più fanatico e retrogrado».

Se la discussione sull’Islam per i profani non è per nulla semplice, ancor più difficile si mostra il tentativo di riflettere, di ripensare l’Islam alla luce della modernità. Secondo Sansal,

«i vecchi e nuovi poteri feudali – religiosi, economici, militari – hanno finora impedito questo aggiornamento (in arabo: ijtihad) inteso a ripensare, e se possibile modernizzare, il rapporto del musulmano con il sacro, il mondo, la società, l’individuo, l’altro (…). Questo aggiornamento si sta attuando  nel disordine e nella violenza più che nella continuità, nella riflessione e nella negoziazione» [1].

L’autore algerino si lancia così in un’aspra polemica contro il politicamente corretto e l’ipocrisia occidentale che svuota di senso qualsiasi sincero tentativo di comprendere le dinamiche all’interno del mondo musulmano. La coraggiosa conclusione dell’autore algerino è che, di fronte all’inettitudine occidentale, «gli unici veri dibattiti sull’Islam e sul suo Profeta si svolgono proprio nei Paesi musulmani, con critiche talvolta audaci».

-Algerini-in-preghiera

Giovani algerini in preghiera

L’evoluzione dell’islamismo e i suoi paradossi nel mondo odierno

Occorre qui rimarcare un punto essenziale: il lettore non troverà nel testo di Sansal una disamina articolata dell’ideologia islamista [2]. L’autore di 2084: la fine del mondo si limita in questo caso a sottolineare come gli islamisti costruiscano la loro visione del mondo ricorrendo sia a grandi studiosi dell’Islam (come ad esempio, Ibn Taymiyya), sia accettando come veritieri alcuni hadith rifiutati dalla Tradizione islamica. Efficacemente, Sansal sostiene che «gli islamisti praticano una sorta di self-service opportunistico, che permette loro di adattarsi a tutte le situazioni».

Lungo il testo, emerge la posizione iper-critica dell’autore nei confronti dell’islamismo, posizione tuttavia non contestabile in quanto soggettiva opinione che non pretende di dare, come si è avuto modo di leggere nell’introduzione, un quadro oggettivo sull’argomento. Sansal dimostra invece di essere ben più interessato a descrivere il modo in cui l’islamismo si è imposto nel mondo contemporaneo; l’11 settembre ha rappresentato per l’opinione pubblica la comparsa improvvisa del fenomeno del terrorismo di matrice islamista, quando questo invece era già presente da tempo nello scacchiere geopolitico contemporaneo dove, dopo una prima fase da semplice pedone in mano a mani terze, si è trovato a essere pedina in grado di dare grandi grattacapi alle potenze internazionali.

Sansal ripercorre dunque in breve le quattro tappe dell’islamismo radicale:

1) islamismo come movimento liberatore ed emancipatore. Si pensi qui alla simpatia con cui vennero visti i mujahidin afghani nella resistenza contro l’invasione russa in Afghanistan, sostenuti nella loro lotta dai servizi segreti americani.

2) islamismo come movimento intollerante e retrogrado. Il regime dei talebani imposto alla popolazione afghana ha aperto una nuova fase, mostrando al mondo le efferatezze delle lapidazioni, della distruzione di monumenti storici, provando un’ondata di sdegno nell’opinione pubblica.

3) islamismo come movimento violento, che getta nel panico e nel terrore le popolazioni civili di buona parte del mondo occidentale e orientale.

4) islamismo come movimento lacerante. Di fronte alla risposta rabbiosa dell’Occidente, l’islamismo ha dovuto nascondersi, addentrandosi tuttavia nelle fasce più deboli della società, ove raccoglie ancora consenso, cercando di incanalare la rabbia dei diseredati, degli emarginati verso i suoi obiettivi strategici.

L’autore  algerino lancia quindi un allarme che andrebbe preso seriamente in considerazione:

«Sembra che, nei tempi a venire, si arriverà a incriminare l’Islam, e non solo l’islamismo [delle enormi tensioni sociali]; ciò accrediterebbe l’ipotesi cara a Samuel Huntington, ripresa messa in pratica da George W. Bush, che il mondo sia impegnato in uno scontro di civiltà e non solo in una guerra contro l’islamismo radicale e il terrorismo. Questa visione olistica e apocalittica è effettivamente presa in considerazione e perseguita dagli estremisti di entrambi gli schieramenti» [3].

Lo scontro aperto tra civiltà occidentale e mondo arabo sarebbe la più grande vittoria dell’islamismo contemporaneo, in quanto permetterebbe di stabilire una volta per tutte l’impossibilità di dialogo tra i mondi in questione; un’impossibilità che sfocerebbe poi nell’attacco frontale, per affermare la propria visione della società. Di fronte a questa prospettiva distruttiva, il mondo arabo deve avere il coraggio di fare il grande passo di ripensare i suoi fondamenti, di non lasciare che “i pazzi di Allah” possano proclamarsi custodi del “vero Islam” e così arrogarsi il diritto di indicare cosa sia corretto e cosa sia errato nel mondo odierno. Contro le intimidazioni, contro il politicamente corretto bisogna, oggi più che mai, riaprire il dibattito sull’Islam. Seguendo le appassionate parole di Sansal:

«l’Islam deve essere studiato, discusso, interpellato, eventualmente criticato. Come far evolvere la condizione femminile; come conciliare Islam e modernità, Islam e democrazia, diritti e doveri del credente e del cittadino; come insegnare l’Islam ai giovani in cerca d’identità; come costruire una “convivenza” tra musulmani e non musulmani: sono tutte domande che aspettano risposte da secoli, e con sempre maggiore urgenza nel mondo moderno, che sconvolge tante certezze del passato. È in questo dibattito aperto e franco, su queste domande precise, che troveremo gli argomenti per denunciare la falsità dell’islamismo e per sconfiggerlo».
-Gamal-Abdel-Nasser-e-Anwar-al-Sadat

Gamal Abdel Nasser e Anwar al-Sadat

“In cerca di un’identità”.  L’Egitto tra il Profeta e il Faraone

Dopo il caloroso invito a ripensare i caratteri dell’Islam, Sansal introduce, nel quinto capitolo, un tema delicato: quale identità si riconoscono i popoli arabi? Sotto quale bandiere si sono trovati e sono tutt’oggi disposti a lottare, finanche all’estremo sacrificio di sé? Non si tratta solamente di comprendere sotto quali ideologie storiche (si pensi ad esempio al nazionalismo o al socialismo arabo) si sono infiammati gli animi delle popolazioni arabe, ma di cercare cosa effettivamente fa sentire una persona (sia essa egiziana, turca, o algerina) se stessa, appartenente a una comunità di uguali.

L’autore algerino propone quindi una disamina della situazione egiziana, fulgido esempio di civiltà che fatica a ritrovarsi, a riconoscersi nel suo passato locale – in questo caso, nelle meraviglie della civiltà dell’antico Egitto – preferendo di gran lunga legarsi al retaggio arabo, nel tentativo di sentirsi parte della stirpe del Profeta Muhammad. Commenta amaramente Sansal: «Hanno gettato via come abiti vecchi identità, lingue e tradizioni, la propria storia plurimillenaria e hanno fieramente indossato la nuova e magnifica uniforme: l’identità araba». La straordinaria storia dell’antico Egitto non viene però solamente accantonata; essa viene invece addirittura considerata negativamente, come un incubo politeista da cui solo l’Islam è riuscito a far uscire il popolo egiziano.

La jahiliyya [4],  termine con cui si definisce il periodo antecedente alla predicazione maomettana, travolge la cultura egiziana [5] e la conclusione del ragionamento è clamorosa: gli egiziani si riconoscono più nei loro conquistatori arabi piuttosto che nelle civiltà costruite dai loro antenati nelle terre dove regna il Nilo. Il tema dell’identità emerge quindi in tutta la loro gravità nel caso egiziano, e la lettura della storia è appunto chiave per capire le motivazioni dello sforzo degli Ufficiali Liberi, in primis Nasser e Sadat, di esaltare, nei libri di testo scolastici, la civiltà dei faraoni [6]: è il tentativo di affrancarsi dall’identità arabo-islamica in nome di un’identità egiziana. L’esito di questo scontro è drammatico: il 6 ottobre 1981 al-Istambuli, membro del gruppo islamista al-Jihad, ucciderà in mondovisione il presidente Sadat nel corso di una parata militare, gridando (e ciò non dovrebbe ormai più sorprendere): «Ho ucciso Faraone!» [7].

. Dopo l'elezione del 1991, tensioni ad Algeri

Dopo le elezioni del 1991, tensioni ad Algeri

Il dramma infinito dell’Algeria. Dalla guerra d’indipendenza alla crisi odierna

L’Egitto è solo uno dei Paesi in cui l’islamismo si è scontrato con il potere costituito. Basta muovere lo sguardo verso Occidente per riconoscere nell’Algeria l’emblema di una nazione martoriata, che ancor oggi vede al suo interno serpeggiare la violenza dell’estremismo più becero. Grazie anche agli strumenti forniti dallo stesso autore nei capitoli successivi, è possibile adesso ripercorrere con maggiore cognizione le tappe storiche più importanti dell’Algeria del XX secolo descritte nell’introduzione, approfondendo il ruolo della religione nella guerra coloniale, e in quella civile più tardi.

Nella durissima guerra di liberazione (1954-1962) [8], il FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) algerino fece proprio il discorso religioso ammantandolo di una carica eversiva e rivoluzionaria, ultimo baluardo sotto cui avrebbero potuto riconoscersi e stringersi tutte le diverse anime che componevano il fronte anti-francese. Una delle locandine del magnifico La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo mostra proprio due mani quasi stringersi sulla mezzaluna islamica. Il vessillo dell’Islam era la bandiera comune che marcava la distanza con il colonizzatore e che appiattava ogni dissidio politico interno al fronte:

«Nel contesto dei Paesi “arabi” sotto il dominio coloniale occidentale e cristiano il rigorismo religioso si è amplificato: l’Islam è un’armatura, un rifugio per resistere al dominio della cultura europea e sopportare la miseria dell’indigenato e le ingiustizie del colonialismo». Sansal tuttavia non manca di sottolineare come l’elemento religioso sia estremamente difficile da maneggiare, con l’elevato rischio di  ricadere nel rigorismo più stretto,

«Durante la guerra d’Algeria l’FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) combatteva il colonialismo ma non dimentica di moltiplicare i divieti per il popolo (…) proibiva agli algerini di bere alcol, fumare, masticare tabacco (…) e, per le donne, di vestirsi all’europea… L’elenco si allungava con il procedere della guerra. I contravventori erano severamente puniti, uccisi o condannati al taglio del naso o delle labbra».
Locandina del film di Pontecorvo del 1966

Locandina del film di Pontecorvo del 1966

Se è opportuno convenire che la religione abbia avuto un ruolo notevole nella guerra algerina d’indipendenza, Sansal è ancora più fermo nella convinzione che l’islamismo abbia sfoderato tutta la sua forza e violenza distruttiva durante gli anni della guerra civile algerina (1991-2006). Guerra civile nata da quello che è stato definito da Oliver Roy [9]come lo “scacco” dell’islamismo neo-fondamentalista e delle sue velleità di poter raggiungere al potere tramite libere elezioni democratiche; la chiara vittoria del FIS (Fronte Islamico di Salvezza) al primo turno delle elezioni rese necessario il “golpe bianco” che impedì di fatto la certa riconferma del successo del FIS al secondo turno: nel giro di pochi giorni l’esercito prese immediatamente il controllo della situazione dichiarando nulle le consultazioni, incarcerando i principali esponenti del FIS e imponendo il coprifuoco nel Paese. Ha inizio così, nel gennaio del 1992, l’inferno algerino che si protrarrà fino al 2006. Nella descrizione del feroce scontro tra islamisti ed esercito, la penna di Sansal vibra di rabbia impotente, lasciando emergere la sincera disperazione di un algerino che vede il suo paese consumarsi in un conflitto atroce,

«Fin dalle prime operazioni comprendemmo che per gli islamisti non contava alcuna regola, alcuna considerazione morale: diedero vita a una guerra spaventosa, infierendo in particolare sui civili, senza risparmiare le donne e i bambini, e l’esercito, che non aveva certo più remore di loro, reagì con pari ferocia. Il popolo era preso tra due fuochi, gli si intimava di schierarsi da una parte o dall’altra. Interi villaggi furono massacrati senza che si sapesse da chi: il governo accusava gli islamisti e gli islamisti accusavano il governo. Ma la popolazione sapeva, e attribuiva a ognuno i suoi crimini e le sue bugie. Il mondo intero ha assistito a questa barbarie che di mese in mese andava assumendo l’aspetto di un genocidio, ma nessuno è mai intervenuto, né il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, né un qualsiasi Stato. Ad Algeri avevamo l’impressione di vivere la fine del mondo a porte chiuse».

Tra gli orrori quotidiani spiccano quelli compiuti dal tristemente noto GIA (Gruppo Islamico Armato), ispirato dalle ideologie radicali [10] e deciso a morire (e far morire) per l’ideale islamista. Sansal non intende certo sminuire le colpe e le responsabilità dell’esercito, tuttavia, è evidente come l’autore ritenga l’odio in nome della fede islamica l’ostacolo più duro da abbattere per rendere finalmente l’Algeria un Paese libero e pronto a rinascere dopo una guerra che ha provocato «più di duecentomila morti, un’economia devastata, un Paese distrutto, ferite sociali e morali irreparabili». La legge di Riconciliazione Nazionale del 2006, ne è convinto Sansal, non è altro che un accordo per la spartizione del potere tra capi militari e leader islamisti.

La conclusione dell’autore è amarissima: l’islamismo è ancora presente nel territorio algerino e solo con il suo sradicamento sarà possibile un vero processo democratico e una vera pace che possa curare lentamente le ferite sociali che l’Algeria ha subito nella sua giovane storia di Stato indipendente. Uno sradicamento che potrà avvenire, come si è avuto modo di scrivere precedentemente, solo con il coraggio di ripensare l’Islam, di lasciare che esso affronti tutte le maggiori tematiche che il mondo contemporaneo gli impone. Solo allora sarà possibile (come già avvenuto col tramonto del socialismo arabo e l’emergere dell’islamismo) un cambio ideologico decisivo, che scuota il mondo arabo e permetta finalmente di affermare che «realmente un mondo finiva e un altro aveva inizio».

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
Note

[1] Per un breve approfondimento sull’ijtihad, cfr. Dizionario dell’Islam. Religione, legge, storia, pensiero, a cura di Massimo Campanini, Rizzoli, Milano 2005: 157: «Sforzo che il giurista applica  per individuare la qualificazione giuridica ed etico-religiosa di un’azione, nei casi in cui il Corano o la sunnah non contengano una prova testuale esplicita e decisiva in tal proposito».
[2] Una definizione di islamismo si trova nel testo di Sansal a pag. 69: «L’islamismo non è per sua natura né assurdo né realmente pericoloso. È una corrente religiosa ultraortodossa con l’obiettivo di una trasformazione radicale dei paesi musulmani, o addirittura del mondo, sul piano religioso, politico, sociale, culturale come le società umane ne hanno conosciute e ne conoscono ancora oggi». Come facilmente si evince, è una definizione abbastanza blanda, poiché nega una peculiarità del fenomeno islamista rispetto ad altre correnti religiose fondamentaliste.
[3] Sullo scontro di civiltà promosso da alcuni intellettuali e politici americani, cfr. l’importante saggio di G. Kepel, Fitna. Guerra all’interno dell’Islam, Laterza, Roma-Bari 2004.
[4]  Autori radicali come Qutb e Mawdudi ripenseranno il termine coranico jahiliyya rendendolo un concetto a-temporale e applicandolo così alle corrotte società odierne.
[5]   Sul rapporto tra religione e cultura, cfr. l’estremamente interessante O. Roy, La santa ignoranza. Religioni senza cultura (Feltrinelli, Milano 2009: 52): «La religione che si presenta come “vera” religione inevitabilmente, in un dato momento, deve guardare alla cultura in termini di alterità, magari per poi tentare di appropriarsi di quella stessa cultura o per crearne una. (…) Una religione può adattarsi alle condizioni della mondializzazione e universalizzarsi solo se si pone, anche in termini astratti, come non culturale».
[6] Indicativo è il fatto che l’autobiografia di Sadat abbia come titolo In cerca di un’identità.
[7]   Sull’attentato al presidente Sadat, cfr. G. Kepel, Il profeta e il faraone, Laterza, Milano 2006: 188: «Anche se certezze assolute non ce ne sono, sembra che il quadro teorico dell’omicidio del rais sia la riflessione esposta nell’opera di Faraj, che il detonatore sia stato il desiderio di vendetta di Khalid dopo l’arresto del fratello, e che l’occasione sia stata fornita dalla partecipazione di questo giovane tenente a una parata davanti al capo dello Stato».
[8]   Per un approfondimento sintetico, ma completo sulla guerra di liberazione algerina, cfr. l’ottimo E. Rogan, Gli arabi, Bompiani, Milano 2016: 447-459.
[9]  Per un approfondimento sul tema dello “scacco”, cfr. l’ormai classico O. Roy, L’échec de l’islam politique, Éditions du Seuil, Paris 1992.
[10]  Sull’ideologia del GIA, cfr. R. Guolo, Avanguardia della fede, Guerini e associati, Milano 1999: 80: «Sotto l’influenza delle teorie qutbiane, il GIA afferma che contro il partito della jahiliyya, costituito anche dalla massa degli “indifferenti”, è lecita ogni forma di guerra. Se il potere è taghut, l’idolo oppressore che si è sostituito alla sovranità di Dio, il popolo che non lo abbatte è anch’esso idolatra».
 Riferimenti bibliografici
 Campanini M. (a cura), Dizionario dell’Islam. Religione, legge, storia, pensiero, Rizzoli, Milano 2005.
 Guolo R., Avanguardia della fede, Guerini e Associati, Milano 1999.
 Kepel G., Fitna. Guerre au cœur de l’islam : essai (tr. it. Fitna. Guerra all’interno dell’Islam, Laterza, Roma-Bari 2004).
 Kepel G., Le prophète et Pharaon. Les mouvements islamistes dans l’Egypte contemporaine, La Dècouverte, Parigi 1984 (tr.it. Il profeta e il faraone. I Fratelli Musulmani alle origini del movimento islamista, Laterza, Roma-Bari 2006)
 Rogan E., The arabs, Basic Books, USA 2009 (tr. it. Gli arabi, Bompiani, Milano 2016).
 Roy O., L’échec de l’islam politique, Éditions du Seuil, Paris 1992.
 Roy O., La sainte ignorance. Le temps de la religion sans culture, Éditions du Seuil, Paris 2008 (tr. it. La santa ignoranza. Religioni senza cultura, Feltrinelli, Milano 2009).
 Sadat A., In cerca di una identità, Mondadori, Milano 1978.
 Sansal B., Gouverner au nom d’Allah, Gallimard, Paris 2013 (tr. it. Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista, Neri Pozza, Vicenza 2018).
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 Roberto Cascio, laurea magistrale in Scienze Filosofiche conseguita presso l’Università degli Studi di Palermo, con una tesi dal titolo Le Pietre Miliari di Sayyd Qutb. L’Islam tra fondamento e fondamentalismo. Ha collaborato con la rivista Mediterranean Society Sights, il suo campo di ricerca è l’islamismo radicale nel Paesi arabi, con particolare riferimento all’Egitto.
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2 risposte a L’Algeria in bilico perenne, tra Islam e islamismo

  1. eugenia scrive:

    Una bella lettura

  2. Nora scrive:

    Molto interessante, la recensione è molto articolata e dimostra competenza

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