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La transizione disordinata: il caso delle auto elettriche
Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2023 @ 02:47 In Politica,Società | No Comments
il centro in periferia
di Antonio Muscas
Che la transizione stia avvenendo in maniera disordinata è probabilmente un fatto chiaro a tutti, che si stia rivelando oltre che inefficace deleteria è forse meno chiaro. Prima la pandemia e ora la crisi del gas prodotta dalla guerra in Ucraina, ma già anticipata dai rincari dell’estate precedente, hanno dato la stura al rilancio del fossile, alla corsa all’accaparramento dei nuovi giacimenti in giro per il mondo con tanto di accordi sottoscritti con le peggiori dittature. Tutto ciò in parallelo ai continui tentativi di deregolamentazione del settore rinnovabile, con un assalto al territorio senza precedenti. Prova ne sia che solo in Sardegna già da diversi mesi il numero dei grandi progetti di fotovoltaico e eolico a terra e a mare ha superato la quota duecento, un potenziale di produzione di energia nettamente superiore ai fabbisogni dell’Isola ma persino impossibile da esportare verso il Continente a causa delle carenze infrastrutturali, ovvero di cavidotti di capacità sufficiente e comunque di una rete elettrica in grado di sopportare questa nuova immissione di elettricità.
Nella confusione generale, la parola d’ordine non è stata, come sarebbe dovuto, l’incentivazione al risparmio e la messa a punto di un grande piano ordinato di transizione che includa, oltre ai necessari sistemi di produzione, l’indispensabile infrastrutturazione elettrica e una migliore gestione dei consumi, ma una sorta di liberi tutti in cui paradossalmente i principali attori della transizione sono diventate le maggiori multinazionali del fossile. L’accesso all’energia elettrica, a dispetto di quanto dovrebbe avvenire in un sano processo di transizione energetica, si sta così trasformando in un monopolio delle multinazionali e di grandi gruppi di interesse, accentuando ancora di più discriminazioni e diseguaglianze. In questa sede tratteremo il caso delle auto elettriche, uno dei simboli per eccellenza della transizione rinnovabile, le cui pubblicità imperano da diverso tempo nei mezzi di comunicazione e in cui, però, il messaggio iniziale sembra essere stato messo definitivamente in secondo piano da altri aspetti più effimeri e di tendenza.
L’auto elettrica è generalmente associata all’idea di costo di utilizzo quasi uguale a zero, ove l’ostacolo è piuttosto rappresentato dalla percorrenza media molto limitata e dal prezzo elevato. Negli ultimi anni però, a seguito dei notevoli sviluppi del settore tecnologico i consistenti investimenti delle maggiori case automobilistiche e la spinta politica nel settore del trasporto elettrico, anche attraverso incentivi e finanziamenti, possiamo disporre di batterie con maggiore capacità e peso ridotto, e pertanto di veicoli con maggiore autonomia, e prezzi di acquisto più abbordabili. Ora infatti è possibile acquistare un’auto elettrica a partire da circa 20mila euro: un prezzo tutto sommato ragionevole seppure ancora non alla portata di tutte le tasche. A questo punto resta da verificare la bontà della proposta elettrica e se effettivamente può rappresentare la valida sostituta dei motori a combustione interna.
Purtroppo, come si vedrà di seguito, e a dispetto di quanto ancora si crede, i costi di percorrenza delle auto elettriche risultano essere paragonabili e in alcune condizioni addirittura notevolmente superiori alle macchine a combustione interna, lo sono in particolare per le auto ad alte prestazioni. Ciò essenzialmente a causa del prezzo dell’elettricità ancora dipendente in buona misura dal prezzo dei combustibili fossili e del metano in particolare, con cui sono alimentate una parte consistente delle centrali di produzione, e dalle oscillazioni del mercato elettrico, drogato dai numerosi e diversificati incentivi, le cui variazioni rispecchiano sovente fenomeni meramente speculativi. Discorso a parte meriterebbe il costo dell’energia dalle colonnine di ricarica il cui valore cresce in proporzione alla potenza e quindi alla rapidità di ricarica, una sorta di nuova suddivisione delle classi sociali in forma energia elettrica: per chi possiede un’auto elettrica ma non è facoltoso è bene allora organizzarsi adeguatamente le soste e attrezzarsi per le lunghe ore di attesa.
In termini di consumi, seppure in misura inferiore rispetto ai veicoli a combustione interna, anche i veicoli elettrici risentono della tipologia di impiego (urbano, extraurbano, misto), dello stile di guida e dell’utilizzo più o meno intenso dei componenti ausiliari. Il raffrescamento e il riscaldamento possono addirittura comprometterne l’autonomia (immaginate l’auto ferma in coda al caldo o al freddo), e vi è da considerare l’ostacolo non di poco rappresentato dalla disponibilità di stazioni di ricarica, ancora piuttosto limitata e dai tempi per effettuare un pieno la cui durata può estendersi anche per diverse ore. Nei casi più estremi l’autonomia può scendere fino a poco più di 200 km, rendendo con ciò praticamente improponibile programmare viaggi oltre una certa distanza.
Per ovvie ragioni, nella trattazione del tema elettrico non si dovrebbero tralasciare le questioni di natura etica e ambientale. L’auto elettrica, così per come viene, o veniva, proposta, rappresenta l’alternativa al fossile, la soluzione per eccellenza a impatto zero. Pertanto, acquisisce pieno significato solo nel momento in cui viene alimentata a energia rinnovabile; seppure in città mantiene comunque il pregio di spostare le emissioni altrove, concentrandole nella sola centrale di produzione. In ogni caso, l’auto elettrica non è mai a impatto zero. Inquina indirettamente se l’energia proviene da centrali a combustibili fossili, ma anche quando proviene da biocombustibili (talvolta peggio dei fossili) o dalle rinnovabili, poiché, come oramai risaputo, anche queste ultime producono impatti sull’ambiente e sul paesaggio. E nel bilancio complessivo bisogna tener conto del processo di fabbricazione del veicolo e dei suoi componenti, come appunto le batterie, gli pneumatici, del loro smaltimento e delle sostanze emesse durante l’impiego e dovute in larga parte alle polveri sottili prodotte da pneumatici e freni, crescenti in proporzione al peso e alle prestazioni del veicolo, e il cui maggior contributo è dovuto all’utilizzo in città.
Non dovremmo neppure dimenticarci dei limiti rappresentati dalla vita limitata delle auto elettriche e in particolare delle batterie, le quali, in conseguenza della scarsa disponibilità in natura dei preziosi minerali che le compongono, imporrebbero una produzione e un impiego accorto proprio in ragione della loro salvaguardia. Al contrario, stiamo assistendo a una corsa disperata e crescente allo sfruttamento dei giacimenti, con il rischio concreto di rimanere a bocca asciutta nel brevissimo termine. E, laddove col recupero e il riciclo si potrebbe ovviare in parte al problema, restituendo nuova vita a materie prime e componenti, e con ciò riducendo l’immenso impatto ambientale dovuto all’estrazione e alla lavorazione dei diversi minerali, vi è invece un pressoché totale disinteresse poiché risulta più semplice e ancora economicamente più conveniente estrarre e poi buttare via piuttosto che recuperare. Fortunatamente, relativamente alle batterie, è stato recentemente raggiunto un accordo tra Consiglio UE e Parlamento Europeo per un nuovo regolamento di ridefinizione degli obiettivi di raccolta delle pile e accumulatori e facilitazione della sostituzione [1].
In ragione di quanto sopra, produzione, caratteristiche prestazionali e dimensionali dei veicoli e impiego dovrebbero essere rapportati alle reali necessità d’uso. A dimostrarlo sono anche i dati di diverse ricerche che confermano l’insostenibilità ambientale dei veicoli elettrici quando le loro prestazioni superano una certa soglia (vedi Appendice). Ma oggi, paradossalmente e al contrario di ogni sana logica, assistiamo alla rappresentazione dell’auto elettrica come un nuovo status symbol, un giocattolo dalla potenza spesso smisurata utile esclusivamente a soddisfare gli impulsi prodotti da una nuova moda. E, purtroppo, anche per chi è indirizzato all’auto elettrica per ragioni di esclusiva natura ambientale, alla luce di quanto emerso, l’acquisto rischia di rivelarsi una vera e propria fregatura.
Non esistono soluzioni a impatto zero e la transizione rinnovabile non è un processo di mera sostituzione del fossile col cosiddetto rinnovabile. Non è neppure ambientalmente sostenibile così come non vi sono risorse naturali sufficienti per la sostituzione di tutti i veicoli a combustione interna con veicoli elettrici. Invece di andare di fretta, come stiamo facendo, e di consumare tutto sempre più voracemente, dovremmo preservare le nostre riserve naturali, impiegarle con la dovuta oculatezza, procedere per gradi, lavorare alla riduzione dei consumi energetici e intervenire su tutta l’infrastruttura elettrica per adeguarla alla maggiore elettrificazione delle utenze. Cosa che non si sta facendo perché, mentre si sta spingendo esclusivamente sull’incremento dei sistemi di produzione elettrica da rinnovabile e l’elettrificazione dei mezzi di trasporto, le nostre reti sono invece già in evidente difficoltà poiché non in grado di gestire l’enorme e crescente flusso di energia. Col nostro comportamento non diamo certo l’idea di una società saggia, attenta e consapevole: quella attuale sembra piuttosto una rapida e folle corsa degli scemi verso il suicidio collettivo. La nostra battaglia, per chi lo vuole capire, non può essere di contrapposizione netta tra una soluzione tecnica e l’altra, tra fossile e rinnovabile, tra gas e petrolio, ma dovrebbe essere prioritariamente di riduzione drastica dei consumi e degli sprechi, ciò che, per cominciare, si potrebbe concretizzare con una serie di interventi logici quali per esempio il divieto di costruire e utilizzare inutili mezzi come SUV, supercar, yacht, velivoli privati e ogni altra nefandezza utile esclusivamente ad appagare l’ego smisurato di cervelli disturbati (e questo per non parlare di altri settori come per esempio la difesa o delle criptovalute la cui trattazione non è argomento di questo articolo e i cui reali e spropositati costi non suscitano l’interesse generale e rimangono ignoti ai più). Ovviamente la transizione, culturale e mentale prima ancora che ecologica, passa indispensabilmente attraverso l’impegno di ciascuno di noi, ma quando il 10% più ricco del pianeta è responsabile da solo del 50% dei consumi, e il 50% più ricco del 90% dei consumi, la strada logica degli interventi mi pare sia già tracciata
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