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La regina Maria Carolina “madre amorevole” nella Napoli dei lumi

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2023 @ 00:55 In Cultura,Società | No Comments

 

Gaspar van Wittel (Vanvitelli), veduta del palazzo reale di Napoli, 1706, Napoli, Musei d’Italia.

Gaspar van Wittel (Vanvitelli), Veduta del Palazzo reale di Napoli, 1706, Napoli, Musei d’Italia

di Mario Rastrellli

Una Capitale illuminista

Napoli, insieme a Milano fu una delle capitali dell’Illuminismo europeo. Dopo l’arrivo di Carlo di Borbone (1734) e la ritrovata indipendenza, «La città capitale divenne simbolo e nodo degli entusiasmi e delle delusioni, delle speranze e delle ripulse di fronte al formarsi dello Stato moderno» (Venturi, 1976: 233). La città fu teatro della nascente volontà mercantilistica proiettata sul moderno sviluppo delle monarchie illuministiche. In questo panorama essa appare un caso particolarmente interessante per i suoi squilibri estremi, sia nella società che nel rapporto con le province.

Durante il secolo dei lumi per numero di abitanti era seconda solo a Parigi. Fin dagli inizi del regno borbonico si ebbe la coscienza di essere una capitale, come viene descritta magnificamente con grande ottimismo dai tanti visitatori d’Europa. Ma essa era allo stesso tempo un «paradiso abitato dai diavoli» (de la Martinière, 1768). Le numerose guide che venivano ristampate come quella di Domenico Antonio Parrino, edita ai primi del Settecento, erano piene di elogi della capitale e della sua nobiltà, dedita alle lettere e alle armi. Ma Wolfgang Goethe nel suo Viaggio in Italia del 1786 sottolineava che la città, pur mostrando un paesaggio incantevole, era anche piena di poveri e “lazzaroni” che si trascinavano una vita di stenti, anche se non perdevano mai il buon umore, vivendo “in allegria”.

La difficile situazione economica era un argomento molto discusso dagli illuministi napoletani, Antonio Genovesi, Gennaro Maria Galanti e Gaetano Filangieri, che vedevano nella diffusione dell’istruzione in ogni ceto le possibilità di sviluppo del regno meridionale (Venturi, 1969). Antonio Genovesi (1765-67) fin dagli anni Cinquanta aveva trattato dell’educazione delle classi popolari, ritenendo che fosse necessario l’intervento dello Stato per un’opera di alfabetizzazione di massa. Il suo progetto era quello di creare delle “scuole per il lavoro” (i moderni istituti tecnici e professionali), per poter formare abili lavoratori (ad esempio piloti per le scuole nautiche, Sirago, 2022) e produttori di manifatture, che dovevano diventare la base dello sviluppo commerciale, come stava avvenendo in Inghilterra, teatro della prima rivoluzione industriale.

f-venturi-settecento-riformatore-copiaI ministri che attorniavano il giovane sovrano fin dall’inizio del suo regno manifestarono di voler diffondere le dottrine mercantilistiche già presenti in Europa riprendendo il modello austriaco. Per lo sviluppo economico del regno i ministri riorganizzarono gli organi di controllo del commercio, creando nel 1735 una Giunta di Commercio, diventata quattro anni dopo il Supremo Magistrato di Commercio (Sirago, 2004).  Genovesi si interessò anche dei nuovi aspetti culturali del Regno, per il quale cominciò a ragionare sulle questioni di storia della lingua e sull’importanza di conoscere l’italiano. Nella sua cattedra di economia finanziata dal ministro Bartolomeo Intieri, uno dei capisaldi era l’insegnamento in lingua italiana. Anche le sue Lezioni di commercio furono scritte in lingua italiana invece che nel tradizionale latino con un linguaggio accessibile a tutti, spedito ed essenziale, diventando in poco tempo uno dei testi di riferimento del riformismo illuminato (Sirri 1976: 294-297).

Nel 1758 un nuovo corso si apriva per il Regno meridionale: agli inizi di ottobre Carlo di Borbone lasciava Napoli per assumere il titolo di re di Spagna, affidando il giovane Ferdinando alle cure del fedele ministro Bernardo Tanucci il quale, nominato presidente del consiglio di Reggenza, ebbe il compito di aggiornare il sovrano con una lettera settimanale. Il ministro fin dall’inizio dovette affrontare un difficile periodo di transizione, in cui doveva difendere il “re pupillo”, poco considerato dalle potenze europee, attenendosi alle indicazioni che arrivavano da Madrid (Sirago, 2019: 513). Per Franco Venturi gli anni Sessanta erano un periodo di transizione tra i vari progetti formulati e la realizzazione delle grandi riforme, quasi una «primavera dell’Illuminismo» (Venturi, 1968: XVI). Dopo la carestia del 1764, a cui seguì una epidemia che falcidiò la popolazione, Tanucci si adoperò per superare la grave congiuntura economica (Carrino, 2020).  Raggiunta la maggiore età, il 12 gennaio 1767, al compimento del sedicesimo anno, il re iniziò il suo governo, sia pure coadiuvato dai ministri della abolita Reggenza. In un primo tempo il ministro Tanucci aveva dichiarato di voler rallentare la sua attività, data la sua cattiva salute. Ma poi, probabilmente su richiesta di Carlo, restò al fianco del giovane Ferdinando, ancora bisognoso di una guida sicura.

Un primo momento di crisi al termine della Reggenza si ebbe quando fu decretata l’espulsione dei Gesuiti dal Regno, sulla scia di quanto fatto dalla monarchia spagnola, con i cui proventi ricavati dai beni sequestrati furono aperte le “scuole per il lavoro” secondo il progetto di Antonio Genovesi, morto da poco tempo, realizzato da Giacinto Dragonetti, suo allievo.  Altri problemi si verificarono per il Tanucci dopo il matrimonio del re con Maria Carolina, figlia di Maria Teresa d’Austria, celebrato per procura il 7 aprile 1768, con il quale si creavano nuovi equilibri che preoccupavano il re. Per il matrimonio fu spesa una somma enorme che prosciugò le casse statali, aumentando le preoccupazioni del Tanucci che manifestava la sua preoccupazione a Carlo (Sirago, 2019: 524ss.).

Gli ultimi anni del ministro furono molto tristi. I rapporti con la regina divennero sempre più tesi perché ella mal sopportava il continuo colloquio e la gestione diretta, sia pure sotto forma di consigli, di Carlo. Tanucci aveva un ruolo delicato: riferiva a Carlo i comportamenti alquanto disdicevoli del figlio, dedito ai vari divertimenti, dalla caccia   alla pesca, al gioco d’azzardo, e poco incline ad occuparsi degli affari di Stato.

9788869733819_0_536_0_75La regina Maria Carolina e i suoi giochi di potere

A partire dagli anni Ottanta in Italia, seguendo il modello statunitense, gli studi storiografici hanno iniziato ad interessarsi alla storia di genere, dando una particolare attenzione al potere al femminile. In questo campo di ricerca un posto rilevante è quello del ruolo esercitato dalle regine e nobildonne in età moderna. Una figura molto interessante è senza dubbio quella di Maria Carolina d’Asburgo, regina di Napoli, che ha svolto una funzione chiave nel panorama politico borbonico nell’Età dei Lumi, sulla quale negli ultimi tempi sono stati pubblicati diversi studi (Sodano-Brevetti, 2016-2018).

La regina, arrivata a Napoli appena sedicenne, mostrava un diverso temperamento rispetto al marito, che, alquanto incolto, si rapportava a lei con modi grossolani, apostrofandola in dialetto stretto napoletano, mentre lei, allevata nella corte austriaca, mantenne modi raffinati essendo dotata di buona cultura che continuò a coltivare (Orefice, 2019). Ella possedeva una ricca biblioteca, circa seimila volumi, più della metà in tedesco, tra i quali spiccavano autori romantici come Goethe, Schiller e Kant; ma non mancavano sezioni dedicate alla letteratura di svago (viaggi), alle opere pedagogiche, alla storia e in particolare alla massoneria e all’Illuminismo (Zito, 2016: 175ss., Mafrici, 2018: 205ss.). La biblioteca, conservata a Napoli nel palazzo reale, era stata affidata alle cure della poetessa Eleonora Pimentel de Fonseca; ma, secondo Fabiana Cacciapuoti (1996), le sezioni in tedesco e francese, specialmente quelle di filosofia, «erano più adatte alla bibliotecaria che alla regina».

La Pimentel era molto stimata dalla regina che aveva avuto modo di apprezzarne le doti poetiche fin dal suo arrivo a Napoli. La giovane poetessa aveva composto un epitalamio per le nozze della regina, Il tempio della gloria, in 79 ottave, in cui decantava le lodi delle due famiglie, Borbone e Asburgo. Lo stesso anno era entrata a far parte dell’Accademia dei Filaleti e nell’Accademia dell’Arcadia napoletana col nome di Altidora Esperetusa, per i buoni uffici di Pietro Metastasio, che la stimava molto, scambiando con lei epistole in cui le dava consigli poetici e di letture. In questo epitalamio Eleonora utilizzava il modello metastasiano della rappresentazione del potere virtuoso dei sovrani, un modello ripreso anche nella cantata composta per la nascita del principe ereditario Carlo, La nascita di Orfeo, del 1775 (Zito, 2016: 183; Lunzer, 2018: 180-181).

Maria Carolina aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza tra la residenza di città, Hofburg, e il palazzo di campagna, Schonbrunn, seguendo una rigida etichetta di corte in cui erano compresi anche ricevimenti e feste. Aveva studiato latino e greco e conosceva perfettamente il tedesco, il francese e lo spagnolo. Trascorreva il suo tempo tra teatro, lettura e musica. Per la sua notevole intelligenza, accompagnata da una raffinata educazione di corte, voluta dalla madre che le ricordava sempre di non dimenticare le gloriose origini degli Asburgo, era destinata a ricoprire un ruolo chiave nella moderna geopolitica europea, secondo le mire di Maria Teresa, che le forniva diversi esempi degli impegni di governo. Prima di sposarsi le raccomandò di attenersi a quattro principi, il costante e graduale interessamento agli affari di stato, il pieno accordo con il marito, l’amicizia con il suocero Carlo, re di Spagna e, in ultimo, di non parlare sempre del suo paese natale e evitare di fare confronti tra le diverse abitudini (Mafrici, 2010: 27ss.).  La stessa imperatrice nel suo contratto matrimoniale stilato tra sua figlia e Ferdinando aveva fatto inserire una clausola, che avrebbe consentito a Maria Carolina di entrare a far parte del Real Consiglio di Stato dopo la nascita del primogenito maschio (Mafrici, 2010: 53ss. e 2020:28). La clausola era fortemente avversata dal Tanucci anche perché la regina, donna colta e attenta, si era inserita nel Consiglio di Stato ancor prima che nascesse il futuro erede, come riferiva il ministro a Carlo il 9 luglio 1771 (Mincuzzi, 1969: 682 ss.).

Fig. 2 Angelica Kauffmann, ritratto della famiglia reale di Napoli, 1783, Napoli, Museo di Capodimonte.

Angelica Kauffmann, Ritratto della famiglia reale di Napoli, 1783, Napoli, Museo di Capodimonte

Uno dei punti su cui dibatteva la regina in merito all’ingerenza del ministro era il ruolo della massoneria nella moderna società napoletana. Tanucci vedeva nella massoneria un male mentre la regina la proteggeva, provenendo da una corte in cui la presenza di tale organizzazione era la più forte di Europa. Dopo la nascita dell’erede Carlo Francesco nel febbraio del 1776, entrò a far parte del Consiglio di Stato e in pochi mesi riuscì a convincere il marito a far giubilare (mettere in pensione) l’anziano e malandato ministro: e questi, molto addolorato, il 29 ottobre dello stesso anno, scriveva a Carlo un’ultima lettera in cui lo avvertiva di aver ricevuto un dispaccio nel quale gli si ordinava di consegnare tutte le sue carte al marchese della Sambuca, Giuseppe Beccadelli Bologna, nominato suo successore a sua  insaputa (Mincuzzi, 1969:.1066). Finiva così bruscamente una brillante carriera prima al seguito di Carlo, poi del figlio Ferdinando, cresciuto dal Tanucci con affetto paterno. In anni burrascosi egli era riuscito a conservare il trono per il re pupillo. Ma poi il cambio di rotta dato da Maria Carolina, che voleva togliere il regno dall’influenza spagnola per dirigerlo verso quella austriaca, fece ritenere inutile, anzi dannosa la presenza del ministro. Egli però continuava a scrivere a Carlo ormai da privato cittadino, informandolo solo di avvenimenti di vita quotidiana (Sirago, 2019: 533ss.).

Da quel momento iniziava il cosiddetto “governo personale” della regina che ebbe inevitabili conseguenze sulla politica estera, volta ad allontanare Napoli dall’orbita spagnola per avvicinarla a quella austriaca e inglese (Mafrici, 2020: 31ss.). Maria Carolina dal punto di vista caratteriale era la più somigliante alla madre, da cui aveva ereditato il carattere forte e la passione delle riforme, intraprese tra il 1781 e il 1785, oggetto di sue “riflessioni” conservate nell’Archivio di Stato di Napoli (Archivio Borbone, Busta 76) analizzate da Giovanni Merola (2018). Ella, dopo l’allontanamento dalla Spagna, volle introdurre forme di assolutismo illuminato su modello austriaco, impegnandosi in alcune riforme già intraprese dal Tanucci, come quella di riorganizzare la flotta, ancora dipendente da quella spagnola. Perciò nel 1779 chiese aiuto al fratello Pietro Leopoldo granduca di Toscana che le inviò John Acton, di origine scozzese, generale della marina toscana, provetto uomo di mare (Nuzzo, 1960 e 1980). L’ufficiale, giunto a Napoli nell’agosto del 1778, l’anno successivo, il 14 aprile, fu nominato tenente generale e gli fu affidata la Segreteria di Stato e la direzione della Real Marina, a cui si aggiunsero il 4 giugno 1780 la Segreteria di Guerra e nel 1782 la Segreteria di Azienda e di Commercio. Poi, secondo un piano per la marina da lui stilato nel 1783 fece iniziare il cantiere di Castellammare, terminato in pochi anni, destinato alla costruzione di vascelli a 74 cannoni su modello francese (Sirago, 2020).

Fig. 3 Maria Teresa e Luisa Maria di Borbone a lezione di disegno, con il busto della madre Maria Carolina, ritratto di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, collezione privata.

Maria Teresa e Luisa Maria di Borbone a lezione di disegno, con il busto della madre Maria Carolina, ritratto di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, collezione privata

Il ruolo dell’istruzione dei figli per Maria Carolina.

Gli interessi della regina per la politica non le impedivano di essere una madre amorevole. Nei pochi anni rimasti del suo Journal (Diario) dal 1781 al 1785 e nei numerosi scambi epistolari con i familiari e con uomini di fiducia si evince che fu una madre molto solerte riguardo alla salute e alla educazione dei figli. Conosceva di ognuno di loro pregi e difetti, gusti, tendenze, si occupava personalmente della loro alimentazione, dei giochi, dell’abbigliamento e dei loro studi. Nel suo diario una frase ricorrente era «I cari bambini stanno bene». Ebbe 18 figli in 21 anni di matrimonio e numerosi aborti. La sua fertilità suscitava meraviglia negli ambienti di corte poiché con le sue continue gravidanze mostrava la sua virtù e la propria regalità.

Era una madre molto attenta alla salute dei propri figli, i quali spesso si ammalavano per le patologie che affliggevano i Borbone. La famiglia e gli affetti erano fondamentali per la Regina come si evince dal Journal. Era interessata ai passatempi dei bambini, balletti e spettacoli di marionette, ma soprattutto alla loro istruzione. Amava dare loro principi etici e morali, di prodigalità, onestà e generosità. Per lei era fondamentale la scelta delle nutrici, delle governanti e delle istitutrici, a cui chiedeva in primo luogo di educarli a sani principi religiosi data la sua sincera devozione. La prima figlia, Maria Teresa, nacque il 6 giugno 1772 e il 27 luglio 1773 nacque Luisa Amalia (Recca, 2018: 269, Mafrici, 2018: 198 ss.), affidata alle cure della contessa ungherese Carolina Frendel, coetanea della sovrana, scelta dall’imperatrice Maria Teresa dietro richiesta della figlia, che arrivò a Napoli nel 1780. 

In quel periodo era stato pienamente avviato il “governo personale” della regina a cui i ministri si rivolgevano per ogni decisione, visto lo scarso interesse politico del re Ferdinando. All’arrivo della Frendel nel 1780, la regina stilò delle dettagliate “Istruzioni” riportate in appendice per il programma quotidiano di studi e svaghi da seguire per la piccola Luisa Maria. All’inizio dello scritto dava un cenno del carattere della bambina, mettendo in risalto la ottima conoscenza della figlia, la quale doveva essere educata con pazienza:

«Je me crois oblige de vous donner des notions particulières pour l’éducation de Louise qui m’est tant à cœur et est une enfant faible a gâté ainsi il faut plus de patience et douceur qu’avec une autre son cœur et excellent elle a même un fonde d’émulation de vouloir faire une bonne figure et être loue mais la faible enfance fait que cela n’aucune …»
(«Mi credo obbligata di darvi nozioni particolari per l’educazione di Luisa che mi è tanto a cuore ed è una bambina debole incline a essere viziata perciò ci vuole più pazienza e dolcezza di un’altra il suo cuore è eccellente ella ha anche un fondo di emulazione di voler fare buona figura ed essere lodata ma la debole infanzia fa sì che non abbia alcun …»).

91wuz1k1rilDopo aver dato precise istruzioni sull’educazione la regina entrava nel merito del metodo educativo da seguire, dando orari precisi per tutto il corso della giornata. Si doveva alzare alle sette: al risveglio si doveva fare il segno della croce con devozione. Doveva poi vestirsi con decenza, evitando atti impuri (altrimenti bisognava rimproverarla con fermezza), recitando le preghiere inginocchiata davanti al Crocifisso. La regina inoltre era del parere che le preghiere dovessero essere corte ma recitate con devozione. Doveva poi fare colazione con cibi da lei stessa controllati “secondo la salute”. Dopo pranzo doveva fare un breve riposino; al risveglio doveva leggere la Vita dei santi in francese e alcuni capitoli del vangelo. In seguito, doveva scrivere una riga o due in francese, in un primo tempo copiando quello che scriveva l’istitutrice, poi ascoltando e seguendo la sua dettatura; doveva infine apprendere la grammatica francese. Alle nove e mezza doveva seguire la messa, per la quale la Regina chiedeva di essere severi, vigilando sul comportamento della figlia durante la funzione. Dopo la messa, alle dieci i giorni dispari don Ferdinando doveva cominciare ad insegnarle alcuni principi di aritmetica ma non il latino perché a sette anni   non era ancora necessario. I giorni pari padre Lambine le doveva insegnare il catechismo. Alle undici dovevano venire il maestro di musica o quello di disegno. A mezzogiorno prima di mangiare doveva dire una preghiera e poi pranzare con la primogenita Teresa. La sovrana inoltre insisteva molto sul fatto che le bambine dovessero avere modi corretti durante il pranzo. Dopo il riposino, con semplice sottogonna poteva giocare un po’. Alle quattro doveva riprendere i suoi compiti, cioè lezioni di francese con esercizi di lettura e scrittura ed alcune nozioni di geografia, per la quale la bambina aveva una certa tendenza e passione. Alle cinque doveva esercitarsi nel catechismo e alle cinque e mezza recitare il rosario con devozione.

Tre o quattro volte la settimana doveva venire il maestro di danza, poi si poteva fare una passeggiata a piedi o in carrozza e prendere una merenda leggera, frutta non dolci. La sera poteva avere ricreazione ma mentre giocava doveva imparare i nomi francesi per cui la Frendel doveva stimolare la sua curiosità di sapere i significati. Prima della cena doveva recitare la preghiera della sera in ginocchio davanti al crocifisso, infine nello svestirsi prima di coricarsi doveva avere la stessa cura nella compostezza (AFN, 29/19).

Da questo prospetto educativo si intuisce una rigida attenzione agli aspetti religiosi, frutto della forte devozione della regina. Non mancavano però interessi vari sia per l’alimentazione che per i comportamenti della giovane principessa. Vi era anche una cura nell’istruzione, sia per le prime nozioni di aritmetica, sia in particolar modo per la lingua francese, adottata in tutte le corti d’Europa e che una nobildonna ben istruita doveva saper utilizzare con una certa dimestichezza e competenza. La conoscenza del francese le risultò utilissima quando diventò Granduchessa di Toscana, sposando nel 1790 l’arciduca Ferdinando d’Asburgo Lorena due volte suo primo cugino (Vannucci, 2003: 150).

Fig. 4 Busto di Carolina Frendel, di Nicola Renda, 1853.

Busto di Carolina Frendel, di Nicola Renda, 1853

Negli anni trascorsi nella reggia Carolina Frendel divenne amica e sincera confidente della regina. Poco dopo il suo arrivo a corte conobbe Gaetano Filangieri che nel 1780 aveva già pubblicato i primi due libri della Scienza della legislazione e si era inserito a pieno titolo tra gli intellettuali illuministi napoletani. Egli aveva rapporti epistolari con Benjamin Franklin, al quale aveva mandato la sua opera. In una lettera del 14 maggio 1781 egli scriveva: «la sposa che scelgo è il modello delle mogli, che potrebbe compararsi alla Giulia di Rousseau», un modello esemplare di femminilità nuovo e superiore (Croce, 1974: 38). Ed in un’altra del 2 settembre 1782 «una dama che amo fino all’eccesso e dalla quale sono ugualmente amato; una dama le virtù della quale la farebbero distinguere nella Pensilvania istessa, ha risoluto di sposarmi. L’unico ostacolo che si oppone a tale unione è la mia povertà. Io non potrei vivere con lei nel mio paese senza espormi alle derisioni che l’opulenza suol fare così spesso nella miseria». Filangieri sognava infatti di trasferirsi con la sua sposa a Filadelfia ma Franklin lo dissuadeva con fermezza, viste le sue condizioni economiche.

Abbandonato il suo sogno americano chiese il permesso per sposarsi, un permesso necessario dato il suo servizio a corte come “maggiordomo di settimana e ufficiale dei volontari del regio Corpo di Marina” (detti liparoti) e il suo status di cadetto, che Ferdinando gli accordò. Le nozze tra lui e la Frendel furono celebrate nel 1783: i due sposi, trasferitesi a Cava, riuscirono a creare un modello di intimità familiare nuovo nel costume napoletano (Croce, 1974: 38-39). Il filosofo scriveva e Carolina lo seguiva con amore nei suoi studi. In una lettera a Franklin del 27 settembre 1788, scritta alcuni mesi dopo la morte del marito, gli comunicava il triste evento, sottolineando «mon époux, mon ami n’est plus; une maladie cruelle l’a emporté le 21 juillet à la fleur de son âge et avec lui toute ma félicité» (il mio sposo, il mio amico non c’è più, una malattia crudele se l’è portato via il 21 luglio nel fiore degli anni e con tutta la mia felicità) (Lo Sardo, 1999: 298). La donna mostrava così il bellissimo sentimento che la univa al marito non soltanto dal punto di vita amoroso ma soprattutto da quello sentimentale ed amicale, quello che Foscolo definiva nei Sepolcri “corrispondenza di amorosi sensi”.

Nel 1784, un anno dopo il matrimonio nacque il primogenito per cui la Regina scrisse alla Frendel una missiva in cui le comunicava il suo desiderio di fargli da madrina, e di chiamarlo in suo onore Carlo, facendosi rappresentare dalla principessa d’Alianello Marianna di Montalto, nonna paterna del piccolo Carlo (Filangieri, 1902: 6). Carolina in risposta a tale lettera ne scrisse una per ringraziare la regina del grande onore ricevuto da lei e da suo marito, nonché per il ritratto donatole dalla sovrana, alla quale si sentiva profondamente legata da un sincero rapporto di amicizia.  Nella lettera ricordava inoltre il suo precedente aborto e la gravidanza attuale; poiché la regina era stata in gran pericolo di vita, ella le dava solerti consigli per evitare altri luttuosi eventi. In primo luogo, bisognava «evitare le violente emozioni dell’anima e gli esercizi del corpo» poiché ella faceva «una vita troppo sedentaria per la natura delle sue occupazioni, occupando il suo tempo negli affari e nell’esercizio delle belle arti». Ella le consigliava inoltre di prendere molta aria, fare esercizio in modo moderato e tranquillo ed evitare l’uso dell’acqua troppo fredda «anche per lavarsi le mani»; infine le chiedeva di perdonarla della sua confidenza dovuta al suo «estremo attaccamento per lei» (archivio Filangieri Napoli busta 29/19).

Fig. 5 Firma di Carolina Frendel, Archivio Filangieri, Napoli

Firma di Carolina Frendel, Archivio Filangieri, Napoli

Conclusioni

In questo breve quadro delle dinamiche di corte della Napoli di fine Settecento si evidenzia come la regina Maria Carolina d’Asburgo e l’istitutrice Carolina Frendel abbiano rivestito un ruolo di primaria importanza nel quadro della civiltà illuminista meridionale. La regina, seguendo le orme materne ed avendo ereditato da lei uno spiccato temperamento ed interessamento per la politica, fin dall’inizio del suo matrimonio si interessò agli affari di Stato, anche perché doveva sopperire alle mancanze del coniuge, interessato più ai divertimenti che ai suoi compiti istituzionali. Carolina Frendel, venuta a Napoli come istitutrice della secondogenita della regina, dopo aver conosciuto Gaetano Filangieri, creò con lui un forte legame non interrotto neanche dalla morte. Ella aveva un carattere davvero moderno ed era molto sensibile agli aspetti letterari e culturali. Lo stesso Goethe (2018: 219) in visita al marito aveva osservato la sua prontezza di spirito e la sua cultura nel descrivere i tesori di Capodimonte. Pare che sia stata ella stessa a consigliare al marito di scrivere allo scrittore e viaggiatore tedesco (Croce, 1974: 32). Dopo la morte del marito continuò ad intrattenere rapporti con i suoi amici: nella lettera a Franklin dopo avergli dato notizie della sua morte gli prometteva di inviargli al più presto gli ultimi volumi dell’opera del marito che erano in stampa. In questi documenti esaminati appare però anche l’aspetto privato della regina e di Carolina, l’una madre premurosa e attenta all’educazione dei figli, l’altra non solo istitutrice ma anche amica e confidente della sovrana. 

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2022 
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Mario Rastrelli, laureato in lettere moderne nel 2021 con una tesi in Letterature Moderne comparate sui rapporti tra letteratura e mare, sta completando la laurea magistrale in filologia moderna. Ha presentato i testi di Maria Sirago   L’Istruzione nautica per la regia flotta e per la marina mercantile del Regno di Napoli (1734-1799), in Passaro B. Sirago M. Trizio P. B., Al servizio della Capitale e della Corte. La marineria napoletana nel Settecento, Napoli, ESI, 2019: 63-109.; La penna e la spada Bernardo e Torquato Tasso da Tunisi a Lepanto, Quaderni di Historia Regni, Nocera Superiore (Salerno), 2021; L’istruzione nautica nel regno di Napoli [1734-1861], Società Italiana di Storia Militare, nadir Media, Fucina di Marte, Collana della Società Italiana di Storia Militare, vol. 9, 2022.

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