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La lingua araba: un quadro sinottico sulla situazione socio-culturale

Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2015 @ 00:18 In Cultura,Società | No Comments

Quadro ispirato alla poesia araba preislamica

Quadro ispirato alla poesia araba preislamica

 di Francesca Morando

Dal momento che il binomio lingua-cultura è un rapporto inscindibile e, come è noto, reciprocamente plasmante per tutti gli idiomi, questa affermazione acquista maggiore forza laddove la lingua non è soltanto lo strumento funzionale alla comunicazione e l’espressione culturale di un popolo ma rappresenta soprattutto il mezzo (sacro) attraverso il quale si esprime una determinata religione. Per questo motivo l’obiettivo del presente contributo è quello di offrire almeno una chiave di lettura sulla lingua araba, per cogliere alcuni fondamentali atteggiamenti culturali, derivanti dal primario veicolo linguistico degli arabofoni (musulmani, cristiani ed ebrei [1], questi ultimi residenti nella ˀumma [2] fino al 1948) (Durand, 1995: 24 n. 42, 18) nei Paesi propriamente arabi [3], nonché in misura minore l’arabo variamente utilizzato dai popoli islamizzati non arabofoni, originari della Turchia e della quasi totalità delle repubbliche centro-asiatiche dell’ex URSS; dell’Iran, Afghanistan e Tagikistan; dell’India, Pakistan e Bangladesh; di Indonesia, Malesia, Birmania e Filippine e dell’Africa sub-sahariana, che giungono a superare abbondantemente i quattrocento [4] milioni di madrelingua e oltre il miliardo di praticanti e dunque potenzialmente parlanti arabo come lingua seconda o lingua straniera (L2/LS).

Per ragioni storiche e culturali Anghelescu (1993: 6) definisce gli arabi come «i detentori della lingua araba», dal momento che questa ha rappresentato a lungo il fulcro delle tradizioni poetiche beduine, mutuate successivamente come strumento espressivo della nuova cultura (arabo-)islamica, convogliando in questo modo nella lingua anche il mezzo sacro per la divulgazione del messaggio divino. Non a caso il Corano viene concepito, in ambito islamico, proprio come modello inimitabile di perfezione poetico-letteraria ma anche come elemento fondante dell’escatologia, dei gesti e dei rituali della quotidianità dei musulmani, nonché mezzo accentratore della lingua e della cultura arabo-islamica.

L’arabo colloquiale, l’arabo aulico, l’arabo “mediano” o “medio” e l’arabo africano

La lingua araba si suddivide sostanzialmente in lingua letteraria moderna (MSA), legata ai registri “alti” e nelle varietà quotidiane connesse alla zona di appartenenza, variamente influenzate da lingue di sostrato e/o da altre lingue (di parastrato o derivanti dall’influenza coloniale).

Per potere parlare di sociolinguistica bisogna prendere prima in considerazione alcuni fondamentali parametri di variazione, abbastanza veritieri per tutto il mondo arabo, che sono:

  • l’istruzione, sebbene in crescita dal secondo dopoguerra. In alcuni contesti, infatti, le donne continuano a studiare meno degli uomini e in alcuni paesi si registrano, in generale, ancora alti tassi di analfabetismo [5];
  • l’identità etnica, che una volta coincideva anche con la propria fede di appartenenza. Con gli ultimi sconvolgimenti socio-politici dovuti anche alle “Primavere Arabe” e alle migrazioni all’interno e all’esterno dei Paesi arabi (come per esempio l’esodo palestinese), dialetti poco conosciuti sono usciti al di là dei propri confini territoriali;
  • l’opposizione dialetto sedentario ≠ dialetto beduino, sebbene negli ultimi decenni il massiccio inurbamento tenda a livellare linguisticamente le differenze;
  • il sesso del parlante;
  • la classe sociale;
  • il contesto in cui usare i diversi registri linguistici.
 carta dei dialetti arabi

Carta dei dialetti arabi

Il madrelingua arabo, in realtà, apprende sin dall’infanzia la varietà linguistica dialettale della propria area di origine, vivendo dunque una condizione di dialettofonia, che però muta presto in diglossia. L’arabo liturgico e l’arabo letterario vengono imparati, infatti, successivamente al proprio dialetto, anche grazie a programmi educativi televisivi, in arabo colto, ideati appositamente per i più piccoli. Pertanto l’arabofono (musulmano) si trova ad utilizzare varietà comunicative “alte”:

  • in moschea; sebbene avvenga spesso che «i testi religiosi redatti in varietà A non di rado vengono spiegati in varietà B» (Mion G., 2007: 121);
  • nelle lettere personali;
  • nei discorsi politici;
  • nelle discussioni religiose o comunque elevate;
  • nelle lezioni universitarie;
  • nei telegiornali e nei radiogiornali;
  • negli articoli giornalistici;
  • nella poesia e nella maggior parte della letteratura.

Il madrelingua utilizza, invece, le varietà comunicative “basse” quando:

  • si rivolge a camerieri, impiegati, eccetera;
  • parla con i familiari, gli amici e i colleghi;
  • ascolta la maggior parte delle canzoni;
  • vede la maggioranza dei film e delle produzioni televisive;
  • vede e ascolta la pubblicità; legge le vignette e le caricature politiche;
  • legge la letteratura popolare e va a teatro ad assistere alla rappresentazione di opere teatrali in dialetto.

Al di fuori della propria zona di origine, il parlante può trovarsi, in svariati contesti, nella condizione di dover parlare con altri madrelingua, portatori di altrettante varietà dialettali, anche distanti dalla propria. Quindi, sorge spontaneo chiedersi come gli arabi riescano a superare tutte queste insidie comunicative che la loro stessa lingua pone. Gli stratagemmi che essi adottano possono risultare sorprendentemente variegati. Ad eccezione dei letterati abituati per professione ad utilizzare l’arabo moderno letterario (Modern Standard Arabic), si ricorre spesso al compromesso linguistico (chiamato arabo “mediano” o “medio”, al-carabiyya al-wusṭā), ossia un atto individuale, momentaneo e fortemente condizionato dalla conoscenza del MSA e dalla capacità di “dedialettizzare” la propria parlata, mantenendone però le basi sintattiche e grammaticali [6]. Il medio arabo si caratterizza quindi per l’assenza delle vocali brevi finali (indicanti i casi) e la tendenza all’uso di parole ed espressioni echeggianti il MSA e la fuṣḥà (lingua “eloquentissima”, riferita alla poesia preislamica e, successivamente, al Corano, inteso peraltro come modello inimitabile di perfezione poetica e letteraria). Inoltre, come ricorda Mion (2007: 123, 130) se tra due parlanti uno attinge da un dialetto rurale (o comunque di un centro urbano meno prestigioso della capitale), questo tenderà ad imitare la parlata utilizzata dal suo interlocutore, che adotterà un dialetto avvertito come più “prestigioso”.

Chiaramente l’arabo mediano per essere davvero mutualmente comprensibile deve (o almeno dovrebbe) essere scevro di tratti fortemente caratterizzanti la propria parlata, quali:

  • l’ˀimāla, ovvero “l’inclinazione” nell’esecuzione della [ā] verso tutti i gradi di realizzazione della [e], fino ad arrivare alla realizzazione della [i];
  • i tratti fonetici e il lessico strettamente locali;
  • l’interferenza con le lingue straniere [7], presenti nel proprio paese, siano esse retaggi coloniali, influenze linguistiche o lingue autoctone;
  • il code-switching o il code-mixing, commistione di lingue diverse all’interno della conversazione, o commutazione delle singole parole di lingue diverse, all’interno di una frase, attuate da parte dello stesso parlante.

È interessante sottolineare che la diffusione dell’arabo in alcuni Paesi africani è in fase di costruzione: per esempio in Sudan, in Ciad, in Nigeria e in Camerun, le varietà locali hanno in comune il fatto di risentire in particolar modo dell’egiziano e delle lingue subsahariane a loro vicine. Altri paesi come la Somalia e il Gibuti, invece, riconoscono la lingua araba come una delle lingue ufficiali, sebbene attualmente soltanto il Ciad abbia legittimato l’arabo, significativamente nella varietà “ciadiana” (Durand, 2009: 211), come una delle lingue ufficiali del Paese.

Bambini congolesi apprendono l'arabo

Bambini congolesi apprendono l’arabo

Paradossi linguistici

Quanto accennato rappresenta sempli- cemente una schematizzazione che ha l’obiettivo di descrivere uno spaccato verosimile della situazione linguistica legata all’immediatezza dell’oralità e della lingua madre (L1) e quindi della sfera affettiva del parlante. Quanto si sta per delineare riguarda invece il campo espressivo dell’ufficialità, la quale, pur appartenendo a un registro diverso da quello orale quotidiano, tocca ugualmente e in profondità la sensibilità dell’arabo musulmano, dal momento che tale registro, nella varietà fuṣḥà, è la lingua della tradizione culturale, specialmente quella rimandante al Corano, che è rimasta sostanzialmente immutata.

Per quasi 1400 anni, infatti, l’arabo ha veicolato i concetti propri della cultura araba e dell’Islam e, grazie alla sua struttura caratteristica, è stato possibile adattare parole e linguaggi non arabi ai suoi schemi linguistici, tanto in lingua colta che nelle varietà vernacolari, che si basano fondamentalmente sulle derivazioni del triconsonantismo (e in misura minore sul quadriconsonantismo), le quali esprimono a priori dei significati, legati alla forma del modello della parola stessa.

Sembra quindi appropriato definire il sentimento di legame alla propria lingua come un profondo “timore reverenziale”, rivolto a un ideale linguistico inimitabile, distante dal parlato comune, verso il quale ogni “devianza” è considerata esecrabile. Infatti, Nadia Anghelescu (1993:131) riporta:

«Gli errori non vengono considerati sintomatici per le tendenze della lingua, ma per una certa superficialità nel capire le responsabilità che si hanno nei confronti della lingua e, implicitamente nei “confronti dell’avvenire della nazione”».

E continua (1993:145) riportando (forse con vena un po’ folkloristica nelle sue rilevazioni):

«il poeta [arabo] viene ascoltato (anche letto, ma soprattutto ascoltato) in vaste riunioni tumultuose, nelle quali i giovani vibrano come noi siamo abituati a vederli vibrare soltanto per la musica».

Sottolineando (1993: 30) però che il motivo dell’evocazione della bellezza della lingua araba risieda nel ritmo, nella musicalità e nella ripetitività dei suoni, invece della gradevolezza del messaggio poetico in sé. Pertanto dal periodo arcaico a quello contemporaneo, Hitti (1958), rilevato da Anghelescu (1993:10), afferma che:

«quasi nessuna lingua sembra capace d’esercitare sulla mente dei proprii utenti un’influenza così irresistibile come l’arabo. Il pubblico moderno di Bagdàd, di Damasco e del Cairo può entusiasmarsi al più alto grado di recitazione di poesie, solo vagamente capite, e alla declamazione di discorsi in lingua classica, benché intesi solo parzialmente. Il ritmo, la rima, la musica, producono sugli uditori l’effetto di ciò che essi chiamano “magia permessa” (siḥr ḥalāl)».

La tradizione vuole che il futuro califfo cUmar ascoltando la sūra Ṭāˀ-hāˀ fosse colto dalla stessa “magia”[8], così che il Corano «penetrò nella sua anima» (Anghelescu 1993: 20). Ancora oggi abbiamo appurato che anche la lingua quotidiana è traboccante di espressioni tratte dal Corano, in quanto:

«questo imparato a memoria fin dall’infanzia, costituisce il repertorio di definizioni, di consigli per l’azione pratica, al quale si fa costantemente appello […] e che non necessariamente dev’esser “compreso” nel senso usuale della parola» (Anghelescu 1993: 24).

Ciò nonostante Anghelescu (1993: 9) sottolinea la citazione di Polk, W. R. (1980), secondo il quale la lingua non è una forma d’arte, bensì l’arte degli arabi per eccellenza. Risulta chiaro, quindi, come la potenza e la perfezione della fuṣḥà “devono” essere celebrate, in tutti i modi possibili, come per esempio anche attraverso la calligrafia, arte sacra per i mistici musulmani, nonché uno dei pochi elementi decorativi della produzione artistica islamica.

Basmala-ovvero-“in-nome-di-Dio-misericordioso-e-compassionevole”.

Basmala ovvero “in nome di Dio misericordioso e compassionevole”

Questa situazione linguistica multi- sfaccettata si ripercuote anche nell’apprendimento sia per i nativi che per gli apprendenti dell’arabo e nel corretto impiego dei registri linguistici, dal momento che un madrelingua dovrebbe possedere piena competenza dell’arabo colto e del proprio dialetto e un arabista parimenti dovrebbe padroneggiare entrambi gli aspetti diglottici. Tuttavia, non di rado tale controllo linguistico, esercitato sia da un parlante nativo che da un apprendente, non avviene (sebbene non manchino ovvie e confortanti eccezioni). Habib Ounali rafforza le conclusioni paradossali che vive il madrelingua arabo (musulmano), concentrando i propri studi sui frequentanti l’Università di Tunisi, riportato da Anghelescu (1993: 140):

«L’arabo letterario è forse il più rispettato, ma di gran lunga il meno usato. È la lingua ufficiale del Paese, è la lingua del Corano, della civiltà arabo-musulmana, in breve è la lingua di prestigio. Ma l’àmbito d’uso di questa lingua si limita alle lezioni e a qualche attività letteraria. Che fare per le altre attività non culturali? Per gli ambienti non universitarii? L’unica lingua che i nostri studenti possono utilizzare è il francese. Ma tutto congiura per impedire che il francese diventi l’unica lingua degli studenti: il sentimento personale, nazionale e religioso , e soprattutto un popolo che non parla francese. […] L’arabo dialettale può riuscire dove il letterario ha fallito? Certamente no. L’arabo dialettale è si la lingua madre, quella che ogni Tunisino può usare con ogni altro Tunisino, e farsi comprendere, a condizione tuttavia di parlare soltanto d’affari quotidiani banali. Non è ancora lingua culturale, se si escludono i saggi letterarii. I nostri studenti rifiutano l’idea che possa esser la lingua della cultura. [...] Buona parte degli studenti interpellati utilizzano “con rassegnazione” una specie di miscuglio linguistico arabo-francese, mentre altri, più capaci di controllarsi, adoperano una lingua intermedia fra il classico e il dialettale, che accetta il francese soltanto sotto la forma, normale, di prestito locale»[corsivi miei].

La situazione in qualche modo risulta analoga anche in Egitto, dove Nada Tomiche (in Anghelescu, 1993: 141) sostiene che:

«esiste in primo luogo la lingua letteraria, “assolutamente incomprensibile per un pubblico analfabeta” e mal conosciuta anche dai diplomati della scuola superiore, ma compresa da tutte le persone colte del mondo arabo».

Riguardo al corretto uso dell’arabo a seconda dei diversi contesti Muḥammad Kāmil Ḥasan (in Anghelescu, 1993: 139) afferma con parole forti che:

«Le difficoltà di chi impara l’arabo e di chi si trova nella situazione di utilizzarlo provengono, […] dal fatto che non si valutano correttamente le circostanze in cui si dovrebbe usare un livello o un altro della lingua. […] Non si potrà diffonder la cultura nelle masse […] finché più di cento milioni di arabi saranno obbligati a imparare l’arabo “elevato” con tutte le sue complicazioni, le quali, di fatto sono conosciute da qualche migliaio di persone che han consacrato la vita a questo studio. Non esisterà una vera cultura, […], finché ciascuno non potrà essere sicuro della propria lingua, né nascerà una vera letteratura finché gli scrittori non potranno innovare senza temere di calpestare il territorio sacro d’una grammatica insegnata con metodi sorpassati. […]. Molti di coloro che si sentono sopraffatti dal timore permanente di sbagliare ricorrono a una lingua straniera, che imparano e maneggiano con una facilità e destrezza che non possono applicare alla loro lingua nazionale»[corsivi miei].

Per quanto riguarda l’apprendimento rivolto a parlanti non nativi, è indicativo riscontrare una certa insofferenza verso i metodi tradizionali, lamentati per esempio da Hana Hirzalla (2011), che suggerisce ai docenti studi di linguistica e di acquisizione di una lingua seconda; la didattica comparativa e la formazione degli insegnanti. Va sottolineata anche la grave carenza di una certificazione normata come quella esistente per le lingue europee oltre a quelle certificanti per esempio il russo, il giapponese, il cinese e il coreano. A maggior ragione che l’arabo rappresenta anche una delle sei lingue ufficiali dell’ONU, accanto all’inglese, al francese, allo spagnolo, al russo e al cinese e pertanto un’individuazione precisa del grado di conoscenza diventa indispensabile, proprio per l’applicazione di tale lingua, per esempio, nei diversi contesti lavorativi.

Tavole astronomiche di al-Bīrūnī

Tavole astronomiche di al-Bīrūnī

La cultura

In ultima analisi ma non trascurabile per importanza risulta anche il ruolo della cultura, veicolata dalla lingua, che deriva dalla notevole estensione spazio-temporale e culturale dell’Islam, con stratificazioni locali, che vanno rilevate e non certo appiattite e che inducono a studi approfonditi.

Come precedentemente accennato il binomio lingua-cultura rappresenta la base per la formazione dell’identità, che nel caso delle società islamiche risulta essere un processo «autocomprensivo», come afferma Abdel-Karim (2007: 3), dal momento che per costui l’Islam è un «progetto onnicomprensivo, sociale religioso, politico e culturale» che si manifesta in maniera imprescindibile «come religione-cultura-politica».

Pertanto incentrandosi esclusivamente sulla lingua, è indicativo rilevare che i beduini riconoscevano nella poesia la propria forma artistica, per quanto fosse un patrimonio quasi esclusivamente orale, a differenza del Corano, il quale, risultando anche il primo libro scritto, caldeggia invece l’uso della grafia e lo stesso viene definito come “la Madre della Scrittura” (Corano III.7). Dalle Grandi Conquiste [9], intraprese per la diffusione del messaggio coranico, aumenta anche esponenzialmente la proliferazione dei libri, che registrano lo scibile arabo-islamico (integrando anche il proprio sapere con le traduzioni in arabo della vasta produzione scientifica dei popoli confinanti), con particolare attenzione alle scienze, interpretate come prove tangibili della potenza creatrice di Dio (fra le quali straordinaria importanza riveste per esempio l’astronomia, sin dal periodo preislamico, successivamente “incanalata” per fini religiosi).

Di conseguenza Atighetchi (2009:232) scrive che:

«L’interesse dei testi sacri (Corano e Sunna) dell’Islàm verso la scienza viene dalla stessa parola di Dio, in quanto almeno 750 versetti del Corano (1/8 circa del totale) esorterebbero allo studio della natura con richiami di ordine cosmologico, fisico, biologico ecc… […]. Analogamente si esprimono famosi “detti” (ahadith) del Profeta Muhammad per il quale l’incremento della conoscenza è obbligatorio per i musulmani che sono invitati a cercarla “anche in Cina”».

Da quanto delineato fin qui emerge la dimostrazione che la lingua araba, essendo rilevata come lingua sacra (oltre che fortemente identitaria) dai musulmani, assume in partenza una significativa specificità culturale, che, per esempio, noi italiani non diamo alla nostra lingua, fra l’altro portatrice anch’essa di un enorme repertorio poetico-letterario, grandemente apprezzato nel resto del mondo (basti pensare al Petrarchismo o ai copiosissimi studi su Dante). Tanto più che l’italiano rappresenta la lingua sacra (insieme al latino) e veicolare all’interno della Chiesa, ma volendo fare una comparazione con la situazione socio-culturale dell’arabo emergono delle profonde differenze sostanziali, che meriterebbero ulteriori approfondimenti.

Dialoghi Mediterranei, n.16, novembre 2015
Note
[1] «Cristiani ed ebrei solevano […] ricorrere al dialetto musulmano in presenza di musulmani. Oggigiorno, entrambe le comunità – segnatamente gli ebrei del Maghreb – tendono ad abbandonare l’arabo (e quindi il giudeo/cristiano-arabo) a favore del francese o dell’inglese. Dialetti giudeo-arabi continuano ad essere parlati presso comunità ebraiche emigrate dopo il 1948 in Israele» Durand (1995).
[2] Comunità di fedeli musulmani, al di sopra di ogni connotazione etnico-linguistica e culturale. «Il concetto di ’nazione’ (waṭan) in Islam è assai poco assimilabile a quello che ha ed ebbe in Europa nei secoli passati » Durand (1995).
[3] Sono ufficialmente definiti Paesi arabi: Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iraq, Kuwait; Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Siria, Sudan, Tunisia, Yemen. A questi vanno aggiunti l’Autorità Nazionale Palestinese, la Repubblica delle Comore, Somalia e Gibuti. Inoltre in Ciad, Somalia e Gibuti l’arabo è una delle lingue ufficiali. http://www.arableagueonline.org/
[4] «World Arabic Language Day is an opportunity [...] to celebrate the language of 22 Member States of UNESCO, a language with more than 422 million speakers in the Arab world and used by more than 1.5 billion Muslims». Estratto del messaggio di Ms Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO, per l’occasione del primo “World Arabic Language Day” 18 dicembre 2012. http://www.unesco.org/new/en/unesco/events/prizesandcelebrations/celebrations/internationaldays/world-arabic-language-day/ 09/10/2014.
[5] Qua di seguito viene riportata soltanto la capacità di leggere e scrivere. Il campione rappresentato è la media tra uomini e donne dei paesi appartenenti alla Lega Araba: Algeria (72.6%) (stima 2006); Arabia Saudita (87.2%) (stima 2011) Bahrein (94.6%) (stima 2010); Comore (75.5%) (stima 2011); Egitto (73.9%) (stima 2012); Emirati Arabi Uniti (90%) (stima 2005); Gibuti (67.9) (stima 2003); Giordania (95.9%) (stima 2011); Iraq (78.5%) (stima 2011); Kuwait (93.9%) (stima 2008); Libano (89.6%) (stima 2007); Libia (89.5%) (stima 2011); Marocco (67.1%) (stima 2011); Mauritania (58.6%) (stima 2011); Oman (86.9%) (stima 2010); Territori Palestinesi (95.3%) (stima 2011); Qatar (96.3%) (stima 2010); Siria (84.1%) (stima 2010); Somalia (37.8%) (stima 2001); Sudan (prima della secessione del Sud Sudan: (71.9%) (stima 2011); Tunisia (79.1%) (stima 2010); Yemen (65.3%) (stima 2011). https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/fields/2103.html#dj
[6] Durand (1995): 38.
[7] La parola arabo-dialettale /glas/ di origine inglese (glass: vetro, bicchiere) e francese (glace: gelato, ghiaccio, specchio, finestra) indica rispettivamente in Iraq il “bicchiere” e in Marocco il “gelato”. Il parlante arabo che ascolta comprende il forestierismo, che va però contestualizzato.
]8] Un proverbio arabo dice: «La parola è la più bella delle magie astratte», in Aveni (1994): 61.
[9] Subito dopo la morte di Muḥammad le conquiste islamiche esportarono una nuova religione e una nuova lingua che si insinuarono nel Vicino Oriente, in Anatolia, in Asia centrale e in Nordafrica (a più riprese). Ad eccezione del Nordafrica (ovvero oltre l’Egitto) le zone immediatamente limitrofe alle prime conquiste avevano già avuto contatti con le tribù arabofone secoli prima. Da quelle invasioni nacquero i vari dialetti odierni, i quali, dalla loro forma più arcaica, si evolsero via via nel cosiddetto “neoarabo” (varietà parlata). A seconda delle isoglosse, della classificazione sociologica e geografica i moderni dialetti arabi sono determinabili per macroaree (cfr Morando (2015).
Riferimenti bibliografici
Abdel-Karim G., (2007), Islam, Palermo: Abbadessa.
Anghelescu, N. (1986), Limbaj şi cultură în civilizaţia arabă, Editura ştiinţifică şi enciclopedică, Bucareşti, trad. italiana (a cura di) M. Vallaro, (1993), Linguaggio e cultura nella civiltà araba, Torino: Edizioni Silvio Zamorani.
Atighetchi D. (2009), Islam e bioetica, Roma: Armando editore.
Aveni A. (1994), Conversando con i pianeti, Il Cosmo nel mito e nella scienza, Bari: Dedalo.
Durand O., (1995),  Introduzione ai dialetti arabi, Milano: Centro Studi Camito-Semitici.
– (2009), Dialettologia araba, Roma: Carocci.
Mandel Hān, G. šayh (a cura di), (2004), Il Corano, Torino: UTET.
Mion G. (2007), La lingua araba, Roma: Carocci.
Morando F., (2015), Il-lingwa Maltija: origine, storia, comparazione linguistica e aspetti morfologici (ISBN 9788899113391).

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Francesca Morando, laureata alla Sapienza con il massimo dei voti in Dialettologia araba (relatore O. Durand), insegna arabo presso varie strutture sia pubbliche che private; è traduttrice giurata di lingua araba presso il Tribunale di Palermo ed è specializzata in Didattica dell’Italiano L2/LS. È stata anche docente presso l’Università di Palermo e l’Università Gar Younis di Bengasi, oltre che in Egitto e nella Georgia caucasica.

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