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La letteratura italiana senza Dante. La lezione di Francesco De Sanctis e di Cordelia Ray

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2022 @ 02:13 In Cultura,Letture | No Comments

 Boccaccio, Petrarca (Firenze, Uffizi)

Boccaccio, Petrarca (Firenze, Uffizi)

di Valerio Cappozzo

Si è appena concluso il settecentenario dantesco che abbiamo vissuto in una scenografia propria del Decameron e con una sospensione tra la vita e la morte tipica del Canzoniere petrarchesco. Infiniti sono stati gli eventi organizzati in tutto il globo: convegni, pubblicazioni, letture, filmati, mostre, spettacoli e chi più ne ha più ne metta. Da un lato, l’anniversario ha permesso la divulgazione del messaggio dantesco sottolineandone l’importanza e la vitalità nella nostra contemporaneità; dall’altro l’abbondanza di occasioni per ricordarlo e commentarlo ha superato la soglia dell’attenzione della maggior parte delle persone che hanno sentito parlare dell’unico poeta italiano chiamato per nome proprio.

L’equivalenza tra il personaggio e l’uomo ne hanno fatto il pilastro della letteratura italiana sin dalla sua biografia, della quale si sa poco nello specifico ma di cui risuona l’infamia che la società dell’epoca gli ha serbato insieme all’amore non corrisposto di Beatrice. Parlando di amore ricadiamo immediatamente nel personaggio ignorando ancora una volta l’uomo che da esule ha scontato l’irriconoscenza umana. Questa operazione narrativa, che vede l’ambivalenza del personaggio e dell’autore, sigilla la sua opera che, trovandosi a essere innovativa rispetto alla lingua e alle tematiche che vengono in essa sviluppate, pone inevitabilmente Dante in cima al Parnaso italiano.

Ma ci domandiamo, ora che il povero Alighieri deve sentirsi stanco dopo un anno in cui gli abbiamo fatto fischiare le orecchie, come è stata la letteratura senza di lui. Perché in fondo l’opera dantesca ha trovato un vero e proprio terreno di studi dalla “pubblicazione” della Commedia alla seconda metà del Cinquecento, e poi dall’Ottocento a oggi. Nel frattempo, quindi per una parte del sedicesimo secolo e per tutto il Seicento e il Settecento, l’attenzione è stata dedicata a Petrarca, cui il petrarchismo ha assunto la forma di contenitore tecnico per aspirare all’alta poesia, venendo meno l’astrattezza e la visione spirituale dell’amore. Questo evidentemente da parte di poeti non così abili, mentre il messaggio dantesco abbisogna di ridiscendere dentro se stessi prima di rappresentare con consapevolezza la realtà sociale, politica, culturale.

Klaus Wrage, Dante sconvolto, 2021

Klaus Wrage, Dante sconvolto, 2021

Seguendo il canone istituito da Pietro Bembo, che nelle Prose della volgar lingua (1525) consiglia Boccaccio per la prosa e Petrarca per la poesia, l’esclusione di Dante prende piede sempre di più durante la Controriforma in cui si censurano le sue opere per motivi politici (il De Monarchia perché filo imperiale), erotici (la Vita nova vista come un trattato libidinoso), mentre della Divina Commedia se ne pubblicheranno, nel ‘600, solamente tre edizioni a stampa.

In questi secoli la poesia vive il punto più basso della sua produzione, tranne in casi celebri, mentre la fantasia si sbizzarrisce nell’arte, nella musica e nella trattatistica. Sarà grazie al Romanticismo e al Risorgimento che sia Dante sia l’Alighieri vengono riconsiderati nella loro importanza letteraria e storica. Non furono, difatti, propriamente dei filologi a riscoprire il poeta fiorentino alle soglie dell’Ottocento, ma scrittori quali Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi e Niccolò Tommaseo, tra gli altri, che rimisero al giusto posto il cavaliere dei sentimenti e delle lotte politiche. Lo spirito romantico e gli ardori risorgimentali hanno fatto sì che per risvegliare le coscienze e stimolare le emozioni c’era il bisogno di andare a scavare nelle lettere italiane delle origini.

Per fare un esempio lampante, torniamo a Francesco De Sanctis. E ci vogliamo tornare non per rimarcarne le basi metodologico-interpretative, ma per soffermarci su quello che dicevamo poc’anzi, ovvero che la lettura dantesca è dedicata a chi è disposto a ridiscendere in sé, scontrandosi con le difficoltà della situazione che vive. Dal punto di vista istituzionale, Francesco De Sanctis ha contribuito in maniera determinante alla riabilitazione di Dante, e lo ha fatto sia dal punto di vista critico letterario nella sua Storia della letteratura italiana, sia in qualità di Ministro dell’Istruzione. Ma se De Sanctis arriva all’Alighieri è perché fa esperienza dei suoi travagli personali e politici prima ancora di erigerlo ad esempio squisitamente letterario. 

Giovanni di Paolo, Dante espulso da Firenze, c. 1450

Giovanni di Paolo, Dante espulso da Firenze, c. 1450

A seguito della partecipazione attiva ai moti rivoluzionari del 1848, il critico irpino ha affrontato un vero e proprio percorso dantesco che lo vede confinato, incarcerato ed esiliato. Per due anni è costretto in provincia di Cosenza prima di essere arrestato e tradotto a Castel dell’Ovo nel 1850 con le imputazioni di affiliazione al movimento mazziniano e di congiura contro il re. L’istruttoria del processo, durata due anni e mezzo, si conclude con il riconoscimento dell’infondatezza delle prove d’accusa e, dopo tre anni di carcere a Napoli le autorità borboniche, senza approvare l’assoluzione giudiziaria e considerandolo pericoloso, lo bandiscono dal Regno. Una volta imbarcato alla volta dell’America come esule politico, nell’agosto del 1853 grazie all’intervento dell’amico Angelo De Meis di ritorno dal suo confino parigino, riesce a fuggire da Malta in direzione di Torino, con la speranza di ricongiungersi con il gruppo degli esuli napoletani. Nella città piemontese ricomincia a insegnare dando lezioni private e tiene le sue celebri conferenze dantesche pubblicando interventi di critica letteraria e scritti politici, prima di essere chiamato a insegnare Letteratura italiana al Politecnico di Zurigo nel 1856.

Il periodo del confino, del carcere, dell’esilio e quest’ultimo di insegnamento all’estero, ha segnato il suo animo in diversi modi: lo ha reso miscredente nei confronti delle istituzioni che gli si sono rivoltate contro con un evidente abuso di potere; lo ha fatto avvicinare allo spirito più rivoluzionario del Risorgimento, come ha dato prova nelle strade di Napoli e durante le sue lezioni che hanno suscitato nell’animo dei suoi allievi una sincera euforia politica intorno al 1848 e, infine, lo ha avviato alla scrittura poetica con la composizione del carme La prigione. Rivolgendosi al sovrano del Regno delle Due Sicilie Ferdinando II, che lo aveva condannato all’esilio perpetuo, il critico scrive: 

Talora, Ferdinando, il mio pensiero
Esce da’ ferri, e libero mi sento;
E, nell’obblio di me ratto, levando
Sullo spazio e sul tempo il volo ardito,
De le venture età, de le passate
Contemplo il corso e mi profondo in elle.
Poi, mi riscuoto; e la prigione angusta
Mi fere il guardo e sottentra il dolore;
Ed una voce par, che acerbamente
Mi ragioni nel cor: “[...] Stolto! Perché tu pensi!”
Ed io pur penso. 

La prima conferenza che tiene a Torino sull’opera dantesca si intitola La vastità della Divina Commedia. Dopo aver provato sulla propria pelle gli effetti della «selva oscura», De Sanctis si discosta dal tipico approccio analitico che vede la suddivisione della narrazione in episodi, ma si concentra sulla struttura integrale dell’opera intesa come un’unità inscindibile. 

«La Divina Commedia è la più vasta unità che mente umana abbia concepita, universo poetico con leggi ed ordini suoi propri [...]. Della cui grandezza segno mirabile è questo, che l’intelligenza umana è già parecchi secoli che vi si travaglia intorno, né ancora lo possiede tutto: il cosmos dantesco non è finora rappresentato che per obliquo; noi ne vediamo questo o quel lato, l’intero ci sfugge» (Lezioni e saggi su Dante, I). 
William Wells Brown, Clotelle or, The President’s Daughter, 1864

William Wells Brown, Clotelle or, The President’s Daughter, 1864

Da De Sanctis possiamo così facilmente, seppur inaspettatamente, arrivare alla letteratura afroamericana dove Dante, già nella seconda metà dell’Ottocento, è citato come paladino della giustizia per quel popolo in piena lotta antischiavista. Diversi sono i romanzi che chiamano in causa Dante come abolizionista che combatte per l’uguaglianza, partendo da Clotelle di William Wells Brown del 1864, Invisible Man di Ralph Waldo Ellison pubblicato nel 1952, The System of Dante’s Hell scritto da Amiri Baraka nel 1965 Linden Hills di Gloria Naylor del 1985.

Leggiamo qualche verso della poesia scritta nel 1885 da Cordelia Ray, una maestra afroamericana di New York, dal titolo Dante. La composizione, proprio ora che si è concluso il settecentenario, ci può aiutare a capire quanto necessario sia il sommo poeta per chi vive l’inferno in terra, che si tratti di problemi prettamente politici o di emarginazione razziale. Questo esempio, insieme a quello di De Sanctis, forse ci può dare una lezione, quella di non dover categorizzare in episodi l’intera struttura della Commedia per poterla capire e interpretare integralmente, lasciando all’autore quella pace che si è meritato con le sue lotte, le sue scoperte, le sue intuizioni pagate con l’esilio. Noi contemporanei avremo altri cento anni per riflettere su come celebrare il prossimo ottocentenario con spirito più marcatamente dantesco, evitando quindi che i lettori e la letteratura s’illudano di poter dare il via ai festeggiamenti senza affrontare  il personaggio e l’uomo Dante Alighieri. 

Raro Spirito medievale! Veggente meditabondo!
Grande Poeta solitario! scalando altezze divine,
E sollevando dai solenni misteri il velo,
Attraverso i vaghi secoli tu parli ancora
Con la voce del tuono; e soggiogati da un timore reverenziale
Noi ascoltiamo le tue valide intuizioni,
La tua appassionata visione che scopre ragioni nascoste
[…]
E presto la Visione Perfetta incontrò il tuo sguardo,
La mistica Trinità tutta risolta nella luce,
Tre colori, tre riflessi in uno,
Cristo è stato rivelato: l’Umano, il Divino!
Il piano di Dio per la nostra redenzione ti è chiaro!
E ora, o Spirito solitario, Veggente meditabondo!
Così a lungo in conflitto, esausto per l’inquietudine,
Su tra i regni dei beati,
Immerso in quella Luce Ineffabile tu dimori,
O Anima bramosa, finalmente, finalmente in pace! 

 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022 

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Valerio Cappozzo, Professore di letteratura italiana all’University of Mississippi e direttore del programma di Italianistica, è specializzato in filologia materiale e critica letteraria. Autore del Dizionario dei sogni nel Medioevo. Il Somniale Danielis in manoscritti letterari (Leo S. Olschki 2018) si occupa di rapporti culturali tra il Medio Oriente e il mondo latino nel Medioevo e nel Rinascimento. Studioso di poesia italiana moderna e contemporanea è membro del comitato scientifico di diverse collane e riviste letterarie e filosofiche, presidente dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia, vice-presidente dell’American Boccaccio Association e co-direttore della rivista «Annali d’Italianistica».

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