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La fierezza del margine. Precarietà e opportunità nel mercato dell’usato dell’Albergheria

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2021 @ 02:13 In Cultura,Letture | No Comments

coverdi Maria Rosaria Di Giacinto

Ritratto del margine. Parzialità, relazione e contesto

Quadri celebri, inchieste giornalistiche, bestseller, riviste di viaggio, finanche programmi televisivi, hanno reso possibile a colori, odori e suoni dei mercati palermitani di prendere forma nell’immaginario collettivo, al punto da palesarsi nella mente anche solo pronunciandone il nome da lontano.

Tra questi, quello di Ballarò, in pieno centro storico, è certamente uno dei più conosciuti della città. Mettendo da parte i racconti stereotipati che associano l’esotico al folkloristico o la povertà alla malavita, risulta ragionevole interrogarsi sulle condizioni delle persone che vi abitano, quali aspirazioni, difficoltà e compromessi li attraversino. I passi che si incrociano per le vie urbane portano addosso il peso delle proprie esperienze, sono la prova tangibile del movimento brulicante che anima il mondo.

Accade tutto con particolare intensità nella frazione urbana chiamata Albergheria, di cui Ballarò fa parte, dove è presente un altro tipo di mercato alle spalle di quello alimentare più celebre. Qui entrano in contatto culture, oggetti e soggetti differenti: frammenti di globo, distanti fra loro migliaia di chilometri, si addensano e si contaminano incessantemente (Cusumano 2012). In questo luogo, vengono venduti e barattati beni usati di ogni tipo, alcuni dei quali considerati perlopiù spazzatura dalla maggior parte della popolazione benestante. Diversi prodotti, infatti, provengono dai cassonetti dei rifiuti o dai cosiddetti sbarazzi, ovvero dalle operazioni di riordino di case e magazzini, dove inevitabilmente la roba viene gettata per fare spazio. Non è escluso che delle volte sia presente della refurtiva.

Per averne una visione sfaccettata, sarebbe opportuno abbandonare rappresentazioni eccessivamente piatte e binarie che releghino il vissuto entro quadri netti e rassicuranti di giusto/sbagliato, bello/brutto, buono/cattivo. Accettando il rischio di lasciarsi alle spalle la cultura dell’apparenza e del consumismo, è possibile soffermarsi e riscoprire una dimensione empatica, frutto dell’appartenenza allo stesso status di esseri umani. Da una tale prospettiva, le ragioni dell’altro, i vincoli e i movimenti che lo caratterizzano si mostreranno meno sottoposti al giudizio definitivo e più alla comprensione, pur nella consapevolezza che violenza e prevaricazione siano da rifuggire in qualsiasi contesto.

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Margine, quartiere dell’Albergheria, Palermo, dicembre, 2020 (ph. M. Di Giacinto)

Se non si è del posto e si attraversa l‘Albergheria frettolosamente, sarà probabile averne un’idea d’insieme confusa: la merce esposta appare come una sequenza di cianfrusaglie sporche, indesiderabili e inservibili che poco hanno a che vedere con l’immagine di benessere propugnata dal neoliberismo occidentale. Eppure, nonostante termini come avanguardia o progresso poco sembrino adattarsi a questo margine, non si tratta di uno scenario alieno al presente, ma perfettamente inserito nei suoi meccanismi. Basta, infatti, documentarsi sulla situazione dei poveri nel mondo per comprendere, non solo analogie e differenze tra le varie aree geografiche, ma soprattutto le cause, perlopiù strutturali, che invece di risolverla spietatamente la fomentano e riproducono. Lì dove l’esistenza si fa più fragile, la sopravvivenza è all’apice delle preoccupazioni quotidiane e democrazia, diritti e uguaglianza suonano come concetti ridondanti, vuoti e distanti. In questi frangenti, le istituzioni, che si arrogano il ruolo di guida delle sorti collettive, mostrano un lato paradossale: disumanizzando l’altro – ovvero privandolo del proprio diritto a un’esistenza umana dignitosa – disumanizzano se stesse (de Spuches, 2019) [1].

Consci del fatto che non sia facile parlare di povertà dietro lo schermo di un pc, con una bevanda calda accanto e il riscaldamento acceso, che sforzarsi di narrare una situazione cui non si appartiene potrebbe sfociare in retorica spicciola, pare ancora sensato provare a descrivere un luogo pregno di umana (e non solo) relazionalità, nelle sue connotazioni ora stridenti, ora avvolgenti.

Chi scrive ha avuto a che fare con il mercato dell’Albergheria nei propri anni di studio a Ingegneria, come acquirente di console di videogiochi rotti e datati, da riparare e reimmettere nel circuito globale. Per diverso tempo, quella esigua fonte di reddito ha rappresentato oltre che un piccolo sprazzo di autonomia economica e una palestra ove testare conoscenze teorico-tecniche, un esercizio costante con cui affinare capacità di feeling e contrattazione. Nulla, allora, sembrava presagire la possibilità che quelle abilità dialettiche e acerbe riflessioni sarebbero riaffiorate in futuro, scrutando altri mercati, altra povertà, altro margine, questa volta spinta da moti da viaggiatrice, volontaria e antropologa. Come si verifica in tanti altri contesti, luoghi e tempi apparentemente distanti possono essere riconosciuti come familiari, pur nelle dovute discrepanze, mentre situazioni rispetto a cui si è già pronunciata l’ultima sentenza svelano retroscena inaspettati, ben diversi da quelli immaginati.

Da tali brevi accenni di vissuto personale, si evince che l’approccio verso l’altro è sempre parziale, relazionale, inscindibile da chi lo pratica e dal contesto spazio-temporale in cui si svolge.

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L’altro familiare, slum di Kibera, Nairobi, 2015 (ph. M. Di Giacinto)

Inchiesta. Ricerca sul campo e azione partecipata

Una buona prospettiva da cui partire per cercare di tradurre in parole sensazioni ed esperienze possibili all’interno del quartiere palermitano in esame è posta da Clelia Bartoli che vi ha condotto un’interessante indagine. Nel 2019, ne è stata ricavata una pubblicazione, Inchiesta a Ballarò. Il diritto visto dal margine (Navarra edizioni), che fornisce una lettura sui temi della multiculturalità, del margine e del diritto, capace di andare in profondità e superare visioni semplicistiche o ampiamente battute. Si tratta di uno studio accurato che parte dal coinvolgimento attivo degli iscritti alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo. Nell’area interessata, è presente una succursale dell’Università e le studentesse e gli studenti che intendano seguire le lezioni sono, dunque, portati ad attraversarla giornalmente per giungere a destinazione. Ad un certo punto del corso, questi sono chiamati a dialogare con residenti e mercatari (termine locale che designa venditori e venditrici), nell’intento di comprenderne le dinamiche e le ragioni, per poi verificare personalmente se quanto appreso sui libri sia sostenibile e corrispondente alle condizioni di fatto. Molti di essi, prima della ricerca sul campo, poco si soffermano sull’ambiente circostante e assumono gli abitanti della zona a sfondo ostile, rumoroso o invisibile, privo di qualsivoglia attrattiva. Nel momento in cui, però, viene chiesto loro di cimentarsi nel ruolo di intervistatori e intervistatrici, si verifica un radicale cambio di punto di vista e le etichette generalizzanti ascritte a una moltitudine informe di corpi cadono.

Da una massa indistinta di persone, affiorano volti individuali, storie e sguardi sul mondo differenti: vita concreta. L’idea non è soltanto quella di stimolare i futuri esperti di legge verso posizioni più morbide nei confronti dell’alterità, ma di mostrare come diritti e doveri non possano essere concepiti come un imperio assoluto calato dall’alto; piuttosto debbano fare i conti dialetticamente con le strutture sociali cui si applicano.

L’inchiesta, però, si spinge al di là della raccolta dati e direziona il proprio interesse verso la promozione di azioni partecipative volte al miglioramento di ciò che si è analizzato. In particolare, si passano in rassegna quei movimenti che, nel 2017, auspicano la regolarizzazione del mercato, così come avvenuto in altri contesti, primo tra tutti quello torinese del Balon [2]. L’aspetto che pare più interessante delle domande e dei tentativi di risposta dell’inchiesta è il numero di attori sociali cui dà voce. Essa, infatti, si modella secondo i meccanismi di analisi partecipata che muovono i progetti di riqualificazione dell’area.

Nella pubblicazione, oltre ai contributi degli abitanti dell’Albergheria, dell’autrice, degli studenti e delle studentesse, sono inseriti anche quelli dei membri delle associazioni che operano sul territorio e delle istituzioni locali, quali il comune di Palermo. Il mezzo è, dunque, la ricerca sul campo partecipata; il fine una trasformazione tale da risollevare le condizioni di mercatari e residenti, tenendo conto delle esigenze di ciascuno e senza snaturare eccessivamente l’ispirazione che muove il mercato. Si è in presenza di un meccanismo di empowerment, ovvero del riconoscimento di una condizione di disagio e privazione, da superare mediante dialogo e azione collettivi (Lavanco e Novara, 2016). I dibattiti, che prevedono il coinvolgimento su vari livelli – soggettivo, di gruppo e istituzionale – sono il punto di partenza per un cambiamento auspicato da più parti. Mondi diversi, dunque, si esplorano e plasmano l’uno sull’altro alla ricerca della via più consona per un avvenire di convivenza urbana, pacifica e sostenibile.

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Lambretta utilizzata dai mercatari per operare i cosiddetti sbarazzi, quartiere dell’Albergheria, Palermo, dicembre, 2020 (ph. M. Di Giacinto)

La vendita informale presso l’Albergheria, dal punto di vista legislativo, non può avere luogo, ma le condizioni di fatto contraddicono questo assunto. Si evince come lo scarto tra ciò che il diritto prevede e la sua applicazione renda il confine tra legalità e illegalità più labile; come la necessità di dare un nome ad attività formalmente abusive debba necessariamente rimandare al buon senso. Sarebbe cieco, infatti, non considerare che la compravendita nel quartiere, sebbene non regolare, permetta ai poveri di acquistare beni usati che troverebbero altrove a prezzi inaccessibili e rappresenti di fatto un’irrinunciabile fonte di sostentamento per coloro che la praticano. Sono in gioco sopravvivenza e desiderio di mantenere integrità, fierezza e rispetto verso se stessi. Nonostante, come detto, alcuni dei prodotti siano frutto di rapine, la maggior parte delle venditrici e dei venditori dichiara infatti di non volere avere a che fare con merce rubata né di desiderare di abbandonare un mestiere che, per quanto umile e irregolare, appare onesto ed edificante: «bisogna immaginare Sisifo felice» [3].

Il degrado ambientale e il disagio economico e sociale che attraversano il quartiere sono ben visibili, ma il tentativo di riqualificazione della zona non pare mosso dal desiderio di occultamento dell’altro, quando dissonante rispetto agli odierni canoni culturali estetici e di benessere. Certamente, la retorica che si cela dietro alcune operazioni di intervento urbano promuove l’allontanamento di soggetti indesiderabili (Brown, 2009), perché al di fuori del prototipo di cittadino modello. Quanto la società giudica aberrante di sé viene posto al di fuori dei propri confini (Braudel, 1966) come scarto e deviazione, nel vano tentativo di avvicinarsi ad un ideale omologante di perfezione e progresso. L’allontanamento concettuale si traduce in rimozione dagli occhi e i soggetti diventano merci inservibili, sacrificabili sull’altare del mercato globale (Bauman, 2005). Come il liberismo più abietto prescrive sin dagli anni della sua nascita, gli individui che vivono di stenti sono additati di essere incapaci, mancanti di quell’inventiva che ne possa risollevare la sorte (Lupo, 2010). La povertà, in questo caso, viene assunta a colpa soggettiva, associata alla criminalità (Robbins, 2015) e quindi meritevole di annientamento simbolico e fisico dallo scenario urbano. Una tale narrazione innesca un circolo vizioso che imprigiona i soggetti marginali entro una condizione difficilmente eludibile.

In questo caso, però, si assiste ad un’operazione diversa, volta al recupero e alla valorizzazione delle componenti positive che animano l’area e alla trasformazione di quelle responsabili di disagio collettivo. Per tale ragione, lo sforzo dialettico dovrebbe fare in modo che si pervenisse a un punto comune, ibrido e conscio che la cessazione del mercato rappresenterebbe una perdita non solo per chi direttamente interessato, ma per l’intera cittadinanza.

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Angolo di strada, quartiere dell’Albergheria, dicembre, 2020 (ph. M. Di Giacinto)

Tra agentività e solidarietà: le forme del sostegno sociale presso l’Albergheria

Se ci si pone in posizione decentrata, ci si renderà conto che coloro i quali animano l’Albergheria, pur nelle innegabili difficoltà, restano soggetti consapevoli del proprio potere decisionale. L’interesse per gli interventi di formalizzazione e riqualificazione, l’entusiasmo per un progetto che stimoli la rinascita piuttosto che la lenta agonia, le reti di relazioni che sopperiscono alla mancanza di sostegno sociale o l’empatia mostrata nei confronti dell’altro al di là della provenienza (Bartoli, 2019) sono prove evidenti di una piena contezza della propria agency. Dalle interviste si apprende che, in questo luogo, la solidarietà è un concetto ampio e che le vicissitudini funeste dell’esistenza non hanno smorzato la voglia di darsi da fare.

Si è del quartiere indipendentemente dalla nazionalità (Alaimo, 2011). Si è umani indipendentemente dallo status. Difatti, chi per la prima volta giunge al mercato, con l’intento di vendere degli oggetti per racimolare qualche euro, non è visto con ostilità. Inaspettatamente, nonostante poche monete possano fare la differenza tra l’avere un pasto o rimanere digiuni, i mercatari fanno spazio a chiunque arrivi, spinto da necessità. La condivisione di una situazione affine permette di attivare meccanismi non sempre riscontrabili altrove. Non soltanto si aiutano conoscenti o bisognosi, ma più genericamente si ha cura verso l’altro. Gli stessi intervistatori e le stesse intervistatrici, che godono di una disponibilità economica maggiore, sono soggetti ad analoga empatia. Molte intervistate e molti intervistati manifestano preoccupazione per l’alto tasso di disoccupazione giovanile nel Sud Italia e si premurano di dare consigli a studenti e studentesse in visita per lo svolgimento dell’inchiesta.

Si sperimenta, così, uno scambio reciproco di idee, storie ed esperienze, che non potrebbero avere altra forma se non quella relazionale. Si costruisce il luogo della relazione (Guarrasi, 2011), tale che la comunicazione avvenga in entrambe le direzioni, senza insensati limiti classificatori, quali età, nazionalità, classe o genere. L’approccio vis a vis è caratterizzato dalla condivisione del proprio vissuto: una contaminazione che permette al sapere tanto di essere ricevuto, quanto di essere donato.

Se studenti e studentesse possono vantare una conoscenza accademica delle leggi, i mercatari ne conoscono gli effetti concreti sin dentro la pelle. A questo proposito, fa riflettere che gli abitanti dell’Albergheria abbiano provveduto ad autonormarsi in funzione di una convivenza pacifica e solidale. Si apprende, da diversi intervistati e diverse intervistate, dell’esistenza di un sentire generale e di una sorta di codice informale conosciuto, condiviso e praticato da ognuno di essi. Più di una voce, infatti, ribadisce l’adesione a delle leggi non scritte. Se l’essere collocati al di fuori del diritto, quindi, possa erroneamente far pensare all’anarchia, si scoprirà piuttosto la forza di determinate regole sociali, che non esistono per le istituzioni, ma che spesso sono più solide ed evidenti di quelle formalizzate.

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Assegnazione di posto, quartiere dell’Albergheria, Palermo, dicembre, 2020 (ph. M. Di Giacinto)

Si pensi all’esempio sopraccitato sui nuovi arrivati. Individui sconosciuti, abbandonati dalle istituzioni, trovano nell’accoglienza da parte dei mercatari dell’usato un’occasione per non mollare, per sopravvivere, mantenersi soggetti attivi e credere ancora nell’aiuto umano incondizionato. Sarà chiaro che, all’interno delle dinamiche del mercato globale, strutture di sostegno reciproco come questa siano meno riproducibili, se non per associazioni che ne siano destinate esplicitamente. La ragione concerne non soltanto le difficoltà pratiche, ma il fatto che, culturalmente, la filosofia del massimo profitto con il minore dispendio di energie spinga verso una competizione cieca e serrata. Tra le preoccupazioni più ricorrenti tra venditori e venditrici dell’Albergheria, difatti, sta proprio quella che la suddivisione regolare degli spazi e il pagamento di un canone introducano una rigidità tale da non lasciare più spazio – concettualmente e praticamente – a coloro i quali, nullatenenti e bisognosi, vi giungano sporadicamente, in cerca di sostentamento.

Se la solidarietà è la più evidente forma di sostegno sociale e servizio reso all’intera comunità, il riciclo non è da meno. Pare aberrante, a Palermo come in altre regioni del mondo, che gli individui siano costretti a rovistare tra i rifiuti alla ricerca di un mezzo di sopravvivenza. Fa, altresì, riflettere che corpi come oggetti siano relegati agli estremi confini della società, etichettati come scomodo sottoprodotto di una macchina produttiva che voracemente ingurgita tutto ciò che può sussumere a capitale e scarta il resto. I mercatari, svolgendo un compito così umile, combattono la logica spietata del consumismo sfrenato, che sta mettendo a dura prova il pianeta.

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Merce abbandonata per strada in una domenica di pioggia, durante l’emergenza Covid-19, quartiere dell’Albergheria, Palermo, dicembre 2020 (ph. M. Di Giacinto)

Il 10 settembre dell’anno corrente, il Mercato dell’usato e del libero scambio all’Albergheria è approdato alla propria forma regolare, sotto la direzione dell’associazione Sbaratto, costituita da venditrici e venditori: sarà attivo dal martedì alla domenica tra le 7,30 e le 14,30 [4]. Le sorti venture, data l’emergenza sanitaria mondiale legata al Covid-19, sono incerte e ardue da prevedere.

Permane l’idea che visioni esacerbanti o accondiscendenti del mercato non sarebbero favorevoli né al mercato stesso, né alla comunità di cui fa parte. Porre eccessiva enfasi tanto nei confronti delle dinamiche controverse, quanto di quelle più plastiche, ne ostacolerebbe la crescita, poiché renderebbe complicato in futuro comprendere cosa voler rafforzare, smussare o trasformare. Si resta consapevoli del fatto che ogni sforzo individuale e collettivo sia ineludibilmente imperfetto e che la via più consona non possa essere compresa a priori, ma che si debba rimodellare incessantemente strada facendo, in relazione all’imprevedibilità della contingenza.

Vizio e virtù, potere e oppressione sono distribuiti variamente in questo contesto come altrove: liti e soprusi, aiuto e conforto fanno parte integrante degli esseri umani, tutti indistintamente. Sembra ragionevole, però, sottolineare la ricchezza, la varietà e l’importanza, sotto molti aspetti, di un tale frammento umano, irrinunciabile non solo per se stesso, ma per la città tutta.

Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
Note
[1] Performance artistica svoltasi presso la Sala delle Capriate del Complesso Monumentale dello Steri, il 20 maggio 2019, all’interno del convegno nazionale, “Migrare: diritti fondamentali e dignità della persona, https://www.unipa.it/Migrare-diritti-fondamentali-e-dignit-della-persona/
[2] http://www.comune.torino.it/portapalazzo/ambienti/economico/azioneempowerment/testi/index.htm
[3] Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice (Albert Camus, “Il mito di Sisifo” in Opere, Bompiani, Milano, 2003:319).
[4] https://www.comune.palermo.it/noticext.php?id=28740

Riferimenti bibliografici

Alaimo A. (2011), “Cosmopolitismo: un Concetto per Agire” in de Spuches G. La città cosmopolita. Altre narrazioni, Palumbo, Palermo: 220
Bartoli C. (2019), Inchiesta a Ballarò. Il diritto visto dal margine, Navarra, Palermo
Bauman Z. (2005), Vite di scarto, Laterza, Rom-Bari
Braudel F. (1966), Il Mondo attuale. vol. 2, Einaudi, Torino
Brown M. (2009), “Public Healt as a Urban Politics, Urban Geography: Veneral Biopower in Seattle, 1943-1983” in Urban Geography, 30, 1: 1-29
Cusumano A. (2012), Culture alimentari e immigrazione in Sicilia. La Piazza universale è a Ballarò, in Alimentazione, produzioni tradizionali e cultura del territorio, a cura di S. Mannia, Fondazione Buttitta, Palermo 2012: 121-142, ora in Idem, Per fili e per segni, Museo Pasqualino, Palermo, 2020: 437-462
Guarrasi V. (2011), “All’ascolto” in Guarrasi V. La città cosmopolita. Geografie dell’ascolto, Palumbo, Palermo
Lavanco G. e Novara C. (2016), Elementi di Psicologia di Comunità, McGraw-Hill, Milano
Lupo S. (2010), Il Passato del nostro presente. Il lungo Ottocento 1776-1913, Laterza, Bari
Robbins R. (2015), Antropologia Culturale. Un approccio per problemi, a cura di D’Agostino G. e Matera V., Utet Università, Torino
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Maria Rosaria Di Giacinto, si è laureata nel 2020 in Studi Storici, Antropologici e Geografici presso l’Università degli Studi di Palermo. Nel 2019 ha partecipato come relatrice al convegno Dai Vespri Siciliani a Strade Sicure e ne ha curato gli atti per la pubblicazione comprensiva del suo contributo: Ricerca sul campo e cambiamenti di prospettiva. Nel 2017 ha partecipato al convegno internazionale Stati Uniti, Australia e Unione Europea: tre modelli a confronto, da cui è stato tratto nel 2019 un volume da lei curato e in cui è autrice del saggio Politiche di migrazione irregolare. Stati Uniti, Australia e Unione Europea: tre modelli a confronto. Ha, inoltre, svolto le funzioni di ricercatrice e curatrice presso il Museo Eoliano dell’Emigrazione di Salina e preso parte a numerosi scambi all’estero, all’interno di progetti finanziati dall’Unione Europea.

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