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La dualità dell’uomo tra fede e scienza. Dalla neurofisiologia alla letteratura

Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2016 @ 01:12 In Cultura,Società | No Comments

 Ritratto di Galileo, di Justus Sustermansi,1636

Ritratto di Galileo, di Justus Sustermansi,1636

   di Rosolino Buccheri

Il problema del dialogo fra Fede e Scienza, fra i più dibattuti da sempre a tutte le latitudini, viene qui ricondotto ad una tensione interna ad ognuno di noi, dovuta ad una intrinseca dualità dell’uomo, descritta innumerevoli volte in letteratura ma solo da alcuni decenni evidenziata anche dalla ricerca scientifica. In quel che segue, affronterò il problema in via del tutto generale, riferendomi prima- riamente alla ‘fede’ nel suo significato più ampio, come «il credere in determinati concetti o assunti basandosi sull’autorità altrui o su una convinzione personale più che su prove obiettive» (def. del Grande Dizionario Italiano De Mauro). Il frutto conclusivo del ragionamento è che un dialogo che non si trasformi in fredda tolleranza se non addirittura in aspro scontro è possibile solo nell’ambito di un ‘pensiero complesso’ che armonizzi in un consapevole e sano equilibrio le forme di conoscenza intuitiva e razionale.

Le odierne acquisizioni della neurofisiologia sono reminiscenti di tanta letteratura, presente e passata, basata sul confronto e/o scontro fra le due diverse tendenze umane. A me sovviene, in particolare, il Narciso e Boccadoro, uno dei capolavori della letteratura tedesca, scritto da Hermann Hesse, premio Nobel per la letteratura nel 1946, e pubblicato da Fischer nel 1930. Rileggendolo, a vent’anni dalla prima volta, rimango affascinato come allora sia dalla bellezza dell’esposizione sia dalla poetica di Hesse, ispirata (come sempre nelle sue opere) alla scoperta e all’affermazione dell’identità che caratterizza i suoi protagonisti. Ma oggi, più che allora, e in quest’opera più che nelle altre di Hesse, al corrente delle informazioni che la scienza ci fornisce di continuo (e che ai tempi di Hesse non erano ancora note), mi azzardo ad aggiungere alle innumerevoli note positive che la critica internazionale ha indirizzato a questo grande autore, la consonanza della psicologia dei suoi personaggi con il modo in cui viene oggi spiegata dai neurofisiologi la dualità dell’uomo. 

Dalle tracce del mito, una coscienza primitiva

Uno sguardo critico alle origini del pensiero umano – analizzato dalle tracce tramandateci dal mito – ci informa sull’operatività di una modalità di conoscenza di tipo effusivo-partecipativo, propria di una stretta interazione dell’uomo con l’ambiente, manifestatasi nel passato attraverso un linguaggio poetico-simbolico, ed oggi attenuata per l’emergenza di una coscienza razionale in cui l’apprezzamento degli aspetti qualitativi, specie di quelli ritmico-temporali, si è gradualmente ridotto in favore di quelli quantitativi, con una concomitante maggiore distinzione dell’osservatore dall’ambiente (Alfano-Buccheri 2009: 97).

Questa primitiva modalità di conoscenza, connessa agli albori dell’evoluzione filo ed onto-genetica dell’uomo, è indicata da Antonio Damasio (2003: 105-133) come una ‘coscienza nucleare’, che funziona «quando i dispositivi cerebrali di rappresentazione generano una descrizione non verbale, per immagini, del modo in cui lo stato dell’organismo viene modificato dall’elaborazione di un oggetto da parte dell’organismo stesso […]» (ibidem: 237).

Parallelamente si esprime Hesse quando, per mezzo di Narciso fa notare che il mondo delle immagini, anche se meno concettuale e astratto, è più vario e più ricco.

«… ai nostri tempi di scuola io ti dissi più volte che ti ritenevo un artista [...] avevi nel leggere e nello scrivere una certa avversione per i concetti astratti e prediligevi nel linguaggio le parole e i suoni che avevano qualità poetiche sensibili, parole dunque con cui si potesse rappresentare qualche cosa […] Proprio là dove cessano le immagini comincia la filosofia […] per te il mondo consisteva d’immagini, per me di concetti. Ti dissi sempre che non eri fatto per diventare un pensatore, ma aggiunsi anche che questa non era una deficienza, che in compenso tu eri un dominatore nel campo delle immagini» (Hesse 1989: 251-252).

Sul piano anatomico, le funzioni della ‘coscienza nucleare’ vengono riferite all’emisfero cerebrale destro, centro del linguaggio gestuale e sede del pensiero visivo-immaginifico-emozionale, della creatività, della intuizione e dell’elaborazione parallela delle informazioni; emisfero che ha un ruolo importante nelle prime fasi della vita, ovvero nell’infanzia dell’uomo (onto- e filo-genetica), «quando l’arsenale di modelli pronti all’uso è ancora limitato» (Goldberg 2005:193).

FOTO1Con la sua formulazione, Damasio compie il tentativo di unificare mente, cervello e corpo, sulla base di dati rigorosamente scientifici, stigmatizzando quello che lui considera l’errore di Cartesio consistente nell’idea dell’esistenza di un pensiero puro, di una razionalità non influenzata da emozioni e sentimenti. Secondo Damasio, Cartesio non capiva che l’apparato della razionalità non è indipendente da quello della regolazione biologica, e che le emozioni e i sentimenti spesso sono in grado di condizionare fortemente, e a nostra insaputa, le nostre convinzioni e le nostre scelte. La nostra mente, non è strutturata per presentarci un elenco di argomenti razionali a favore o contro una determinata scelta, ma agisce in maniera molto più rapida (anche se meno precisa) prendendo in considerazione il peso emotivo che deriva dalle nostre precedenti esperienze, fornendoci una risposta sotto forma di sensazione viscerale. Così si esprime Damasio (2008: 242-244):

«È convinzione diffusa che l’utilizzo della logica formale sia di per sé in grado di condurci alla soluzione migliore tra quelle possibili, per qualsiasi problema. Un aspetto importante di questa concezione razionalistica è che bisogna escludere le emozioni, per ottenere i migliori risultati: l’elaborazione razionale non deve essere impacciata da passioni. […] Il nostro cervello sovente può decidere bene in minuti o in frazioni di minuto, a seconda del quadro temporale che stabiliamo come appropriato per gli obiettivi che vogliamo conseguire; se così è, allora non è soltanto con la ragione pura che esso deve eseguire il suo mirabile compito. Occorre un’altra prospettiva».

La ‘coscienza nucleare’, legata secondo Damasio a istinti primordiali, è pertanto quella che percepisce e immagazzina nell’inconscio i dati esperienziali in modo globale e indistinto, dati che può ritrovare ‘intuitivamente’ e improvvisamente, quando è necessario per risolvere, senza alcuna analisi ‘razionale’, problemi che non è possibile risolvere altrimenti. È vero, d’altra parte, che il tipo di conoscenza corrispondente alla ‘coscienza nucleare’ non è oggettivabile ma è soggetta alla personale interpretazione e spesso non è neanche esprimibile in modo chiaro. Per questi motivi, essa viene caratterizzata come ‘irrazionale’. Ad essa sono ascrivibili le intuizioni, a volte geniali, di artisti e scienziati, come anche eventi di tipo spirituale da parte di mistici e santi che richiamano la fede religiosa, ovvero la rivelazione della divinità (Hillman 2005: 13).

FOTO n.2  Mythos e Logos

L’emergenza di una coscienza razionale comunicata con il linguaggio lineare e apofantico tipico della scienza ha costituito uno spostamento di prospettiva del quale ci parla oggi la stessa neurofisiologia mostrandoci lo spostamento dall’emisfero destro all’emisfero sinistro del controllo mentale di un fenomeno già sperimentato nel passato. Elkhonon Goldberg, sulla base di esperimenti di imaging sull’attivazione delle varie zone del cervello sotto stimolazione, sostiene che l’emisfero sinistro è responsabile della maggior parte dei processi basati sul riconoscimento di modelli, sia quelli che coinvolgono il linguaggio, sia quelli che non lo coinvolgono:

«Un individuo che si trova ad affrontare una situazione o un problema davvero nuovi fa ricorso soprattutto all’emisfero destro. Ma una volta che la situazione è diventata familiare e la si conosce, il ruolo dominante dell’emisfero sinistro diventa evidente. Sembrava che i modelli in cui si è condensata l’essenza delle situazioni […] fossero, una volta formatisi, immagazzinati nell’emisfero sinistro» (Goldberg 2005: 186).

Questo spostamento è dovuto proprio all’emersione di una conoscenza razionale, opposta alla prima, che Damasio riferisce ad una cosiddetta ‘coscienza estesa’, sistema per l’immagazzinamento e la rielaborazione delle singole e istantanee unità di coscienza nucleare che, nel corso dell’evoluzione umana e nell’arco della vita di ogni singolo individuo, accresce la ‘coscienza nucleare’ fino a comprendere non solo il ‘qui ed ora’ ma anche la previsione del futuro e

«…tutta quella parte del passato che è necessaria per illuminare l’ora in maniera efficace. […] La coscienza estesa è tutto ciò che è la coscienza nucleare, ma in meglio e più in grande, e non fa altro che crescere nel corso dell’evoluzione e nell’arco della vita di ogni singolo individuo, esperienza dopo esperienza» (Damasio 2003: 237-238).

A tale ‘coscienza estesa’ è da riferirsi la conoscenza di tipo logico-scientifico per la sua capacità di conservare, catalogare e ritrovare le miriadi di esperienze fatte grazie alla ‘coscienza nucleare’ e di ‘esibirle’, comunicandole in modo chiaro ed efficace tramite il linguaggio lineare apofantico. La coscienza estesa, anatomicamente rappresentata nelle zone paralimbiche e corticali posteriori, dipende in maniera massiccia dalla corteccia cerebrale – in particolare, quella associativa – e si fonda principalmente sul contributo funzionale delle zone del linguaggio – aree di Broca e di Wernicke – dell’emisfero cerebrale sinistro, specie sul sistema rappresentato dai lobi prefrontali (Damasio 2003: 237, 282).

Supportata dalle strutture corticali superiori, la coscienza razionale risulta irriducibilmente antinomica rispetto alla primitiva forma di coscienza nucleare, differenziandosene, essenzialmente, per il fatto che il soggetto ha assunto in questo caso una posizione intellettuale esterna e non interagente con l’oggetto della sua osservazione.

Non è difficile notare nei personaggi Narciso e Boccadoro dell’omonimo romanzo di Hesse la rappresentazione di queste due distinte tendenze umane: acuto, razionale e dedito allo studio teorico il primo, istintivo, totalmente preso dai sensi e dalla curiosità di immergersi nel mondo, il secondo.

«Il pensatore cerca di conoscere e rappresentare l’essenza del mondo con la logica. Egli sa che il nostro intelletto e il suo strumento, la logica, sono imperfetti, così come un artista intelligente sa benissimo che i suoi pennelli o scalpelli non potranno mai esprimere perfettamente l’essenza radiosa di un angelo o di un santo. Tuttavia tentano entrambi, il pensatore e l’artista a loro modo» (Hesse 1989: 252). 

FOTOn.3 Tensione dell’antinomia e suo controllo

Sembra, da quanto sopra, che la natura abbia aperto all’uomo una doppia possibilità: due modalità comple- mentari per raggiungere una conoscenza più completa. In realtà, le due opposte modalità di conoscenza sono irriducibili l’una all’altra e costituiscono una tensione dicotomica, spesso lacerante, che ognuno di noi interpreta in modo diverso: a volte privilegiando la disposizione orfica (corrispondente alla ‘coscienza nucleare’), tipica dell’arte e della religiosità, dove prevale l’affidarsi con trasporto alle percezioni dell’intuizione introspettiva – ancorché spesso incomunicabile e interpretata soggettivamente in funzione delle esperienze proprie e di quelle dell’ambiente culturale in cui si vive –, a volte affidandosi alla disposizione prometeica (corrispondente alla ‘coscienza estesa’), tipica della scienza, rivolta al controllo organizzato dell’ambiente, dove prevale l’affidamento alla razionalità scientifica, e quindi la tendenza alla verifica empirica di ogni affermazione e del rigetto di ogni assunto di cui non ci sia dimostrazione ‘certa’. In queste condizioni, è facile che un disequilibrio, anche lieve, fra le due tendenze possa causare fenomeni psichici negativi, come la prevalenza o addirittura la ‘rimozione’ di una delle due opposte tendenze con uno sviluppo pressoché unilaterale della coscienza o anche, a volte, la ciclotimica oscillazione fra di esse. Disequilibrio che è deleterio per qualsiasi tipo di dialogo, ma che può assumere aspetti devastanti nel caso del confronto fra le conoscenze scientifica e la religione, a causa della grande importanza che assumono in ciascuno di noi i principi fondamentali dell’esistenza. Tuttavia, nonostante l’evidenza dell’antinomia relativa a queste due diverse prospettive sul piano dei codici comunicativi, i corrispondenti processi conoscitivi possono, almeno parzialmente, convergere in un’area di compatibilità sui piani empirico e pragmatico, solo che se ne eserciti un consapevole ed equo controllo che, per la sua natura ‘razionale’, può solo essere ascrivibile alla ‘coscienza estesa’ e, in quanto tale, può essere utilizzato in modo più o meno lecito e veritiero, come spesso avviene nel difendere i propri interessi personali.

E, in effetti, è Narciso, dei due personaggi di Hesse, quello consapevole (e anche orgoglioso di questa consapevolezza; da qui il nome datogli da Hesse) di questa differenza, che egli conosce e controlla in modo disinteressato in sé stesso e nell’amico:

«… alla vocazione di Boccadoro per la vita ascetica, Narciso non credeva. Egli aveva una singolare capacità di leggere nell’animo degli uomini e in questo caso, amando, leggeva con tanto maggior chiarezza. Vedeva la natura di Boccadoro e, malgrado fosse l’opposto della sua, la comprendeva a fondo, perché ne era l’altra metà, la metà perduta» (Hesse 1989: 28).

Narciso sa che ogni disciplina usa un proprio linguaggio e le proprie specifiche tecniche e che per una mente artistica sono più importanti le immagini dei segni:

«Pensa alla matematica! Quali rappresentazioni contengono i numeri? O i segni più e meno? Che immagini contiene un’equazione? Nessuna! Quando tu risolvi un problema aritmetico o algebrico, non ti aiuta nessuna rappresentazione, tu esegui un compito formale entro forme di pensiero che hai appreso […] lasciami pensare in pace e giudica il mio pensiero dai suoi effetti, così come io giudicherò la tua arte dalle tue opere» (ibidem: 254).

ma ci mostra che è il mondo dei concetti a controllare il mondo delle immagini:

«… certo si può pensare senza rappresentazioni! Il pensiero non ha proprio nulla a che fare con le rappresentazioni. Esso non si compie in immagini ma in concetti e forme. Proprio là dove cessano le immagini comincia la filosofia […] per te il mondo consisteva d’immagini, per me di concetti. Ti dissi sempre che non eri fatto per diventare un pensatore, ma aggiunsi anche che questa non era una deficienza, che in compenso tu eri un dominatore nel campo delle immagini» (ibidem: 252).

Sappiamo oggi come l’odierno linguaggio dei segni di tipo lineare (numeri e lettere) non sia che una evoluzione in senso lineare dei più complessi segni-immagine usati nel passato, come ad esempio gli ideogrammi e i geroglifici che assommano immagini e concetti, in accordo con l’evoluzione dalla conoscenza per immagini a quella logico-lineare ipotizzata dai neurofisiologi.

FOTO4 Sul conflitto ‘ideologico’ fra Fede e Scienza

La suddetta tensione dicotomica diventa particolarmente pressante e lacerante nel caso del dialogo fra fede religiosa e conoscenza scientifica laddove la prima non riconosca le conquiste evidenti della seconda e quest’ultima non riconosca i limiti del metodo scientifico su questioni riguardanti il concetto trascendente di Dio.

La nostra conoscenza della struttura dell’Universo è oggi ad un livello mai raggiunto prima. La gran parte dei fenomeni direttamente osservabili, ma anche quelli che riguardano il mondo atomico e subatomico o le immensità del cosmo, sono spiegati in grande dettaglio dalle poderose strutture matematiche della fisica. È del tutto evidente la quantità e la qualità delle conquiste che la scienza ha ottenuto applicando il metodo scientifico, fatto di logica, matematica e verifica sperimentale, e sostenuto dalla condivisione a livello planetario della interpretazione dei suoi risultati al fine di costruire un’immagine logicamente coerente del mondo in cui viviamo; conquiste che trasferite in campo tecnologico, plasmano il gusto artistico, i criteri di valutazione e le preferenze intellettuali di tutti, credenti e non credenti, e vincolano nelle scelte e nei comportamenti di ogni giorno, fornendo motivazioni vitali, formando attitudini etiche, e così via.

Di questa immagine del mondo e dei connessi strumenti tecnologici fanno esplicitamente uso scienziati e religiosi, credenti e non credenti. È opinione di Michał Heller – cosmologo e teologo, vincitore del prestigioso Premio Templeton nel 2008 – che se il teologo si ostina a ignorare i risultati della ricerca scientifica, rischia di fare uso di una rappresentazione obsoleta del mondo. In questo caso, ribadisce Heller, la sua efficacia pastorale sarà molto limitata, perché la gente, oggi molto informata, non è in grado di accettare verità teologiche che siano in conflitto con la realtà delle cose. Nessuno, ripete Heller (2012: 47-48), accetta volentieri credenze ridicole.

D’altra parte, se è vero che la cultura scientifica e tecnologica influenza i comportamenti di tutti, è anche vero che la religiosità – il rapporto con il trascendente al quale ci riferiamo per l’insopprimibile bisogno di farci domande sulla propria esistenza e di darci delle possibili risposte − è un bisogno che caratterizza tutti gli esseri umani, credenti o non credenti che siano. Tuttavia, anche se tutti si pongono le stesse domande sull’esistenza e sul senso della vita, le risposte che si danno possono differire drasticamente: nei credenti, le risposte a questi interrogativi fanno riferimento a un Dio trascendente al quale affidano le proprie speranze terrene e ultraterrene, i non credenti, rispondono ritenendo il cosmo autosufficiente (gli atei) o addirittura non si pronunciano, ritenendo di non esserne in grado (gli agnostici). ‘Pensiero’ religioso e ‘pensiero’ scientifico, quindi, differiscono fondamentalmente negli assunti di base, da cui poi derivano le proprie, più o meno reciprocamente condivisibili, deduzioni conclusive ‘logiche’.

Queste differenze spiegano chiaramente perché la ricerca di dialogo si trasformi spesso in conflitto ‘ideologico’ fra singoli o comunità di persone che, non essendo in equilibrio nella tensione fra le due tendenze, hanno fatto una bandiera dei propri assunti di base, bandiera per la quale lottano più o meno furiosamente.

Uno degli argomenti conflittuali, su cui Heller pone maggiormente l’attenzione è quello che indica ironicamente come Teologia del ‘Dio-delle-lacune’. Si tratta dell’atteggiamento ‘ideologico’ da parte di molti credenti, che pretendono di colmare con l’intervento di Dio le lacune delle conoscenze scientifiche o, da parte di molti non credenti che rigettano l’idea di Dio convinti che le lacune della conoscenza siano soltanto temporanee (cfr. Heller 2012: 7). Uno degli esempi più emblematici della teologia del Dio-delle-lacune è rappresentato nel libro Dio e gli Astronomi  in cui l’autore, Robert Jastrow, nel riportare la scoperta che l’Universo ha avuto inizio nel Big Bang, conclude che:

«[…] per lo scienziato che ha vissuto confidando nel potere della ragione, la storia si conclude come un incubo. Ha scalato le montagne dell’ignoranza, sta per conquistare la cima più alta e, non appena si è sollevato sull’ultima roccia, viene salutato da un gruppo di teologi che stanno lì da secoli» (Jastrow 1978: 125).

FOTO5In effetti, la scoperta del Big Bang raffreddò il conflitto fra la teoria biblica della creazione e la teoria newtoniana di un Universo esistente da sempre e i teologi si sentirono di affermare che il racconto biblico della creazione era corretto. Secondo Heller, tuttavia, la dottrina della creazione dell’Universo trascende la teoria scientifica del Big Bang che, al massimo, può essere ‘consonante’ alla creazione. La teoria del Big Bang, inoltre, è una teoria classica, e i lavori di Hawking sull’evaporazione dei buchi neri ci dicono che l’Universo potrebbe essere emerso per mezzo di un processo quantistico di tunneling da una precedente situazione di esistenza fisica (Heller 2012: 9). Heller è pertanto categorico: non si può associare al Big Bang il concetto teologico di creazione. Da parte sua, Lee Smolin, uno scienziato non credente, afferma che «[…] l’idea che domina tutti è che la razionalità responsabile della coerenza di ciò che ci circonda non si trova nel mondo, ma si nasconde dietro di esso». (Smolin 1998: 253). Sembra riferirsi a quel dominio sconosciuto dal metodo scientifico che può essere ‘intuito’ a livello individuale, in modo non oggettivabile, come avviene nelle introspezioni meditative e nelle intuizioni di tipo religioso.

Secondo Stephen Hawking (scienziato non credente), «[…] se però perverremo a scoprire una teoria completa […] decreteremmo il trionfo definitivo della ragione umana: giacché allora conosceremmo la mente di Dio» (Hawking 1997: 197).

Io non credo che si possa pretendere di usare il metodo scientifico per dare giudizi di verità su argomenti che trascendono la realtà sperimentalmente verificabile; semmai,come esseri provenienti dalla Natura, potremmo essere in grado di intuire – anche se in modo ‘irrazionale’ – il possibile ‘progetto’ da cui nasce la Natura e che è certo contenuto in noi stessi. A questo proposito, il fisico Gerald Schröder scrive: «Se l’Universo è veramente l’espressione di un’idea, il nostro cervello potrebbe essere l’unica antenna sintonizzata in modo da captare l’informazione connessa con quell’idea» (Schröder 2002: 128). 

Equilibrio nel ‘pensiero complesso’

Da quanto esposto ricaviamo che la razionalità ‘scientifica’ non basta per l’indagine sui contenuti della fede, specie quella religiosa, che sfuggono alle possibilità di verifiche empiriche. Né bastano le intuizioni e le percezioni ottenute dal proprio interno per l’assenza di obiettività di interpretazione e di linguaggio a cui sono soggette. Giuseppe Tanzella-Nitti, teologo e astrofisico, scrive al proposito:

«[…] il metodo scientifico-sperimentale non viene più considerato come l’unica forma rigorosa di razionalità, ma lo si affianca sempre più spesso ad altre forme di razionalità: analogica, simbolica, estetica […] vi è una crescente sensibilità verso forme di conoscenza legate a un sapere non formalizzabile, come la tradizione, la testimonianza, l’intuizione o l’empatia» (Tanzella-Nitti 2003: 22-23).

È pertanto necessario, per evitare, o almeno ridurre i conflitti ‘ideologici’ – in particolare nell’ambito religioso, ma in generale per tutto ciò che evade l’ambito empirico – estendere il concetto di razionalità, armonizzando la razionalità scientifica con gli aspetti positivi della modalità cosiddetta ‘irrazionale’. Un pensiero ‘complesso’, dove la ragione riconosca e accetti le singole visioni, senza necessariamente dare loro valore assoluto, è l’unica possibile (ancorché necessariamente parziale) soluzione al problema del dialogo perché riduce la distanza fra credenti e non credenti in modo più o meno efficiente, in dipendenza del livello di equilibrio dei singoli (Alfano-Buccheri 2012: 245-266).

FOTO n. 6Il ruolo della filosofia nel processo di conoscenza

Armonizzare il controllo e la connessione fra le due forme di conoscenza, rendendole complementari e non antagoniste, cercando ‘razionalmente’ la maggiore oggettività possibile fra le percezioni comuni alfine di costruire una ‘verità’ con il massimo della condivisione sia sul piano della ‘ragione’ sia su quello della ‘fede’, è compito del filosofo (quello che Hesse chiama ‘pensatore’); ovvero di colui che, consapevolmente rivolto ad una interculturalità orientata ad una effettiva comprensione delle intime connessioni fra i differenti saperi e di condivisione di tendenze e aspettative altrui (non una interdisciplinarità in termini di tecniche!), sia in grado di rimanere in equilibrio fra le due tendenze, orfica e prometeica, sfruttando al massimo la tensione creativa derivata dalla sofferenza causata dall’antinomia, per giungere ad una visione serena e più possibile onnicomprensiva del mondo, qualità che gli permettano, quanto meno nell’ambito del settore disciplinare in cui opera, professionalmente o per diletto, di esercitare i compiti che il suo ruolo gli richiede con il massimo della efficienza, non necessariamente in termini economici ma certamente in termini di pace sociale e condivisione etica.

Mi rendo conto che questa definizione di ‘filosofo’ possa contrastare con la rappresentazione che se ne ha oggi, più legata alla professione di studioso di filosofia, ovvero di studioso del pensiero filosofico. Invero, alla tensione dicotomica di cui si discute siamo soggetti tutti – medici, chimici, fisici, economisti, politici o operatori di qualsiasi altra disciplina, anche operatori religiosi e professionisti del pensiero filosofico – e quanto più siamo in equilibrio fra le due tendenze, quanto più siamo partecipi dell’immagine che le conquiste del pensiero ci danno del mondo, e quanto più rivolgiamo l’attenzione ai vari aspetti che ci presentano le dinamiche della vita vissuta, tanto più siamo ‘filosofi’ nel senso su esposto.

Si tratta di una ‘filosofia’ che ci permette certamente di svolgere nel miglior modo il ruolo che ci è proprio all’interno della società, ma che di norma è frutto di una lunga e meditata esperienza personale, legata a percorsi di vita in ambiti fisici e culturali specifici che, per questo, non ci mette in grado di usarla per insegnare ad altri come vivere, come può fare un medico o uno psicologo con le sue tecniche condivise da tutti, in riferimento a particolari patologie. Una filosofia, che sia ponte fra le altre discipline e fra le due tendenze (che sono trasversali a tutte le discipline), che serva da connessione e da sintesi, non parlando alla pancia per interesse come si fa, ormai sempre più spesso (e non solo in politica), ma al cuore, come faceva Gesù. Non mancano esempi storici di personaggi di grande equilibrio e carisma che, ciascuno nel settore di sua competenza, ha saputo portare a sintesi le conoscenze e le aspettative di pace ed efficienza della gente con fermezza e giudizio ma senza le scorciatoie soggette alla tirannia dell’economia o del personale interesse.

Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016           
 Riferimenti bibliografici
 Marina Alfano & Rosolino Buccheri, L’Energia Creativa dell’Oscillazione polare fra Mito e Scienza, Palermo Carlo Saladino Editore, 2009
Marina Alfano & Rosolino Buccheri, Oltre la razionalità scientifica, Lateranum, 2012, LXVIII, 2
Antonio Damasio, Emozione e Coscienza, Milano Adelphi, 2003
Antonio Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano Adelphi,  2008
Elkhonon Goldberg, Il paradosso della saggezza. Come la mente diventa più forte quando il cervello invecchia, Milano Ponte alle Grazie, 2005
Robert Jastrow, God and the Astronomers, Warner Books New York, 1978
Stephen Hawking, Dal Big Bang ai Buchi Neri. Breve storia del Tempo, Milano Rizzoli, 1997
Michał Heller, Tensione Creativa. Saggi sulla Scienza e sulla Religione, Akousmata•orizzonti dell’ascolto, Ferrara, 2012
Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro, Milano Mondadori, 1989
James Hillman, La vana fuga dagli dei, Milano Adelphi, 2005
Gerald Schröder, L’Universo sapiente. Dall’atomo a Dio, Milano Il Saggiatore, 2002
Lee Smolin, La vita del Cosmo, Torino Einaudi, 1998
Giuseppe Tanzella-Nitti, Teologia e Scienza, Milano Paoline, 2003

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Rosolino Buccheri, già Dirigente di Ricerca del CNR in Astrofisica e Fisica Cosmica, direttore dell’Area della Ricerca CNR di Palermo e docente di Istituzioni di Fisica Nucleare e di Storia del Pensiero Scientifico all’Università di Palermo. Ha rappresentato l’Italia alle missioni spaziali della NASA e dell’E.S.A. e annovera la scoperta della prima pulsar binaria superveloce. È autore di oltre duecento pubblicazioni, coautore del libro L’idea del Tempo con Margherita Hack e co-curatore di diversi libri. È Accademico dell’Accademia Siciliana dei Mitici e Presidente dell’Associazione di Astrofili ORSA.

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