di Muin Masri
Siamo fatti di tante cose, ma soprattutto di ricordi e di sogni. Purtroppo, spesso non combaciano e bisogna andare altrove; quando si va via da casa a cercare un sogno si sa già che sarà per sempre, che non si tornerà mai più. In questi casi si porta con sé quei ricordi intimi che faranno compagnia ogni volta che ci si sentirà soli e malinconici.
I primi tempi qui in Italia sono stati duri, molto duri, così ogni tanto cercavo di richiamare nel cuore e nella mente quei frammenti per sentirmi forte; mi apparivano sempre un paio di sensazioni e immagini: il profumo del pane all’alba che la mamma preparava due-tre volte alla settimana, mio padre che entrava in casa sorridendo, la mamma che lo guardava con una espressione che solo le donne possono avere, e fuori c’era sempre, o quasi, il rumore della paura e degli spari.
Da piccolo ero convinto che il pane si facesse solo al mattino e che i bambini in guerra nascono tra un sorriso e l’altro, tra uno sparo e l’altro. Da grande mi sono reso conto che non mi sbagliavo più di tanto: non so perché, ma il pane ovunque si prepara al mattino e i bei bambini nascono dai sorrisi delle donne.
Quest’anno, il 7 maggio, ho festeggiato 40 anni di vita italiana. Ad ogni anniversario la mia mente torna a loro, ai miei genitori. Sono partito senza nemmeno salutarli per paura che i loro sguardi mi avrebbero fatto cambiare idea. Come ogni 7 maggio mi pento di non avere salutato mio padre, non l’ho più visto sorridere; è mancato di lì a poco e in certi posti del mondo, dove la guerra è di casa, è impossibile tornare in tempo per i funerali. Di lui mi sono rimasti i suoi gesti nel preparare gli aquiloni per me e per miei fratelli; ci diceva sempre: «Siamo legati a questo mondo con un filo come l’aquilone, basta che si tagli il filo – facendo zac con la mano – e addio per sempre!». Io non volevo tagliare il filo, volevo solo trovare un posto dove poter sognare in pace, ma a volte siamo costretti a scegliere tra il sogno o rimanere per sempre legati a una terra che conosce solamente il sacrificio e il dolore. Scegliendo la strada del sogno ho perso il sorriso di chi mi ha dato la vita e mi ha insegnato a volare come un aquilone.
La mamma, per fortuna, c’è ancora, ma ci vediamo veramente poco. È sempre bella, ma è invecchiata precocemente. Niente come la guerra fa invecchiare le persone. Niente come la guerra allontana le famiglie. Niente come la guerra ci rende orfani di bei ricordi.
Jorge Luis Borges, ne L’artefice, sosteneva: «Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto». Io, immigrato con nessuna faccia ben definita e mille identità acquisite, non sapendo di preciso quale immagine il mio volto avrà quando sarà l’ora del trapasso, ho scoperto che in realtà noi, nel nostro continuo vagabondaggio, non facciamo altro che ritracciare la strada di casa. Ho avuto consapevolezza di ciò per puro caso, grazie all’ultimo libro Vendesi croce. Ma partiamo dal principio, partiamo dalla parabola del buon samaritano narrata nel Vangelo secondo Luca 10,25-37. Per il filosofo ed economista Amartya Sen la parabola del buon samaritano è uno dei cardini della società giusta.
A certe persone è impossibile dire di no; non necessariamente sono genitori, fratelli o amici, ma persone che hai conosciuto strada facendo e che, in un momento di grande difficoltà e imbarazzo, hanno salvato la tua dignità di persona.
Sono anni che scrivo per il gusto di scrivere e capita che ogni tanto qualcuno mi proponga di pubblicare qualcosa. Vuoi per pigrizia, vuoi per disallineamento astrale o per chissà cosa, ringrazio e declino l’invito. Aspettavo un momento migliore, ma senza sapere di preciso quale. Un giorno, una vecchia conoscenza mi manda una mail con cui mi saluta con affetto, mi fa i complimenti per le cose che legge su Fb e mi propone di pubblicare con la sua piccola casa editrice di Torino.
Adesso riprendo la parabola del buon samaritano e la trasferisco ai nostri favolosi anni ‘80. Avevo da poco iniziato a frequentare l’Istituto per le Tecnologie Informatiche “Carlo Ghiglieno” e abitavo nell’unica sistemazione per me possibile: la Casa della Provvidenza d’Ivrea al costo di 90 mila lire al mese. Un giorno, all’Istituto Ghiglieno ci fu un furto di materiale informatico e i vari computer furono ritrovati alcuni giorni dopo in un locale abbandonato adiacente a dove alloggiavo; i Carabinieri mi convocarono come persona informata sui fatti. Ero disperato, ma non osavo piangere. Qualcuno a scuola, vedendomi in uno stato pietoso, informò il Direttore che si offrì di accompagnarmi al Comando. Alla fine della discussione con il Maresciallo, il Direttore disse testuali parole: “Questo è in bravo cristo, garantisco io per lui”.
Ma la storia non finisce qui. Due anni dopo, ci fu il grande giorno del diploma di specializzazione: eravamo in 68 e in 67 vennero convocati dall’ufficio personale dell’Olivetti per una proposta di lavoro. Tutti, tranne me. Il Direttore chiamò: “Salve…. si può sapere perché avete chiamato tutti miei allievi tranne Muin Masri? É un bravo ragazzo, garantisco io per lui”. Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato prima che la voce dall’altra parte rispondesse: “Sì… non abbiamo dubbi che sia un bravo ragazzo, ma perché dobbiamo rischiare di avere in casa un potenziale problema?”.
La pubblicazione di Vendesi croce prende forma grazie a quei lontani ricordi di un ragazzo che aveva attraversato il mondo in cerca di ombra e un po’ di pace, ma che ha rischiato più volte di finire di nuovo sulla croce. Poi, qualcuno, mai visto né conosciuto prima, un giovane uomo che faceva il Direttore del Ghiglieno, disse ben due volte “… garantisco io per lui”. Successivamente, quando ho letto la sua mail, non potevo che rispondere “Sì, sono onorato di fare questo progetto insieme a te”. Vendesi croce non è solo un racconto di racconti, ma è il rinnovo di un patto di garanzia e di affetto tra due uomini liberi ritrovatisi dopo 40 anni.
Non avendo mai avuto una patria, una casa propria, niente come una presentazione in libreria mi fa sentire a casa. Mi fa esaltare come un re che abbia ritrovato il suo regno d’infanzia; a me la casa è stata rubata e i libri sono diventati il mio unico stato possibile, un luogo dove le frontiere sono tracciate con le parole e non con il sangue. I soldati, gli aerei e i carri armati sono mal disegnati, così come le bandiere, scarabocchi per piccoli lettori vivaci. Gli invasori entrano con rispetto senza violare nessuna legge umana e pagano il conto alla cassa per ogni vizio, debolezza o peccato concesso. L’amore, la pace e la religione sono realtà scritte da un monaco buddhista che si è appena reincarnato in una farfalla dell’Amazzonia. L’inno del mio regno è una copertina che suona il carillon ad ogni tocco.
In uno di questi incontri con il pubblico, alla fine della presentazione del libro e dopo avere parlato, soprattutto, della magia della vita in tempo di pace, mi si avvicina un signore molto emozionato: “Muin, so che tu da piccolo sognavi di fare il fotografo, io lo sono diventato per davvero! Ho qui un regalo per te”. Mi consegna due foto di gruppo di me, di lui e del resto dei miei amici, studenti dell’Istituto per le Tecnologie Informatiche “Carlo Ghiglieno”, compagni di scuola, fratelli e sorelle italiani in ordine sparso: Massimo, Claudio, Codecà, Gibba, Beppe, Andrea, Paolo, Paolo, Monica, Elena, Anna, Maurizio, Paola, Alfredo, Fulvio, Davide, Luca, Scognamiglio…. Eravamo i ragazzi del Ghiglieno dell‘85.
Ieri, come da 40 anni a questa parte, io racconto la guerra e la vita mi abbraccia con tutto il suo amore. Non è un risarcimento, ma la magia di ragazzi puliti dentro, nati in tempo di pace che mi hanno sempre regalato un sorriso per farmi sentire a casa. Grazie di cuore, allora come oggi.
Dialoghi Mediterranei, n. 74, luglio 2025
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Muin Masri, di Nablus (Palestina), in Italia dal 1985, ha studiato informatica al Ghiglieno di Salerano e si è laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Torino. Ha esordito nel 1994 con Racconti?, una raccolta bilingue (italiano – francese) pubblicata da Scriptorium. Ha pubblicato, tra l’altro, il miniracconto Le mutande nere (Goethe Institut, 1996), i romanzi Il sole d’inverno (Lupetti & Fabiani, 1999), Pronto ci sei ancora? (Portofranco, 2001 – Lochness libri, seconda edizione 2006) e Io sono di là (Michele di Salvo – Traccediverse, 2005). Nel 2001 ha realizzato Viaggio di sola andata, cinque episodi trasmessi da Radiotre nell’ambito del programma Centolire. Nel 2007 ha pubblicato due contributi nelle raccolte Cuori migranti (a cura di Lorenzo Dugulin – CACIT Editore) e Mondopentola (a cura di Laila Wadia – Cosmo Iannone Editore). Ha partecipato alla rassegna “Autori per Roma – la città e il mondo” con il testo teatrale “Mamma a Roma. Stop” (a cura del Teatro Eliseo e del Comune di Roma). Nel 2008 ha pubblicato il racconto “Estraneità” incluso nella raccolta Amori Bicolori (a cura di Flavia Capitani ed Emanuele Coen – Contromano, Editori Laterza). Dal 2007 al 2011 ha collaborato alla rubrica “Cronache italiane” per il settimanale Internazionale. Nel 2015 ha pubblicato con Streetlib e in formato ebook i racconti “Il fantasma, la vergine e lo spirito santo”. Nel 2024 ha pubblicato Vendesi croce con www.edizioninautilus.it di Torino.
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