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La bottega di Zia Vittoria e qualche proposta per la Rete delle associazioni sarde

Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2020 @ 00:13 In Cultura,Società | No Comments

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Sa Pedra Bianca (ph. Seddaiu)

il centro in periferia

di Corradino Seddaiu

A Sa Pedra Bianca fino agli anni 0tttanta del secolo scorso, la bottega di zia Vittoria, così la chiamavano anche coloro che a lei non erano legati da nessun vincolo di parentela, era un punto di riferimento e di rifornimento alimentare e non solo, per i residenti della piccola frazione del comune di Padru [1] che oggi arriva con fatica a cento anime considerando anche l’agro di Sas Enas.

Durante le vacanze estive la mia famiglia, originaria del borgo, migrata lontano in città negli anni sessanta per lavoro, tornava sempre a riabbracciare i nonni e contemporaneamente a riaprire la casa che mio padre aveva realizzato nella prospettiva di un ritorno dopo la pensione.

Dalla città, mia madre portava una spesa che si esauriva nell’immediato fra regali, spuntini improvvisati con parenti, amici e conoscenti che venivano ad accogliere il nostro ritorno dopo quasi un anno di assenza. Arrivava quindi il tempo di uno dei momenti che sia io che mia sorella ancora ricordiamo con piacere e cioè la visita a zia Vittoria, per noi allora bambini sinonimo di gelati, caramelle, dolci e leccornie varie rigorosamente regalateci in qualità di nipoti che vivevano lontano.

In realtà zia Vittoria era la zia di mia madre, ma per noi e per tutto il borgo era la zia. Andare da zia Vittoria era sinonimo di “andare alla bottega per comprare qualcosa di necessario”.

Varcata la porta d’ingresso che sapeva più di casa che di bottega, si entrava in una piccola stanza dove c’era tutto l’indispensabile per quei tempi, dove il superfluo era un lusso e un peccato allo stesso tempo.

La mercanzia era conservata in mobili color pastello dai grandi cassettoni chiusi che venivano aperti all’occorrenza, alcune cose erano disposte in maniera ordinata nella parte superiore dei mobili, senza nessun tipo di espositore commerciale o spesso in alcune mensole ricavate all’interno delle mura tipiche delle case agropastorali sarde.

Zia Vittoria in alcune serate diventava anche bar; se le persone si trattenevano a chiacchierare, si portavano fuori dalla casa attigua alla bottega le sedie e fra un resoconto della giornata e un racconto si consumava qualche bevanda. Talvolta altri, attirati dal chiacchiericcio si univano, portavano con sé la sedia da casa e spesso il fiasco del vino oppure si accomodavano sulle basse panchine di pietra o granito che tutti avevano previsto davanti alle case per favorire i momenti di convivialità, per sbucciare fagioli e ceci o per oziare nei pomeriggi soleggiati.

Zia Vittoria era anche edicola, anche se in realtà vendeva solo qualche copia del quotidiano che il postino portava con sé insieme alla posta per fare un favore all’edicolante del paese a valle, permettendogli di vendere qualche copia in più e allo stesso tempo aiutando la piccola comunità a soddisfare la sete di notizie.

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Sa Pedra Bianca (ph. Seddaiu)

La bottega di zia Vittoria aveva pochi concorrenti, giusto qualche ambulante nuorese che con il suo furgoncino portava mercanzie dalla pianura della Baronia fra la costa di Posada e Siniscola, e a volte qualche nordafricano che vendeva prodotti per la casa, tappeti, cuscini e altre meraviglie stipate in pochissimo spazio.

Quando queste vetture arrivavano strombazzanti fra i vicoli del borgo, a poco a poco una piccola folla si radunava e difficilmente qualcuno andava via senza aver concluso qualche affare.

Una volta chiesi alla nonna che si accingeva ad acquistare qualcosa da una di queste botteghe ambulanti perché comprasse un altro vaso decorativo simile a quello acquistato il mese scorso. Ricordo molto bene la sua risposta con il sorriso sulle labbra: «Fizzu meu, non so che ne farò di questo vaso, ma non posso prendere altre cose perché le ho già impegnate con zia Vittoria, ma se non acquistassi nulla questo signore avrebbe percorso tanta strada, consumato carburante senza aver guadagnato niente e magari potrebbe in futuro decidere di non avere più convenienza a venire quassù da noi».

Una delle differenze che appare evidente rispetto alle realtà commerciali odierne sta nel rapporto sacro con i beni, sos benes, lontano dagli sprechi e dalle immagini della grande distribuzione che trasforma in rifiuti prodotti invenduti.

La merce all’interno della bottega era preservata, nascosta, protetta dalla vista come esige un tesoro dagli estranei, in barba agli esperti di marketing che oggi apparecchiano i nostri supermercati di prodotti a portata di naso per favorire i cosiddetti acquisti d’impulso che generalmente riguardano beni superflui. Nelle botteghe come queste si andava a prendere il necessario, cosa che vale ancora oggi per i nostri piccoli paesi e nelle terre di margine.

Alberto Cabboi in una riflessione pubblicata sui social il 12 marzo descrive la vita ad Armungia, paese nel sud della Sardegna ai tempi del coronavirus: «Ad Armungia, puoi fare la spesa nelle piccole botteghe del paese, prenderti cura dell’orto o del giardino, andare al tabacchino da Gigi. A fare un giro oggi nei nostri piccoli centri, dimenticati tra gli Appennini o nell’entroterra della Sardegna, destinati secondo gli studiosi a scomparire nel giro di pochi decenni, si trovano poche differenze rispetto a dieci o venti giorni fa. Segno tangibile di come queste minuscole realtà siano abituate a vivere con meno, a stare senza cose non indispensabili, ad accontentarsi in misura maggiore dell’essenziale».

La vita nei piccoli centri non pare cambiata eccessivamente con la pandemia, le immagini delle città vuote si riflettono in quella dei piccoli paesi dove la vita aveva rallentato così tanto da apparire immobile come se il virus vi abitasse da tempo immemore. Ma oggi l’importanza di alcuni presidi essenziali come le botteghe di vicinato è stata riscoperta. Falcidiati da ipermercati e centri commerciali, sono diventati essenziali per la popolazione anziana e non solo, soprattutto in questo periodo storico dove gli spostamenti sono limitati. Piccole botteghe che hanno fatto la storia del territorio e che resistono contro giganti come quelli del web.

Quando questo virus sarà lontano occorrerà riflettere e ripensare sul ruolo fondamentale che svolgono i piccoli negozi in particolare nei piccoli paesi, non solo come luogo d’incontro e di mantenimento della cultura territoriale ma anche di presidio irrinunciabile al pari di altri. Luoghi d’incontro e di servizio, ma anche veri e propri uffici turistici per i visitatori, attività che spesso lavorano in perdita ma resistono per gli altri.

«Nei luoghi, e sono tanti, dove ci sono solo il negozio di alimentari e l’edicola è qui che un genitore, un nonno o uno zio può trovare il regalino, il giocattolo o la rivista per l’infanzia che al ritorno spianerà un sorriso che apre il cuore alla speranza. Può sembrare una piccola cosa, ma solo chi si è specchiato nel sorriso spensierato di un bambino può capire quanto sia importante» [2].
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Sa Pedra Bianca (ph. Seddaiu)

A Sa Pedra Bianca, Zia Vittoria ha chiuso da molti anni. La sua bottega, non ha resistito. In momenti come questo si sente la necessità di posti come il suo. Il web e il centro commerciale in questo periodo rivelano la loro distanza. Oggi anche se ti occorre il caffè, il sale ma anche una matita e un quaderno si è costretti a spostarsi di 20 km o a stare senza. Il web pur veloce non può soddisfare né queste esigenze ma soprattutto non può sostituirsi a quello che le tante zia Vittoria sparse nei territori marginali della penisola possono offrire per le comunità.

Col senno di poi, del post pandemia, le istituzioni dovranno necessariamente prendersi cura di questi attori che sono spesso singoli cittadini ma anche giovani che si uniscono in cooperative di comunità come a Monticchiello in Toscana dove con gioia e rivoluzione si gestiscono botteghe e ristoranti ma ci si preoccupa anche dell’appetito culturale dei residenti con il teatro.

Sarà la fiscalità di vantaggio ad aiutare queste realtà virtuose? Sarà sicuramente auspicabile e necessario, ma ancora una volta molto dipenderà da tutti noi, da quel tanto agognato cambiamento di paradigma con propulsione dal basso che si attende da tanto, troppo tempo.

In questi tempi di sceneggiature che ricordano realtà distopiche post apocalittiche più che realtà virtuose, sarà necessario affinare la capacità di pianificare il nuovo, nella complessità di territori che sono fra loro diversi. «La pandemia sorprende i territori e li obbliga a modificare gli approcci, le strategie e le iniziative»[3]. La pandemia ha messo a nudo lo scenario, i limiti dell’uomo metropolitano.

Complice anche la crisi climatica, la nuova realtà può diventare la piattaforma su cui riorganizzare e ripensare i modi di vivere, la produzione, ma soprattutto può essere l’opportunità di ricollocare l’uomo in una dimensione di convivialità con l’ambiente che lo circonda [4].

Pianificare questa sfida diventerà auspicabilmente l’obbiettivo dell’umanità dei giorni a venire. In questa prospettiva si offre all’attenzione  della Rete delle associazioni sarde una proposta per la rinascita delle zone interne della Sardegna.

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Statuto della Rete delle Associazioni Sarde

Per una carta delle proposte della Rete delle associazioni sarde per la rinascita delle zone interne

Premessa

La Sardegna come buona parte del territorio italiano “dei margini” è un’isola che sperimenta nuovi fenomeni di abbandono che ne colpiscono in particolare le aree interne, evidenziandone le fragilità, i disagi, le disuguaglianze e le sistematiche contrazioni demografiche, antropologiche e culturali.

Nonostante i dati di questi arretramenti siano evidenti, spesso la percezione del fenomeno non viene riconosciuta immediatamente nelle e dalle comunità interessate né tantomeno dalle istituzioni che probabilmente posticipano la possibile scomparsa delle comunità nel lunghissimo periodo e non si fanno carico dei problemi a breve e medio termine che sono causa dell’invecchiamento. I calcoli purtroppo sono semplici e i risultati freddi e drammatici nella loro semplicità. Secondo una legge dell’invecchiamento «se un paese arriva ad avere una percentuale di ultrasessantenni pari o superiore al 30% della popolazione totale, allora quel paese a meno di una massiccia immigrazione raggiunge un punto di non ritorno demografico. Nel senso che la popolazione, complice il fatto che le morti supererebbero di troppo le nascite, non avrebbe più la capacità endogena di riprodursi efficacemente» [4].

Questa è la fotografia emblematica di una struttura che corre verso il baratro dell’estinzione. In dieci anni la Sardegna ha perso 32 mila abitanti e nel 2018 oltre 8 mila residenti. La maggior parte di queste partenze è caratterizzata da persone che si spostano per motivi di studio o di lavoro il che priva l’Isola della parte più dinamica della popolazione. Fra le isole più simili e vicine i dati a confronto evidenziano come Corsica, Malta e Baleari negli ultimi dieci anni segnano un incremento della popolazione rispettivamente di 11%, 12%, 15%; mentre la Sardegna nello stesso periodo registra un -2%.

In epoca di boom demografico mondiale dove la popolazione del pianeta si avvicina velocemente alla soglia dei 10 miliardi, e dove i problemi sociali ed ambientali in assenza di strategie politiche comuni di contrasto e di ripensamento dei modelli economici e culturali, la scomparsa di qualche comunità non sarebbe un dramma dal punto di vista meramente statistico; il problema sorge però se consideriamo il fatto che la scomparsa di una popolazione non è solo un dato statistico che riguarda la demografia, ma significa anche la scomparsa degli usi e costumi, dei canti, delle poesie di una comunità che paradossalmente potrebbe riuscire attraverso terzi a consolidare il patrimonio materiale ma perderne irrimediabilmente quello immateriale fatto appunto di storie, di tradizioni, di saperi che ne caratterizzano l’unicità e la storia.

Questa crisi epocale costringe a ripensare tutto, sia dal punto di vista economico che da quello culturale attraverso un nuovo approccio, un nuovo sguardo che osservi questi territori in modo differente da una prospettiva altra, che permetta di tramutarne le fragilità in opportunità, cercando di riempire quei vuoti attraverso la partecipazione delle comunità. La realizzazione delle “nuove aree interne” si raggiunge con l’innovazione sociale, le nuove tecnologie, sincretizzando i nuovi saperi  e la tradizione, le spinte dal basso con le moderne istituzioni, aprendosi propositivamente alla creazione di una rete delle reti che si basa sulla condivisione di prossimità, che rende un passo dopo l’altro più vicino e non più avversario e ostile anche il territorio più lontano.

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Assemblea della Rete delle Associazioni Sarde (ph. Seddaiu)

Per la prima volta è evidente che questi territori, in Italia come nel resto del mondo, iniziano ad essere visti da alcuni non più solamente come un problema ma anche come un’opportunità che nasce in parte dalla crisi degli agglomerati urbani più grandi ma anche dall’avvio di una metamorfosi culturale, di nuovi stili di vita che trasformano i territori in spazi di opportunità e di potenziale progetto di futuro.  Ribaltando il pregiudizio che vede negli spazi urbani il luogo esclusivo del dinamismo e dell’innovazione, attribuendo ai territori marginali solo i valori inerenti la custodia delle tradizioni. Territorio che viene ripensato attraverso le lenti dei nuovi montanari, da fenomeni come il neo ruralismo e neo comunitarismo, dove oltre ai nativi si aggiungono i residenti temporanei che acquisiscono cittadinanza piena, i quali spesso sono come una boccata d’aria fresca all’interno di comunità asfittiche.

  • Progetto straordinario per il lavoro, condiviso con le popolazioni locali, istituzioni, scuole, associazioni, movimenti di cittadini, gruppi di pressione locali, cooperative di comunità, cittadini temporanei, intellettuali, artisti che tiene conto delle vocazioni del territorio, delle specificità e delle risorse disponibili, capaci di ri-creare occupazione stabile e qualificata.
  • Le persone al centro del progetto attraverso la formazione che procede parallelamente alla valorizzazione dei saperi tradizionali, dell’agricoltura e dell’allevamento e ne privilegia gli aspetti innovativi, eco compatibili, inclusivi.
  • Predisposizione di una rete di mobilità integrata che organizza il trasporto pubblico e privato fra le comunità di prossimità e i centri più importanti attraverso la creazione di piattaforme che ne facilitino l’utilizzo e la condivisione (pubblico+car sharing, telelavoro), messa in sicurezza delle reti stradali, adeguamento e progettazione di nuove ferrovie integrate.
  •  Realizzazione prioritaria di una rete internet attraverso la fibra ottica garantita in tutti i comuni ed estesa alle frazioni e all’agro.
  • Comuni in rete creazione di reti di prossimità. Predisposizione alla nascita di nuove entità quali città territorio organizzate in maniera innovativa (smart land) che favoriscano una strategia basata sulla specializzazione intelligente di ogni paese al fine di sfruttare appieno il capitale territoriale disperso.
  • Fiscalità di vantaggio per famiglie e imprese che si stabiliscono nei comuni afflitti da spopolamento. Agevolazioni per giovani coppie sia sul versante lavorativo sia su quello dei servizi per l’infanzia adottando il modello francese che contribuisce in senso positivo sulla formazione delle famiglie e contribuisce a ridurre le cause che provocano la denatalità.
  • Presenza con sistema di rotazione settimanale nelle varie comunità di prossimità dei servizi postali, bancari, sanitari e relativa creazione di ambulatori itineranti, case della salute e farmacie rurali.
  • Ricostruzione delle relazioni sinergiche fra città, paesi e campagna a partire dal cibo, favorendo l’opportunità di canali di vendita privilegiati di prodotti a km zero da agricoltura biologica alle comunità metropolitane garantendo lavoro e reddito ad agricoltori e piccoli imprenditori fuori le mura.
  • La produzione e i metodi produttivi diventano funzionali ai luoghi e non i luoghi e i suoi metodi alla produzione attraverso un’economia circolare. La società locale definisce i fini, le forme e gli strumenti a partire dalla messa in valore durevole del patrimonio territoriale concernente sia i beni materiali sia quelli immateriali.
  • Recupero dei beni storici, archeologici, monumentali a rischio degrado e affidamento alla cittadinanza organizzata in maniera associativa la gestione e la promozione dei siti al fine di preservare e promuovere l’identità culturale della comunità rendendola disponibile ai turisti e agli studiosi.
  • Sardegna terra di parchi. Valorizzazione dell’esteso patrimonio boschivo. Installazione all’interno di laboratori universitari permanenti, di attività associative locali, di banche delle sementi al fine di promuovere e tutelare la biodiversità.
  • Consentire l’utilizzazione delle terre civiche inutilizzate ad associazioni, cooperative, piccole aziende agricole e ricettive al fine di creare opportunità di lavoro e favorire l’insediamento.
  • Adottare un approccio unitario nella valutazione e nella risoluzione delle problematiche abbandonando la politica del caso per caso fatta di interventi sui singoli comuni.
  • Decentramento di attività amministrative, istituzionali, universitarie al di fuori dall’area metropolitana. Non è previsto da nessun principio che tutte le funzioni di governo debbano essere collocate nei capoluoghi. Con le nuove sedi istituzionali si favorisce la nascita di un indotto rigenerativo per le attività locali e la nascita di altre.
  • Creazione di una governance federale che assicuri a tutti i territori la partecipazione allo sviluppo equilibrato dei territori. Riorganizzazione del sistema istituzionale, sburocratizzazione dell’apparato legislativo, adozione di una legge elettorale fondata sulla pari rappresentanza fra tutti i territori non strettamente proporzionale alla popolazione residente.
  • Formazione di figure professionali atte a coordinare sui territori le nuove attività culturali, economiche, sociali, ludiche delle nuove comunità con l’obbiettivo di formare a loro volta altre figure all’interno delle popolazioni locali.
 Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
Note
[1] Comune situato nel nord-est Sardegna.
[2] D. Scano, La Nuova Sardegna, sabato 11 aprile 2020.
[3] Da Habit-a.eu. , Sfide dei territori montani ai tempi del COVID, 19. 10-04-2020.
[4] A. Golini-M.V. Lo Prete, Italiani poca gente. Il Paese ai tempi del malessere demografico, Luiss, 2019: 59 .

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Corradino Seddaiu, nato a Sassari, laureato in Sociologia a La Sapienza di Roma con una tesi dal titolo “Paesaggi culturali. L’esempio dei Saltos de Joss nella Sardegna nord orientale”, è Presidente dell’Associazione culturale Realtà Virtuose, che opera nel nord Sardegna, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo e la valorizzazione dei piccoli borghi con un’attenzione particolare alle tematiche ambientali e sociali locali orientate verso il cambiamento dei paradigmi in agricoltura e nel turismo. Attualmente collabora con sociologi della musica e tecnici del suono per la realizzazione di una mappa sonora dei territori (fiumi, risorgive, borghi abbandonati, chiese, botteghe artigiane) al fine di creare un archivio sonoro a disposizione della collettività e di artisti che ne vogliano rielaborare i suoni e i rumori dando vita a musica e forme d’arte.

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