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Islam e Scienza. Un notevole divario tecnologico e scientifico divide l’Occidente dal mondo musulmano

Posted By Comitato di Redazione On 4 giugno 2013 @ 12:51 In Società | 9 Comments

Senza titolo-1di Luigi Tumbarello

Che cosa impedisce nei Paesi islamici la diffusione del pensiero scientifico?

La risposta a tale domanda diventa essenziale per comprendere il significativo divario tecnologico e scientifico tra la così detta società occidentale e quella islamica. La risposta non è semplice, né sono sempre convincenti le analisi che da più parti vengono fatte. È un problema religioso? È un fatto culturale? Dipende dalla struttura sociale?

Dal punto di vista religioso sembra che non dovrebbero esserci, almeno a livello teorico, incompatibilità di principio tra Scienza e Islam. Secondo questa linea di pensiero, se si ripercorrono i secoli bui del Medioevo, si devono all’Islam la conservazione e la reinterpretazione del pensiero ellenistico e la sua diffusione nelle sponde del Mare Nostrum e da qui in tutta l’Europa.

In questo contesto storico–geografico, la civiltà musulmana ha prodotto nuove conoscenze scientifiche e un proprio illuminismo di natura filosofica, fungendo anche da anello di congiunzione fra la grande eredità del pensiero antico e l’era moderna.

Il pensiero islamico classico, pertanto, si avvale di culture e tradizioni diverse assorbite dalla civiltà musulmana nel corso della sua espansione, dall’Iran all’Andalusia, passando per la penisola arabica e il Nordafrica.

«Una volta tanto si può parlare di incontro e non di scontro di civiltà», era solito commentare il nobel Abdus Salam.

Culture e scienze che però verranno adattate ai canoni della dottrina dell’Islam, andando a costituire, attraverso un eccezionale lavoro di traduzione dal greco o dal persiano all’arabo, il corpus del pensiero filosofico e scientifico dell’Islam; una tale armonia tra scienza e dottrina ha determinato una scarsa conflittualità tra religione e pensiero razionale. Non per niente in quel periodo non sono esistiti casi di intolleranza e di forte intrusione religiosa e non si conoscono casi simili a quello del “nostro Galileo”.

Allora perché nei Paesi musulmani dura da qualche secolo questo stato di “sonno” scientifico? Perché in questi Paesi la scienza, o meglio gli scienziati, vivono una condizione di disagio?

La spiegazione a questo deficit scientifico e di conoscenze ha cercato di darla, in una lontana intervista, lo stesso Premio Nobel per la Fisica Abdus Salam, fondatore del Centro Internazionale di Fisica teorica di Trieste, il quale non aveva dubbi a far risalire il declino culturale dell’Islam a cominciare dal IX secolo.

Da una parte, la “reconquista cristiana” di Cordoba e Toledo e conseguente caduta del califfato, e dall’altra l’invasione mongola di Bagdad, hanno di fatto diviso in due parti non comunicanti il mondo islamico, determinandone il declino. La successiva dominazione ottomana e l’irrigidimento dei dettami religiosi dei mullah diedero infine il colpo di grazia al libero spirito scientifico, a causa soprattutto del clero e della pretesa obbedienza all’autorità, il tawhîd, nel quale i concetti di Scienza, Vita, Potenza sono indistinguibili dalla natura stessa di Dio; nel tawhîd ogni atto è un atto di Dio e gli altri non sono che mezzi e strumenti. Il mondo è diretto dalla mano potente di Dio che crea ogni cosa nel tempo e pone ogni cosa nello spazio; la mano di Dio è presente ovunque e in tutti i tempi.

Per i mullah il Corano è un testo increato, ininterpretabile, non adeguabile al trascorrere del tempo e al mutare della società. Notevole il conflitto con quanto affermava Averroè nel suo trattato – Armonia tra Ragione e Legge Rivelata – in cui sosteneva che «l’uomo ha il diritto e il dovere di interpretare il Corano e non solo di commentarlo», per cogliere il significato autentico riferito al tempo in cui vive.

L’avere tentato di rendere preminenti, da parte di alcuni autorevoli scienziati di quel periodo, la Scienza e le tecnologie rispetto al Corano, fece esplodere la reazione dei mullah contro la scienza. Per l’Islam, le scienze come ricerca e analisi delle cause naturali sono intese come eretiche, in quanto non esiste la possibilità né il bisogno di razionalizzare il mondo.

Una figura di primo piano che si schierò contro questi scienziati è stato il filosofo Abu Hamid al-Ghazzali (1058-1111) , il quale sosteneva che l’esistenza di una sola legge fisica avrebbe messo in catene la libertà di Dio. Secondo il filosofo tutti gli eventi e le interazioni causali non sono prodotti da circostanze materiali ma sono espressioni immediate e tangibili della volontà di Dio. Secondo al Ghazzali, «un pezzo di cotone che prende fuoco non si consuma a causa del calore, ma perché Dio vuole che lo faccia».

Incomincia così il divorzio tra religione e scienza. Una delle conseguenze fu che si smise di stampare libri, causa di diffusione di idee nuove considerate illegittime e dannose dai mullah. Ebbe così inizio un processo di estinzione della lettura e della scrittura dal quale ne deriverà l’impoverimento culturale dell’Islam. Una tale ostilità religiosa è diffusa ancora oggi nei Paesi islamici verso la scienza.

Peraltro, nel famoso discorso di Ratisbona il 12 settembre 2006, anche Papa Benedetto XVI ebbe ad affermare che le radici del divorzio tra Islam e scienza nell’epoca moderna non sono dovute a ragioni economiche ma teologiche.

A riprova di ciò basta considerare lo scarso impegno dei Paesi arabi più ricchi ad investire maggiore risorse economiche nella ricerca scientifica proprio per non inimicarsi il potere religioso. Eppure la tecnologia è ben accetta e le società musulmane, ad eccezione di quelle talebane, sono oggi forti consumatori di prodotti tecnologici e la domanda di modernità, anche sotto forma consumistica, è sempre più in crescita.

Si spiega così il lungo sonno scientifico e culturale, che ha distanziato in pochi secoli il livello di conoscenze e di sviluppo dei Paesi musulmani dall’Occidente e che costituisce anche un motivo di risentimento verso quest’ultimo. Per comprendere nelle linee generali questo dislivello scientifico tra l’Islam e l’Occidente basta considerare l’assegnazione dei premi Nobel.

Dalla sua istituzione, osserviamo che sono meno delle dita di una mano i Paesi musulmani che hanno dato i natali a scienziati che hanno vinto il premio Nobel: l’Algeria con Claude Cohen Tannuchi (Fisica), naturalizzato in Francia; l’Egitto con Ahemed Zewail (Fisica) naturalizzato in U.S.A, il Pakistan con Abdus Salam (Fisica) naturalizzato nel Regno Unito. Sono tutti scienziati che, pur mantenendo la loro fede musulmana, anche se in senso laico, hanno sviluppato i loro studi e le loro ricerche in Occidente.

Tre premi Nobel vinti da musulmani a fronte di 180 vinti da scienziati ebrei. Il motivo è da ricercarsi innanzitutto nella scarsa scolarizzazione del mondo musulmano rispetto a quello cristiano o occidentale; inoltre, l’alfabetizzazione nel mondo cristiano è pari al 90% e i 15 Stati a maggioranza cristiana raggiungono il 100%. Uno stato a maggioranza musulmana ha una media di alfabetizzazione intorno al 40% e non esiste un solo stato musulmano con un tasso di alfabetizzazione pari al 100%. Il 98% degli alfabetizzati nel mondo cristiano finisce le scuole primarie, mentre meno del 50%degli alfabetizzati nel mondo musulmano fanno la stessa cosa. Sono dati che lasciano riflettere.

Illuminante appare l’analisi del giornalista pakistano Farrukh Saleem: ci sono 57 paesi membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) e in tutti gli stati membri esistono 500 università: una università per tre milioni di musulmani. Gli Stati Uniti hanno 5.758 università (1 per 57.000 americani). Nel 2004, la Shanghai Jiao Tong University ha comparato le performance delle università nel mondo e curiosamente neanche una università di un Paese islamico si trova nella top 500. I Paesi a maggioranza musulmana hanno 230 scienziati per un milione di musulmani. Negli Stati Uniti sono 4.000 scienziati per milione e in Giappone 5.000 per milione d’abitanti. Nel mondo arabo, il numero totale dei ricercatori a tempo pieno è di 35.000 e ci sono solo 50 tecnici per un milione di arabi. Inoltre, il mondo arabo dispensa lo 0,2 per cento del suo PIL alla ricerca e allo sviluppo mentre in tutto il mondo cristiano si destina all’incirca il 5% del PIL.

Un altro dato significativo sta nella pubblicazione di libri: nel Regno Unito, il numero di libri pubblicati per milione di abitanti si eleva a 2.000, mentre si attesta a 20 in Egitto; ne consegue che i Paesi musulmani non sono in grado di produrre conoscenza, di diffondere il sapere e quindi incapaci di trovare delle applicazioni alle nostre conoscenze. E l’avvenire appartiene alle società del sapere.

In un studio pubblicato dalla rivista Science sulla teoria dell’evoluzione e rappresentato dal grafico riportato sotto:

acceptance_evolution

si evince che nei Paesi relativamente più secolarizzati, Turchia e Kazakhstan, la percentuale di soggetti che credono alla teoria darwiniana è sostanzialmente più elevata rispetto a Paesi per così dire meno laici. Contrariamente a quanto si crede, l’Egitto che dovrebbe far parte del primo gruppo, si trova tra i Paesi più negazionisti dell’evoluzione e ciò perché, in quello Stato, la presenza di movimenti religiosi, uno per tutti i Fratelli Musulmani, è ben radicata ed influente.

Come potrebbero uscire i Paesi islamici da questo letargo scientifico e culturale?

Secondo Bernard Lewis, l’unico modello di sviluppo è quello di percorrere la strada della democrazia, della libertà e della laicità, pilastri sui quali si basa la straordinaria performance dei Paesi occidentali e che hanno giocato un ruolo fondamentale nella simultanea crescita economica, scientifica, politica e sociale.

Dialoghi Mediterranei, n.2, giugno 2013
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