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Introduzione all’astronomia culturale arabo-islamica

 Miniatura ottomana, osservatorio Ins(1)

Miniatura ottomana, osservatorio Istanbul (sec.XV)

 di   Francesca Morando

Questo contributo vuole essere semplicemente un piccolo accenno all’astronomia della tradizione arabo-islamica e in particolare alla branca [1] che tratta degli aspetti propriamente culturali di questa scienza ancestrale. D’altronde è importante sottolineare che negli ultimi tempi si sta affermando saldamente l’impiego di tale materia, sia in ambito scolastico, con risvolti interdisciplinari e interculturali, per volontà del MIUR, affinché l’astronomia penetri nelle scuole di ogni ordine e grado, sia presso il grande pubblico. Quest’ultimo, intrigato dalle scoperte e dagli avvenimenti astronomici sensazionali [2] di cui i media parlano in maniera incalzante, si avvicina incuriosito a tali tematiche. Altre volte, invece, l’astronomia viene percepita come una specializzazione troppo “lontana”, in tutti i sensi: probabilmente a causa dei tecnicismi, delle ricadute (ritenute a torto irrisorie) sulla vita quotidiana, dei numeri “astronomici” relativi alle distanze e alle dimensioni degli oggetti celesti e tanto altro. In certi casi le grandezze sono talmente dilatate e lontane dalla percezione umana che confondono e in altri casi invece spaventano [3]

Fedeli a Nuova Delhi

Fedeli a Nuova Delhi

Secondo l’esperienza divulgativa di chi scrive [4], l’astronomia, in tutte le sue accezioni, si delinea come disciplina accattivante, spesso lacunosamente trascurata nella scuola ma anche in altri contesti. In particolare, frequentemente, il ramo poco approfondito concerne la produzione intellettiva e materiale umana, che i popoli hanno elaborato attraverso il rilevamento ad occhio nudo degli avvenimenti astronomici, prima della Rivoluzione scientifica e dell’avvento del telescopio.  Tali elaborazioni culturali destano spesso, invece, molto interesse riguardo a tale affascinante disciplina e nel contempo, similmente, anche il mondo arabo-islamico suscita una relativa curiosità, in quanto ancora inadeguatamente conosciuto e compreso da tutti nelle sue multiformi sfaccettature. Al contrario soffre soventemente delle manipolazioni informative dei mass-media. Per questi motivi si è sentito il bisogno di delineare qualche aspetto basilare e alcune caratteristiche dell’astronomia culturale arabo-islamica.

I beduini, il Corano e il tempo

Prima di qualsiasi contaminazione culturale da parte dei popoli vicini, i nomadi del deserto hanno osservato attentamente il cielo notturno almeno per due motivi principali: il primo è stato un fattore utilitaristico, dovuto agli spostamenti e dunque alla sopravvivenza, nonché al commercio carovaniero, che rendevano indispensabile il preciso orientamento nelle lande desertiche. Un altro fattore, forse di secondaria importanza ma ugualmente considerevole, è stata l’indubbia bellezza dell’immensità del cielo, generalmente terso e scurissimo, offerto dalla sconfinatezza del deserto, impreziosito dai numerosissimi oggetti astronomici, fonte fra l’altro di alcuni temi prediletti della poesia preislamica (le stelle, la luna, il sole cocente, i pianeti visibili, eccetera). Infine questi ultimi sono stati i soggetti di una vasta letteratura orale e proverbiale, riguardanti, fra gli altri, le Pleiadi, la stella Polare e Canopo [5].

Il Corano si sviluppa in contesto cittadino ma fortemente influenzato dall’ambiente culturale beduino e, dopo la Rivelazione divina, trascritta successivamente nel Libro sacro, rappresenta per i musulmani l’unico miracolo divino manifestato. Esso, oltre alla parola di Dio, che guida il credente nei suoi comportamenti quotidiani, rituali, giuridici, religiosi e ne delinea l’escatologia, è nel contempo anche l’espressione poetica più aulica dell’arabo. Il Corano, infatti, viene rivelato in questa lingua agli carab [6] perché essi lo comprendano nella sua forma migliore, in fuṣḥà, lingua araba “eloquentissima”. In questo modo l’Islam unisce prima le tribù dell’Arabia, dalla frammentazione nomade e successivamente le varie etnie islamizzate, ritrovando in questa forma espressiva una lingua simbolica ed esplicativa per tutti i fedeli.

Appare evidente perciò come il Corano, di manifesta eredità beduina e particolarmente legato all’astronomia, incoraggi caldamente il computo preciso del tempo, che viene finalizzato alla preghiera. Questa, dovendo essere praticata cinque volte, durante le ventiquattro ore, in relazione alle cinque scansioni liturgiche della giornata, varia ogni singolo giorno dell’anno, anche in base alla locazione geografica. Per questo motivo sugli astrolabi islamici erano incisi i momenti della preghiera delle diverse località. Va ricordato che per il computo del calendario lunare islamico, lo scorgere del primo quarto di luna (p. es. fra le nubi) determina l’inizio dei mesi, tra cui il Ramaḍān, nonché la fine del digiuno ad esso associato, con l’avvistamento del successivo quarto di luna, che origina il mese di Šacbān. Infine non va dimenticato che, sempre per fini liturgici, sia per gli arabi che per gli ebrei il giorno comincia con il tramonto del sole. Basti pensare alla giornata ebraica di del riposo, lo šabbat, che prende l’avvio con il tramonto del venerdì e termina con l’individuazione delle prime tre stelle dopo il calare del sole del sabato.

Appare chiaro, quindi, che l’espansione dei territori via via islamizzati e il conseguente obbligo di volgere la preghiera verso la Mecca implicasse degli studi matematici [7] in particolare trigonometrici e astronomici sempre più precisi. Questi ultimi comprendevano anche l’astrologia, ritenuta all’epoca “scienza” fortemente dominante le vicende della vita umana, che regolava i momenti “propizi” per i riti religiosi, l’agricoltura, le fondazioni delle città (come l’abbaside Baġdād [8] e la fatimide Mahdiyya [9]), l’inizio delle guerre, i matrimoni [10], i viaggi, le cure mediche e molto altro.

Osservatorio di Ulug Beg, Samarcanda  sec. XV

Osservatorio di Ulug Beg, Samarcanda (sec. XV)

Pertanto se da un lato le raffinate corti musulmane ospitavano la figura richiestissima e ambivalente dell’astrologo/astronomo (naǧǧām/munǧim), l’esperto calcolatore della qibla [11] era invece l’astronomo muwaqqit, cioè «colui che fissa le ore per l’adempimento dei doveri religiosi»[12], incaricato anche del fondamentale compito di individuazione del miḥrāb [13], per l’orientamento della preghiera nella moschea, ovvero l’abside che indica la direzione della preghiera e degli altri atti religiosi, che devono essere rivolti verso la Kacaba.

Qualche esempio dell’eredità culturale arabo-islamica 

In questa sede si illustreranno soltanto alcuni degli importantissimi e numerosissimi lasciti, elaborati sia prima che dopo l’avvento dell’Islam. La prima testimonianza, sopra tutte, sicuramente risulta il nome beduino [14] (o anche semplicemente arabizzato) riferito alla quasi totalità delle stelle visibili nell’emisfero boreale, oltre a una parte di quelle della volta australe. Fra gli innumerevoli esempi, ricordiamo che il nome della stella Vega (alfa Lyrae), deriva da [al-Nasr] al-Wāqic, ovvero “aquila/avvoltoio in picchiata”, nel cui mito preislamico, il rapace  individua come preda un cucciolo di cammello (nella vicina costellazione del Drago) e si accinge a lanciarvisi contro, mentre nella tradizione occidentale, come riportano Hack e Dominici (2010: 222) [15], questa stella, insieme a quelle che formano l’intero asterismo rappresentano il mito greco di Orfeo e della sua lira, da cui la costellazione prende il nome.

Appare chiaro il motivo per cui una gran quantità di stelle possiede dei nomi dai significati alquanto bizzarri oppure oscuri [16], che testimoniano invece un passato mitologico arabo (o arabizzato) produttivo e in non pochi casi molto differente dalle tradizioni tramandate in Occidente, che trovano in genere una giustificazione nel momento della ricostruzione storica e linguistica dei miti originari.

Costellazioni Sagittario e Capricorno

Costellazioni Sagittario e Capricorno Scuola Islamica (sec. XVI)

Non è un caso che la volta celeste beduina, riflettente la quotidianità della vita nel deserto, è popolata di animali di questo ambiente riarso. Quindi il cielo, le lande inaridite e gli esseri viventi figurano come topoi nell’aulica poesia preislamica, in quanto «il mondo visibile è sentito come unico bene, e su questo si appunta l’occhio del poeta» (Gabrieli 1967: 27) [17]. Gli animali prediletti e maggiormente ricorrenti nella volta celeste risultano essere i cammelli e gli struzzi, al di sopra degli altri, sebbene figurino anche gazzelle, capre, cavalli, leoni, bestiame vario, rettili e altra fauna (oltre ai rari esseri umani e antropomorfi).

In un secondo momento, in contesto cittadino, fiorirono gli osservatori da dove ammirare lo spettacolare tappeto notturno di stelle e ciò non stupisce, dal momento che:

è solo con l’Islam, infatti, che l’osservatorio compare per la prima volta nella storia e, se è vero che alcuni dei fattori che contribuirono alla sua nascita sono condivisi anche dalle civiltà precedenti, è pur vero che altri sono specifici delle società del mondo musulmano. L’attività scientifica negli osservatori si diversificò da quella effettuata dai singoli astronomi…[18].

Un’altra interessante attestazione celeste risulta la rappresentazione dello Zodiaco, come abbellimento su alcuni oggetti di vita quotidiana [19] ma anche come rara raffigurazione pittorica all’interno di edifici. Il dato rilevante del rinvenimento dei segni zodiacali sta nel fatto che:

In the strictest form of Islamic art only patterns and colours are permitted. This meant that Islamic art is traditionally limited to abstract geometrical forms. However, the Qur’an, [...] does not explicitly forbid the representation of human or animal forms. Early Islamic traditions were generally against the use of images by artists. Islamic art has typically focused, though not entirely, on the depiction of patterns rather than on figures. In the private world of early Islamic palaces (and similar) the representation of humans and animals continued unabated. The human and animal depictions on the frescoes at the Qusayr ’Amra [20] lodge are an example of this [21].

Inoltre dal rapporto dell’UNESCO, che rileva le peculiarità di quest’ultimo sito giordano [22], viene evidenziato che:

The Quseir Amra paintings constitute a unique artistic achievement in the Umayyad Period. The extensive fresco paintings of the reception hall and bath building, in creating a place of relaxation for the Prince away from earthly cares, provides new insight to early Islamic art and its derivation from classical and Byzantine precedents. The zodiac dome, human portraits and depictions of animals and birds in the hunting scenes are found only in this early period of Islamic art […].
Quseir Amra bears exceptional testimony to the Umayyad civilization which was imbued with a pre-Islamic secular culture and whose austere religious environment left little trace in the visual arts.

Concludiamo questo modesto contributo con l’invito all’approfondimento speculativo delle innumerevoli tematiche che offre lo studio dell’astronomia culturale e in particolare quella arabo-islamica, specialmente come chiave di dialogo interculturale [23].

Dialoghi Mediterranei, n.14, luglio 2015
Note

[1] L’astronomia culturale è composta dallo studio trasversale di archeoastronomia, etnoastronomia, astronomia storica e storia dell’astronomia.
[2] Le notizie riportano di asteroidi che sistematicamente “minacciano” la Terra, che poi si rivelano, per nostra fortuna dei falsi allarmi; le attività degli astronauti Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti nella Stazione Spaziale Internazionale; la missione Rosetta e il conseguente atterraggio di Philae sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko; la scoperta quasi quotidiana di esopianeti molto simili allaTerra o, al contrario eccezionali, come il “super Saturno” (ovvero J1407b, molto più grande del “nostro” e attorniato da un numero impressionante di anelli) o i pianeti, come 55 Cancri e, costituiti sulla loro superficie da diamanti e molto altro ancora.
[3] L’Universo è un ambiente estremamente dinamico, in cui gli avvenimenti e gli oggetti che lo popolano hanno dimensioni ed energie tali che l’essere umano può avvertire anche come angosciosi, a causa dei propri limiti fisici e materiali e della percezione di “irrilevanza”, che deriva dall’accettazione passiva dell’esistenza e il divenire di tali fenomeni immani, come per esempio: i buchi neri; le esplosioni di supernovae; i lampi gamma; i raggi cosmici; le diverse collisioni tra oggetti celesti; il “cannibalismo” cosmico e molto altro.
[4]  Chi scrive, da anni si occupa della diffusione culturale e scientifica astronomica (con particolare interesse verso il mondo arabo-islamico) attraverso l’Organizzazione Ricerche e Studi di Astronomia (O.R.S.A) di Palermo.
[5]  Cfr. Bailey, C., (1974), Bedouin Star-lore in Sinai and Negev, Bulletin of the School of Oriental and African Studies, 1974, 37, n. 3: 580-596.
[6]  Il termine che designa l’etnonimo carab ‘arabi’, il quale, a sua volta si ricollega ad ˀacarāb che anticamente significava ‘beduini’. Cfr. Mion, G., (2007),  La lingua araba, Carocci, Roma: 66.
[7] Ricordiamo brevemente che furono gli arabi a introdurre lo zero in Europa dall’India, cogliendone l’importanza rivoluzionaria. Ancora oggi chiamiamo – in maniera approssimativa – tale importazione “numeri arabi”, dal momento che in arabo vengono chiamati “numeri indiani” (hindiyya) nei paesi arabi orientali, mentre in Nordafrica sono usate le cifre uguali a quelle diffuse in Occidente.
[8] La fondazione della città di Baġdād fu voluta dal secondo califfo abbaside Abū Jacfar cAbd Allah ibn Muḥammad al-Manṣūr (712-775) nel sito di un antichissimo villaggio preislamico persiano. Per l’occasione vennero chiamati degli astrologi (fra cui Nawbaht), «uno dei tanti riti di fondazione inusuale fino a quell’epoca per l’Islam», perché trovassero la “congiunzione astrale” più propizia per costruire la città Madīnat al-Salām evocante il Paradiso (Corano IV: 127; X: 26), per le sue opere architettoniche, che doveva sostituire il villaggio dal nome pagano (significante pressappoco “Dono di Dio”). L’epiteto di Baġdād è rimasto ancora oggi “Città della Pace” senza tuttavia sostituire il nome dall’etimologia incerta ma soprattutto gli originari intenti di protezione “astrologica” della città, andarono prontamente in rovina, dal momento che «la cupola verde, gloria e vanto della città rotonda crollò nel 941, le sue mura nel 1255 e tre anni più tardi la dinastia abbaside, già da tempo priva di effettivo potere, si estingueva per mano dei mongoli di Hulagu che tutto distruggevano» (in A. Arioli, Le città mirabili, 2003, Milano, Associazione Culturale Mimesis: 46, 84-85). La fondazione di una città aveva implicazioni sacre molto importanti e pertanto era una pratica magico-religiosa plurimillenaria. Etimologicamente (sia in italiano che in arabo) si identifica con la costituzione della civilitas. Inoltre «presso i Romani antichi interveniva l’augure alla limitazione del terreno pella costruzione degli edifici sacri e pella esplorazione dei vaticinii» (in Rosa, G. 1863, Le origini della civiltà in Europa, vol. II, Milano: Editori del Politecnico: 111).
[9]  http://metmuseum.org/toah/hd/astr/hd_astr.htm 10/11/2013
[10] I matrimoni indiani, ancora spesso combinati, reputano tradizionalmente grande valore all’oroscopo dei futuri sposi.
[11]  La direzione della Kacaba, verso cui si rivolge il musulmano nel compiere il rito della preghiera; nicchia che in ogni moschea indica la direzione verso la Kacaba. Cfr. Vocabolario arabo-italiano Renato Traini, IPO, Roma, 1966: 1131
[12] Ibidem: 1724.
[13] Nicchia nella moschea che indica la direzione verso cui deve volgersi il Musulmano quando prega. Vocabolario arabo-italiano Renato Traini, IPO, Roma, 1966: 202.
[14]  Gli arabi diedero dei nomi descrittivi circa alcune presunte “qualità” delle stelle e la posizione nel cielo di queste (come la “Fortunata”, l’“Isolata” ecc…). Tali nomi, designanti anche costellazioni, risultarono significativi per le singole tribù che le nominarono. Ciò nonostante nessuno di questi asterismi originari venne comunque usato nei secoli a venire dagli astronomi arabi ma vennero ricordati da questi ultimi per i nomi curiosi. Cfr. Allen, R. H., (1963), Star Names. Their Lore and Meanings, New York, Dover  Publications. Formerly titled: Star-Names and Their Meaning, first published by G.E. Stechert, 1899, (Introduction VIII)
[15]  Hack, M.; Domenici, V., (2010), Notte di Stelle, Sperling & Kupfer.
[16]  Bisogna tenere in conto che nei secoli furono molto frequenti anche gravi storpiature, che in alcuni casi hanno fatto perdere i significati originari dei nomi (generalmente arabi) degli astri, lasciando ai posteri soltanto congetture filologiche, come nel caso del nome arabo della stella Betelgeuse (alfa Orionis) e il nome stesso, di tradizione greca, della costellazione di Orione. «Urione suona curiosamente simile al sumero Uru-anna. E questo sembra suggerire un battesimo di Orione per assonanza; cosa che gli studiosi di etimologia escludono, pur avendo poco da suggerire»( in Hack, M.; Domenici, V., 2010, Notte di Stelle, Sperling & Kupfer: 237).
[17]   Gabrieli, F. (1967), La letteratura araba, Milano: Firenze, ed Edizioni Accademia
[18]http://www.treccani.it/enciclopedia/la-civilta-islamica-condizioni-materiali-e-intellettuali-gli-osservatori-astronomici_(Storia-della-Scienza)/ 17/05/2015
[19] Cfr. Carboni, S., (1997), Following the Stars: Images of the Zodiac in Islamic Art, New York: The Metropolitan Museum of Art.
[20] In arabo possono trovarsi diverse varianti dei nomi, a causa della vocalizzazione standard o dialettale, nonché della traslitterazione. Per questo motivo il sito giordano si trova scritto per esempio: Qusayr ‘Amra; Quseir Amra e Quṣayr cAmra.
[21]  http://members.westnet.com.au/Gary-David-Thompson/page11-28.html 17/05/2015
[22]  http://whc.unesco.org/en/list/327/ 17/05/2015
[23]  Cfr. Morando, F., (2015a), Un possibile percorso interculturale e interdisciplinare in classe: la lingua e la cultura araba attraverso l’astronomia, Vega Journal. e-ISSN 1826-0128 / p-ISSN 2283-3692. 2015 04, a. XI numero 1.
 Riferimenti bibliografici
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Allen, R. H., (1963), Star Names. Their Lore and Meanings, New York: Dover  PublicationsFormerly titled: Star-Names and Their Meaning, first published by G.E. Stechert, 1899.
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Bailey, C., (1974), Bedouin Star-lore in Sinai and Negev, in Bulletin of the School of Oriental and  African Studies 1974, 37, n. 3
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Dallal, A., Gli osservatori astronomici, 2002. http://www.treccani.it/enciclopedia/la-civilta-islamica-condizioni-materiali-e-intellettuali-gli-osservatori-astronomici_(Storia-della-Scienza)/  17/05/2015
Ferroni, E., Un pianeta è per sempre, 11 ottobre 2012. http://www.media.inaf.it/2012/10/11/pianeta-diamante/ 17/05/2015
Gabrieli, F., (1967), La letteratura araba, Milano: Firenze ed Edizioni Accademia
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Hattstein, M.; Delius, P., (a cura di), (2001), Islam. Arte e Architettura, Könemann Verlagsellschaft mbH
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http://www.centrometeoitaliano.it/scienza-e-tecnologia/j1407b-scoperto-un-pianeta-simile-a-saturno-24171/
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http://islam-science.net/astrophysics-time-for-an-arab-astronomy-renaissance-152/ 08/05/2015
http://members.westnet.com.au/Gary-David-Thompson/page11-28.html#top 17/05/2015
http://metmuseum.org/toah/hd/astr/hd_astr.htm 10/11/2013
http://whc.unesco.org/en/list/327/ 17/05/2015

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 Francesca Morando, figlia dello studioso Gianni (autore, tra l’altro, di studi su Chiaramonti medioevale e la Contea di Modica e La struttura dell’universo), laureata alla Sapienza con il massimo dei voti in Dialettologia araba (relatore O. Durand), insegna arabo presso varie strutture sia pubbliche che private; è traduttrice giurata di lingua araba presso il Tribunale di Palermo ed è specializzata in Didattica dell’Italiano L2/LS.  È stata anche docente presso l’Università di Palermo e l’Università Gar Younis di Bengasi, oltre che in Egitto e nella Georgia caucasica.

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