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Indictus, tra la storia narrata e la Storia documentata

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2018 @ 01:20 In Cultura,Letture | 1 Comment

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Locandina

di Giulia Gallini

Il 18 gennaio 2018 è stata lanciata la prima web series che tratta la storia della conquista normanna di Sicilia: Indictus. La vicenda si svolge nel 1063, intorno a Cerami e nella contea di Jerax (Geraci Siculo), e i protagonisti sono Ruggero, i suoi cavalieri normanni, le loro dame e una manciata di arabi. Il punto da cui la serie prende inizio è la battaglia di Cerami, definita da molti una battaglia delle Termopili in salsa siciliana e a lieto fine, in cui qualche decina di cavalieri normanni riesce a sconfiggere tremila soldati saraceni. Le cose, dopo Cerami, non saranno più le stesse per Ruggero d’Altavilla e la sua corte, e la trama si infittisce.

La serie è divisa in sette puntate, ognuna di circa 10 minuti. Il nome della serie, Indictus, significa letteralmente “non detto” e nella serie gli indicti sono brevi video che si aggiungono alla trama principale. A detta degli autori gli indicti rappresentano «ciò che la storia non racconta», mostrano un lato diverso. Lo spettatore può scegliere se vedere o non vedere gli indicti: la storia ha un senso compiuto in ogni caso. Alcuni l’hanno considerata un’importante rivisitazione della storia della conquista normanna, altri un’ode all’incontro-scontro fra culture diverse, e altri ancora un elogio all’entroterra siciliano. Una cosa è innegabile: la serie fa venir voglia di riflettere, su tanti temi.

Quella che segue non è solo una recensione, ma un ragionamento su alcuni aspetti della serie. Se non l’avete ancora vista, vi devo avvisare che da qui in poi ci saranno moltissimi spoiler.

La storia e la Storia

Nonostante la serie prenda le mosse da una battaglia riportata dalle fonti storiche, non bisogna cedere alla tentazione di considerare Indictus un prodotto storicamente affidabile: è una serie, non un documentario. Il regista stesso, Francesco Dinolfo, in una intervista spiega che la storia che nella realtà si sviluppa nell’arco di decenni, in Indictus è compressa in una settimana. Per questo motivo, le licenze storiche sono molte e la Storia si piega alle necessità della narrazione. Gli autori stessi sottolineano comunque come la serie prenda spunto da una fonte storica precisa: le cronache di Goffredo Malaterra, De Rebus gestis Rogerii.

Nonostante lo spunto sia chiaro, tuttavia molto poco è stato attinto dal testo di Malaterra, tanto che la stessa battaglia di Cerami, punto nevralgico da cui parte il racconto, è molto diversa nella fonte (Malaterra, Libro Secondo, capitolo 33) e nella serie. Ovviamente i due avvenimenti chiave, l’intervento divino (Deus lo vult!) e la vittoria dei Normanni, sono presenti.

Le differenze fra Indictus e la Storia sono moltissime e le inaccuratezze sono ancora di più, ma possono facilmente rientrare tutte nella necessità della trama e nella libertà della fiction. La presunta rivalità fra Ruggero e suo nipote Serlon, inesistente nella Storia, è funzionale alla figura di Serlon come eroe moderno. I personaggi di altre epoche catapultati in Sicilia nel 1063, servono a portare a termine il racconto in senso compiuto e si amalgamano comunque bene nella storia. Lo stesso vale per l’impressione che la conquista normanna della Sicilia sia avvenuta velocemente, quasi un Blitzkrieg.

Appurato dunque che la serie, per forza di cose, abbia dovuto rimaneggiare la Storia, rimane un problema: in molte recensioni, essa è descritta o intesa come un racconto storicamente corretto, quando di fatto non lo è. Il pericolo è che lo spettatore si fidi del racconto della serie e decida che la storia narrata sia la Storia accaduta. Invece Indictus ha e deve avere il pregio di incitare lo spettatore alla ricerca e all’approfondimento. E fidatevi, è un bell’esercizio intellettuale cercare le discrepanze fra storia e Storia.

 La Sicilia nella mappa di Al-Idrisi per il Libro di Ruggero, 1154.

La Sicilia nella mappa di Al-Idrisi per il Libro di Ruggero, 1154

Le chicche per l’occhio e l’orecchio attento

Tralasciando la verità storica, Indictus riserva dei veri e propri regali per chi è attento, strizzando l’occhio ai patiti di storia medievale come la sottoscritta. La mappa che usa Ruggero per controllare l’avanzata delle sue truppe (cosa di per sé un po’ anacronistica, ma molto efficace) è una riproduzione di quella redatta da al-Idrisi e inserita fra le altre del Libro di Ruggero. Non fa niente che la mappa sarebbe stata prodotta quasi un secolo dopo i fatti raccontati, e che il Ruggero del Libro fosse Ruggero II, figlio del Ruggero di Cerami. È – a pensarci bene – una bella trovata.

Un altro accorgimento assolutamente degno di nota è la preghiera recitata dal vescovo di Mileto mentre fa visita a Ibrahim, l’arabo fatto prigioniero (episodio 4), che inizia con Oremus et pro perfidis infidelis. La preghiera non è altro che un rimaneggiamento della tristemente famosa preghiera del Venerdì Santo Oremus et pro perfidis Judaeis. Un tocco di stile che non deve passare inosservato.

In ogni caso il vero pregio di Indictus sono i luoghi che fa riscoprire, o meglio scoprire. Sono pochissimi i turisti che quando visitano la Sicilia lasciano la costa per addentrarsi nelle Madonie e conoscere i tesori architettonici lasciati dai Normanni. Il castello normanno di Sperlinga, eretto fra XI e XII secolo, e quelli di Pollina, Caccamo e Caltavuturo, i territori di Geraci Siculo e Petralia Sottana: i luoghi scelti per la serie sono belli ed evocativi. La fotografia esalta i territori e le costruzioni che sembrano uscite da una saga fantasy, ma che in realtà esistono. Indictus, sotto questo aspetto, è un omaggio all’entroterra siciliano, alle sue bellezze naturali e alla sua storia architettonica. Molti considerano, a ragione, il territorio delle Madonie il vero protagonista della serie.

. Ruggero I nella battaglia di Cerami,1063.

 Ruggero I nella battaglia di Cerami (1063), di Prosper Lafay, 186o ca.

Le persone che fanno il racconto

La storia, così come la Storia, però, è fatta dalle persone. Per questo motivo è interessante capire come la storia di Indictus sia costruita tramite i personaggi che la popolano e che messaggio comunichi allo spettatore. È perciò importante interrogarsi sul perché a parte i protagonisti in senso stretto, gli altri personaggi siano poco sviluppati, tanto da poter essere descritti da un paio di aggettivi ciascuno. È vero che una serie di 70 minuti non permette uno sviluppo complesso di ogni personaggio, ma in molti casi i caratteri sono scontati e generalizzati.

Il trattamento peggiore lo subiscono, come troppo spesso accade, le donne e gli Arabi. Entrambi i gruppi rappresentano il contrappunto per i veri protagonisti della storia: i normanni Serlon, Arisgot e Ruggero. Tutti e tre sono a loro modo eroi moderni, specialmente i primi due: hanno una personalità complessa, una morale, i loro ragionamenti si spingono oltre il ruolo che la storia ha dato loro, mettono in discussione la propria identità e la storia a cui stanno prendendo parte. Non sono eroi senza macchia e senza paura: vanno contro gli ordini impartiti, si scoraggiano di fronte agli eventi. Sono persone, prima di essere eroi, e lo spettatore riesce a simpatizzare e specchiarsi in loro.

Gli Arabi e le donne, invece, no. Gli arabi e le donne di Indictus non sono eroici, non hanno pregi e lo spettatore ha difficoltà ad immedesimarsi in loro: in pratica, se i tre eroi normanni sono “noi”, gli arabi e le donne sono irrimediabilmente “gli altri”.

. Amerigo Vespucci scopre America, Theodoor Galle, secondo Jan van der Straet, ca. 1589 - ca. 1593. Rijksmuseum Amsterdam

Amerigo Vespucci scopre America, Theodoor Galle, secondo Jan van der Straet, ca. 1589 – ca. 1593, Rijksmuseum Amsterdam

La manciata di Arabi che prendono parte a Indictus parlano e agiscono seguendo un ruolo prestabilito: sono colti, saggi e raffinati, ma traditori e assetati di vendetta. Benaverth, l’emiro di Siracusa, è spesso citato nella serie ma si vede in carne ed ossa solo in uno degli indicti. Nel minuto che gli è dedicato, affida ad Ibrahim, Emiro di Qasr Yanna (Castrogiovanni), il compito di tornare «con la testa dell’eroe di Cerami», Serlon.

Ibrahim si reca quindi alla corte di Ruggero, apparentemente con una richiesta di riappacificazione (bugiardo). Oltre a chiedere la pace, suggerisce a Ruggero di curare il figlio Simone, molto malato e sul punto di morire, con “acqua limpida”, suggerendo allo spettatore quanto i Normanni fossero davvero dei barbari, se facevano bere al figlio moribondo del Gran Conte acqua sporca. Ruggero si adira e Ibrahim finisce imprigionato, in attesa di essere giustiziato. Mentre si trova in catene, Serlon gli si avvicina e fra i due si stabilisce un dialogo in cui l’arabo fa ragionare il normanno sulla conquista, sullo scontro di civiltà, sulla terra che non appartiene a nessuno e sulla possibilità di vivere in pace. Ibrahim parla dell’eguaglianza fra gli uomini, a prescindere da provenienza e religione, «la gioia e il dolore ci accompagnano in egual misura», in un bel monologo che ricorda quello di Shylock nel Mercante di Venezia. Nel dialogo, Serlon da voce alla xenofobia occidentale e Ibrahim alla saggezza orientale, anche se solo apparentemente. Ibrahim, non dimentichiamolo, si è recato in quella corte per uccidere Serlon, e non lo sta consigliando, lo sta disorientando.

Un altro arabo è Abdel Nasser, servo saraceno di Adelasia, moglie di Ruggero. Anche in questo caso il suo personaggio è descrivibile con un aggettivo: traditore. Da una parte tradisce i Normanni (che gli danno un posto di lavoro) aiutando Ibrahim a fuggire, e dall’altra tradisce la fiducia di Ruggero mettendo incinta sua moglie.

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Scena da Indictus

Così come gli Arabi sono “gli altri” rispetto ai Normanni, così lo sono le donne che popolano la serie: Adelasia, moglie di Ruggero, e Aldruda, moglie di Serlon. Aldruda è un’arrivista, assetata di potere, che ricopre il ruolo della femme fatale, intrappolata in un matrimonio sessual- mente inappagante con Serlon. Non esita a tentare di sedurre chiunque ricopra un ruolo di rilievo nella corte normanna: Ruggero certamente, ma anche Arisgot, che si scoprirà essere figlio illegittimo del sovrano, e quindi papabile per la successione. L’unico che disdegna è il laido Engelmaro, l’incapace medico di corte, che, però, è apparentemente l’unico interessato alla sua bellezza. Come in un romanzo di formazione ottocentesco per signorine, Aldruda la seduttrice, subirà nel finale la cara vecchia regola del “chi la fa, l’aspetti”, e verrà data in moglie proprio ad Engelmaro. Le cattive ragazze non fanno mai una bella fine.

Adelasia, d’altro canto, è la vecchia e quasi inutile moglie di Ruggero. Ruggero se ne lamenta: la sua vecchiaia fa sì che il Gran Conte non riesca ad avere un erede e che il figlio già nato, Simone, stia morendo. Il ruolo di Adelasia nella serie ruota intorno alla necessità di dare un erede (maschio, ça va sans dire) al marito, dalla prima all’ultima puntata. Alla fine della serie, si scoprirà essere incinta, ma non del marito Ruggero, bensì, fedifraga, del suo servo arabo. Nonostante il tradimento Ruggero riconoscerà il figlio, che diventerà Ruggero II, e così, tramite il tradimento di Adelasia, le due culture, normanna e araba, sembrano avere un punto di incontro.

È un triste trattamento quello riservato alle origini della cultura sincretica arabo-normanna, tanto quanto è ingiusto quello riservato alla moglie di Ruggero, specialmente considerando che in questo ritratto ben poco è storicamente corretto. Anzi, la storia dimostra quanto la figura di Adelasia in Indictus sia agli antipodi della figura della vera moglie di Ruggero.

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Ruggero II, part., Cappella Palatina, Palermo, sec. XII

Prima di tutto durante la conquista della Sicilia, Ruggero non era sposato con Adelasia. La Adelasia storica nacque nel 1075, quindi dodici anni dopo i fatti narrati da Indictus. Al tempo della battaglia di Cerami, Ruggero era sposato con Giuditta d’Evreux. Leggendo Malaterra, il ritratto che ne emerge è quello di una donna forte, capace, e giovane: Goffredo descrive come Ruggero lasciò Giuditta alla guida della città di Troina e come lei, pur molto giovane, si rivelò una leader affidabile e capace di gestire le truppe rimaste in città (Malaterra, libro secondo, capitolo 31). Mica male per una signorina medievale. Neanche la Adelasia storica, che sarà moglie di Ruggero dal 1087 e darà alla luce Simone e Ruggero II, sarà una figura di secondo piano nella storia della Sicilia. Alla morte del padre Ruggero, Simone, ancora bambino, diventerà Gran Conte di Sicilia e Adelasia sarà la reggente, governando de facto i territori normanni fino alla morte di Simone nel 1105. Insomma, a voler comparare la Adelasia di Indictus con una delle due mogli di Ruggero a cui il personaggio si ispira, il trattamento che le è riservato è comunque inclemente e il ruolo che le è affidato è molto conservatore (più conservatore dell’originale medievale addirittura).

C’è in realtà una terza figura femminile nella serie: la Sicilia. Mentre Serlon parla con Ibrahim della terra di Sicilia e della conquista, la scena si sposta su una donna in mezzo a un campo di grano. La donna simboleggia la Sicilia, conquistata e travagliata, alla mercé del conquistatore. La terza rappresentazione della donna, dopo la femme fatale e la moglie/madre inadatta, è quindi la donna come oggetto di conquista. Anche questo, non è una novità. La prima immagine che mi viene in mente è l’incisione di Theodoor Galle che ritrae Amerigo Vespucci alla conquista dell’America, raffigurata come una donna nuda, pronta ad essere conquistata dall’uomo. La terra-donna è inerme e soggiogata al volere del conquistatore (maschio).

Il trattamento che riceve il gentil sesso in tutta la serie è deprimente e legato a stereotipi passati e ingiusti, storicamente e moralmente. Le donne di Indictus sono descrivibili con pochi aggettivi: sono arriviste e tentatrici, mogli e madri incapaci oltre che fedifraghe, oppure sono oggetti da conquistare. Un trattamento terribile, specialmente se si considera che la sceneggiatura di Indictus è stata scritta da una giovane donna, Marianna Lo Pizzo.

I personaggi si dividono quindi in due: i cavalieri normanni da un lato, le donne e gli arabi dall’altro.  Ma non manca qualcosa?  Mancano i Siciliani. I Siciliani, da che parte stavano? La terra è di qualcuno: è di chi la abita, di chi la coltiva, di chi ne costruisce le radici e le tradizioni. In Indictus i siciliani non ci sono o comunque non prendono parte agli eventi, anche se nella descrizione di Malaterra è chiaro che nella battaglia di Cerami i Normanni non si scontrarono solo con gli Arabi, ma anche con i Siciliani. L’assenza del popolo siciliano è stridente e l’idea che ci si fa, fra le righe, è che il popolo siciliano, come la terra, rimanga in balìa degli eventi, senza prendere parte alla storia, ma subendola.

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Gangi, casting di Indictus

Alla luce del trattamento dei personaggi presenti e assenti nel racconto di Indictus, alcune considerazioni sono doverose. La storiografia ci insegna che la Storia può essere raccontata in molti modi: da vincitori, da vinti, o semplicemente da spettatori. Per molto, troppo tempo, la storia è stata scritta e riscritta dai vincitori. Ma negli ultimi decenni ha preso sempre più piede la rappresentazione della storia raccontata da punti di vista diversi: dalla gente comune, dai vinti, da quelli che non sono entrati nelle cronache dell’epoca. Questo con tutte le complicazioni che ne derivano.

La stessa idea degli indicti porta a riflettere ancora di più sul punto di vista e sulla fonte usata, il De Rebus gestis Rogerii di Malaterra. Goffredo Malaterra era un monaco benedettino, di origini normanne, che scrisse il resoconto sulle gesta di Ruggero in Calabria e Sicilia alla fine del secolo XI. Leggendo Malaterra, quello che balza all’occhio è la parzialità del racconto. Il monaco narra la vicenda dalla parte dei Normanni, e non lo fa in modo sottile, non cerca di dimostrare una propria imparzialità. Tutt’altro. Quando parla dei Normanni usa la prima persona plurale: Ruggero è «il nostro conte», i suoi guerrieri sono «i nostri uomini» e la vittoria è segno che Dio «era chiaramente dalla nostra parte».

Gli autori di Indictus usano acriticamente questa fonte, anzi, fanno proprio il punto di vista di Malaterra: questo determina un racconto parziale, in cui il punto di vista è sempre e solo quello dei Normanni.  Gli indicti, quei “di più” che avrebbero potuto portare un racconto diverso, purtroppo, non fanno eccezione. Sia nelle puntate “canoniche” che negli episodi aggiunti dagli indicti, il punto di vista è fermamente e ostinatamente normanno.

Non vengono analizzate le motivazioni degli Arabi: a parte la voglia di vendicare la sconfitta subita, non viene suggerito un altro attaccamento alla Sicilia da parte loro. Ma un attaccamento affettivo ed emotivo doveva pur esserci, a giudicare dai versi che Ibn Hamdis dedica alla sua terra natale, da cui è costretto a fuggire.

6Non vengono chiamati in causa i siciliani e le siciliane che pur dovevano vivere su quella terra. Nella serie manca del tutto la prospettiva della popolazione comune e la Sicilia pare disabitata: un deserto fertile che due popoli stranieri si contendono.

Da una serie, portata avanti da un gruppo di giovani siciliani, uomini e donne, ci si potrebbe aspettare altro. Almeno, io mi sarei aspettata altro. In una società sempre più caleidoscopica, in cui la storia non è più appannaggio solo del vincitore, ci si aspetta che una serie indipendente, giovane e fresca come Indictus si stacchi da una narrazione così tradizionale.

La Sicilia normanna è spesso presa come modello di convivenza pacifica e fertile fra culture differenti e oggi apparentemente inconciliabili. In Indictus questa convivenza nasce da un tradimento, in un contesto in cui “l’altro” è stereotipato o inesistente.

Questa serie e l’idea degli indicti avevano la potenzialità di far riflettere su un melting-pot vero e peculiare della Sicilia medievale, ma è ancora più difficile parlare di multiculturalismo quando il punto di vista è sempre e solo quello dell’uomo bianco vincitore.

Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
Fonti storiche
Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis Fratris Eius, Libro Secondo [disponibile online, ultimo accesso 12 Febbraio 2018]
Ibn Hamdis, Il Canzoniere, traduzione di Celestino Schiaparelli, a cura di Stefania Elena Carnemolla, Sellerio, Palermo 1998.
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Giulia Gallini, laureata all’Università Ca’ Foscari in Arabo e Archeologia islamica, con una tesi sull’uso del Corano nelle iscrizioni monumentali, ha orientato i suoi interessi di ricerca sull’uso e l’interpretazione delle iscrizioni coraniche e sulle rappresentazioni dell’arte islamica in Occidente, dal Medioevo all’epoca dei social network. È co-fondatrice e direttrice editoriale della rivista indipendente IWA Islamic World of Art. Ha attivo e gestisce un suo blog: squarekufic.com.
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