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In morte di Giancorrado Barozzi
Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2023 @ 01:59 In Cultura,Letture | No Comments
di Maurizio Bertolotti, Pietro Clemente, Massimo Pirovano
Il testo di Maurizio Bertolotti è stato letto ai funerali di Giancorrado, è stato il saluto all’amico e allo studioso che tutti e tre sentiamo nostro. Anche Pietro Clemente ha voluto usare il registro del cordoglio e dell’addio facendo ricorso a degli scambi avvenuti sul web e alla lettera inviata alla moglie e al figlio. Massimo Pirovano ne ha ricordato la formazione, il lavoro di ricerca e quello per il territorio, in particolare in ambito museale. Amicizia e stima, ricerca e simpatia, sono i tratti comuni di questi saluti. Ci sono le tracce del suo personale contributo agli studi, e su queste torneremo ancora con approfondimenti e riflessioni che ne tengano vivo e caldo il messaggio di conoscenza e di metodo. Grazie alla raccolta di autobiografie di antropologi italiani promossa da La ricerca folklorica, un racconto di sé e della sua formazione e ricerca Giancorrado lo ha già iscritto in quelle pagine con un titolo ironico che dice già qualcosa di lui Selfie [1].
Il saluto dell’amico
di Maurizio Bertolotto
È una felice ventura, per gli studi e per la vita, avere in gioventù dei maestri sapienti. Ma ancora più grande fortuna è avere dei valenti compagni. Per me Giancorrado è stato il più importante di questi. Da lui ho imparato più che da qualunque altro. Mi riesce difficile dare un’idea della passione con cui, non ancora ventenni, stavamo fino a notte a parlare dei libri che avevamo letto, a far progetti di ricerche, a mettere in comune riflessioni e scoperte.
Emergevano fin da allora ben delineate le attitudini e le qualità di Giancorrado: una propensione a cercare e ad ascoltare le voci dei vinti e degli esclusi della storia; una penetrante capacità di osservazione dei fenomeni sociali e culturali, del presente e del passato; infine una disposizione ad approfondire i problemi teorici che la ricerca storica e antropologica continuamente suscita.
Queste doti e propensioni sono già documentate dalla sua prima importante pubblicazione, Ventisette fiabe raccolte nel Mantovano, edita dalla Regione Lombardia nel 1976 ma frutto di una ricerca che Giancorrado aveva intrapreso con mirabile precocità quando aveva appena vent’anni, dando prova di raffinata perizia quanto alla ricerca sul campo e di meditata conoscenza delle più aggiornate teorie della narrativa popolare.
Erano propensioni e qualità – aggiungo – che in cinquant’anni di operosità scientifica furono confermate – anche in virtù, occorre aggiungere, di una vastità di letture che gli ho sempre invidiato – da vari libri e da decine e decine di saggi che spaziano dalla demologia all’antropologia, dalla storia sociale alla storia della letteratura e del teatro. Ospitate in sedi importanti, le ricerche di Giancorrado gli hanno assicurato nel mondo degli studi notorietà e stima, delle quali peraltro egli non ha mai amato vantarsi: come ha ben detto il comune amico Carlo Prandi in un biglietto che mi ha scritto ieri «in lui sapienza era sorella di modestia».
Ma di quanto apprendeva e scopriva e sapeva Giancorrado non si è mai accontentato di far partecipi solo gli studiosi. Avvertiva irresistibile l’esigenza di rivolgersi a una più vasta cerchia di uditori e di lettori, di entrare in comunicazione con un pubblico più vasto. Di qui le sue svariate attività culturali: la direzione scientifica dell’Istituto mantovano di storia contemporanea; l’allestimento di raccolte museali; la collaborazione alla produzione di documentari. E ancor prima, negli anni della giovinezza, le avventure teatrali, dallo spettacolo Le tigri di carta della fine degli anni Sessanta a Sanitruc o la cosa da Castrà del 1974, la messa in scena di una fiaba popolare mantovana con maschere e pupazzi, per la quale Giancorrado aveva fatto tesoro della lezione del gruppo americano Bread and Puppets di Peter Schumann da lui amatissimo: un’avventura indimenticabile a cui amiche e amici che sono venuti oggi a salutarlo saranno sempre orgogliosi di aver partecipato e che resterà nella nostra memoria come testimonianza della sua scintillante e contagiosa creatività.
Se si vuol comprendere la sua idea della cultura e della vita culturale occorre leggere un passo della prefazione alle Ventisette fiabe, laddove a proposito dei suoi incontri con i narratori contadini così si esprime:
Che si trattasse dei braccianti miserabili delle nostre campagne dell’Ottocento o degli operai della cartiera Burgo o dei soldati contadini della Prima Guerra mondiale o ancora dei pescatori del Po, per Giancorrado – questo è il punto – l’interesse per il cosiddetto mondo popolare non era espressione di pura curiosità scientifica né terreno di esercitazioni accademiche; era anzitutto disposizione a comprendere chi per condizione materiale di vita, per esperienze, per formazione e per cultura, è altro da noi, ma non per questo escluso dalla nostra possibilità di capire e di condividere. Non può sorprendere sotto questo profilo che dal suo incontro con Berta Bassi Costantini, la ineguagliabile narratrice uscita dal mondo della risaia, nascesse una profonda e mai interrotta amicizia.
Al fondo l’impulso a studiare quel mondo aveva origine in lui da quegli stessi ideali di uguaglianza e di fratellanza che lo sospinsero a militare nel sindacato scuola della Cgil e dei quali sono state espressione le sue mai agitate ma mai dismesse convinzioni anarchiche e libertarie. Giancorrado era persona aliena da ogni idea di violenza, sempre disponibile al confronto e al dialogo. Come conferma sin dal titolo uno dei suoi ultimi saggi, Altruismo e cooperazione in Petr Alekseevic Kropotkin, anarchia era per lui l’ideale di una società che emancipandosi dalle imposizioni e dalle coercizioni del potere, trova nell’iniziativa dal basso, nella valorizzazione dei talenti di ciascuno, nella collaborazione paritaria di tutti i suoi membri, i modi per affrontare le asperità della condizione umana e avanzare verso la meta dell’uguaglianza.
Del resto infine è stata questa disposizione alla comprensione che ha improntato le sue relazioni d’amore con la moglie, con il figlio, con il nipote, le sue affettuose relazioni con le molte amiche e con i molti amici che ha avuto.
Sono convinto che tanta ricchezza di eredità non andrà dispersa: sul piano scientifico i suoi studi demologici, storici e antropologici continueranno a lungo a costituire dei punti di riferimento e saranno ragione e sprone per i giovani a nuove ricerche; su un piano più ampio, dalla memoria dei suoi ideali e dei suoi comportamenti potremo continuare a trarre insegnamenti e incitamenti.
“Facciamoli laici questi nostri rituali falò” [2]. In dialogo con Giancorrado
di Pietro Clemente
Lontani e vicini
Ci sono tante cose di Giancorrado che restano da leggere e ce ne sono tante che sono ormai parte del me studioso. La mia fortuna di docente universitario è stata quella di dialogare con tanti ricercatori non accademici, di imparare da loro, di conoscere con loro nuovi territori. Nella generazione dei padri considero miei maestri anche Saverio Tutino, Nuto Revelli ed Ettore Guatelli. Ma anche dai più giovani ho imparato, così da Roberto Ferretti di Grosseto, fondatore dell’Archivio delle tradizioni popolari della Maremma Grossetana, morto a 36 anni lasciando un patrimonio importante di scritti, testi di narrazione orale registrati e trascritti, oggetti mai abbastanza valorizzati localmente. Così tra i molti e tra i più cari Giancorrado. Con alcuni ho imparato in compagnia, nel senso di un rapporto costante di collaborazione, da altri a distanza o in occasioni di convegni e incontri che promuovevamo tra Siena e Grosseto negli anni ’70 e ‘80. Ma Giancorrado fu con noi ad Alberse (Grosseto) anche per l’ultimo convegno di fiabistica dedicato a Ferretti e ad Aurora Milillo nel 2010. Non riuscimmo a pubblicare gli atti, e forse l’intervento che fece Giancorrado riusciremo a trascriverlo.
Il mio rapporto con Giancorrado ha avuto pochi momenti di condivisione ravvicinata, convegni come ho detto, ma anche qualche incontro per progetti museali, ma ci siamo sentiti presenti a distanza scambiandoci ogni tanto saluti e letture diventate poi mail. Con una mail che mi scrisse il 5 giugno 2021, dopo che gli feci avere il volume Raccontami una storia [2], mi allegò un suo scritto C’era una volta, inedito, con alcune pagine dedicate al volume che davvero sono per me un ricordo straordinario e che mi restituiscono la vicinanza di sentimenti legati alla ricerca. Spero di poterli pubblicare su Dialoghi Mediterranei una volta accertato il loro stato di pubblicazione. Siamo stati lontani ma vicini. Ed ho pensato che il modo di mostrarlo possa essere questo insieme di scritture semiprivate e semipubbliche, legate alle mail e a face-book, che davvero segnalano che la distanza e la vicinanza sono entrate in una nuova epoca della possibilità. Si può essere vicini da lontano.
Noi social
Allego qui degli scambi che si comprendono immediatamente, con qualche commento qua e là:
1. scambi per e-mail sui temi della fiabistica a partire dal libro citato e dall’avvio di una rete di studiosi della narrativa popolare
2. scambi su face book e su Messenger. Negli ultimi di essi Giancorrado era all’Ospedale e Paolo Nardini, Florio Carnesecchi e Mariano Fresta studiosi toscani di nascita e di adozione e suoi amici ed io, cercavamo di fargli compagnia.
3. La mia lettera di partecipazione al lutto alla moglie e al figlio, una lettera tradizionale e postale, alla quale ho avuto una risposta dolorosa e amichevole (che non riproduco per privatezza).
1. I primi scambi sono augurali ma densi, Giancorrado risponde in modo individuale a lettere di auguri che spesso faccio a tutto il mondo dei colleghi-amici, quasi sempre con una poesia molisana di Eugenio Cirese sul Natale. Quelli successivi sono legati all’uscita del libro Raccontami una storia. Avevo creato un gruppo di dialogo per e-mail tra gli studiosi interessati ancora oggi al campo della fiabistica, e con alcuni di loro abbiamo organizzato anche la presentazione on line del volume (era in tempi di COVID) con il Museo Pasqualino. Le tracce segnalate di libri e saggi che Giancorrado aveva in preparazione sono anche una guida a riprendere i suoi studi, e a pubblicare eventuali inediti. Non ho pubblicato le mie mail ma si possono facilmente dedurre dalle risposte.
2. Dialoghi su Face-book e su Messenger
Anche qui si comincia dagli auguri. Face-book mi segnalava i compleanni e a Giancorrado ho sempre mandato un augurio. Ora non me li segnala più, e non so perché, forse perché non so gestire questo social, ormai considerato per anziani. Si parla di fiabe, di amicizia, e di salute in modo davvero denso. I riferimenti al libro riguardano quello di Florio Carnesecchi, Le penne del pollo. La tradizione orale a Castelnuovo di Val di Cecina e Travale [3], qui c’è anche la mia parte nel dialogo, essendo testi più brevi e specificamente dialogici
Per un profilo storico dell’attento e generoso studioso del folklore
di Massimo Pirovano
Ricordare Giancorrado Barozzi, che ci ha lasciato troppo presto dopo una malattia crudele, è per noi un doloroso impegno: per l’amicizia che ci ha legato, per le virtù della persona e per il valore dello studioso, che probabilmente molti non hanno avuto modo di conoscere e apprezzare. Lo dobbiamo a un amico generoso e discreto conosciuto parecchi anni fa grazie agli interessi comuni per il folklore, le testimonianze orali e i musei etnografici, con il ruolo sociale che queste istituzioni spesso appartate e marginali possono avere.
Rileggendo la sintetica storia di sé che Giancorrado aveva scritto nel 2017 per “La ricerca folklorica Erreffe” nel numero dedicato alle autobiografie di antropologi italiani, ho appuntato una serie di parole chiave che il testo suggerisce, capaci di inquadrare la figura dell’uomo, del ricercatore e dello studioso in maniera – spero– efficace, per quanto incompleta.
Comincerei dalla disponibilità all’ascolto, nel lavoro di campo ma anche nelle collaborazioni professionali, come tra colleghi, più o meno esperti, della Rete dei Beni Etnografici Lombardi, che aveva concorso a fondare con passione quasi vent’anni fa e che ha sempre alimentato con le sue idee, le sue esperienze e i suoi scritti. Nei nostri incontri la sua competenza amministrativa, affinata dal mestiere che aveva svolto nelle scuole per molti anni, si univa a un equilibrio e a un pragmatismo che difficilmente si abbinano a una curiosità scientifica e a un sapere tanto vario e profondo, grazie alle sue letture nei più diversi campi: storiografia, letteratura, linguistica, antropologia, filosofia.
Aggiungerei la riservatezza ed una certa modestia, a fronte delle sue competenze e del suo sapere che gli avrebbero permesso di intraprendere una carriera universitaria. E invece aveva sempre privilegiato il lavoro nel territorio e per il territorio, nella sua Mantova e in Lombardia, assumendo la direzione scientifica dell’Istituto mantovano di storia contemporanea, lavorando al riallestimento del Museo Polironiano di San Benedetto Po, prima di presiederne la commissione di gestione, o con frequenti collaborazioni con l’Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione, guidato prima da Bruno Pianta e poi da Renata Meazza, che custodisce una parte consistente dell’archivio sonoro di Barozzi.
Il suo rigore di studioso emerge anche dalla propensione a ripensare le sue ricerche, come quelle – fondamentali – sulla fiabistica, ispirate da un seminario seguito alla Statale di Milano con la storica delle religioni Momolina Marconi, ma concretizzate nel Ventisette fiabe raccolte nel mantovano, uscito nel 1976, che gli avevano permesso di mettere a frutto le sue prime ricerche sul campo, da cui erano nati anche rapporti umani importanti con i suoi interlocutori, narratori di storie della tradizione orale. Dicevamo della disponibilità al confronto e al ripensamento: sulle fiabe Giancorrado era tornato a distanza di molti anni nel saggio C’era una volta, scritto per l’Accademia Nazionale Virgiliana, in cui confrontava le sue esperienze e le sue conoscenze con quelle di una serie di studiosi importanti. Proprio le indagini sulle fiabe gli avevano permesso di conoscere e di frequentare per molti anni Berta Bassi, mondariso e narratrice straordinaria, che era diventata amica, oltre che testimone, di Barozzi, con il quale aveva deciso di trasferire dalle pagine manoscritte in un libro la sua biografia, pubblicata con il titolo La mia vita nel 2009, presso l’editore Negretto in una collana ideata e diretta da Giancorrado, che si proponeva al lettore come un luogo di “assaggi di antropologia”.
Lo stesso editore aveva dato alle stampe, un anno prima, Cartiere Burgo. Storie di operai, tecnici, imprenditori nella Mantova del Novecento, scritto da Barozzi e Lidia Beduschi con la collaborazione di Ottavio Franceschini, in cui emerge l’uso sapiente della documentazione d’archivio, delle fonti giornalistiche e delle testimonianze orali basate sulla memoria, di cui Corrado auspicava un uso accorto per quanto essenziale. Il volume rende esplicita la consapevolezza, non sempre coltivata tra gli studiosi di tradizioni popolari, dell’importanza della cultura operaia e dei mutamenti storici della società italiana del Novecento. La formazione universitaria di Barozzi, ricevuta nelle aule di via Festa del Perdono a Milano, qui riemerge grazie alle lezioni di Franco Della Peruta e di Marino Berengo, che tornavano nelle nostre conversazioni ma che sono ricordati anche nelle pagine autobiografiche del 2017.
In questo scritto, proprio sul periodo di studi (e di militanza politica) trascorso alla Statale negli anni della strage di Piazza Fontana, si evidenzia l’onestà morale di Corrado nel considerare in maniera autocritica un periodo influenzato, decisamente ma non definitivamente, da una passione acerba e miope per quella che lui stesso definisce “una dose eccessiva di ideologia”. Gli interessi per la storiografia, in quell’epoca di formazione, erano parsi al giovane di provincia un’alternativa a lezioni di docenti meno schierati con il movimento studentesco, o addirittura bersagliati dalla polemica anche violenta, come Remo Cantoni: il filosofo con il papillon che parlava di antropologi e antropologia in una università dove la disciplina non aveva mai avuto lo spazio di un insegnamento formale. Trascurato da studente, Il pensiero dei primitivi di Cantoni sarebbe stato una lettura affrontata dopo la laurea da Corrado con estremo interesse, insieme alle opere di Gramsci e di De Martino.
La passione politica di Barozzi non era stata abbandonata dopo gli studi universitari, ma aveva preso due percorsi apparentemente divergenti ed altrettanto importanti: quello della riflessione teorica e quella della ricerca sul terreno. Il primo itinerario di studi aveva portato in un campo di riflessione tra le scienze naturali e le scienze umane, che emerge dal saggio del 2013 dedicato allo scienziato e pensatore russo Pëtr Alekseevic Kropotkin, in cui si mostra come la cooperazione e il mutuo appoggio rappresentino dei fattori evolutivi essenziali, contraddicendo «l’arrogante riemergere nel mondo contemporaneo di primordiali forme di egoismo e di darwinismo sociale». L’altro itinerario, certamente collegato alla sensibilità per i temi del socialismo e dell’anarchismo, ha condotto Corrado per tutta la vita a esplorare, documentare e studiare le diverse forme delle culture popolari, realizzando tra l’altro i tre volumi con apparato multimediale sulle province di Mantova, Brescia e Cremona dell’Atlante Demologico Lombardo, con la collaborazione di Mario Varini per un censimento di feste e rituali tradizionali del ciclo dell’anno, individuati da molti ‘etnografi’ corrispondenti, che permette di localizzare geograficamente una serie di comportamenti cerimoniali considerati significativi da demologi, etnologi, antropologi, storici della cultura e storici delle religioni, considerati da Corrado per le suggestioni che le loro interpretazioni possono offrire agli studiosi dell’età contemporanea.
Questi lavori collettivi, tra l’altro, ci dicono ancora una volta della sua capacità di tessere relazioni umanamente feconde e scientificamente importanti con tante persone di varia provenienza, di formazione ed estrazione sociale anche molto differenti. Potrebbero testimoniare questa sua capacità, in particolare, le sue giovani collaboratrici ed eredi presso i due musei che più di altri si sono giovati della sua opera progettuale: Michela Capra per il Museo “Giacomo Bergomi” di Montichiari nel Bresciano e soprattutto Federica Guidetti per il Museo Polironiano di San Benedetto Po, nell’estrema propaggine di Lombardia orientale ai confini con l’Emilia e il Veneto. Anche nella rete Rebèl, a cui si è fatto cenno, potremmo ricordare i fondamentali contributi dati da Corrado, solo in parte evidenziati dai suoi scritti, nei quattro volumi collettivi Dal campo al museo. Esperienze e buone pratiche nei musei etnografici lombardi (2009), Conservazione e restauro nei musei etnografici lombardi (2011), Il cibo e gli uomini: L’alimentazione nelle collezioni etnografiche lombarde (2012), Gli uomini e il cibo. Una risorsa per le scuole dai musei etnografici lombardi (2014).
Considerando i lavori che Corrado ha dedicato alla divulgazione mediante il teatro di animazione, il film documentario, la fotografia, che come lui ha scritto, gli hanno permesso di «restituire agli stessi testimoni e interlocutori, interpellati durante le inchieste sul campo, gli esiti finali» delle sue indagini, si dovrà mettere mano alla sua ampia produzione saggistica per compilare una bibliografia completa che consenta ad altri studiosi, e specialmente ai più giovani, di sviluppare le diverse piste di indagine scientifica e gli importanti spunti di riflessione che Giancorrado ci ha lasciato in 50 anni di impegno segnato da una sicura lezione etica.
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