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In morte di Giancorrado Barozzi

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2023 @ 01:59 In Cultura,Letture | No Comments

Giancorrado Barozzi

Giancorrado Barozzi

di Maurizio Bertolotti, Pietro Clemente, Massimo Pirovano

Il testo di Maurizio Bertolotti è stato letto ai funerali di Giancorrado, è stato il saluto all’amico e allo studioso che tutti e tre sentiamo nostro. Anche Pietro Clemente ha voluto usare il registro del cordoglio e dell’addio facendo ricorso a degli scambi avvenuti sul web e alla lettera inviata alla moglie e al figlio. Massimo Pirovano ne ha ricordato la formazione, il lavoro di ricerca e quello per il territorio, in particolare in ambito museale. Amicizia e stima, ricerca e simpatia, sono i tratti comuni di questi saluti. Ci sono le tracce del suo personale contributo agli studi, e su queste torneremo ancora con approfondimenti e riflessioni che ne tengano vivo e caldo il messaggio di conoscenza e di metodo. Grazie alla raccolta di autobiografie di antropologi italiani promossa da La ricerca folklorica, un racconto di sé e della sua formazione e ricerca Giancorrado lo ha già iscritto in quelle pagine con un titolo ironico che dice già qualcosa di lui Selfie [1].

Il saluto dell’amico

di Maurizio Bertolotto

È una felice ventura, per gli studi e per la vita, avere in gioventù dei maestri sapienti. Ma ancora più grande fortuna è avere dei valenti compagni. Per me Giancorrado è stato il più importante di questi. Da lui ho imparato più che da qualunque altro. Mi riesce difficile dare un’idea della passione con cui, non ancora ventenni, stavamo fino a notte a parlare dei libri che avevamo letto, a far progetti di ricerche, a mettere in comune riflessioni e scoperte.

Emergevano fin da allora ben delineate le attitudini e le qualità di Giancorrado: una propensione a cercare e ad ascoltare le voci dei vinti e degli esclusi della storia; una penetrante capacità di osservazione dei fenomeni sociali e culturali, del presente e del passato; infine una disposizione ad approfondire i problemi teorici che la ricerca storica e antropologica continuamente suscita. 

Queste doti e propensioni sono già documentate dalla sua prima importante pubblicazione, Ventisette fiabe raccolte nel Mantovano, edita dalla Regione Lombardia nel 1976    ma frutto di una ricerca che Giancorrado aveva intrapreso con mirabile precocità quando aveva appena vent’anni, dando prova di raffinata perizia quanto alla ricerca sul campo e di meditata conoscenza delle più aggiornate teorie della narrativa popolare.

bertolotto-baroncelliErano propensioni e qualità – aggiungo – che in cinquant’anni di operosità scientifica furono confermate – anche in virtù, occorre aggiungere, di una vastità di letture che gli ho sempre invidiato – da vari libri e da decine e decine di saggi che spaziano dalla demologia all’antropologia, dalla storia sociale alla storia della letteratura e del teatro.  Ospitate in sedi importanti, le ricerche di Giancorrado gli hanno assicurato nel mondo degli studi notorietà e stima, delle quali peraltro egli non ha mai amato vantarsi: come ha ben detto il comune amico Carlo Prandi in un biglietto che mi ha scritto ieri «in lui sapienza era sorella di modestia».

Ma di quanto apprendeva e scopriva e sapeva Giancorrado non si è mai accontentato di far partecipi solo gli studiosi. Avvertiva irresistibile l’esigenza di rivolgersi a una più vasta cerchia di uditori e di lettori, di entrare in comunicazione con un pubblico più vasto. Di qui le sue svariate attività culturali: la direzione scientifica dell’Istituto mantovano di storia contemporanea; l’allestimento di raccolte museali; la collaborazione alla produzione di documentari. E ancor prima, negli anni della giovinezza, le avventure teatrali, dallo spettacolo Le tigri di carta della fine degli anni Sessanta a Sanitruc o la cosa da Castrà del 1974, la messa in scena di una fiaba popolare mantovana con maschere e pupazzi, per la quale Giancorrado aveva fatto tesoro della lezione del gruppo americano Bread and Puppets di Peter Schumann da lui amatissimo: un’avventura indimenticabile a cui amiche e amici che sono venuti oggi a salutarlo saranno sempre orgogliosi di aver partecipato e che resterà nella nostra memoria come testimonianza della sua scintillante e contagiosa creatività.

Se si vuol comprendere la sua idea della cultura e della vita culturale occorre leggere un passo della prefazione alle Ventisette fiabe, laddove a proposito dei suoi incontri con i narratori contadini così si esprime:

«Via via che il rapporto si faceva più familiare, la fiaba, che inizialmente avevo considerato oggetto separato di ricerca, apparì ai miei occhi uno, nemmeno il più importante, dei momenti di vita vissuta da quegli uomini e da quelle donne che avevo imparato a conoscere».

Che si trattasse dei braccianti miserabili delle nostre campagne dell’Ottocento o degli operai della cartiera Burgo o dei soldati contadini della Prima Guerra mondiale o ancora dei pescatori del Po, per Giancorrado – questo è il punto – l’interesse per il cosiddetto mondo popolare non era espressione di pura curiosità scientifica né terreno di esercitazioni accademiche; era anzitutto disposizione a comprendere chi per condizione materiale di vita, per esperienze, per formazione e per cultura, è altro da noi, ma non per questo escluso dalla nostra possibilità di capire e di condividere. Non può sorprendere sotto questo profilo che dal suo incontro con Berta Bassi Costantini, la ineguagliabile narratrice uscita dal mondo della risaia, nascesse una profonda e mai interrotta amicizia. 

71ssyqsdyglAl fondo l’impulso a studiare quel mondo aveva origine in lui da quegli stessi ideali di uguaglianza e di fratellanza che lo sospinsero a militare nel sindacato scuola della Cgil e dei quali sono state espressione le sue mai agitate ma mai dismesse convinzioni anarchiche e libertarie. Giancorrado era persona aliena da ogni idea di violenza, sempre disponibile al confronto e al dialogo. Come conferma sin dal titolo uno dei suoi ultimi saggi, Altruismo e cooperazione in Petr Alekseevic Kropotkin, anarchia era per lui l’ideale di una società che emancipandosi dalle imposizioni e dalle coercizioni del potere, trova nell’iniziativa dal basso, nella valorizzazione dei talenti di ciascuno, nella collaborazione paritaria di tutti i suoi membri, i modi per affrontare le asperità della condizione umana e avanzare verso la meta dell’uguaglianza.

Del resto infine è stata questa disposizione alla comprensione che ha improntato le sue relazioni d’amore con la moglie, con il figlio, con il nipote, le sue affettuose relazioni con le molte amiche e con i molti amici che ha avuto.

Sono convinto che tanta ricchezza di eredità non andrà dispersa: sul piano scientifico i suoi studi demologici, storici e antropologici continueranno a lungo a costituire dei punti di riferimento e saranno ragione e sprone per i giovani a nuove ricerche; su un piano più ampio, dalla memoria dei suoi ideali e dei suoi comportamenti potremo continuare a trarre insegnamenti e incitamenti. 

Giancorrado Barozzi

Giancorrado Barozzi

“Facciamoli laici questi nostri rituali falò” [2]. In dialogo con Giancorrado

di Pietro Clemente

Lontani e vicini

Ci sono tante cose di Giancorrado che restano da leggere e ce ne sono tante che sono ormai parte del me studioso. La mia fortuna di docente universitario è stata quella di dialogare con tanti ricercatori non accademici, di imparare da loro, di conoscere con loro nuovi territori. Nella generazione dei padri considero miei maestri anche Saverio Tutino, Nuto Revelli ed Ettore Guatelli. Ma anche dai più giovani ho imparato, così da Roberto Ferretti di Grosseto, fondatore dell’Archivio delle tradizioni popolari della Maremma Grossetana, morto a 36 anni lasciando un patrimonio importante di scritti, testi di narrazione orale registrati e trascritti, oggetti mai abbastanza valorizzati localmente. Così tra i molti e tra i più cari Giancorrado. Con alcuni ho imparato in compagnia, nel senso di un rapporto costante di collaborazione, da altri a distanza o in occasioni di convegni e incontri che promuovevamo tra Siena e Grosseto negli anni ’70 e ‘80. Ma Giancorrado fu con noi ad Alberse (Grosseto) anche per l’ultimo convegno di fiabistica dedicato a Ferretti e ad Aurora Milillo nel 2010. Non riuscimmo a pubblicare gli atti, e forse l’intervento che fece Giancorrado riusciremo a trascriverlo.

5000089464961_0_0_464_0_75Il mio rapporto con Giancorrado ha avuto pochi momenti di condivisione ravvicinata, convegni come ho detto, ma anche qualche incontro per progetti museali, ma ci siamo sentiti presenti a distanza scambiandoci ogni tanto saluti e letture diventate poi mail. Con una mail che mi scrisse il 5 giugno 2021, dopo che gli feci avere il volume Raccontami una storia [2], mi allegò un suo scritto C’era una volta, inedito, con alcune pagine dedicate al volume che davvero sono per me un ricordo straordinario e che mi restituiscono la vicinanza di sentimenti legati alla ricerca. Spero di poterli pubblicare su Dialoghi Mediterranei una volta accertato il loro stato di pubblicazione. Siamo stati lontani ma vicini. Ed ho pensato che il modo di mostrarlo possa essere questo insieme di scritture semiprivate e semipubbliche, legate alle mail e a face-book, che davvero segnalano che la distanza e la vicinanza sono entrate in una nuova epoca della possibilità. Si può essere vicini da lontano.

Noi social

Allego qui degli scambi che si comprendono immediatamente, con qualche commento qua e là:

1. scambi per e-mail sui temi della fiabistica a partire dal libro citato e dall’avvio di una rete di studiosi della narrativa popolare

2. scambi su face book e su Messenger. Negli ultimi di essi Giancorrado era all’Ospedale e Paolo Nardini, Florio Carnesecchi e Mariano Fresta studiosi toscani di nascita e di adozione e suoi amici ed io, cercavamo di fargli compagnia.

 3. La mia lettera di partecipazione al lutto alla moglie e al figlio, una lettera tradizionale e postale, alla quale ho avuto una risposta dolorosa e amichevole (che non riproduco per privatezza).

1. I primi scambi sono augurali ma densi, Giancorrado risponde in modo individuale a lettere di auguri che spesso faccio a tutto il mondo dei colleghi-amici, quasi sempre con una poesia molisana di Eugenio Cirese sul Natale. Quelli successivi sono legati all’uscita del libro Raccontami una storia. Avevo creato un gruppo di dialogo per e-mail tra gli studiosi interessati ancora oggi al campo della fiabistica, e con alcuni di loro abbiamo organizzato anche la presentazione on line del volume (era in tempi di COVID) con il Museo Pasqualino. Le tracce segnalate di libri e saggi che Giancorrado aveva in preparazione sono anche una guida a riprendere i suoi studi, e a pubblicare eventuali inediti. Non ho pubblicato le mie mail ma si possono facilmente dedurre dalle risposte.

Dicembre 2015
Caro Clemente,
Tanto per dimostrare che della bella consuetudine francescana del presepe non si è (strumentalmente) appropriato il solo Salvini, contraccambio i tuoi graditi Auguri inviandoti anch’io l’immagine di un presepe popolare. Si tratta dell’immagine centrale del presepe fatto con pupazzi a grandezza umana dal cantastorie di Viadana Pietro Borettini, detto Pédar. La foto è mia. Attorno alla capanna di Betlemme pullula, in questo presepe viadanese, una folla di pupazzi che mettono in caricatura i personaggi più noti della Viadana di un tempo (l’oste, lo spazzino, il barbiere, lo scarriolante, il pescatore, la lavandaia, la ricamatrice e così via, tutti contrassegnati dal loro “scurmai” o “scotom”, il soprannome che di solito prendeva il posto del cognome). In proposito, ricorda lo stesso Pédar che, ad es., alla domanda: “Dove abita il signor Bianchi?”, nessuno a Viadana sapeva rispondere, ma se si chiedeva: “Sa dirmi dove sta Barblòt, o Basiòt, oppure Fartàda”, tutti sapevano fornire precise indicazioni.
Dal 1 dic. ho cambiato indirizzo: ora abito in Piazzale Gramsci, 3, sempre a Mantova. Fino ad ora non mi sembra di avere mutato pensiero (come accadde a Comte), ma non si sa mai… 
Febbraio 2017
Caro Pietro,
i tuoi graditissimi, poetici auguri di buon compleanno, mi hanno incoraggiato a inviarti, in allegato, un mio testo inedito sui rapporti tra Ernesto de Martino e il filosofo Antonio Banfi, tramite la mediazione di Remo Cantoni (filosofo “morale” che ho conosciuto e apprezzato di persona, quand’ero suo studente). Il pezzo, che sino ad ora non ho mai fatto leggere a nessuno, è forse un po’ lungo, ma fa parte di un lavoro ancora più ampio, al quale sto lavorando, intorno ai rapporti tra antropologia e filosofia nell’Italia del Novecento (con particolare riferimento alla “scuola filosofica milanese”: Banfi, Paci, Cantoni), “scuola” che è stata per me altamente formativa durante i miei studi all’Università Statale di Milano compiuti (tra le barricate) nel periodo post ’68.
Se troverai un po’ di tempo e voglia per leggere questo mio scritto, te ne sarò doppiamente grato.
Scusami, in ogni caso, per questa mia invadenza.
A presto.
Un fraterno saluto da Mantova a te e famiglia
Corrado
aprile 1921
Caro Pietro,  
Ti ringrazio per il gradito pensiero e per l’avermi considerato nel novero dei possibili recensori di Raccontami una storia. “Considerazione” che mi riprometto di onorare con una recensione del libro. 
P.S.
colgo l’occasione per informarti che nel novembre scorso io e mia moglie Cristina, contagiati da ns. figlio, abbiamo passato (fortunatamente senza gravi conseguenze sanitarie per tutta la ns. famiglia) il virus del momento. La forzata quarantena è stata, per me, l’occasione propizia per rimettere mano a una serie di appunti sparsi sul tema del Carnevale, considerato dal punto di vista storico; sistemazione alla quale sto ancora lavorando, ma che conto di ultimare entro la fine di quest’anno. Titolo provvisorio: La nave dei folli. Se tu lo vorrai, ti terrò informato degli sviluppi di questo lavoro. 
Maggio 2021
Grazie Pietro,  
trovo molto utile l’idea di un comune indirizzario per tenerci in contatto e da non lasciar cadere anche l’idea di sfruttare l’e-mail (e magari anche qualche “social”) per dotarci di uno specifico strumento di collegamento tra «persone interessate ai temi della narrazione». Vi informo che oggi ho depositato il manoscritto delle “Ventisette fiabe raccolte nel Mantovano” presso l’archivio dell’Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova, dove sarà collocato accanto al manoscritto ottocentesco delle “Fiabe Mantovane” di Isaia Visentini. 
Maggio 21
Fraterni saluti
Giancorrado
 Giugno 2021
Caro Pietro, 
la lettura di “Raccontami una storia” ha messo in moto nella mia mente una gran quantità di ricordi e riflessioni sulla fiaba e i “fiabisti”: materia che non sono riuscito a contenere entro i limiti di una “disciplinata” recensione del libro. Aggiungi poi il fatto che il 28 maggio scorso la cara Berta Bassi, l’ultima “fiabista” che era rimasta in vita tra i narratori protagonisti delle “27 fiabe raccolte nel Mantovano”, si è spenta pure lei, proprio nel giorno del suo 93esimo compleanno. La partecipazione al suo funerale mi ha portato a ri-pensare ancora una volta alle fiabe e ad altre cose che le riguardano e che ho provato a fermare qui con lo scritto, sforzandomi di non indulgere troppo alla commozione. Quel che ora ti mando è dunque il file fluviale dei miei pensieri. L’ho suddiviso in 5 paragrafi: il terzo e il quarto trattano del libro tuo e di Cirese, mentre gli altri parlano di argomenti diversi, sempre però attinenti alla fiaba e alle sue alterne “fortune” in Italia.
Come vedrai, se avrai voglia di leggerlo, si tratta di un primo abbozzo, tutto da ri-sistemare e da completare con la bibliografia dei testi citati. Una volta messo a posto, conto di poterlo pubblicare (rimesso a nuovo) in uno dei prossimi numeri degli “Atti e memorie dell’Accademia Nazionale Virgiliana”, che ha sede in Mantova e della quale sono membro attivo.
Ti ringrazio e ti abbraccio cordialmente,
a presto 

2. Dialoghi su Face-book e su Messenger

Anche qui si comincia dagli auguri. Face-book mi segnalava i compleanni e a Giancorrado ho sempre mandato un augurio. Ora non me li segnala più, e non so perché, forse perché non so gestire questo social, ormai considerato per anziani. Si parla di fiabe, di amicizia, e di salute in modo davvero denso. I riferimenti al libro riguardano quello di Florio Carnesecchi, Le penne del pollo. La tradizione orale a Castelnuovo di Val di Cecina e Travale [3], qui c’è anche la mia parte nel dialogo, essendo testi più brevi e specificamente dialogici

3/02/15
Pietro
carissimi auguri Giancorrado. Anche se sei un bimbo confronto a me, il tuo “Ventisette fiabe raccolte nel Mantovano”, Milano, Regione Lombardia, 1976, è stato per me un libro di formazione del quale ti sono ancora riconoscente. Ti considero un libero Maestro, disseminatore di idee (compresa la diffusione gratuita sul web dei libri dell’anarchismo) e di immagini di un Nord ricco di umori culturali. Immagini di tortelli di zucca, di torte sbrisolone e di vivacità del segno dell’Acquario ti fanno compagnia. D’altra parte “Mantua te genuit”, se non sbaglio.
Giancorrado 
Non sbagli, “Mantua me genuit”. Il tuo generoso pensiero d’augurio mi ha toccato nel profondo. A presto. Quando capiterai dalle mie parti, sappi che un piatto di tortelli, una sbrisolona e un bicchiere di lambrusco sono già in serbo per te e per tua moglie a casa mia.
 03/02/16
Auguri Giancorrado colonna delle nostre storie demologiche
Pietro
03/02/17
Caro Giancorrado, buon compleanno, e che gli dei ti conservino in buona salute a lungo, amico di una comunità quasi girovaga di antropologia di confine che ho sentito anche mia per molti percorsi. Intorno a un fuoco una sera ci racconteremo storie e ricordi di terre vicine e di terre lontane. Tanti auguri. 
03/02/17
Giancorrado 
caro Pietro, ti ringrazio per i tuoi cordiali, graditissimi auguri. In attesa del falò, confidiamo negli dèi. 
03/02/18
Pietro 
Tanti auguri, Giancorrado FM ci connette almeno una volta all’anno, ma anche quest’anno ci sarà il falò a Pescarolo? A cosa è dedicato: a San Biagio? Sant’Antonio in ritardo? Carnevale? Candelora? 
04/02/18
Giancorrado 
Caro Pietro, molte grazie per gli annuali auguri che ci connettono. Del falò di Pescarolo, non so dirti, ma d’ora in poi facciamoli laici questi nostri rituali falò, senza bisogno di dedicarli a Santi e a Beati (so che ho detto un’eresia «calendariale»! Ma spero che me la passerai). 
29/04/20
Giancorrado 
Caro Pietro, salutami tanto l’amico Florio e fagli i complimenti anche da parte mia per i suoi due nuovi lavori sulla fiaba popolare [4], ns. comune passione. Io sto attraversando una dura prova sul duplice fronte medico oncologico e riabilitativo neurologico. Sono ricoverato all’ospedale di Mantova, dove mi hanno operato qualche giorno fa. Ce la metterò tutta per superare questa non facile prova. Mi conforta l’amore dei famigliari e la vicinanza morale dei veri amici. 
Pietro 
forza Giancorrado!! tutta la Toscana meridionale è con te, ti abbracciamo e ti facciamo scudo
Barozzi
 sento la vs. vicinanza e solidarietà. Come mi piacerebbe essere ancora una volta lì con voi e ragionare di fiabe nella memoria di Roberto Ferretti…
Mariano Fresta
in bocca al lupo, Giancorrado
Pietro Clemente
saluti e abbracci affettuosi da Florio che non usa Facebook. la serata è andata molto bene
Paolo Nardini
 Giancorrado, I migliori auguri da parte mia di pronta guarigione e di risoluzione di ogni problema di salute. Condivido, con te, con Florio, e con molti altri, l’interesse per la narrativa di tradizione orale. Ad maiora, caro amico.
Giancorrado Barozzi
Grazie, cari amici. Vi abbraccio.
Giancorrado Barozzi
Grazie, caro Paolo, per i tuoi graditi auguri. Che raccolgo. La posta è dura, ma va raggiunta, con tenacia e impegno. I vs. Incoraggiamenti mi spronano.
luglio 22
Giancorrado Barozzi  (commenta una mia foto di compleanno per gli 80 con una ironica aureola)
Un abbraccio fiabesco e affettuoso anche da Mantova. L’aureola ti dona, con la sua agiografica ironia. Sai meglio di me quanto siano leggendarie e mentitrici le narrazioni delle vite dei Santi. Ed è con questa laica consapevolezza che hai affrontato il processo di pubblica canonizzazione che ti ha beatificato. Ora sappiamo a che strano santo votarci. Un abbraccio con i migliori saluti a te, caro Pietro, che invocherò anch’io di mandarmi una grazia.
 Pietro Clemente
 grazie Giancorrado anche della tua ironia, risorsa dell’antropologia
Giancorrado Barozzi
 Grazie a te, caro Pietro, per la tua vicinanza anche in questa prova che sto attraversando, cercando, come vedi, di non perdere lo “spirito” dell’ironia e dell’autoironia. Guai a prendersi troppo sul serio. Un abbraccio sincero. 
Cristina, Giancorrado e Fabrizio, 2016

Cristina, Giancorrado e Fabrizio, 2016

3. Carissimi Cristina e Giovanni,
la notizia della morte di Giancorrado mi è arrivata da Massimo Pirovano proprio il giorno di Natale. Ne siamo stati molto addolorati mia moglie ed io, avevamo con Giancorrado un rapporto amichevole da tanti anni e anche affettuoso. Ci scrivevamo per varie cose, libri sulle fiabe, iniziative. A Giugno mi aveva scritto dall’ospedale, usando la mia pagina facebook, e mi aveva raccontato la situazione che stava vivendo. Aveva un gran coraggio, mi è sembrato, e manteneva i suoi dialoghi di ricerca anche con l’incombere della malattia. Scrivo per dirvi che condividiamo con voi il dolore per la sua morte, ma anche che Giancorrado resta nella memoria di tanti per i suoi studi e per la sua gentilezza, per le ricerche che ha fatto e per la sua cultura mai esibita ma sempre profonda. Anche qui a casa mia è presente con tanti libri, ma sta anche nella memoria del mio computer per i lavori che mi ha mandato per mail, ed è presente sul web con il sito dell’Atlante Demologico Lombardo, e in tanti altri luoghi. Io sono più vecchio di lui di 8 anni ed è un dolore ulteriore che uno più giovane debba anticipare chi sarebbe più vicino naturalmente alla fine del viaggio. Da lui ho imparato molte cose, soprattutto da uno dei suoi primi libri le “27 fiabe raccolte nel mantovano” del 1976, pubblicato quando aveva solo 26 anni e io 34, era un libro innovativo e mi fu di grande aiuto a capire come studiare le tradizioni narrative orali. Le sue idee mi sono sembrate sempre meditate e interessanti. Credo che nel prossimo inizio d’anno lo ricorderemo anche sui giornali e le riviste degli studi antropologici cui era molto legato.
Giancorrado resta con noi negli studi e nella memoria degli studiosi, come resterà nelle memorie familiari e nei ricordi dei nipoti.
Pietro Clemente 
Giancorrado al convegno Dal campo, 2 giugno 2008

Giancorrado al convegno Dal campo, 2 giugno 2008

Per un profilo storico dell’attento e generoso studioso del folklore

di Massimo Pirovano 

Ricordare Giancorrado Barozzi, che ci ha lasciato troppo presto dopo una malattia crudele, è per noi un doloroso impegno: per l’amicizia che ci ha legato, per le virtù della persona e per il valore dello studioso, che probabilmente molti non hanno avuto modo di conoscere e apprezzare. Lo dobbiamo a un amico generoso e discreto conosciuto parecchi anni fa grazie agli interessi comuni per il folklore, le testimonianze orali e i musei etnografici, con il ruolo sociale che queste istituzioni spesso appartate e marginali possono avere.

Rileggendo la sintetica storia di sé che Giancorrado aveva scritto nel 2017 per “La ricerca folklorica Erreffe” nel numero dedicato alle autobiografie di antropologi italiani, ho appuntato una serie di parole chiave che il testo suggerisce, capaci di inquadrare la figura dell’uomo, del ricercatore e dello studioso in maniera – spero– efficace, per quanto incompleta.

Comincerei dalla disponibilità all’ascolto, nel lavoro di campo ma anche nelle collaborazioni professionali, come tra colleghi, più o meno esperti, della Rete dei Beni Etnografici Lombardi, che aveva concorso a fondare con passione quasi vent’anni fa e che ha sempre alimentato con le sue idee, le sue esperienze e i suoi scritti. Nei nostri incontri la sua competenza amministrativa, affinata dal mestiere che aveva svolto nelle scuole per molti anni, si univa a un equilibrio e a un pragmatismo che difficilmente si abbinano a una curiosità scientifica e a un sapere tanto vario e profondo, grazie alle sue letture nei più diversi campi: storiografia, letteratura, linguistica, antropologia, filosofia.

Aggiungerei la riservatezza ed una certa modestia, a fronte delle sue competenze e del suo sapere che gli avrebbero permesso di intraprendere una carriera universitaria. E invece aveva sempre privilegiato il lavoro nel territorio e per il territorio, nella sua Mantova e in Lombardia, assumendo la direzione scientifica dell’Istituto mantovano di storia contemporanea, lavorando al riallestimento del Museo Polironiano di San Benedetto Po, prima di presiederne la commissione di gestione, o con frequenti collaborazioni con l’Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione, guidato prima da Bruno Pianta e poi da Renata Meazza, che custodisce una parte consistente dell’archivio sonoro di Barozzi.

Il suo rigore di studioso emerge anche dalla propensione a ripensare le sue ricerche, come quelle – fondamentali – sulla fiabistica, ispirate da un seminario seguito alla Statale di Milano con la storica delle religioni Momolina Marconi, ma concretizzate nel Ventisette fiabe raccolte nel mantovano, uscito nel 1976, che gli avevano permesso di mettere a frutto le sue prime ricerche sul campo, da cui erano nati anche rapporti umani importanti con i suoi interlocutori, narratori di storie della tradizione orale. Dicevamo della disponibilità al confronto e al ripensamento: sulle fiabe Giancorrado era tornato a distanza di molti anni nel saggio C’era una volta, scritto per l’Accademia Nazionale Virgiliana, in cui confrontava le sue esperienze e le sue conoscenze con quelle di una serie di studiosi importanti. Proprio le indagini sulle fiabe gli avevano permesso di conoscere e di frequentare per molti anni Berta Bassi, mondariso e narratrice straordinaria, che era diventata amica, oltre che testimone, di Barozzi, con il quale aveva deciso di trasferire dalle pagine manoscritte in un libro la sua biografia, pubblicata con il titolo La mia vita nel 2009, presso l’editore Negretto in una collana ideata e diretta da Giancorrado, che si proponeva al lettore come un luogo di “assaggi di antropologia”.

cartieraLo stesso editore aveva dato alle stampe, un anno prima, Cartiere Burgo. Storie di operai, tecnici, imprenditori nella Mantova del Novecento, scritto da Barozzi e Lidia Beduschi con la collaborazione di Ottavio Franceschini, in cui emerge l’uso sapiente della documentazione d’archivio, delle fonti giornalistiche e delle testimonianze orali basate sulla memoria, di cui Corrado auspicava un uso accorto per quanto essenziale. Il volume rende esplicita la consapevolezza, non sempre coltivata tra gli studiosi di tradizioni popolari, dell’importanza della cultura operaia e dei mutamenti storici della società italiana del Novecento. La formazione universitaria di Barozzi, ricevuta nelle aule di via Festa del Perdono a Milano, qui riemerge grazie alle lezioni di Franco Della Peruta e di Marino Berengo, che tornavano nelle nostre conversazioni ma che sono ricordati anche nelle pagine autobiografiche del 2017.

In questo scritto, proprio sul periodo di studi (e di militanza politica) trascorso alla Statale negli anni della strage di Piazza Fontana, si evidenzia l’onestà morale di Corrado nel considerare in maniera autocritica un periodo influenzato, decisamente ma non definitivamente, da una passione acerba e miope per quella che lui stesso definisce “una dose eccessiva di ideologia”. Gli interessi per la storiografia, in quell’epoca di formazione, erano parsi al giovane di provincia un’alternativa a lezioni di docenti meno schierati con il movimento studentesco, o addirittura bersagliati dalla polemica anche violenta, come Remo Cantoni: il filosofo con il papillon che parlava di antropologi e antropologia in una università dove la disciplina non aveva mai avuto lo spazio di un insegnamento formale. Trascurato da studente, Il pensiero dei primitivi di Cantoni sarebbe stato una lettura affrontata dopo la laurea da Corrado con estremo interesse, insieme alle opere di Gramsci e di De Martino.

dal-campo-al-museo-719x1024La passione politica di Barozzi non era stata abbandonata dopo gli studi universitari, ma aveva preso due percorsi apparentemente divergenti ed altrettanto importanti: quello della riflessione teorica e quella della ricerca sul terreno. Il primo itinerario di studi aveva portato in un campo di riflessione tra le scienze naturali e le scienze umane, che emerge dal saggio del 2013 dedicato allo scienziato e pensatore russo Pëtr Alekseevic Kropotkin, in cui si mostra come la cooperazione e il mutuo appoggio rappresentino dei fattori evolutivi essenziali, contraddicendo «l’arrogante riemergere nel mondo contemporaneo di primordiali forme di egoismo e di darwinismo sociale». L’altro itinerario, certamente collegato alla sensibilità per i temi del socialismo e dell’anarchismo, ha condotto Corrado per tutta la vita a esplorare, documentare e studiare le diverse forme delle culture popolari, realizzando tra l’altro i tre volumi con apparato multimediale sulle province di Mantova, Brescia e Cremona dell’Atlante Demologico Lombardo, con la collaborazione di Mario Varini per un censimento di feste e rituali tradizionali del ciclo dell’anno, individuati da molti ‘etnografi’ corrispondenti, che permette di localizzare geograficamente una serie di comportamenti cerimoniali considerati significativi da demologi, etnologi, antropologi, storici della cultura e storici delle religioni, considerati da Corrado per le suggestioni che le loro interpretazioni possono offrire agli studiosi dell’età contemporanea.

gli-uomini-e-il-ciboQuesti lavori collettivi, tra l’altro, ci dicono ancora una volta della sua capacità di tessere relazioni umanamente feconde e scientificamente importanti con tante persone di varia provenienza, di formazione ed estrazione sociale anche molto differenti. Potrebbero testimoniare questa sua capacità, in particolare, le sue giovani collaboratrici ed eredi presso i due musei che più di altri si sono giovati della sua opera progettuale: Michela Capra per il Museo “Giacomo Bergomi” di Montichiari nel Bresciano e soprattutto Federica Guidetti per il Museo Polironiano di San Benedetto Po, nell’estrema propaggine di Lombardia orientale ai confini con l’Emilia e il Veneto. Anche nella rete Rebèl, a cui si è fatto cenno, potremmo ricordare i fondamentali contributi dati da Corrado, solo in parte evidenziati dai suoi scritti, nei quattro volumi collettivi Dal campo al museo. Esperienze e buone pratiche nei musei etnografici lombardi (2009), Conservazione e restauro nei musei etnografici lombardi (2011), Il cibo e gli uomini: L’alimentazione nelle collezioni etnografiche lombarde (2012), Gli uomini e il cibo. Una risorsa per le scuole dai musei etnografici lombardi (2014).

Considerando i lavori che Corrado ha dedicato alla divulgazione mediante il teatro di animazione, il film documentario, la fotografia, che come lui ha scritto, gli hanno permesso di «restituire agli stessi testimoni e interlocutori, interpellati durante le inchieste sul campo, gli esiti finali» delle sue indagini, si dovrà mettere mano alla sua ampia produzione saggistica per compilare una bibliografia completa che consenta ad altri studiosi, e specialmente ai più giovani, di sviluppare le diverse piste di indagine scientifica e gli importanti spunti di riflessione che Giancorrado ci ha lasciato in 50 anni di impegno segnato da una sicura lezione etica.

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023 
Note
[1] Giancorrado Barozzi, Selfie, in “La ricerca folklorica”, n.72, 2017, monografico su Autobiografia dell’antropologia italiana, a cura di Glauco Sanga e Gianni Dore.
[2] Ho scelto questo titolo, tratto da uno scambio via mail, perché il tema del fuoco e dei falò come un simbolo di libertà e anche di riattivazione della cultura progressista era stato al centro del mio editoriale nel n.59, in cui facevo riferimento a una intervista a Zero Calcare http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/60283/. Nel tempo di transizione dal n.59 al 60 di Dialoghi Mediterranei ci sono stati il 17 febbraio i fuochi che hanno illuminato colline e montagne della Val Pellice, il Piemonte valdese, per ricordare la conquista della libertà di culto. Fuochi di libertà.
[3] A. M. Cirese, P. Clemente, Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori, Palermo, Edizioni Museo Pasqualino, 2021
[4] Siena, Betti 2022.
[5] Il lavoro precedente di Florio cui allude è Galinfalonne. Legami simbolici nel folklore toscano, Siena, Betti, 2020

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Maurizio Bertolotti, vive e lavora a Mantova, si è occupato di storia della stregoneria europea e di culture delle classi popolari in età moderna e contemporanea; di storia del Partito comunista; di storia del Risorgimento. Negli ultimi anni i suoi studi sono stati dedicati in particolare alla storia dei rapporti tra ebrei e non ebrei nella società mantovana e alla vita e all’opera di Ippolito Nievo. Un centinaio le sue pubblicazioni, molte delle quali nelle principali riviste storiche italiane. Tra i suoi libri sono da ricordare Carnevale di massa 1950, Torino, Einaudi 1991 e Le complicazioni della vita. Storie del Risorgimento, Milano, Feltrinelli, 1998.  Nell’ambito dell’Edizione nazionale delle opere di Ippolito Nievo ha curato la pubblicazione dei Drammi giovanili. Emanuele. Gli ultimi anni di Galileo Galilei, Venezia, Marsilio, 2007 e degli Scritti garibaldini, Venezia, Marsilio 2019.  Nel 2007 ha curato la mostra La nazione dipinta. Storia di una famiglia tra Mazzini e Garibaldi organizzata dal Centro internazionale d’arte e di cultura di Palazzo Te.
Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021). 
Massimo Pirovano, ha insegnato discipline umanistiche nella scuola media, negli istituti secondari e nei licei. Dottore di ricerca in Antropologia della contemporaneità, si interessa di lavoro e ritualità presso le classi popolari, del canto e della narrativa di tradizione orale, di alimentazione, di gioco e sport, di musei etnografici, temi a cui ha dedicato saggi, documentari, cd musicali e mostre. Dirige il Museo Etnografico dell’Alta Brianza (Galbiate) dalla sua fondazione e coordina la Rete dei Musei e dei Beni Etnografici Lombardi (REBEL). Tra le sue pubblicazioni la cura del volume Le culture popolari nella Storia della Brianza (Cattaneo 2010) e dell’ipertesto Dalla fame all’abbondanza (MEAB – Parco Monte Barro 2014), oltre al saggio Un antropologo in bicicletta. Etnografia di una società ciclistica giovanile (Mimesis 2016).

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