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In memoria di “Danino”

Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2016 @ 00:51 In Politica,Società | No Comments

 Adnen Meddeb

Adnen Meddeb

 di Federico Costanza

C’erano una volta le cosiddette “Primavere arabe”. Poi è arrivato l’autunno islamista, il fallimento delle elezioni, le fragili istituzioni democratiche, l’avanzata del jihadismo internazionale, la minaccia del terrorismo globale. La paura  si è impossessata dell’entusiasmo rivolu- zionario, soppiantandolo.

Il binomio Islam-Politica si ritrova in tutte le riflessioni inerenti le società arabe, dimenticando che esiste tutta una sfera civile che, al di là del discorso religioso o tradizionale, affronta quotidianamente la propria lotta per l’affermazione sociale. Ci sono donne e uomini impegnati politicamente e culturalmente in una lotta instancabile per la riforma e la crescita della loro società che non godono dell’interesse dei media occidentali, e men che meno di quello dei media locali. Nel capitolo della lotta al terrorismo globale manca tutta quella parte che fa riferimento a questa società civile che finalmente, all’indomani delle Primavere arabe, ha acquisito una propria voce. Ma in Occidente rimane inascoltata.

E così, in un tourbillon di ampie, colorite, didascaliche e animate discussioni sull’uso o meno del velo islamico, sulla capacità o meno di integrazione dell’immigrato di fede musulmana e sulla temuta invasione di profughi d’oltremare, ci si dimentica della gente, delle persone in carne e ossa a rappresentare un mondo in perenne mutamento.

È di questi giorni la notizia della morte per arresto cardiaco di Adnen Meddeb, “Danino” per gli amici, un giovane attivista tunisino, uomo di cultura, cineasta fra i più conosciuti nell’effervescente panorama artistico nordafricano. Il suo ghigno cinematografico, l’espressione arcigna in un volto ieratico a guidare una manifestazione di piazza: un ritratto che è diventato una delle immagini più simboliche della rivoluzione tunisina.

Adnen rappresentava l’integra volontà di una generazione coraggiosa, pronta a recitare il ruolo di protagonista. Questa però, nostro malgrado, è una narrazione di cui non si conosce il finale. I protagonisti diventano sempre più “stranieri”, nel senso camusiano del termine: l’assurdità è l’esser relegati ai margini della propria Storia, stranieri fra stranieri, fra chi non li vuole più “artefici del proprio destino”.

Adnen era un giovane organizzatore di festival cinematografici, come altri suoi coetanei tunisini era un artista “militante”, con un’accezione che acquista valore al giorno d’oggi, ma che già storicamente sottolinea l’impegno della resistenza civile all’interno delle società arabe in opposizione alle forze autoritarie o straniere che si sono succedute nella gestione del potere.

Fra gli organizzatori e animatori delle “Giornate Cinematografiche di Cartagine” – uno dei festival più importanti del mondo arabo –, durante l’ultima edizione, lo scorso autunno, fu arrestato assieme all’amico Amine Mabrouk, rientrando a casa dalla serata di chiusura, minuti dopo l’entrata in vigore del coprifuoco decretato pochi giorni prima in seguito all’ennesimo attentato negli ultimi anni in Tunisia contro dei militari. Arrestati per violazione del coprifuoco e per aver trovato nella loro auto un pacchetto di cartine per tabacco da rollare (!).

Migliaia di giovani tunisini si trovano attualmente in carcere con l’accusa di essere “zatal” (consumatori di droga, zatla), in vigore di una legge iper-repressiva dell’epoca della dittatura che, di fatto, ancora oggi serve da monito a ben rappresentare lo strapotere della polizia nel Paese. Molti giovani oppositori, attivisti, artisti critici nei confronti degli abusi della polizia e della diffusa corruzione politica, sociale ed economica vengono scoraggiati proprio attraverso l’uso di queste leggi repressive che vanno dalla penalizzazione del consumo di droga alla pubblica repressione di costumi e atteggiamenti considerati moralmente disdicevoli, adottando peraltro un codice sociale che non sempre trova corrispondenza nella legge.

 Ala Eddine Slim - Fakhri El Ghazel - Atel Maatallah (ph. Nawaat org.)

Ala Eddine Slim – Fakhri El Ghazel – Atel Maatallah (ph. Nawaat org.)

In tanti sono passati per il giogo psicologico e fisicamente probante della detenzione, dei processi sommari, degli interrogatori brutali e degradanti, fino alla scarcerazione che comunque lascia segni indelebili nell’animo, nella mente e nel fisico. Hanno ricevuto lo stesso trattamento noti attivisti come Azyz Amami, artisti come Fakhri El-Ghezal, Atef Maatallah, l’amico regista Alaeddine Slim, seppur sostenuti da popolari campagne di sostegno in favore del loro rilascio e della riforma delle leggi liberticide.

Da quella terribile esperienza Adnen era uscito scagionato dopo aver trascorso un po’ di tempo fra umiliazioni e intimidazioni della polizia durante frustranti interrogatori e il carcere preventivo, a detrimento di qualsivoglia garanzia di tutela dei diritti umani e di rispetto della presunzione di innocenza in attesa di un regolare processo. Processo che ha successivamente acclarato l’assurdità delle accuse. E il suo giovane cuore, mesi dopo, non ha retto.

Questa ordinaria storia di ingiustizia rappresenta lo stato dell’arte del processo democratico in Tunisia, laddove le Istituzioni nazionali, alla ricerca di un vasto consenso compromissorio fra i maggiori partiti politici del Paese, non sono ancora in grado di garantire il rispetto dei valori costituzionali sanciti dalla nuova Carta Costituzionale appena approvata.

All’indomani della rivoluzione, le associazioni e la società civile hanno imbastito un largo confronto per la creazione di una piattaforma che metta mano radicalmente a buona parte delle vecchie leggi repressive del periodo dittatoriale, al fine di riformare profondamente e in maniera davvero partecipata la società tunisina.

Al contrario, l’impressione dei più è che lo spirito dei Governi del post-Primavere arabe – in Tunisia come anche in altri Paesi arabi – sia quello di ammettere la sconfitta dei processi di transizione democratica e la volontà di tornare a una versione più autoritaria del potere.

Manifestazione di protesta a Tunisi, dicembre 2015 (ph. DR)

Manifestazione di protesta a Tunisi, dicembre 2015 (ph. DR)

In tal senso, peraltro, si concentrano due fattori: la radicalizzazione dello spazio politico e religioso da una parte; la spinta al compromesso fra l’Islam politico, in costante ripiegamento, e la vecchia classe dirigente, desiderosa di riprendere i propri spazi di potere perduti all’indomani delle rivolte. All’interno di questo scenario politico vi è la società civile, quella larga fetta delle popolazioni arabe che non ascolta il messaggio integralista o che rifiuta un ritorno delle antiche logiche di sottomissione.

Chiaramente, il termine società civile è vasto e riveste mille sfaccettature. In Tunisia è però evidente come si vada ormai formando un fronte di resistenza che fa da contraltare alle vecchie élite, impegnate nella restaurazione delle proprie prerogative e ad affossare i tentativi di riforma della società. Questo fronte ha ascolto nelle società occidentali? Praticamente no. Il sostegno occidentale non aspira ad alcun confronto, se non a parole. Si è lasciato che il mondo arabo si sfaldasse, senza porsi minimamente il problema delle generazioni figlie delle Primavere arabe e di una Storia di privazioni, umiliazioni e voglia di riscatto, frustrando anche gli iniziali vagiti ed entusiasmi seguiti alle rivolte del 2011.

Adnen esprimeva una scelta ben precisa: quella della lotta per l’affermazione della libertà individuale a scegliere il proprio destino. Per farlo, per rompere le catene che rendono un individuo schiavo del proprio destino (un fatalismo persino appartenente alla tradizione), occorre fornirgli nuovi strumenti, nella tutela e nel rispetto dei propri diritti civili, così come nella speranza di poter evolvere la propria condizione umana e sociale. Per farlo occorre sposare le loro istanze, farlo in maniera “attiva”, cercando di capire il militantismo che impregna la cultura di cui si nutrono queste nuove generazioni.

Riusciremo a spingere il nostro sguardo oltre il burkini e oltre il filo spinato che ci protegge?

Dialoghi Mediterranei, n.21, settembre 2016

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Federico Costanza, si occupa di europrogettazione e management strategico culturale, con un’attenzione specifica all’area euro-mediterranea e alle società islamiche. Ha diretto per diversi anni la sede della Fondazione Orestiadi di Gibellina in Tunisia, promuovendo numerose iniziative e sostenendo le avanguardie artistiche tunisine attraverso il centro culturale di Dar Bach Hamba, nella Medina di Tunisi.

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