Immaginare futuri diversi per le società musulmane significa riflettere sui processi che stanno portando allo sviluppo di nuovi modelli di vita. È fondamentale pensare al futuro delle loro comunità in modo da eliminare le disparità e promuovere l’uguaglianza. Altrettanto importante è trovare sistemi innovativi per fermare la povertà e l’emarginazione. Con questi propositi e con tante idee per domani ripensati o semplicemente con il desiderio di intravedere futuri migliori del presente che stiamo vivendo, studiosi da tutto il mondo si sono riuniti a Tunisi, dal 27 al 30 maggio scorsi, per discutere di nuovi modelli per le società musulmane.
L’incontro si è svolto nell’ambito della Enis Spring School 2025, declinata quest’anno sul titolo “Imagining Futures: Dealing with Disparities” [1]. La tre giorni di lavori dedicata a studenti e ricercatori che approfondiscono tematiche legate alle società islamiche sia antiche che contemporanee è frutto del lavoro congiunto di Enis [2] e del Mecam di Tunisi [3] che hanno invitato a partecipare professori e studiosi di tante università e istituzioni dedicate agli studi islamici fra cui: l’Università di Tunisi, l’Università di Losanna, l’Università di Messina, la NISIS [4], la SeSaMO [5], l’IISMM [6], il CNMS [7], il CSIC [8].
La capitale tunisina, scelta per l’edizione di quest’anno ha fornito un contesto ideale per affrontare questioni economiche, politiche, di genere, di classe, geografiche, ambientali e religiose che definiscono oggi dinamiche che impattano, spesso negativamente, sulle comunità musulmane e che finiscono per determinare nuove ingiustizie e disegnare tanti diversi tipi di diseguaglianze. Tunisi ha una storia molto ricca e diversificata. È stata un crocevia di civiltà differenti e la prima terra africana conquistata dagli islamici nel VII secolo. Successivamente, è stata governata da una serie di dinastie, incluso un breve periodo di dominazione da parte dei Kharijiti [9] nel X secolo. Questa storia complessa e variegata ha contribuito a fare di Tunisi un luogo ideale per discutere di nuovi modelli per le società musulmane.
Gli organizzatori hanno proposto di partire dalla definizione di diseguaglianze di Therborn (2002)[10], che le descriveva come differenze evitabili e moralmente inaccettabili in guadagni, status sociale, relazioni di genere o di razza, dominio culturale, accesso a risorse come l’educazione, la sanità, il lavoro. Questo approccio mira a offrire nuovi punti di vista e modelli per affrontare le diseguaglianze e le ingiustizie di oggi.
Legandosi al concetto di “régimes d’historicité” (2003) portato avanti da François Hartog [11], gli organizzatori hanno preso come punto di partenza delle riflessioni il fatto che, per anticipare il futuro, occorra guardare alla storia e da lì porre attenzione ai bisogni dell’oggi per negoziare o rinegoziare futuri migliori di convivenza.
Immaginare il futuro può avvenire a vari livelli, ma quello suggerito dalla Enis Spring School è di natura accademica, dove il concetto di immaginazione è frutto del lavoro di studiosi che hanno incluso nel loro ragionamento questioni geografiche (Gregory, 1993; Harvey, 2000 [12]), economiche (Lanier, 2014; Beckert, 2016 [13]), etiche (Bowles, 2018 [14]) e antropologiche (Appadurai, 2013 [15]).
Il punto di partenza proposto ai partecipanti è stato quello di capire a cosa esattamente ci si riferisce quando si parla di disparità, di differenze all’interno delle società, di diseguaglianze che possono avere caratteristiche non solo spazio-temporali, ma che arrivano fino a esprimere squilibri di poteri all’interno delle società, esitando in un sistema di norme e di modi di vivere che si scontrano l’uno con l’altro.
È in questo contesto che le diverse rappresentazioni del futuro che derivano da nuovi progetti, anche religiosi, possono avere un ruolo cruciale nel modellare nuove identità, nuovi modi di essere e di vivere nella società, specialmente in quelle dove le diseguaglianze sono più marcate.
Oggi la pluralità e la diversità dei discorsi religiosi, con riferimento alle varie forme di comunicazione legati alle pratiche, ai riti, specialmente se si guarda all’immaginario legato a visioni utopiche o escatologiche, possono contribuire a dare forme inaspettate alle aspirazioni della collettività o allo sviluppo di specifici progetti sociali. Questi discorsi possono in qualche modo contribuire a sfidare i modelli di potere esistenti, con tutte le relative implicazioni culturali e sociali sulle società in cui si svolgono.
L’idea centrale di chi annualmente propone questo incontro di riflessione comune si basa dunque sulla convinzione che gli studi islamici possano offrire una prospettiva avvincente per esplorare come sarà il futuro delle comunità musulmane difronte alle sfide della contemporaneità, soprattutto perché affondano le radici in utopie passate. L’ascesa e la caduta di vari imperi islamici sono spesso state accompagnate da promesse di visioni future specifiche, riflettendo l’idea che ogni momento della storia porti con sé una visione unica del futuro. Ad esempio, nel mondo musulmano premoderno, pratiche come la cartomanzia e l’astrologia erano diffuse e un tema centrale nell’Islam era la promessa di salvezza nell’aldilà. Un’ampia letteratura descriveva dettagliatamente cosa ci si potesse aspettare nell’aldilà, utilizzando l’immaginario del paradiso e dell’inferno per garantire una compensazione per le disuguaglianze sociali e le difficoltà in questa vita [16]. Questa promessa di salvezza non solo raffigurava la giustizia di Dio, ma garantiva anche che persino i criminali sarebbero stati giudicati nel Giorno del Giudizio. Questo concetto è rilevante anche per gli studi storici, come l’esame delle prospettive future nella Baghdad del XIII secolo dopo la conquista mongola. Questo approccio riconosce che ogni momento del passato ha avuto un suo futuro distinto, plasmato dalle credenze e dalle pratiche prevalenti.
È in questo quadro che la ENIS Spring School ha voluto esplorare la connessione tra disuguaglianza multidimensionale e idee e modelli lungimiranti nelle società musulmane, sia storiche che contemporanee. L’attenzione si è rivolta ai complessi processi sociali, politici, culturali ed economici, nonché alle questioni di interesse e preoccupazione comuni che storicamente e attualmente dividono e/o collegano diverse regioni. Tra queste figurano i sistemi di credenze, la distribuzione delle risorse, le trasformazioni culturali, le migrazioni, lo stato di diritto, i conflitti socioeconomici e la giustizia. Seguendo questa linea di pensiero, lo studio dell’Islam non può essere pienamente compreso senza considerare come i musulmani, in diversi contesti diseguali, immaginano il loro futuro e aspirano a modelli di società differenti. Questi futuri immaginati, a loro volta, plasmano i sistemi di credenze, le pratiche e lo sviluppo del pensiero e della società islamica.
Le società musulmane e le espressioni del neo-futurismo
Per gettare i partecipanti direttamente nel futuro l’incontro è stato aperto da Matthias Determann [17] che ha incantato il pubblico partendo dall’analisi del futurismo urbano rappresentato da palazzi dalle forme ambiziose come il Mukaab, l’enorme cubo che andrà a ridefinire lo skyline di Riyad [18] in Arabia Saudita e il Museo del Futuro a Dubai negli Emirati Arabi Uniti [19]. Percorrendo la storia dell’architettura futurista della regione del Golfo il professore è passato a raccontare di science fiction, di arte digitale, di video games e pièce teatrali innovative, di produzione di artisti e pensatori provenienti dalla Siria, dall’Iran, dall’Egitto e dai Paesi arabi in generale. La riflessione di Determann si è poi spostata sui testi di nuovi movimenti religiosi che combinano creativamente le scritture islamiche con la mitologia dell’era spaziale mettendo in relazione le varie visioni di queste opere con fattori politici e religiosi, tra cui repressione, resistenza e nuove interpretazioni del Corano. Nel suo excursus il professore ha concluso evidenziando ulteriori progetti di ridefinizione del mondo islamico sotto forma di racconti e romanzi. Con l’intelligenza artificiale generativa e le piattaforme di pubblicazione elettronica che stanno diventando ampiamente accessibili, lo studioso ha lasciato intendere come ci si possa aspettare che nuove forme di futurismo musulmano si possano sviluppare rapidamente negli anni a venire.
Fra gli esempi contemporanei di innovatori di origine arabo-musulmane Determann invita a guardare sui vari media, da YouTube ai Social, i lavori di giovani “creators” che immaginano nei Paesi arabi, specialmente in Arabia Saudita, mondi distopici e cyber punk. Fra questi spicca il lavoro di artisti, cineasti, come Sophia Al-Maria [20] nota per il suo lavoro multidisciplinare che esplora temi di tecnologia, cultura e identità nei contesti postcoloniali e del Golfo. La sua arte affronta spesso l’impatto della modernità, della globalizzazione e della mitologia sul Medio Oriente, fondendo narrazioni futuristiche e distopiche. Emerge dal racconto di queste visioni futuristiche di artisti musulmani il modo in cui il loro lavoro abbia trovato uno sbocco in epoca post Primavera araba.
A guardare ai sogni e alle aspettative della Primavera Araba e delle rivolte che ha portato con sé, un’epoca neanche troppo lontana temporalmente ma già così passata nella memoria collettiva, quella voglia di rivoluzionare lo status quo potrebbe non aver prodotto il tipo di cambiamento politico che la maggior parte dei manifestanti in piazza sperava, ma ha lasciato un segno profondo nella cultura araba. Ad esempio, dal 2011 sono state pubblicate diverse opere d’arte arabe di tipo distopico, tra cui un’antologia intitolata Iraq + 100: Storie da un altro Iraq, curata da Hassan Blasim; un romanzo egiziano futuristico e satirico intitolato Donne di Karantina, di Nael Eltoukhy; un romanzo su omosessualità e rivoluzione intitolato Guapa, del kuwaitiano Saleem Haddad; e persino una commedia musicale fantascientifica intitolata Topaz Duo: Cosmic Phoenix, co-creata dalla scrittrice e regista qatariota Sophia al-Maria [21] e presa ad esempio da Determann.
Il mondo distopico e futuristico che giovani artisti arabo-musulmani stanno immaginando passa poi anche per l’arte figurativa. Ne sono esempio i collage di Ayham Jabr di una Damasco antica contrapposta a quella contemporanea realizzati durante la guerra civile siriana [22]. Si tratta di una serie di immagini dal titolo “Damascus under siege”, collage realizzato da Jabr nel 2016. Emerge così, per quanto inaspettato possa sembrare, che proprio durante la guerra civile il governo siriano stesse supportando le idee futuriste, la letteratura cosiddetta sci-fi, la produzione di video e film distopici e futuristi.
«I Paesi del Golfo hanno i soldi per fare tutto ciò che vogliono, hanno le risorse, ma non è necessario avere i soldi per sognare, è per questo che oggi assistiamo a un’ondata di futurismo arabo che sta sbocciando ad ogni angolo del mondo arabo musulmano» conclude Determann. Da qui l’affermazione del principio che per essere creativi e avere visioni di mondi futuristici non sia necessario vivere in una democrazia o in un mondo perfetto dove si rispetta la libertà di espressione e di pensiero. Il futurismo – ne è dimostrazione la vasta produzione accessibile anche sul web – è stato prodotto per generazioni anche in Paesi totalitari come, ad esempio, in Kazakistan o in Iran. Nell’insieme Determann presenta un’indagine coinvolgente, approfondita e accademica sui modi in cui gli artisti e gli autori islamici, nel corso dei secoli, hanno scritto, riflettuto e affrontato il concetto di vita extraterrestre. Secondo David Weintraub [23], Determann, con i suoi studi e approfondimenti, da studioso di queste visioni futuriste, ha potuto gettare una luce sulle nuove strade che le società musulmane stanno intraprendendo e ha avuto la capacità di offrire un prezioso contributo alla nostra comprensione della storia del rapporto tra idee extraterrestri e religione, in particolare con riferimento all’Islam.
I giovani musulmani e le nuove tendenze della cultura urbana al Cairo come a Bangalore
Dai mondi distopici e fantascientifici proposti dagli studi di Determann, il passo verso l’analisi di società musulmane dove un nuovo modo di vivere i paesaggi urbani sta cambiando le relazioni sociali è quello proposto da Noa Jacobs [24]. Lei punta lo sguardo sui giovani meno abbienti che in città come Bangalore, solo per fare un esempio, stanno cambiando la loro vita e ampliando le proprie opportunità semplicemente con la scelta di frequentare cyber-caffè o di cercare spazi di lavoro e ricerca nel settore dell’informazione e della tecnologia (IT), permettendo a loro stessi e alle loro famiglie di passare da condizioni di vita di povertà a quelle che caratterizzano la locale middle class. Ancora, la Jacobs invita a guardare ai giovani di città africane come Accra in Ghana, capitali cresciute a dismisura negli ultimi tre decenni, dove i giovani si riuniscono nel loro tempo libero in luoghi a metà strada fra cyber-caffè, co-working spaces, improvvisate discoteche, dai nomi evocativi tipo “Chicago” e “California”, che diventano il luogo dove esprimere il loro personale “sogno americano”, immaginando futuri rinegoziati per sé stessi e per le famiglie che formeranno. Fino allo studio della comunità di “skaters” e “roller bladers” (pattinatori) del Cairo. Si tratta sostanzialmente di giovani che si incontrano in aree urbane specifiche e che poi usano pattini e skateboards per spostarsi rapidamente e sfuggire a sguardi insistenti di forze dell’ordine o altre autorità che non amano, nella Cairo contemporanea, assembramenti troppo numerosi, tantomeno se composti da giovani. Qui la domanda di chi si chiede come le società musulmane possano negoziare o rinegoziare futuri diversi passa attraverso il concetto di amicizia, quel sentimento che unisce senza pressioni o legami stretti, dove sono le comuni passioni il legante che contribuisce a formare un nuovo modo di pensare e di vedersi nel futuro, permettendo ai giovani di città caotiche e disumanizzanti come il Cairo, di cambiare la visione del loro mondo e, di conseguenza, il futuro stesso della città.
Questi spazi sociali dedicati al tempo libero diventano quella finestra unica dalla quale individui e gruppi, in particolare in contesti urbani diseguali, riescono prima ancora che a vedere, a immaginare e poi a negoziare futuri alternativi per loro stessi e per le loro famiglie. È importante osservare come le amicizie si formano, si mantengono e sono influenzate dagli spazi in cui si realizzano. Questi aspetti possono fornire spunti preziosi per ampliare le aspirazioni sociali, specialmente per le comunità di giovani musulmani. Diventa anche importante notare come queste dinamiche “microsociali” contribuiscano a reimmaginare i paesaggi urbani e le relazioni sociali. L’amicizia, l’uso di strumenti “alternativi” come gli skateboards hanno avuto la forza di creare in ambienti urbani difficili una sottocultura capace di rimodellare le società partendo dal basso.
Pensieri sul futuro dei musulmani in Europa
Riportando l’attenzione dall’Africa all’Europa, Albrecht Fuess [25] si è concentrato sul futuro delle società musulmane che vivono da generazioni in Europa, cercando di capire quale direzione prenderanno. Il suo approfondimento si focalizza soprattutto sul grado di integrazione dei musulmani nella cultura europea e su come i Paesi dell’Unione Europea potrebbero coinvolgerli nella costruzione di un Islam europeo. Questo argomento è diventato urgente da affrontare e non poteva mancare in un consesso che guarda al futuro, anche molto prossimo, delle società musulmane nel mondo.
Negli ultimi tre decenni, la popolazione musulmana nell’Europa occidentale è cresciuta a ritmi senza precedenti. A livello regionale più ampio, nel 2016 si contavano circa 25 milioni di musulmani negli Stati membri dell’Unione Europea, cifra che si stima aumenterà a 35 milioni entro il 2050 [26]. L’arrivo di musulmani da vari Paesi del Medio Oriente, dell’Africa e dei Balcani ha portato cambiamenti e problematiche significative a livello sociale, economico e politico. Innegabilmente, fenomeni di discriminazione e islamofobia si verificano in quasi tutti i Paesi dell’UE in vari aspetti della vita pubblica, come l’uso dell’hijâb, la costruzione di moschee e l’edilizia abitativa.
Albrecht Fuess ha iniziato il suo ragionamento con la constatazione che, fino al XX secolo, pochi Paesi europei erano realmente in grado di integrare le nuove religioni nei loro sistemi giuridici. È stato infatti solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l’arrivo di molti migranti, che la situazione è in parte cambiata. All’inizio, i migranti erano visti più per la loro etnia che per la loro religione, come i sud-asiatici in Gran Bretagna, i magrebini in Francia e i turchi in Germania. Con il tempo invece la religione è diventata un indicatore o meglio, l’indicatore principale delle differenze culturali fra popolazioni. Poi fatti di rilevanza internazionale e geopolitica come la rivoluzione iraniana del 1979 e gli attacchi dell’11 settembre 2001, spiega Fuess, hanno peggiorato l’immagine dell’Islam in Europa fino al punto che è diventato sorprendente come un gruppo così diverso, quello dei musulmani, sia stato unificato in un concetto standardizzato. L’Islam è diventato in Europa un monolite. Allora, si domanda il professore che cosa possa verosimilmente collegare uno sciita libanese in Spagna con un musulmano africano nel Regno Unito o una donna francese sunnita di origine algerina con una svedese di origine sud-asiatica che segue la confraternita sufi dell’Aḥmadiyya, solo per fare alcuni paradossali esempi per chi non abbia l’onestà intellettuale di riconoscere che l’Islam è portatore di infinite diversità e sfumature. È importante poi sottolineare che alcuni musulmani si considerano laici e hanno solo un legame culturale con la religione degli antenati. Molti immigrati provenienti da Paesi musulmani si definiscono atei. Tuttavia, la società europea continua a vederli come musulmani e li percepisce come una minaccia. In Europa, alcuni gruppi di destra hanno persino sviluppato programmi islamofobi. D’altra parte, ci sono molte attività di dialogo interreligioso e progetti comuni per unire le comunità, che contrastano la cieca islamofobia. Inoltre, sempre più musulmani stanno avanzando nella scala sociale e chiedono di avere voce in capitolo.
Così come le società musulmane in Europa sono variegate, altrettanto lo è il modo in cui i singoli Paesi dell’Unione si confrontano con loro. Le differenze messe in luce da Fuess sono sorprendenti e si fanno sentire soprattutto perché in Europa non esiste alcuna organizzazione islamica centrale che possa parlare a nome di tutti – sarebbe difficile farlo data la natura diversificata dell’Islam –. Ci sono però organizzazioni locali, settoriali, regionali che si occupano di tutelare gli interessi delle società islamiche in Europa come ad esempio: la Emug [27], associazione nata in Germania nel 1985 con il compito di costruire moschee per le associazioni musulmane, acquisire immobili per le attività religiose e garantire la manutenzione di questi beni; la Fioe, La Federazione delle organizzazioni islamiche in Europa fondata dai Fratelli Musulmani nel 1989, con lo scopo di diffondere la cultura islamica tra i musulmani d’Europa, ma anche per promuovere il dialogo culturale tra musulmani e gruppi appartenenti ad altre fedi e ideologie; l’Ecfr [28], il Consiglio europeo per la fatwā [29] e la ricerca, un’organizzazione paneuropea dei Fratelli musulmani che fornisce assistenza ai musulmani in Europa, fondato nel 1997 da Yusuf Al-Qaradawi [30]. Il Consiglio europeo per la fatwā e la ricerca, riunisce oggi influenti studiosi musulmani dediti alla ricerca e alla stesura di sentenze a sostegno delle comunità minoritarie musulmane occidentali con sede in Irlanda.
La domanda secondo Fuess è: come dialogano queste associazioni e tante altre che qui non abbiamo nominato con le entità statali? La risposta è difficile. Se si guarda alla Germania, ad esempio, non è facile dare una risposta unitaria trattandosi di un Paese federale dove la religione è un argomento sotto il cappello degli Stati federali e non del governo centrale. Il professore evidenzia poi un altro aspetto dell’Islam in Europa che contrasta l’islamofobia: la nascita di un lifestyle influenzato dalle comunità islamiche. Questo include la tradizione di mangiare ḥalal [31] e la formazione di associazioni, spesso composte da giovani o donne musulmane, con interessi per la difesa dell’ambiente e altri settori di interesse comune. Mentre le destre europee, come quella di Marine Le Pen, hanno tentato di screditare questa cultura, l’industria, specialmente in Francia, la rivendica. La domanda di cibo halal è infatti cresciuta notevolmente in tutta Europa negli ultimi anni, rendendo il settore molto appetibile per gli affari.
Albrecht Fuess sottolinea che le nazioni europee hanno atteggiamenti diversi verso l’integrazione dei musulmani nelle loro società. Di conseguenza, a livello nazionale, sono emersi vari approcci o “modelli” per gestire queste comunità. Le relazioni tra gli Stati e le comunità musulmane seguono principalmente l’esempio delle relazioni tra Stato e Chiesa, sviluppate nel corso dei secoli nell’interazione con le Chiese cristiane. Tuttavia, seguendo questi modelli, gli Stati europei spesso ignorano che l’Islam è organizzato in modo molto diverso dalle altre religioni con cui hanno avuto a che fare in passato. Questo approccio “nazionale” si applica anche all’educazione religiosa islamica, portando alla nascita di numerose forme diverse di educazione religiosa in tutta Europa.
Fuess pertanto prevede che tutto ciò porterà a sviluppare tanti “islam nazionali” più che un solo “islam europeo”. Secondo Fuess, inoltre, ci saranno più flussi migratori ma meno moschee, perché i musulmani che vivono in Europa stanno diventando sempre più atei, pur mantenendo un legame culturale con l’Islam. I governi e le società dovranno pertanto imparare a dialogare con questa cultura senza fobia, distinguendo tra religione e stile di vita per determinare come coesistere.
Dall’Europa all’Italia: il caso delle sale di preghiera del salernitano
Salvatore Senatore [32] immagina il futuro delle comunità musulmane marginalizzate in Italia, prendendo come esempio i lavoratori marocchini nel salernitano e il loro nuovo modo di rapportarsi con le autorità locali in un contesto difficile e caratterizzato da fenomeni di caporalato [33]. Negli anni ‘90 – spiega il ricercatore – le organizzazioni musulmane iniziarono un dialogo con il Ministero dell’Interno per riconoscere l’Islam come religione e collegare le norme statali con il diritto delle comunità musulmane. Questo portò alla creazione della Consulta, che nel 2017 ha ratificato un “Patto” per la formazione degli imam e l’uso dell’italiano nei sermoni. L’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (UCOII) [34] è una delle organizzazioni firmatarie. Essa raccomanda agli imam di consultare i pareri del Consiglio Europeo per le Fatwa e la Ricerca ed è considerata vicina ai Fratelli Musulmani [35].
Senatore spiega che questa nuova generazione di musulmani italiani ha maggiore capacità di azione rispetto alla precedente e si impegna a costruire un futuro in cui lo Stato italiano garantisca la regolamentazione dei luoghi di culto e migliori le norme per l’acquisizione della cittadinanza. Le sue ricerche analizzano le pratiche e i discorsi dei membri dell’UCOII, che organizzano la loro azione nel contesto sociale italiano.
Negli ultimi anni – sottolinea il ricercatore – a Salerno e nella sua provincia, sono state istituite diverse sale di preghiera islamiche, gestite da personale religioso che si occupa dell’amministrazione, delle pratiche devozionali e delle attività per i fedeli. Queste figure pubbliche, come imam e predicatori, hanno assunto il ruolo di guide spirituali e rappresentanti della comunità, fungendo da interlocutori con le istituzioni locali. Tutto ciò avviene in un contesto caratterizzato dal fenomeno del caporalato, radicato da tempo nella regione. L’elevata mobilità dei fedeli e delle autorità religiose ostacola però l’istituzione di una leadership stabile e di conseguenza, emerge una forma di Islam “informale”, che opera al di fuori delle strutture amministrative dell’Islam “ufficiale”. Sarà nelle maglie di questo modo di vivere la religione non ufficiale che si ridefiniranno relazioni fra le comunità ormai stanziali di giovani musulmani e il territorio che dovrebbe accoglierli in quanto elementi fondamentali per la tenuta delle economie regionali e locali.
Il ruolo delle donne nel futuro delle società musulmane: il caso della Giordania
In una riflessione sul futuro delle comunità musulmane non poteva mancare una lente sulle questioni di genere e sul crescente ruolo delle donne nella vita pubblica di molte società islamiche. Giulia Macario [36] ne approfondisce il discorso citando casi emblematici di donne coinvolte nella vita pubblica in Giordania che hanno avuto una ascesa politica passando dalla Fratellanza Musulmana ad essere membri attivi del Fronte d’Azione Islamico (FAI). La sua ricerca parte dall’analisi del ruolo storicamente in evoluzione delle donne all’interno della Fratellanza Musulmana (FM) in Giordania, in particolare alla luce dei recenti risultati elettorali, in cui otto donne si sono aggiudicate seggi parlamentari. ll 10 settembre 2024, la Giordania ha infatti tenuto le sue elezioni più partecipate dal 1989, a cui ha aderito anche il Fronte d’Azione Islamico, dopo aver alternato boicottaggio e partecipazione negli ultimi decenni, emergendo come forza politica dominante, in particolare in centri urbani come Amman, Zarqa e Irbid, dove gode di una solida base elettorale. Le elezioni sono state caratterizzate da un livello relativamente elevato di trasparenza e correttezza, rappresentando un netto distacco rispetto al passato. La vittoria del FAI, che ha assicurato 31 seggi su 130 in Parlamento, sottolinea la forza duratura del movimento islamico in Giordania, dimostrando la sua capacità di rimanere una valida forza rappresentativa popolare.
Un aspetto significativo, ma spesso trascurato, delle recenti elezioni giordane è proprio la vittoria di queste otto donne del Fronte D’Azione Islamico, molte delle quali hanno ottenuto seggi al di fuori della quota di genere obbligatoria. Questo risultato non ha precedenti nella storia politica giordana, poiché otto donne della stessa lista non erano mai state elette in Parlamento. Si tratta di donne che sono state parte integrante della Fratellanza Musulmana giordana fin dalla sua nascita. Le loro vittorie vanno intese come il risultato di un lungo percorso di impegno civico, con molte di loro impegnate da diversi anni in sindacati e in attività di daʿwa [37] e nel FAI. Tradizionalmente considerate figure marginali in un’organizzazione a predominanza maschile, le donne – sottolinea la Macario – nella FM stanno quindi emergendo sempre più come attrici politiche chiave, a indicare un cambiamento nelle dinamiche di potere di genere, nelle strategie organizzative e in un più ampio cambiamento sociopolitico in Giordania. D’altronde loro stesse hanno ribadito più volte alla studiosa “noi ci siamo sempre state” a indicare un coinvolgimento sociale, politico, intellettuale che affonda le radici all’origine del movimento stesso.
Lo studio si basa su un’etnografia durata 14 mesi, con 54 interviste biografiche e ricerche d’archivio per ricostruire la traiettoria storica del coinvolgimento femminile nella FM in Giordania, concentrandosi sui loro contributi e sui dibattiti che hanno gestito all’interno del movimento. Questa presentazione analizza in particolare le traiettorie storiche di tre figure chiave, che sono parte integrante della memoria del movimento e che incarnano importanti modelli di leadership nella politica giordana, che sono: Fatima Farhan, membro fondatore del partito politico e leader dei primi anni della da’wa; Hayat al-Misiymi, prima donna eletta deputata del partito nel 2003, che rappresenta un legame con la base del partito nella notoriamente povera area di Zarqa; e Dima Tahboub, attuale deputata, la cui ascesa esemplifica la crescente influenza delle donne nella politica giordana. Evidenziando la maturazione politica di queste tre donne all’interno del popolare movimento islamico, la Macario sottolinea il loro impatto storico sul Fronte d’Azione Islamico, braccio politico dei Fratelli Musulmani in Giordania, fornisce una comprensione più approfondita dei risultati elettorali e prevede obiettivi e ambizioni future. Facendo ciò ci illustra come queste donne abbiano navigato in una complessa interazione di forze religiose, sociali e politiche, per emergere dall’ombra del potere come leader politiche influenti in prima linea, offrendo spunti cruciali sulla futura traiettoria dei ruoli delle donne nella politica giordana e oltre.
Di questo e di molti altri argomenti si è discusso nel corso dell’edizione 2025 della Enis Spring School. Solo per citarne alcuni, la questione dell’immagine delle donne musulmane. Un’immagine spesso plasmata dal discorso occidentale che le ritrae come oppresse, sottomesse e bisognose di salvezza, in particolare attraverso la lente dell’hijab. Emerge il fatto che questo possa invece essere una scelta di empowerment femminile, come avviene ad esempio per le donne Azadi in India, dove le minoranze musulmane subiscono una crescente oppressione da parte delle forze nazionaliste indù, e l’hijab è paradossalmente diventato un simbolo complesso di identità, resistenza e sopravvivenza e questo è qualcosa che le generazioni future devono imparare a rispettare senza giudizi o pregiudizi. Si è parlato del popolo Saharawi e di come sia capace di mantenere il proprio senso di identità e appartenenza nonostante decenni di sfollamento ed esilio, grazie alle tradizioni, alle pratiche culturali e di narrazione condivise che creano un legame simbolico con la loro terra d’origine, il Sahara Occidentale, anche in assenza di una presenza fisica dando alle giovani generazioni un senso di continuità e di appartenenza.
Fra i tanti temi trattati è entrata anche l’economia, con la dissertazione di Davide Ravazzoni sul “giusto prezzo”. Una interessante e innovativa analisi del pensiero economico di Ibn Taymiyya (m. 1328) che non ha a suo avviso ricevuto la stessa attenzione accademica rispetto ad altri ambiti della sua prolifica produzione. Un esame più approfondito delle sue opere rivela infatti idee socioeconomiche articolate che meritano un’indagine puntuale per una più completa comprensione della sua visione sociale. Sebbene lo studioso sia spesso citato come emblematico degli studiosi musulmani che coltivano una “utopia retrospettiva” – una visione idealizzata e utopica della prima comunità musulmana (salaf) che funge da modello per la futura riforma sociale – Ravazzoni sostiene che il pensiero economico di Ibn Taymiyya sia stato fondamentalmente plasmato dall’impegno attivo e dalla negoziazione con le questioni economiche contemporanee. Attraverso un’analisi storicamente contestualizzata di brani di un suo trattato, emerge come la concezione di Ibn Taymiyya del “giusto prezzo” per i beni essenziali possa far luce sulla complessa relazione tra l’Islam delle origini e le risposte pratiche alle sfide socioeconomiche del suo tempo.
Per concludere, alla Enis Spring School 2025 a Tunisi si è discusso di molte realtà, ma immaginare futuri possibili e affrontare le tante disparità del nostro mondo rende l’individuazione di scenari futuri un compito molto difficile. Parlare di disparità e privilegi nelle società contemporanee può essere un punto di partenza per dimostrare come gli studi islamici possano aiutare a sciogliere nodi e a far svanire paure divenute vere e proprie fobie, svelando realtà che sono solo “altre” e rendendole anche “nostre”. Gli studi islamici possono quindi contribuire al dibattito sui futuri possibili per le società multietniche e multireligiose in cui viviamo, aiutando a vedere nuovi modelli trasversali che dimostrano come si possa crescere insieme e lavorare insieme a progetti più giusti per le comunità delle prossime generazioni. Inoltre, è fondamentale riconoscere che le disparità e le ingiustizie non sono solo questioni economiche o politiche, ma anche culturali e sociali. La diversità dei discorsi religiosi, con riferimento alle varie forme di comunicazione legate alle pratiche e ai riti, specialmente se si guarda all’immaginario legato a visioni utopiche o escatologiche, può contribuire a dare forme inaspettate alle aspirazioni della collettività o allo sviluppo di specifici progetti politici. Quel che è certo è che questi discorsi possono e devono sfidare i modelli di potere esistenti, con tutte le relative implicazioni culturali e sociali sulle società in cui si svolgono e sul loro futuro.
Dialoghi Mediterranei, n. 74, luglio 2025
Note
[1] La Enis Spring School è un evento accademico annuale organizzato dall’European Network for Islamic Studies (ENIS), in collaborazione con diverse istituzioni accademiche. La scuola ha riunito quest’anno a Tunisi dal 27 al 30 maggio studenti di master, dottorandi e ricercatori all’inizio della carriera per esplorare il modo in cui le visioni del futuro vengono immaginate e (ri)negoziate all’interno delle comunità musulmane, in particolare nel contesto delle attuali disparità economiche, politiche e sociali.
[2] Network Europeo per gli Studi Islamici (ENIS) è una collaborazione tra le seguenti istituzioni: The Netherlands Interuniversity School for Islamic Studies (NISIS, Paesi Bassi); Institut d’études de l’Islam et des sociétés du monde musulman (IISMM, Francia); Il Centro per gli Studi sul Vicino e Medio Oriente (CNMS presso la Philipps-Universität Marburg, Germania); El Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC – Consiglio Nazionale delle Ricerche spagnolo, Spagna); e Società Per Gli Studi Sul Medio Oriente (SeSaMO, Italia).
[3] Centro dedicato a studi avanzati nel Maghreb
[4] The Netherlands Interuniversity School for Islamic Studies
[5] Società per gli Studi sul Medio Oriente
[6] Institut d’études de l’Islam et de societés du monde musulman
[7] Center for Near and Middle Eastern Studies
[8] Consejo Superior de Investigaciones Cientificas
[9] Seguaci (arabo al-khawāriǵ «gli uscenti») della setta islamica sorta nel 657 d.C. in seguito al dissenso scoppiato tra i seguaci del califfo Alī sulla liceità di dirimere la questione della successione al califfato per mezzo di un arbitrato. Ebbero parte importante nella storia politica e religiosa dell’islamismo, sia con le loro ribellioni sanguinose sotto gli Omayyadi e i primi Abbasidi, sia con lo svolgimento delle loro idee teologiche, che esercitarono un notevole influsso sullo sviluppo dogmatico. Divisi in varie diramazioni, alcune con tendenze estremiste, altre più moderate, costituirono anche formazioni politiche importanti (nell’Africa settentrionale nel X sec., nell’Arabia orientale, nell’Africa oriente), e sopravvivono nella diramazione degli ibaditi. (https://www.treccani.it/enciclopedia/kharigiti/)
[10] Göran Therborn è professore emerito di sociologia all’Università di Cambridge. I suoi lavori sono stati pubblicati in almeno ventiquattro lingue e includono Inequalities of the World; Asia and Europe in Globalization; Between Sex and Power.
[11] François Hartog è direttore di studi emerito nella École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi. Dei suoi numerosi lavori, in Italia sono stati pubblicati: Lo specchio di Erodoto (il Saggiatore 1992), Memoria di Ulisse. Racconti sulla frontiera nell’antica Grecia (Einaudi 2002), Regimi di storicità (Sellerio 2007) e Chronos. L’Occidente alle prese con il tempo (2022).
[12] Derek Gregory, Geographical Imaginations, (Wiley-Bleckwell, 1994); David Harvey, Reinventing Geography in New Left Reviwe (2000).
[13] Lanier, Jaron. 2013. Who Owns the Future? New York: Simon & Schuster; Jens Beckert, 2016, Imagined Futures. Fictional Expectations and Capitalist Dynamics, Harvard University Press
[14] Cennydd Bowles, Future Ethics, NowNext Press, 2018
[15] Arjun Appadurai, The Future as Cultural Fact, 2013
[16] Christiane Lange Paradise and Hell in Islamic Traditions (Cambridge University Press, 2015).
[17] Jörg Matthias Determann è professore presso il Department of Liberal Arts & Sciences alla Virginia Commonwealth University in Qatar, è anche redattore associato della Review of Middle East Studies e redattore per la recensione di libri del Journal of Arabian Studies. Ha conseguito un dottorato presso la School of Oriental and African Studies (SOAS) dell’Università di Londra e due master presso l’Università di Vienna. È autore di cinque libri su Islam, fantascienza e vita e spazio extraterrestre, e su Scienza dello spazio e mondo arabo.
[18] The Mukaab, https://newmurabba.com/en/the-mukaab/
[19] Museum of the Future, https://museumofthefuture.ae/en
[20] Sophia Al-Maria (nata nel 1983, vive e lavora a Londra) ha studiato letteratura comparata all’Università americana del Cairo e culture uditive e visive alla Goldsmiths University di Londra. E’ un’artista, scrittrice e regista qatariota-americana che vive e lavora a Londra. Sebbene il suo lavoro abbracci diverse discipline, tra cui disegno, collage, scultura e cinema, è accomunato da una profonda attenzione al potere della narrazione e del mito, e in particolare all’immaginazione di storie revisioniste e futuri alternativi.
[21] Sara Masurek, Writing the Arab Uprisings: Some Dystopian reflections from Egypt, in Northern Notes, University of Leeds, 2021 https://northernnotes.leeds.ac.uk
[22] Ayham Jabr è nato a Damasco, in Siria. Lavora principalmente come montatore video per serie TV e film, ma nutre anche una forte passione per la grafica, la fotografia e il collage digitale e analogico. Il suo amore per i film, le storie e le teorie di fantascienza è la principale fonte di ispirazione per le sue opere d’arte, prevalentemente digitali.
[23] David Weintraub è Professore di Astronomia e Direttore del Programma di Comunicazione della Scienza e della Tecnologia, Vanderbilt University.
[24] Noa Jacobs, PhD candidate della Ghent University in Belgio
[25] Albrecht Fuess ha studiato Storia e Studi Islamici presso l’Università di Colonia e l’Università del Cairo. Ha conseguito il dottorato di ricerca a Colonia nel 2000 con una tesi sulla storia della costa siro-palestinese in epoca mamelucca (1250-1517). Dal 2010 è professore di Studi Islamici presso il Centro di Studi del Vicino e Medio Oriente (CNMS) della Philipps-Universität Marburg. I suoi principali interessi di ricerca sono la storia del Vicino e Medio Oriente dal XIII al XVI secolo e la presenza musulmana contemporanea in Europa.
[26] Dati Pew Research Center https://www.pewresearch.org
[27] EMUG https://emugev.de/en/about
[28] ECFR https://www.e-cfr.org/en/
[29] fatwā 〈fàtuaa〉 s. f., arabo, invar. – Termine che indica genericam. un responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico o pratiche di culto; la parola ha avuto notorietà in Italia per l’uso restrittivo con cui è stata intesa nel linguaggio dei giornali che la riferirono alla condanna a morte in contumacia pronunciata nell’anno 1989 dall’ayatollah Khomeinī contro lo scrittore Salman Rushdie, ritenuto reo di sacrilegio verso la religione musulmana per il suo libro The Satanic Verses. https://www.treccani.it/vocabolario/fatwa/
[30] Yusuf al-Qaradawi dotto e predicatore egiziano sunnita scrive un’opera di 1400 pagine intitolata “La legge del jihad”. Condanna gli attentati del 2001 Negli Stati Uniti e del 2005 nel Regno unito e per questo è oggetto di mire da parte degli islamisti militanti ma il suo sostegno a favore degli attentatori suicidi palestinesi gli ha negato per sempre l’ingresso negli Stati Uniti. Muore nel 2022 all’età di 96 anni.
[31] Halal agg. inv. Nella religione islamica, conforme ai precetti; con particolare riferimento a cibi e alimenti.
[32] Salvatore Senatore, pHD Candidate alla Università “Orientale” degli Studi di Napoli.
[33] Forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera, spec. agricola, attraverso intermediari (caporali) che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali. https://www.treccani.it/vocabolario/caporalato/
[34] UCOII nasce nel gennaio del 1990 ad Ancona per iniziativa di alcuni componenti dell’USMI (Unione degli Studenti Musulmani in Italia). Alla sua costituzione partecipano uomini e donne musulmani stranieri e italiani e singole associazioni (oggi sono 153). L’Associazione si è proposta fin da subito il perseguimento di finalità di solidarietà sociale, come recita anche il suo statuto, e in seguito ha intrapreso un progressivo percorso d’integrazione religiosa, sociale e giuridica. https://ucoii.org
[35] ar. al-ikhwan al-muslimun Organizzazione fondata nel 1928 in Egitto mirante a ricondurre l’islam al centro della vita politica e sociale della comunità musulmana. Strutturati come un movimento di base, influenzato dallo scoutismo e dalle confraternite mistiche, i F.m. presero parte alla lotta per l’indipendenza egiziana fino al colpo di Stato del 1952. Perseguitati e banditi da G.A. Nasser, essi si diffusero nei Paesi arabi vicini, dove fondarono movimenti analoghi o affiliati all’organizzazione. li riammise gradualmente nella vita pubblica; dal 1984, con H. Mubarak, i F.m. entrarono nel Parlamento egiziano, mediando fra l’islamismo moderato e quello più radicale. https://www.treccani.it/enciclopedia/fratelli-musulmani_(Dizionario-di-Storia)/
[36] Giulia Macario, pHD candidate alla Università Cattolica di Milano.
[37] Il termine arabo daʿwa può essere tradotto come chiamare, invitare o convocare. Storicamente, i musulmani hanno usato il termine daʿwa, insieme a varianti come daʿā (invitare) e daʿi (colui che invita), in vari modi. In tempi moderni, tuttavia, il termine è arrivato a essere usato più spesso per indicare la predicazione islamica o l’attività missionaria (“invitare” all’Islam), mirata principalmente a istruire o ravvivare i fratelli musulmani e secondariamente a promuovere conversioni tra i non musulmani. Allo stesso tempo, le interpretazioni politico-religiose del concetto, ben attestate nella storia islamica, persistono fino al XXI secolo. In quest’ultimo senso, il termine può fungere da linguaggio per la politica di opposizione e la mobilitazione. https://www.oxfordbibliographies.com/display/document/obo-9780195390155/obo-9780195390155-0252.xml
Riferimenti bibliografici
Ahmad, Shahab, What is Islam ?: The Importance of Being Islamic, PUP: 2017.
Appadurai, Arjun. The Future as a Cultural Fact: Essays on the Global Condition. London: Verso Books, 2013.
Beckert, Jens. Imagined Futures. Fictional Expectations and Capitalist Dynamics. Cambridge: Harvard University Press, 2016.
Bowles, Cennydd. Future Ethics. East Sussex: NowNext Press, 2018.
Gregory, Derek. Geographical Imaginations. Cambridge/Oxford: Wiley-Blackwell Publishers, 1993.
Esposito, John, The Future of Islam, Oxford: OUP 2010.
Hartog, François. Regimes of Historicity: Presentism and Experiences of Time. Columbia University Press, 2016.
Harvey, David. Spaces of Hope. Berkeley: University of California Press, 2000.
Lange, Christian. Paradise and Hell in Islamic Traditions (Themes in Islamic History). Cambridge, 2015.
Lanier, Jaron. Who Owns the Future? New York: Simon & Schuster, 2014.
Therborn, Goran. “The Killing Fields of Inequality: What Are the Contemporary Causes of Inequality in the World?” International Journal of Health Services 42/4 (2012): 579-89.
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Francesca Spinola, giornalista professionista attualmente residente a Tunisi, ha conseguito un diploma in Studi arabi e islamistica presso l’Istituto Dar Comboni al Cairo e un master in Studi arabi e islamici presso il PISAI – Pontificio istituto di studi arabi e islamica. È laureata in scienze politiche indirizzo politico internazionale (Università “La Sapienza”). Sta associando al giornalismo la ricerca in studi islamici con un focus sulle questioni di genere. È autrice di numerosi articoli giornalistici e di alcuni saggi di cui l’ultimo è Blu Tunisi: viaggio nella città e nei suoi cinque storici villaggi edizioni Infinito, 2024.
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