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Il ritorno del lupo
Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2023 @ 02:45 In Cultura,Società | No Comments
di Paolo Nardini [*]
Cacciato dalle foreste di tutta Europa per secoli, dopo aver raggiunto il livello più basso della sua presenza, il lupo sembra tornare in forza, popolare di nuovo le foreste, razziare greggi, minacciare gli umani. Dopo essere stato uno dei principali protagonisti della narrativa popolare, oggi lo troviamo più spesso nella narrativa culta e di divulgazione. Per la prima vorrei citare l’opera di Daniel Bernard, storico, antropologo, scrittore francese, uno dei massimi conoscitori del carnivoro predatore, che grazie al precedente lavoro sui lupi del Berry nei secoli XIX e XX, ha potuto produrre un’opera illustrata e ampiamente documentata, a dominanza storica ed etnografica [1]. Senza tralasciare di occuparsi della storia del lupo in Francia, né degli aspetti morfologici (ai quali dedica del resto una piccola parte del libro), Bernard mostra di essere interessato più al “lupo nella mentalità”, che nella sua condizione “reale”: quasi la metà del libro è dedicato al lupo nella cultura popolare, e la narrativa di tradizione orale è ampiamente rappresentata, con gli innumerevoli proverbi, le espressioni comuni, le filastrocche, le fiabe.
Per la narrativa di divulgazione, i quotidiani sono fitti di articoli, che spesso riportano il lamento di allevatori le cui greggi hanno subìto una predazione e degli esponenti delle associazioni di categoria, che talvolta non si peritano di proporre lo sterminio del predatore. Le pubblicazioni locali, spesso promosse da associazioni eterogenee ma che possiamo raccogliere nella definizione di organizzazioni per la tutela della natura e la promozione della biodiversità, affrontano il problema dal punto di vista opposto, quello che garantisce al lupo un’esistenza pacifica e rispettata dall’uomo. Esiste poi una nutrita reportistica che definirei “pubblica”, cioè realizzata o commissionata da enti pubblici (regioni e ministeri), costituita dai rapporti conclusivi di studi che analizzano il problema cercando di individuare punti di mediazione fra i diversi interessi: la tutela della natura e la sicurezza delle greggi, in sostanza “imparare a convivere” con i lupi.
Di lupi, di greggi e di pastori
Alla fine anni settanta del secolo scorso la presenza dei lupi in Italia aveva raggiunto il minimo storico. Si riteneva che i predatori fossero sull’orlo dell’estinzione: si individuavano solo pochi esemplari nella Valnerina, al confine fra le Marche e il Lazio, e in particolare sui Monti Sibillini. Uno studio della Regione Toscana del 1989 però già parlava dell’esistenza di un centinaio di lupi sul territorio regionale. Da alcuni decenni, infatti, la popolazione di lupi era (ed è ancora) in rapida espansione, in Italia come negli altri Paesi d’Europa. Complessivamente alla fine del secondo decennio di questo secolo in Italia si stima la presenza di circa 3.300 lupi, distribuiti fra le regioni alpine, dove si calcolano in poco meno di un migliaio di individui, e il resto lungo la penisola [2]. In particolare, in Toscana dal centinaio di esemplari dei primi anni novanta si stima che la popolazione sia arrivata a poco meno di cinquecento capi: centonove gruppi riproduttivi (erano settantadue nel 2013) fra i quali si insinuano svariati branchi ibridi (lupi non puri) che nell’ultima valutazione erano ventidue [3]. Negli ultimi anni la specie sta colonizzando, oltre alle zone montane che costituivano l’habitat naturale, anche le aree collinari e pianeggianti, avvicinandosi alle aree intorno alle città.
Considerato una specie “chiave” per il corretto funzionamento degli ecosistemi, grazie al suo ruolo di predatore al vertice della catena alimentare, nonostante la sua fondamentale importanza, ancora oggi il bracconaggio, gli incidenti stradali, l’ibridazione con il cane e la difficile accettazione sociale, minacciano la sopravvivenza del lupo. È ritenuto un pericolo da evitare, anche se non sembra costituire una minaccia per l’uomo, poiché gli attacchi alla popolazione umana sono rarissimi se non del tutto inesistenti. Il conflitto più aspro è fra il lupo e gli allevatori. Esso ha un’origine antichissima, ed è relativo agli atti di predazione, soprattutto ai danni delle greggi. Negli ultimi anni, con l’avvicinamento del predatore ai centri urbani, la sua presenza è maggiormente sentita.
L’esistenza del lupo è importante per l’equilibrio ecologico. Per questa ragione dall’inizio degli anni settanta, il lupo è stato considerato specie protetta, ed è grazie alla legislazione di protezione e ad altri fattori come lo spopolamento delle montagne, lo sviluppo dei boschi, la ricchissima disponibilità di prede se la sua popolazione è tornata a crescere.
“Attenti al lupo!”
Il conflitto fra le comunità umane e il predatore si è acuito negli ultimi decenni, e il problema è rappresentato con una certa insistenza nella stampa quotidiana, spesso su quella locale, sporadicamente su testate a diffusione nazionale. Nella cronaca toscana del Corriere della Sera dell’inizio di quest’anno, ad esempio, in alcune pagine dedicate all’attività agropastorale in Maremma, veniva esposto il problema, per i pastori, della presenza sempre più numerosa del lupo e dei danni ai loro allevamenti [4]. Nell’articolo la provincia di Grosseto, con più di un migliaio di allevamenti e oltre 150 mila capi tra ovini e caprini, è rappresentata come «l’area più colpita dalle predazioni».
Dalle principali testate giornalistiche locali, cartacee (La Nazione e Il Tirreno) e on-line (Il Giunco punto net e Maremma Oggi punto net) il quadro, ricavato da una piccola ma significativa collezione di articoli sull’argomento, assume un aspetto assai problematico. Da una più remota proposta del febbraio 2014, dei presidenti delle principali organizzazioni sindacali grossetane degli agricoltori, viene l’invito a sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni dei predatori; più di un anno e mezzo dopo, a ottobre del 2015, il direttore di Confagricoltura di Grosseto evoca l’abbattimento dei lupi che viene svolto in Francia. «Perché qui non si può fare?» chiede al giornalista del quotidiano online “Il Giunco”. Ma già a maggio del 2014 il presidente della Regione Toscana aveva dato vita a un comitato per affrontare operativamente il problema dei predatori, composto dagli assessori alla sanità, all’ambiente e all’agricoltura, e dai rappresentanti degli allevatori, oltre che dal presidente della provincia e dal direttore generale della ASL 9 di Grosseto. Al comitato era stato assegnato il compito di individuare le soluzioni più idonee a risolvere il problema delle uccisioni di bestiame, e di compiere un monitoraggio costante sull’andamento e l’efficacia delle soluzioni sperimentate, per il quale erano state stanziate risorse regionali.
Una voce fuori dal coro è quella del quotidiano La Nazione, che a settembre del 2016 riporta l’intervento del WWF e uno studio della rivista specialistica “Frontiers in Ecology and the Environment”. Secondo la ricerca svolta da “Frontiers” su base internazionale, non sono gli abbattimenti a garantire l’incolumità delle greggi, ma l’adozione di sistemi di protezione, come l’uso dei cani da guardia, le recinzioni elettriche e i dissuasori come il nastro segnaletico. L’impiego di questi dispositivi si è rivelato efficace, e nell’80% dei casi esaminati i danni al bestiame sono diminuiti. Il grande pericolo della decimazione della popolazione dei predatori tramite abbattimenti casuali – afferma l’articolo – è che vengano uccisi individui importanti per la struttura del branco o per l’approvvigionamento di cibo. «La migliore protezione del bestiame in una regione in cui sono presenti i lupi consiste nella protezione del gregge e nell’assicurare la struttura familiare stabile del branco».
Negli articoli della stampa locale degli ultimi anni si registrano una serie di attacchi che vedono gli allevatori, rappresentati spesso dalle associazioni di categoria, opporsi a ogni forma di convivenza possibile con il lupo. Ogni attacco, ogni atto di predazione è l’occasione per affermare la necessità dell’abbattimento del predatore. A ogni atto di predazione a danno di un gregge, riportato sulla stampa locale, fa eco la voce del rappresentante di una associazione di categoria che si scaglia contro i lupi, oppure contro le istituzioni, o ancora se la prende con gli ecologisti.
Una delle caratteristiche del lupo, secondo la definizione di Lamotte e Sacchi [5], è quella di presentare una valenza ecologica elevata, cioè di avere la capacità di popolare ambienti diversi. Questa sua capacità gli ha permesso, all’aumentare del numero di individui, di spostarsi dalle zone montane, suo primitivo habitat, verso la pianura, gli spazi più aperti, fino a lambire i centri abitati. Come afferma il Piano d’azione nazionale per la conservazione del Lupo [6], «Il lupo è particolarmente adattabile a contesti ambientali molto diversi e può sopravvivere anche in presenza di habitat semplificati e impoveriti. Gli elementi ambientali più rilevanti nel determinare l’idoneità di un’area per il lupo sono la presenza di vegetazione in grado di assicurare una copertura dalla vista dell’uomo nelle ore diurne e la disponibilità alimentare sotto una qualsiasi forma, dai depositi di rifiuti alle prede domestiche e selvatiche».
La Regione Toscana, come le altre regioni, ha messo in atto alcune strategie per contrastare il fenomeno delle predazioni, fornendo corsi di formazione per gli allevatori, affinché possano difendersi adeguatamente dal predatore, anche in collaborazione con alcune organizzazioni locali, e stabilendo regole di comportamento a difesa delle greggi, come l’uso di recinzioni adeguate e di cani da guardiania.
Mentre l’associazione Difesa Attiva di Grosseto operava in collaborazione con la Regione Toscana affinché gli allevatori adottassero le strategie necessarie a difendere le greggi dal predatore, attraverso l’uso di cani addestrati e adatti alla guardia del gregge, e adeguate recinzioni, senza la necessità, quindi, di auspicare campagne di sterminio, altri non perdevano occasione per ribadire la propria opposizione a ogni prospettiva di convivenza.
Spesso le predazioni sono opera di cani inselvatichiti o di ibridi, incroci fra il cane e il lupo, che sono ancora più pericolosi del lupo, perché a differenza di quest’ultimo, che per sua natura ha un atteggiamento di diffidenza nei confronti dell’uomo e del cane, gli ibridi non temono né l’uomo né i cani che fanno da guardia al gregge. Negli anni passati la campagna di protezione e risarcimento delle predazioni messa in atto dalla Regione Toscana prevedeva anche l’esame dei residui di saliva sulle ferite da predazione, per stabilire i casi in cui la predazione fosse opera di lupo o di cane o ibrido.
Nel 2017 la Regione Toscana ha avviato una indagine conoscitiva sulla proliferazione del lupo nella regione [7]. L’indagine rivela che il lupo è distribuito pressoché uniformemente sul territorio regionale, con una maggiore concentrazione lungo la fascia appenninica, e con l’esclusione della bassa valle dell’Arno. Si tenga presente che il patrimonio zootecnico esistente in regione si articola in 19.600 allevamenti con un totale di 530 mila capi, di cui 88 mila bovini e 442 mila ovini e caprini. La Regione Toscana perciò si è dotata di alcuni strumenti allo scopo di contenere il fenomeno delle predazioni ai danni degli allevamenti. Per evitare il diffondersi ulteriore del fenomeno dell’ibridazione, è stato finanziato un intervento di sterilizzazione dei cani da guardiania, oltre alla cattura dei soggetti non custoditi, che ha portato alla cattura di trentotto cani. La cattura degli ibridi non ha dato risultati soddisfacenti, avendo realizzato la presa di soli dieci esemplari, che sono stati sterilizzati e ridotti in cattività nei centri abilitati. Per mitigare gli effetti della predazione, la Regione ha stanziato dei fondi di anno in anno, a cominciare dal 2014, destinati al rimborso del costo degli animali predati, nella misura del 50 percento del loro valore commerciale e fino alla concorrenza di 15 mila euro nel triennio.
Oltre agli interventi di “pulizia” dell’ambiente dalla popolazione ibrida e dai cani vaganti, e agli indennizzi, la Regione Toscana ha avviato un programma di miglioramento delle condizioni degli allevamenti. Le “best practices” previste, e per le quali anche in questo caso sono stati stanziati dei fondi, consistevano nell’approntamento di sistemi di difesa passiva dagli attacchi, quali le recinzioni specifiche antilupo, da eseguirsi a cura degli allevatori. Inoltre è stato seguito e cofinanziato un ulteriore progetto indicato con il termine “Life Medwolf”.
Tra il 2012 e il 2017, si è sviluppato il progetto Life Medwolf (LIFE11NAT/IT/069), che ha svolto una serie di azioni con il fine di rendere compatibili la presenza del lupo e delle attività zootecniche nel grossetano, andando ad attenuare l’impatto del lupo sulle attività produttive. Il progetto Life MedWolf (Migliori pratiche per la conservazione del lupo in aree di tipo mediterraneo) è stato svolto in Italia (in provincia di Grosseto) e in Portogallo (nei distretti di Guarda e Castelo Branco) da settembre 2012 a novembre 2017. Il progetto ha coinvolto nei due Paesi le organizzazioni agricole e ambientaliste, istituzioni e centri di ricerca in uno sforzo di collaborazione costruttiva per cercare soluzioni che potessero mitigare l’impatto del lupo sulle piccole realtà di aziende zootecniche.
Sono stati sviluppati una serie di interventi, che vanno dall’analisi delle situazioni per quanto riguarda i danni, l’affidamento dei cani e la costruzione di ricoveri notturni per il bestiame al pascolo, fino all’organizzazione di incontri tecnici nazionali e internazionali per aumentare le conoscenze sullo stato dell’arte in materia di prevenzione dagli attacchi dei predatori al bestiame domestico. Le attività svolte nell’ambito del progetto tendevano ad aumentare la capacità delle aziende zootecniche di fronteggiare gli attacchi da lupo dotandole di adeguati strumenti di prevenzione. Fra questi erano previsti diversi tipi di recinzione, a seconda delle caratteristiche dell’azienda, per porre una barriera fisica fra il predatore e le potenziali prede, con una attenzione particolare per i luoghi di ricovero notturno. Alcune aziende sono state fornite anche di cani da protezione del bestiame. Complessivamente il progetto Life Medwolf ha interessato un numero assai limitato di aziende del grossetano: 56 aziende hanno approntato adeguati ricoveri per gli animali, in 19 sono stati inseriti cani da protezione degli animali allevati, e 8 aziende hanno ricevuto sia le recinzioni che i cani da protezione.
I dati sulle predazioni in provincia di Grosseto
Nel periodo che va dal 2014 al 2020 sono stati registrati 2.171 eventi predatori, denunciati da 484 aziende [8]. Il numero di eventi denunciati tende a mantenersi stabile nel periodo considerato, con un picco nel 2015, di circa 450 eventi, e negli anni successivi si mantiene fra i 300 e i 350 casi ogni anno. Il numero di capi predati, però, ha un andamento diverso: dal picco di 1.300 del 2015, cala nei due anni successivi (700 e 950), per risalire a oltre 1.000 capi predati l’anno successivo e calare di nuovo a 850 e 650 capi. È probabile che questi numeri non siano reali e che il fenomeno sia sottostimato. La denuncia dell’avvenuta predazione dà diritto al risarcimento per gli animali persi, ma solo fino alla concorrenza di 15 mila euro nel triennio. Inoltre in questo periodo è stato tolto il contributo per lo smaltimento delle carcasse degli animali morti, che resta a carico dell’azienda che ha subìto la predazione. Se l’allevatore ha già raggiunto la somma massima nel triennio, e deve sostenere le spese di smaltimento, non ha nessuna convenienza a denunciare la predazione, e se ne ha la possibilità, provvederà a interrare i resti degli animali uccisi in un apposito spazio all’interno dell’azienda. Per rendere meno oneroso lo smaltimento, recentemente agli allevatori che hanno subito una predazione è stato concesso di cedere le carcasse al Parco Faunistico dell’Amiata, per l’alimentazione degli animali contenuti all’interno del Parco stesso.
Nel periodo considerato il numero di allevamenti in provincia di Grosseto decresce, dai 1.300 del 2015 ai poco meno di 1.200 del 2020. E nulla fa pensare che il trend si sia invertito nell’ultimo periodo. Il numero di capi allevati, però, pur riducendosi, diminuisce in misura minore rispetto alla riduzione del numero delle aziende, perché nella maggior parte dei casi alla chiusura di un allevamento, gli animali allevati vengono ceduti ad un altro allevatore.
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