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Il potere delle immagini. Migrazioni, distorsioni e manipolazioni

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Palermo, Piazza Bologni (ph. Carlo Baiamonte)

di Carlo Baiamonte

La storia ci insegna che una buona immagine, più di un testo, può influenzare il modo in cui le persone percepiscono e interpretano un evento. Nel mondo della comunicazione, non solo tra gli addetti ai lavori, spesso si dibatte sull’interferenza sempre più frequente tra il modo in cui un evento viene presentato attraverso una selezione accurata di immagini e il posizionamento nell’agenda politica, in termini di “urgenze”, di alcuni temi come, ad esempio, la sicurezza, l’immigrazione, la giustizia sociale. La relazione tra il discorsivo e il visivo però si è ribaltata.

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Palermo, piazza Bologni (ph. Carlo Baiamonte)

L’Occidente, considerato a lungo una civiltà fondata sulla scrittura, con un dominio pressoché assoluto della parola e del pensiero, oggi appare, per usare un’immagine di Roberto Maragliano, come la superficie di un oceano popolata da surfisti, veloci a solcare il mare delle notizie ma incapaci di andare sott’acqua per approfondire e scandagliare il fondale.

In alcuni casi singole immagini hanno suscitato un clamore e una indignazione globale, generando un flusso di opinioni che si sono velocemente polarizzate colonizzando l’informazione sui social e accendendo dibattiti sull’autenticità delle fonti.

Esemplare una fotografia, diventata ormai l’icona della condizione drammatica dei rifugiati, scattata nel 2015 al corpo senza vita di Aylan Kurdi, un bambino siriano di tre anni che aveva tentato con i familiari la traversata del Mediterraneo.

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Palermo, Via Maqueda (ph. Carlo Baiamonte)

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Palermo (ph. Carlo Baiamonte)

Ma perché le immagini ci colpiscono molto più delle parole? I motivi sono diversi: in primo luogo vengono elaborate con una velocità non comparabile a quella della produzione del testo. Il digitale, oggi, ha aumentato ancora di più il divario tra discorsività e immagini.

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Palermo, Festino di santa Rosalia (ph. carlo Baiamonte)

Anche un affermato inviato di guerra e un acuto intellettuale come Tiziano Terzani, grande utilizzatore della parola, ad un certo punto della sua vita inizia a sperimentarsi nell’attività di fotoreportage. Accade dopo la caduta di Saigon, il 30 aprile del 1975, quando si rende conto nel momento apicale della guerra del Vietnam che alla fine di una dura giornata, i suoi colleghi fotografi avevano già inviato le loro foto e si sollazzavano al bar consumando superalcolici mentre lui da cronista minuzioso, come abbiamo avuto modo di apprezzare nel tempo, doveva ancora trascorrere alcune ore da solo per elaborare la cronaca di quanto aveva visto.

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Palermo, Festino di santa Rosalia (ph. Carlo Baiamonte)

Le immagini, sappiamo poi, favoriscono l’immedesimazione del fruitore, sollecitano le passioni più di quanto un testo possa fare e alimentano l’attaccamento ad un certo tipo di notizia, di pancia ed emotiva.

Il secondo motivo può essere spiegato con la tendenza attuale a considerare la fotografia un prodotto più fedele alla rappresentazione della realtà rispetto ad altre forme di comunicazione.

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Palermo, Quattrocanti (ph. Carlo Baiamonte)

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Palermo, Via Maqueda (ph. Carlo Baiamonte)

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Palermo, Foro Italico (ph. Carlo Bajamonte)

Un falso assioma in quanto la manipolazione della realtà è un’operazione che è possibile realizzare tanto con una macchina fotografica, quanto con la tastiera di una macchina da scrivere o di uno smartphone. La macchina fotografica, infatti, seleziona un frammento di realtà oggettiva (in gergo si chiama frame), inserendolo in una cornice di significato che in buona parte corrisponde all’intero reportage che il fotografo ha costruito selezionando, includendo, escludendo, eliminando quanto riteneva non funzionale al senso complessivo che aveva colto e intendeva restituire.

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Cefalù, spiaggia (ph. Carlo Bajamonte)

Le immagini che vediamo pubblicate sono quindi sempre il risultato di una scelta, operata sia dall’autore, sia dal media che ha deciso quali immagini pubblicare.

Uno dei temi più caldi che ci consente di indagare questo aspetto del potere abnorme che le immagini possono esercitare sull’opinione pubblica è costituito dai fenomeni migratori, un macroargomento che occupa spesso le prime pagine e i palinsesti dei telegiornali.

Oggi sappiamo con certezza, grazie al traffico ‘democratico’ delle opinioni espresse nei social, che una porzione di fruitori dei media sempre più grande tende a qualificarsi, quasi con un vanto di orgoglio, come un piccolo esercito di non lettori che non deve rendere conto a nessuno. Senza alcuna conoscenza dei processi migratori, di quanto accade nelle traversate del deserto e del Mediterraneo, del contesto geopolitico, migliaia di persone si fanno un’idea del fenomeno attraverso le immagini, con la conseguenza di sedimentare un tipo di percezione poco matura e consapevole.

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Lascari, spiaggia (ph. Carlo Baiamonte)

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Palermo, Caletta di Sant’Erasmo (ph. Carlo Baiamonte)

Sul tema e nello specifico del fenomeno delle migrazioni ci sono però importanti studi di settore e val la pena ricordare una ricerca che è divenuta un caposaldo degli studi sulla percezione dei fenomeni attraverso i new media, condotta nel 2016 da K. Greenwood e da T.J. Thomson della Scuola di giornalismo del Missouri su un campione di 811 foto.

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Palermo (ph. Carlo Baiamonte)

Queste immagini erano state selezionate dai fotografi per la partecipazione al concorso Picture of the Year 2016, dedicato al tema della crisi dei rifugiati in Europa. Nella ricerca emerse che i migranti venivano raffigurati come soggetti prevalentemente passivi, vulnerabili, bisognosi di aiuto esterno, traumatizzati, rifiutati dagli autoctoni e incapaci di integrarsi in una nuova società. Le scene maggiormente raffigurate erano quelle del transito, inteso come spostamento difficoltoso e rischioso, senza regole e senza alcun progetto.

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Palermo, Orto Fiume Oreto (ph. Carlo Baiamonte)

Le immagini sui migranti che vengono maggiormente pubblicate da dieci anni a questa parte danno poco spazio alla ‘normalità’ delle attività ordinarie come la preghiera, le attività ricreative, la condivisione di uno spazio progettuale e positivo, il consumo di pasto, la cura e costruzione di relazioni con l’altro, in particolare con le figure di aiuto che considerano i rifugiati soggetti attivi, in possesso di una identità e di una storia non necessariamente sensazionalistica.

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Palermo, Maratona (ph. Carlo Baiamonte)

Si parla pochissimo della loro identità originaria se non in termini di conflitto o di disvalore, non si racconta la loro identità di genere se non in termini di imposizione, si censura la bellezza e il loro desiderio, che viene ridotto a mero fabbisogno economico e al giogo del riscatto sociale.

Forse gioverebbe recuperare una cultura delle immagini sane, variegate, ordinarie e quotidiane in cui il soggetto migrante, indipendentemente dalla sua condizione di richiedente asilo o di rifugiato, in attesa di ridefinire la propria identità progettuale, possa riconoscersi parte in causa di una società più difficile nella sostanza e meno negli effetti mediatici.

Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020

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Carlo Baiamonte, vive e lavora a Palermo, insegna Filosofia e Scienze Umane all’Istituto Regina Margherita di Palermo. Si è laureato in Filosofia nel 1993 e si è occupato a lungo di ricerca, progettazione e programmazione dei servizi socio-sanitari svolgendo attività di consulenza nel Terzo settore e negli enti locali, in particolare nella valutazione della qualità. È giornalista pubblicista, ha collaborato con la rivista “Prometheus” come responsabile della sezione scienze sociali e ha svolto sino al 2013 l’incarico di direttore responsabile di Medeu.it, quotidiano di informazione socio-sanitaria. Appassionato di fotografia, ha al suo attivo diverse pubblicazioni con contributi saggistici in ambito di sociologia della comunicazione. Nel 2018 pubblica con People&humanities il saggio fotografico Nel segno di Palermo, nel 2019 con Giusy Tarantino Di moka in moka. Storie di donne davanti a un caffè pubblicato da Edizioni Ex Libris.

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