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Il paesaggio “espressionista” di Grünewald

 

M. Grünewald, La crocifissione e i Santi Antonio e Sebastiano, Museo Unterlinden, altare d -Isenheim,1512-16

M. Grünewald, La crocifissione e i Santi Antonio e Sebastiano, Museo Unterlinden, altare di Isenheim, 1512-16

di Salvatore Denaro 

…Bisogna essere esteticamente assai corrotti per godere della bella pittura davanti a quest’opera [la crocifissione di Colmar N.d.A.], i cui mezzi sono violenti, esagerati, radicali… (Hamann, 1933: 53) 

L’ambiguità che si cela sotto il nome di Grünewald è così vasta che molti autori, dalla sua riscoperta nel XIX secolo per merito di Jacob Burckhardt fino ad oggi, non sono mai riusciti a fare luce sulla vera identità di uno degli artisti più originali dell’inizio del XVI secolo in Germania. L’artista è detto anche Matthaeus von Aschaffenburg, secondo quanto scrive Joachim Sandrart nel 1675 che lo vuole contemporaneo di Dürer, nato nel 1465 e morto nel 1510 in una località sconosciuta.

Le prime tracce dell’attività artistica del pittore, le riscontriamo come collaboratore a fianco Hans Holbein il vecchio di Augsburg e del fratello Sigmund a Francoforte sull’ex altare maggiore della chiesa dei Domenicani: con questa esperienza Grünewald è già in possesso della padronanza dei colori e dei propri mezzi artistici.

Nikolaus Hagenauer, SantAntonio, SantAgostino e San Girolamo, Museo Unterlinden, altare di Isenheim, 1505

Nikolaus Hagenauer, SantAntonio, SantAgostino e San Girolamo, Museo Unterlinden, altare di Isenheim, 1505

Francoforte è la città che permette a Grünewald di entrare in rapporto con Dürer, confermato da due tavole a grisaglia che l’artista realizza per l’Altare commissionato da Jakob Heller proprio a Dürer destinato alla chiesa dei Domenicani. Queste due tavole ci consentono di capire il legame stilistico che corre fra la sua attività artistica e la pittura dei Paesi Bassi, che avrà avuto modo di mutuare da pittori come Menling e i Pacher in Olanda o tramite Hans Holbein il vecchio, impregnato d’influssi fiamminghi.

Ciò detto, l’opera per cui il pittore rientra a pieno titolo nel Rinascimento tedesco è l’Altare di Isenheim (che proprio nel 2012 ha compiuto il suo 500˚ anniversario) eseguito per l’abbazia degli Antoniani, commissionato dal rettore Guido Guersi. L’intervento di Grünewald, intorno al 1508, consiste nella realizzazione di un polittico strutturalmente molto complesso, composto da ali mobili e fisse montate su una struttura lignea che include le sculture di Sant’Antonio, Sant’Agostino e San Girolamo, realizzate dallo scultore Nikolaus Hagenauer intorno al 1505.

M. Grünewald, La Natività e il concerto degli angeli, Museo Unterlinden, altare di Isenheim,1512-16.

M. Grünewald, La Natività e il concerto degli angeli, Museo Unterlinden, altare di Isenheim,1512-16.

L’Altare è costituito da diversi sportelli: quando è chiuso, è visibile la Crocifissione, mentre nei lati esterni sono a destra Sant’Antonio e a sinistra San Sebastiano, nella predella è raffigurata la Deposizione. Nella prima apertura del polittico ci compare la Natività e il Concerto degli Angeli, che occupano la parte centrale, a sinistra l’Annunciazione e a destra la Resurrezione. Nella seconda apertura troviamo a destra La visita di Sant’Antonio a San Paolo l’eremita, dall’altra parte la Tentazione di Sant’Antonio.

La contemporaneità artistica che si rivela in una delle opere capitali dell’artista tedesco, conservata oggi al Musée Unterlinden di Colmar, è di altissimo livello, non solo per ciò che riguarda la pittura dei primi anni del Novecento (come vedremo con Otto dix, esponente della nuova oggettività tedesca, movimento artistico nato al termine della prima guerra mondiale), ma addirittura potremmo fare una comparazione con il cinema.

M. Grünewald, L'Annunciazione e la Resurrezione. Museo Unterlinden, altare di Isenheim, 1512-16.

M. Grünewald, L’Annunciazione e la Resurrezione,  Museo Unterlinden, altare di Isenheim, 1512-16.

Sembra che i testi sacri dai quali Grünewald attinge per le sue opere, in particolar modo le parole del libro di Isaia, fungano da sceneggiatura, tanto che Grünewald avendoli letti e soprattutto interpretati (secondo i dettami della Riforma protestante), ne traduce il senso in un carattere del tutto personale, con esiti di estrema originalità che riscontriamo nella sua vasta produzione pittorica.

Per di più, continuando con l’analogia cinematografica, possiamo aggiungere che l’apertura e la chiusura delle ante di un polittico (un sistema che permette di passare da un’immagine all’altra in un breve lasso di tempo), creano tutti i presupposti di una dissolvenza incrociata ante litteram, un procedimento tecnico che traslato dal cinema e inserito in questo contesto consente di mettere in luce un effetto ottico di particolare suggestione: i fedeli avevano la possibilità di assistere alla crocifissione e un momento dopo alla Resurrezione di Cristo con lo stupore che possiamo immaginare da parte dei fedeli nel convento degli Antoniti.

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M. Grünewald, La visita di Sant’Antonio a San Paolo leremita e la tentazione di Sant’Antonio, Museo Unterlinden, altare di Isenheim, 1512-16

Sembra quasi che ogni pannello si comporti come una scena; come parte di un atto nel percorrere la vita di Cristo, soprattutto se consideriamo il Concerto degli angeli e la Natività: entrambi si presentano come due momenti diversi godendo di una vita propria e indipendenti l’uno dall’altro, ma nello stesso tempo convivono sotto un’unica scenografia che include una struttura goticheggiante ricca di vegetazione in un tripudio musicale di angeli affacciati su un ambiente aperto dove ha luogo invece la Natività.

Il Concerto avviene in una cappella gotica con «archi rivestiti d’oro tra fogliame di cicoria, di luppolo, di cardo, di agrifoglio» (Huysmans, 2002: 12), con angeli che, dai tratti somatici e per la luce che emanano, danno più l’idea di folletti nel mezzo di una natura fiabesca che di creature sacre. La Natività invece si svolge in uno scenario montuoso dal quale, secondo lo scrittore francese J. K. Huismans, si scorge l’abbazia di Isenheim. Il cielo che si apre sulla Natività mostra un momento appena successivo al passaggio di un temporale, e in aria sono ancora presenti le particelle di acqua che permettono di avere quella rarefazione evanescente tipica di un acquazzone [1].

L’analogia con il cinema si rafforza se facciamo attenzione alle ante fisse, che raffigurano a sinistra San Sebastiano e a destra Sant’Antonio. In quest’ultimo pannello la finestra, o meglio dire lo sfondamento in alto a destra, si comporta come un fotogramma cinematografico: un essere malefico, un orribile personaggio aggrappandosi a ciò che è rimasto della finestra dopo averla smembrata, ci preannuncia le torture e le violenze che subirà Sant’Antonio nell’ultima apertura dell’Altare di Colmar.

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Matthias Grünewald, La piccola crocifissione, National Gallery of Art, Washington

Nelle Crocifissioni di Grünewald i paesaggi partecipano al delirio che si assiste sul calvario e, se prendiamo in esame la piccola Crocifissione del 1502 conservata alla National Gallery of Art di Washington e la Crocifissione di Colmar, notiamo che nell’opera di Washington riusciamo ancora ad intuire uno scorcio paesaggistico: resiste la presenza di montagne che scendono in pendii ricchi di vegetazione. Nell’Altare di Isenheim, invece, ben poco rimane dello scenario statunitense, con montagne che danno appena l’idea di qualche vallata che si perde nelle tenebre. Quel che ritroviamo in comune nei due dipinti è la presenza di quel verde acido che, reagendo insieme come un composto chimico al dolore “contorto” di Cristo (è come se si assistesse ad una fusione fra la carne e lo spirito divino e quello fisico-chimico del colore), assume le sembianze di un fiume che scorre, fondendo tutto ciò che incontra al suo passaggio; tuttavia, mentre la reazione chimica a Washington non era ancora avvenuta, qui a Colmar ha ormai raso al suolo ciò che rimaneva di quel terreno arido del calvario.

Stando alle ricerche condotte da Huysmans, se prendiamo come riferimento un’altra Crocifissione dell’artista realizzata fra il 1523 e il 1524, custodita allo Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe, il suolo dove è piantata la croce ricorda quella terra sanguigna propria del sito, una regione come la Turingia, ricca di ossido di ferro, ed è molto probabile che Grünewald ne abbia assunto riferimenti tramite schizzi e disegni per il suo calvario (Huysmans, 2002: 60).

Il paesaggio che si sviluppa nella Crocifissione di Karlsruhe, una delle ultime opere del pittore tedesco, si presenta con delle cime sotto un cielo notturno a striature orizzontali (Testori, 1972: 96); la vegetazione è scomparsa del tutto, o quasi, visto che il modo di lavorare di Grünewald sembra approssimarsi alla pittura tecnicamente espressionista. Sotto quest’ottica si può anche leggere lo sfondo che si staglia in uno dei primi lavori di Grünewald, la Crocifissione del 1501 che oggi si trova a Basilea. Il paesaggio è concepito attraverso forme piene ondeggianti: l’espressionismo non riguarda solo l’aspetto che il paesaggio assume ma anche il modo di gestire le fonti di luce. Per un simile paesaggio nella storia dell’arte bisognerà aspettare il XIX secolo, in particolar modo l’Urlo di E. Munch il dipinto del pittore norvegese che presenta non poche affinità con il paesaggio della Crocifissione di Grünewald.  Se alcuni autori contemporanei definirono l’opera di Munch come il massimo della deformazione che la figura umana abbia mai raggiunto (De Micheli, 1998: 44), allora bisognerà anche tener conto dell’immagine di Cristo sulla croce di Basilea: riconosciamo ancora il Cristo-Uomo, ma la sua immagine inizia a subire un processo di disgregazione in cui la deformazione corporea è già in atto.

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Raffaello e allievi, Stanza della Segnatura, 1508-1511, Musei Vaticani, Città del Vaticano

Le Crocifissioni dell’artista presentano il «Cristo dei poveri, Colui che s’era fatto simile ai più miserabili» (Huysmans, 2002: 80), ed è questa l’immagine che Grünewald ha del Signore dei giudei, perché non è la rappresentazione di una Crocifissione idilliaca o pacificata, ma la presentazione del Cristo e della sua Croce si attualizza sulla superficie pittorica. Il Cristo messo in mostra è un miserabile, è reso così uomo che subisce tutte le torture possibili, la carne è ormai putrefatta, già in stato di decomposizione, con le spine dei flagelli conficcate ancora nel corpo: non è quel Cristo dei ricchi che ritroviamo nelle pale d’altare eseguite in Italia nel primo decennio del Cinquecento [2], che assumono, invece, forme anatomiche classicheggianti, anni nei quali Raffaello e Michelangelo lavorano a Roma, rispettivamente impegnati per Giulio II; il primo nelle stanze vaticane, mentre il secondo nella grande officina della Cappella Sistina.

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Michelangelo, La Cappella Sistina, 1508-1541, Musei Vaticani, Città del Vaticano

Il paesaggio non può assumere una visione armonica nei dipinti del pittore tedesco, in quanto non fa da cornice al fatto accaduto, ma è partecipe al dramma, un’armonia in sé incompatibile con il contenuto dell’opera (della tematica rappresentata), ma anche per quanto riguarda i valori formali della composizione: l’utilizzo di colori complementari ne impedisce l’equilibrio tonale. I verdi e i rossi di Grünewald, tanto cari quattro secoli dopo agli esponenti del Die Brüche (non è una coincidenza che proprio questo gruppo è tedesco), creano contrasti pittorici che, messi in relazione allo strazio dell’intera composizione, ne aumentano l’effetto drammatico.

Nel modo di stendere la pittura, Grünewald lavora la pasta cromatica in modo timbrico e non tonale e, facendo attenzione al torace del Cristo in croce sull’Altare di Isenheim, notiamo che i brandelli di colore si fanno pelle squartata dal flagello, quasi come voler plasmare il corpo in forma di scultura: il virtuosismo pittorico a velature non riesce più soddisfare l’espressione dell’artista, e quindi cerca di convertire la pittura dandole un aspetto più corposo, pastoso e argilloso.

In merito a quanto detto, è bene ricordare che la pittura tardo-gotica si caratterizza per la prevalenza di grandi polittici dipinti e intagliati, che prendono il nome di altare a battenti (Pauli, 2006: 434). Quest’accostamento fra pittura e scultura lignea policroma tende sempre di più a ricercare i cromatismi dei dipinti per le sculture, di conseguenza le pitture assumono plasticismi scultorei che tendono ad essere spigolosi e secchi ma non certamente pieni di enfasi ed espressività [3] (Reina, 2006: 233).

 Giovan Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino - Deposizione - 1521 - Volterra, Pinacoteca Civic

Giovan Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino, Deposizione, 1521,  Volterra, Pinacoteca Civic

Del resto non possiamo non accostare la pittura di Mathis Grünewald agli aspetti più “espressionistici” e inquietanti della visione della natura, caratteristica dei maestri danubiani (Altorfer, Breu, Burgkmair), dove i paesaggi assumono le identità più svariate, con orizzonti infiniti e infuocati. La natura vive in una dimensione suprema, come protagonista non del tutto assoluta, tanto che in Germania non è subordinata a nessun altro elemento, sia pure in una scena di contenuto sacro: preamboli di quello che sarà più avanti la concezione romantica in Germania (Reina, 2006: 277).

In Grünewald non c’è lo spazio naturale delle certezze volumetriche del pieno Rinascimento italiano, semmai quello irrazionale e spiritualizzato del primo Manierismo fiorentino, uno spazio privo di volume, come nella Deposizione del Rosso Fiorentino eseguita nel 1521 che, dal punto di vista stilistico, assume diverse attinenze con la vibrazione dei colori cangianti e complementari del pittore tedesco (Testori, 1972: 85), oppure come la Pietà di Amico Aspertini del 1519, conservata nella Basilica di San Petronio a Bologna, dove la morte di Cristo è contemplata sotto un cielo scuro e macabro, anche se, allo stato dei fatti, è quasi impossibile dimostrare che Aspertini sia stato a Colmar, o che sia venuto a conoscenza dell’altare. 

Amico Aspertini. Pietà e Santi. 1519 ca. Bologna, San Petronio

Amico Aspertini, Pietà e Santi, 1519 ca., Bologna, San Petronio

I paesaggi di Grünewald convivono con queste atmosfere danubiane, le sue opere come la Natività, la Crocifissione o la Tentazione di Sant’Antonio, vivono in sfondi mai sereni e sono in continuo divenire; quest’aspetto della natura come forma di potenza e di terrore sarà ripreso secoli dopo con le teorie descritte da E. Burke nella sua Inchiesta sul bello e il sublime, pubblicato nel 1757 e ampliato nel 1759. L’uomo inizia a fare i conti con l’onnipotenza della natura, e di fatto il paesaggio che ritroviamo nella Crocifissione di Isenheim rientra nella linea poetica espressa secoli dopo da Burke. Il cui trattato s’inserisce in un periodo storico particolare, quando si assiste al tramonto della concezione Neoclassica dell’uomo, per una cultura di spirito Romantico. L’autore espone le sue riflessioni sull’estetica: da un lato il “bello”, che si discosta dal pensiero classicista attraverso l’amorfo, l’asimmetrico e l’indefinito, poiché la perfezione non è la causa di bellezza; dall’altro il “sublime”, che s’identifica in casi come l’oscurità (Burke, 1985: 110) ben visibile nell’Altare di Colmar.

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Edmund Burke, Ritratto di Reynolds, 1771, National Portrait Gallery, Londra

Discorrendo sul sublime, Burke, inserisce anche l’enfasi del terrore, attribuendogli un particolare piacere che chiama “diletto”. Esso si manifesta nel momento in cui il pericolo (che possa minacciare l’esistenza dell’uomo) si trovi a una certa distanza dall’individuo senza intaccarlo (lo spazio che separa il soggetto terrorizzato dall’oggetto terrorizzante). Questa tipologia del piacere è chiamata “negativa”, e non “positiva”, che invece è riservata al “bello”: «Quando il pericolo o il dolore incalzano troppo da vicino, non sono in grado di offrire alcun diletto, e sono soltanto terribili; ma considerati a una certa distanza, e con alcune modificazioni, possono essere e sono piacevoli, come riscontriamo ogni giorno» (Burke, 1985: 71). Un’esperienza che i fedeli vivono davanti alla Crocifissione di Colmar immersa in un’atmosfera buia e minacciosa, con un Cristo dilaniato, ridotto come un misero straccio dalla crudeltà umana e dalle violenze subite, uno strazio a cui si assiste al sicuro perché davanti ad una rappresentazione. Per dirla con le parole di Burke «tutto ciò che in un certo senso è terribile, o che riguarda gli oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore, è una fonte di sublime, ciò produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire» (Burke, 1985: 63)

Burke si spinge ancora più in là, portando all’estremo il concetto di ‘diletto’, facendolo coincidere con il dolore, poiché si tratta di una percezione quasi vicino all’idea di morte (Burke, 1985:116-117), un’esperienza che in qualche modo ripercorrevano i pazienti affetti dal cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”, dal momento in cui i malati venivano condotti dai monaci di fronte all’Altare (Strieder, 1996: 177).

Tuttavia, mentre i paesaggi dei calvari stentano a farsi percepire, a causa della gamma cromatica che si estende dal color zolfo al nero bluastro dell’inchiostro, un’ottima lettura per gli sfondi possiamo individuarla nel resto dell’opera pittorica dell’artista tedesco. Il pannello raffigurante l’Incontro di Sant’Antonio e San Paolo è impostato su tre piani diversi: il primo piano riguarda la natura con le figure dei santi vista con occhio fiammingo, essendo la cura per i dettagli eccezionale: si riconoscono le quattordici erbe impiegate per curare il fuoco di Sant’Antonio (Testori, 1972: 93). Il secondo piano consiste in un sentiero che si perde fra rocce, alberi e vegetazione di vario genere; e infine il terzo piano riguarda uno sfondo di montagne rarefatte di tonalità azzurrognole, frequenti nei paesaggi dei pittori danubiani.

Di simile impostazione scenografica è la Tentazione di Sant’Antonio, ma se nel pannello precedente la natura ha una calma apparente, qui prevale l’irruzione di orribili esseri che scatenano la loro malvagità sul Santo, in quanto i piani che si leggevano con chiarezza nel pannello precedente, qui si fatica a distinguerli. Come la natura, anche gli esseri viventi assumono oscene contaminazioni, richiamandosi ad artisti come Bosch, Baldung Grien e Schongauer; di quest’ultimo si conosce un’incisione del 1480 circa che rappresenta le Tentazioni di Sant’Antonio: ricorda l’iconografia dell’Altare di Isenheim: particolare non poco rilevante poiché Schongauer è documentato a Colmar per un polittico commissionato da Jacques D’Orlier destinato alla chiesa conventuale di Isenheim che poi verrà sostituito dal polittico di Mathis Grünewald (Zuffi, 2006: 411).

Matthias Grünewald, Madonna con il Bambino, 1514-1519, Chiesa parrocchiale di Stuppach

Matthias Grünewald, Madonna con il Bambino, 1514-1519, Chiesa parrocchiale di Stuppach

La predella che raffigura il Compianto sul Cristo Morto di Colmar, infine, ci presenta una scena straziante del Cristo ormai spento; al dramma partecipano i fusti degli alberi ormai secchi, mentre sullo sfondo incontriamo un fiume “statico”: l’acqua è immobile e non scorre tra le montagne (Testori, 1972: 91). Ben altra cosa, invece, accade nella Resurrezione: il buio è presente, ma subentra la luce soprannaturale del Cristo che s’innalza con dignità suprema dalla sua crocifissione lancinante. Il terrore delle tenebre burkeane, caratterizzato dall’indaco nero, è ristabilito con un violento scoppio di luce che si espande in immensi cerchi che passano dal giallo intenso alla porpora: un fragore di luce che rischiara anche le guardie dietro al sepolcro. Il Cristo s’innalza maestoso e sorridente e assume un carattere trionfante di vendetta dopo le torture subite. L’abilità coloristica di cui è in possesso Grünewald, sta nell’effetto del cangiantismo del sudario che accompagna Dio verso l’ascesa, un telo che sfuma dal color lilla per giungere al violetto (Huysmans, 2002: 36-38) per poi passare a un rosso carminio pungente.

Un altro esempio è La Madonna con il Bambino nella chiesa parrocchiale di Stuppach (1514-1519), dove rinveniamo un paesaggio ricco di dettagli con una luce tipica della pittura danubiana. Il tema con la Madonna nel paesaggio ricorre spesso nella pittura tedesca, e specialmente nell’opera di Dürer (Testori, 1972: 95). Nella Madonna di Grünewald l’ambiente è un fiorente giardino, con vasi, fiori e ulivi, mentre sullo sfondo un sobborgo cittadino risalta ai pendii di un monte e sul lato opposto una grande chiesa gotica. Il Padre Eterno appare in alto insieme agli angeli attraverso effetti di luce velata, assumendo le più svariate tonalità, dall’azzurro al celeste, dal colore caldo del giallo limone alle sfumature dell’arancio. La comparsa del Dio Padre è resa naturalistica ma allo stesso tempo è circonfusa di misticismo: la fonte di luce che emana l’Eterno s’insedia violentemente sul paesaggio proiettando un fascio di luce abbagliante, così come avviene anche nella Natività di Isenheim. Una pittura accurata nei minimi particolari, con un’attenzione relativa non solo allo sfondo ma anche alla cura delle specie botaniche presenti in primissimo piano. Molto si è indagato e scritto sul significato simbolico dei numerosi oggetti e dei fiori che stanno intorno alla vergine (Testori, 1972: 95).

Otto Dixit, Trittico della guerra, Galerie Neue Meister, Gal. No. 3754 Photo: Albertinum | GNM, Staatliche Kunstsammlungen Dresden, Elke Estel/Hans-Peter Klut © Staatliche Kunstsammlungen Dresden and VG Bild-Kunst, Bonn"

Otto Dixit, Trittico della guerra, 1929-32, Galerie Neue Meister, Gal. No. 3754 (ph. Albertinum | GNM, Staatliche Kunstsammlungen Dresden, Elke Estel/Hans-Peter Klut © Staatliche Kunstsammlungen Dresden and VG Bild-Kunst, Bonn

Il clamoroso successo che riscuote Grünewald nella storia dell’arte data a partire dagli anni del Primo conflitto mondiale, rimanendo uno degli artisti di riferimento per i pittori dell’avanguardia tedesca del primo Novecento, soprattutto se chiamiamo in causa Otto Dix, esponente del gruppo della Nuova Oggettività, che nell’opera Il Trittico della Guerra realizzato fra il 1929-32, si serve proprio di un polittico per rappresentare gli orrori del suo tempo, dichiarando inoltre i suoi riferimenti al maestro rinascimentale (De Micheli, 1998: 44). Emil Nolde, esponente dell’Espressionismo tedesco, proclamava Grünewald come «il più poderoso di tutti i pittori» (De Micheli, 1998: 97).

Non è inutile ricordare che le opere di Grünewald, considerate meno classiche di quelle di Dürer, hanno rischiato di essere bruciate durante la Seconda guerra mondiale dai nazisti, perché considerate frutto di un artista fra i più barbari del panorama delle arti visive, proclamate e stigmatizzate come arte degenerata in quanto lontana dal canone classico-romano. 

Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022                                
Note 
[1] Tema dell’arcobaleno che sarà ripreso circa due anni dopo nella Madonna Stuppach 1514-1519 (nell’Austria inferiore) che rivela il forte interesse da parte di Grünewald verso i fenomeni naturali. 
[2] Si veda in proposito la Crocifissione del 1503 di Raffaello conservato alla National Gallery di Londra. 
[3] Ricordiamo anche che in Germania si era diffuso un metodo pittorico chiamata “pittura a grisaglia”. Questa tecnica pittorica riproduce le luci e le ombre mediante vari toni di grigio, che nel XV secolo fu utilizzato per primo dai pittori olandesi, i quali, rendevano plasticamente le figure rappresentate sotto forma di simulazione scultorea. 
Riferimenti Bibliografici 
E. Burke, Inchiesta sul bello e il Sublime, in Giuseppe Sertoli e Goffredo Miglietta (a cura di), Palermo, Aesthetica, 1985: 63, 71, 110, 116-117. 
M. De Micheli, Le Avanguardie Artistiche del Novecento, Milano, Feltrinelli, 1998: 44, 97. 
R. Hamman, Geschichte Der Kunst, Berlin, 1933: 36-38, 53. 
J-K. Huysmans, Grünewald, Milano, ed. Abscondita, 2002: 12. 
T. Pauli, Il Tirolo “crocevie di scambi artistici tra nord e sud”, in Stefano Zuffi (a cura di), in Il Quattrocento, Milano, Mondadori Electa, 2006: 434. 
G. Reina, Il Bacino del Reno, La Porta sull’Europa del Nord, in Stefano Zuffi (a cura di), in Il Rinascimento, Milano, Mondadori Electa, 2006: 233, 277. 
P. Strieder, l’Umanesimo Artistico e le Scuole Cittadine, in La pittura Tedesca, Milano, Electa, 1996: 177. 
G. Testori, L’Opera completa di Grünewald, Milano, Classici dell’Arte Rizzoli, 1972: 85-96. 
S. Zuffi, l’Area Culturale Germanica, Dal Reno alla Franconia, in Stefano Zuffi (a cura di), in Quattrocento, Milano, Mondadori Electa, 2006: 411.
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Salvatore Denaro, insegnante e storico dell’arte, esperto d’arte medievale e moderna. Ha conseguito la laurea in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Palermo con una tesi sull’arte contemporanea “L’estetica delle rovine”. Nel 2009 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte all’Università di Bologna con una tesi sul caravaggista Matthias Stom. Nel 2019 ha presentato al Mast di Castel Goffredo (MN) un seminario sull’arte contemporanea dal titolo Potevo farlo anch’io: i linguaggi artistici del XX secolo insieme alla critica d’arte Ingrid Strazzeri. Attualmente vive e lavora in Lombardia.

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