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Il “busillis” di Lincoln. L’Africa fuor d’Africa
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2023 @ 01:13 In Cultura,Migrazioni | No Comments
Incespico nella medesima citazione in due testi irrelati, letti a distanza di qualche mese l’uno dall’altro. In entrambi i libri improvviso appare Lincoln, cui francamente, e non me ne voglia chi legge, non sono solita pensare poi così spesso. Le parole di Abraham Lincoln generano interrogativi molto diversi tra un libro e l’altro e che questo articolo, è bene anticiparlo, lascerà irrisolti. Piuttosto, ne proporrà di nuovi.
Diceva dunque Lincoln: «Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo». La logica di Lincoln può essere ancora valida? È da qui, da questo busillis, che potrebbero aver inizio alcune narrazioni d’Africa.
L’Africa, un continente in transito? L’Africa è un continente in movimento. No, non è in viaggio: è in crisi. Si parla di una crisi migratoria africana: un movimento incessante, entro il continente, tra l’Africa e l’Europa (incluso il ritorno o il respingimento nelle zone di origine, inclusi i migranti che dall’Asia migrano illegalmente attraverso i Paesi africani), verso i Paesi del Golfo, il Nord America. Una crisi multidimensionale per cui masse di persone sono costrette a spostarsi, sono permanentemente dislocate; la crisi migratoria africana sarebbe, innanzitutto, una crisi delle persone sfollate (William, 2019).
Cosa genera queste crisi, quale la causa di questa costrizione al movimento? La vulgata sostiene la monolitica certezza che il problema di fondo sia la povertà, contro la quale occorre prendere le armi, lottare per eradicarla e accogliere chi vi sfugge, migrando. La povertà, dunque, spesso sola sul banco degli imputati. Finché non si mettono a fuoco alcuni dettagli, come al microscopio. A costringere milioni di persone a spostarsi è davvero semplicemente la tanto biasimata, oggettivizzata, povertà?
«Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo»: qui voglio inserire la prima occorrenza di quello che ho voluto chiamare il busillis di Lincoln. La trovo in uno dei libri di Harari (2021:32), XXI lezioni per il XXI° secolo, che così chiosa:
Vorrebbe dire che le crisi migratorie sono inventate, che non sono vere crisi, che sono generate dai nostri governi? No. Che il problema non esiste? No. Proviamo a postulare che ci sia qui un primo intoppo, o inganno, nel discorso sulle migrazioni e i migranti. Forse l’inganno è nel linguaggio costringente, funzionale ad un certo discorso pubblico.
Il linguaggio, la narrazione, mobilitano credenze scambiandole per realtà, inducendo ad un uso estensivo e vincolante delle cosiddette “parole simulacro” che altro non sono che credenze: «non definiscono delle verità dogmatiche alle quali ciascuno aderirebbe per intima convinzione, ma si esprimono nella forma di semplici proposizioni considerate vere in modo diffuso: vi si crede perché si crede che tutti vi credano» (Rist, 2013: 28); a queste si affiancano parole “avvelenate” come identità (Remotti, 2010: XII): «Perché e in che senso identità è una parola avvelenata? Semplicemente perché promette quello che non c’è; perché ci illude su ciò che non siamo […]»
Forse l’inganno è nel rigettare le responsabilità. Affermiamo che “la povertà costituisce il problema”, parliamo de “il problema della povertà”, “il problema dei migranti” e, senza saperlo, ci dimostriamo abili prestigiatori perché questa espressione ha difatti
È il nostro linguaggio che oggettivizza, quantifica e fa esistere una nuova realtà, facendola apparire molto semplice e irriducibilmente se stessa. Ma la povertà nasce da un rapporto sociale: in altre parole, esiste perché esiste la ricchezza. Poiché la povertà è
I migranti, poi, non coincidono con i poveri, con i rifugiati, con gli sfollati e non tutte le traiettorie del tragitto migratorio giungono in Europa. Sgomberiamo il campo dalla povertà modernizzata, e proviamo a farne a meno quando parliamo di migrazioni (regolari e non); analizziamo i fattori di spinta e poi, brevemente, quelli di richiamo che sottendono alle migrazioni, con focus sull’Africa. Se c’è, un intoppo, inciamperemo e sarà il secondo busillis ancora senza soluzione.
I push and pull factors che inducono migliaia di persone a spostarsi, ad abbandonare il luogo di origine e a migrare o ad essere sfollate, sono molteplici; i fattori di spinta possono dividersi tra accidentali e strutturali. L’essere sfollato e la progettualità migratoria non sono condizioni coincidenti, anche se possono essere indotte dagli stessi fattori. Tra i fattori di spinta accidentali un peso particolare assumono i conflitti, ad esempio religiosi o etnici, oppure tra clan, che creano come dirette conseguenze sia un gran numero di sfollati ma anche, soprattutto dall’Africa Occidentale e dal Nordafrica verso l’Europa, flussi di migranti definiti economici.
I fattori di spinta strutturali, invece, hanno effetti a lungo termine già ampiamente prevedibili come, ad esempio, l’aumento esponenziale della popolazione africana entro il 2050, che si prevede sarà circa il doppio di quella attuale. Questa crisi demografica è complicata dal fatto che circa il 60% della popolazione ha un’età inferiore ai 25 anni, da cui consegue una proiezione di crescita stimabile in aumento anche in seguito; sono poi rilevanti le pressioni ambientali, gli shock climatici sempre più frequenti che costringono a spostarsi (come la siccità, l’infertilità dei suoli, le inondazioni ecc.).
Per quanto riguarda invece i fattori di richiamo, la progettualità migratoria per prima registra la causa economica/lavorativa, la speranza di un migliore accesso ai mezzi di sussistenza, di una realizzazione personale e familiare migliore, oppure la libertà di esercitare liberamente il proprio culto, il proprio credo politico, ecc.
Les gens du voyage, come divengono per antonomasia i migranti, assumono nomi diversi a seconda di come si inseriscano in queste categorie di spinte e attrazione (immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, ecc.) e, a seconda delle modalità del loro tragitto e ingresso, il percorso si biforca in legale/illegale (o regolare/irregolare).
I fattori di attrazione non sono meno incisivi dei fattori di spinta e, anche nel caso delle partenze irregolari, giocano un ruolo determinante. Le narrazioni e autonarrazioni delle comunità delle diaspore, la presenza di una rete di sostegno comunitario e di un network familiare nel paese identificato come meta del percorso migratorio, costituiscono un elemento di richiamo che agisce direttamente nei territori di origine perché crea aspettative e, indirettamente, avalla le false promesse dei trafficanti di esseri umani e delle reti che gestiscono i percorsi dei migranti irregolari, sminuendone i rischi e sviluppando in iperboli i presunti vantaggi.
È su questi pull factors che il bando europeo FAMI aperto nel 2019, (topic 4), intendeva soffermarsi ed agire per creare campagne mirate di corretta informazione sui rischi connessi alle migrazioni irregolari e le reali condizioni di vita dei migranti irregolari in Europa, soprattutto rispetto alle concrete opportunità lavorative e di permanenza legale sul territorio.
Dato estremamente importante, la UE riconosceva il bisogno di agire in una dimensione integrata, sia nei territori di partenza che presso le comunità già sul territorio europeo, per incentivare modalità di ingresso legali o a rimanere e tornare nel proprio territorio di origine.
Si legge infatti nel testo del bando, nel topic 4 [Funding & tenders (europa.eu)]:
È nel prospettare una possibilità di scelta informata che la UE ha promosso tali campagne informative, come infatti recitava il bando:
Il problema non sembra della povertà e circoscritto ad un territorio lontano, un altrove senza legami e interazioni con il qui e organizzato su di un’unica direttrice da-a. La migrazione non sembra essere per tutti la soluzione. È importante arricchire anche il punto di osservazione, svincolandolo da un’ottica eurocentrica: una geografia delle migrazioni crea tragitti diversi in tutti i continenti, disegnando mappe di opportunità economica, di contiguità territoriale, di sicurezza legale, di accesso ai servizi, ecc.
In parte, le rotte africane conducono in Europa. Solo in parte. Laddove lo stato permanente di crisi, nel discorso pubblico, esorcizza per i governi il pericolo di una dimensionalità storica, di una memoria delle migrazioni, è invece opportuno recuperare l’elemento dinamico, diacronico, che storicizzi il fenomeno e le differenze che caratterizzano le comunità già da tempo presenti in un territorio rispetto ai nuovi arrivi.
Il fenomeno delle migrazioni, regolari e irregolari, dall’Africa in Europa, si dimostra in costante crescita a partire dalle primavere arabe (2011), con la crisi dei migranti del 2015 e nuovamente aggravata dalla crisi sanitaria del COVID-19, il che induce ad una lettura “continuista” dell’immigrazione e del volume dei flussi [Residence permits – statistics on stock of valid permits at the end of the year – Statistics Explained (europa.eu) ; Statistiques sur la migration et la population migrante – Statistics Explained (europa.eu].
Dal 2011 si era prosciugata l’immigrazione storica dall’Est Europa (rispetto soprattutto all’Italia), ripresa solo recentemente con numeri in crescita come conseguenza della guerra tra Russia e Ucraina; ad un’immigrazione sostanzialmente europea, a partire dal 2011 infatti si sostituiscono sempre più flussi dall’Africa e dal Medioriente, nonché dall’Asia. Questi flussi sono essenzialmente flussi misti, generati da un intreccio di motivi economici e di spinta, quali quelli descritti (conflitti, di mobilità economiche e mobilità forzate, ecc.) (Bontempelli: 2016).
La tappa intermedia, spesso senza soluzione, delle migrazioni, è impropriamente chiamata viaggio: è una rotta, un tragitto appunto che mira al suo fine, che a volte è percorsa a ritroso.
Come si evince dalle mappe riportate qui di seguito, sono tre le rotte principali delle migrazioni irregolari in Africa: o dal Sahel-Sahara verso l’Europa, o dal Corno d’Africa verso i Paesi del Golfo e verso il Sud Africa.
Non un movimento unilaterale delle migrazioni verso la UE quindi, ma movimenti su rotte che si muovono prevalentemente su tre assi distinti; l’Italia risulta essere un punto nevralgico di snodo verso i Paesi europei, come mostrato nella figura qui di seguito, dacché vi convergono la rotta occidentale, la rotta centrale e la rotta orientale.
L’Africa non viaggia, è dunque costretta al movimento, spesso irregolare, esposto a rischi e gestito da mafie internazionali, indotto anche dalle narrazioni delle comunità immigrate all’estero. Lo racconta bene la situazione attuale in Somalia, uno Stato federale che riemerge solo recentemente da lunghi anni di disgregazione dovuta alla guerra civile: dopo un difficoltoso e travagliato percorso elettorale fronteggia attualmente le sfide della prolungata siccità, delle dispute tra clan per le risorse idriche e del territorio, gli attacchi terroristici del gruppo di al-Shabaab, nonché le sfide per la rappresentanza politica (la cosiddetta Formula 4.5, cfr. Nastea, 2019).
Dall’inizio del 2022 sono 143,570 le persone dislocate in Somalia (Evictions: Eviction Information Portal (nrcsystems.net)) e si stima che gli sfollati interni (IDP) siano 2.9 milioni, uno dei numeri più alti del mondo ( 2022 Somalia Humanitarian Needs Overview- Somalia/ReliefWeb)), di cui 1.1 milioni a causa della siccità (IOM). La maggior parte dei rifugiati somali, circa l’80%, vive nei paesi confinanti (Somalia Refugee Crisis Explained (unrefugees.org)). Secondo le proiezioni dell’UNHCR, nel 2022 i richiedenti asilo in Somalia saranno circa 30,800 mentre i rifugiati di ritorno 131,117.
La Somalia è anche un Paese di transito per i migranti da altri Paesi, specialmente quelli confinanti: sono i migranti economici che cercano di raggiungere l’Arabia Saudita e che, molto spesso, rimangono sospesi, bloccati tra le frontiere. Per la maggior parte dei migranti in transito (non gli sfollati interni, si noti bene) in Somalia la progettualità migratoria si basa sul movimento “per trovare un lavoro, oppure un impiego migliore”. Sono, quelle del Corno d’Africa e della Somalia, crisi migratorie prolungate, generali: testimoniano la condizione di un continente intero, costretto al movimento.
La Somalia, al pari di altri Stati africani, ha anche una percentuale di crescita demografica altissima, con una media di 7 figli per donna, e la crescita demografica, si è visto, è uno dei fattori di spinta strutturali delle migrazioni; in che modo sono legate, migrazioni e aumento della popolazione negli Stati dell’Africa? Claude Meillasoux (2003:118-130) in un suo saggio: Per chi nascono gli africani? afferma che la crescita demografica appare come l’unica via di salvezza in economie dove lo sviluppo ristagna, dove le popolazioni sono impoverite da politiche di aggiustamento strutturale e tenute in una condizione di dipendenza alimentare:
Si crea una correlazione stringente tra aumento demografico, la migrazione come effetto correlato e il motivo propulsivo nonché fine ultimo: l’inserimento nell’economia mondiale. Ed ancora si legge:
Secondo questa analisi, non si tratterebbe di migrare per godere di un diritto, dunque, ma di incarnare un dogma del liberalismo economico e culturale dell’homo mobilis, di rispondere ad una delle costrizioni dell’economia di mercato, l’unica via di partecipazione all’economia di mercato e via di “salvezza”.
Se povertà e accoglienza possono essere iscritte nel novero delle parole simulacro, o finanche avvelenate nella già menzionata accezione di Remotti (specialmente vero per “accoglienza”), non diversa sorte potrebbe toccare alla severa, inespugnabile, parola “diritto”, così radicalmente implicata dal liberalismo culturale. Scrive Michéa (2014: 142:143. Trad. dell’A.):
È vero che il discorso pubblico lega migrazioni alla nozione di diritto, un diritto fondamentale, senza però davvero discuterne in termini causativi nel dibattito politico (cfr. Sloman- Fernbach, 2017: 52 sgg.). Anche questo diritto, difatti, sembra iscriversi in una logica di mercato, di domanda-offerta:
Michéa descrive questa condizione come mobilitazione generale, o di “vita liquida”, citando esplicitamente Bauman. Ma in questo mondo mobilitato, che gode liberamente di questo suo inalienabile diritto, si acuiscono differenze di tipo socio-economico, privilegiando proprio la ristretta minoranza privilegiata che tale diritto ha impugnato per tutti:
Le migrazioni, potrebbero non essere, necessariamente, soluzioni né tantomeno soluzioni umane, ma costrizioni funzionali? Generano movimenti continui, fluidi, generali: i migranti sono infatti parte di quegli etnorami postulati da Appadurai (1996), mondi immaginati, transnazionali, in continuo movimento, di masse deterritorializzate (che includono i turisti, i pendolari, tutti gli individui itineranti): nel caso in esame, un’Africa fuor d’Africa. Continuamente sospinta altrove; l’Africa si scopre al di fuori?
Qui inciampiamo nell’ultimo degli intoppi, degli interrogativi che ci poniamo in questa analisi: l’esistenza dei migranti oltre la provvisorietà (anche delle promesse) che proiettano parole simulacro quali emergenza e accoglienza. I movimenti migratori dai territori ex colonie verso gli Stati europei metropoli, soprattutto Francia e Gran Bretagna, ma anche Paesi Bassi e Germania, hanno dal dopoguerra portato al definirsi di politiche e modelli di assimilazione e integrazione differenti per questa Africa fuor d’Africa, fluidamente interconnessa e interdipendente negli equilibri geopolitici tra le regioni di provenienza e quelle di residenza.
Non è possibile in questa sede analizzare le politiche migratorie europee o dei singoli Stati ma è utile sottolineare come la presupposta fluidità delle migrazioni investa il campo delle relazioni internazionali e degli assetti geopolitici transnazionali; tuttavia, le migrazioni sono sempre, al contempo, emigrazioni e immigrazioni.
Si comprende una migrazione solo se vista nei suoi tre momenti costitutivi di partenza (contestualizzazione nella regione di origine), tragitto (modalità e rotte della migrazione, come abbiamo brevemente descritto), e di arrivo (modalità di stanziamento, residenza, lavoro, network socio-familiari, ecc.) a cui può molto spesso associarsi una quarta tappa del ciclo migratorio che è quella del ritorno.
Connesso allo status giuridico del migrante è il riconoscimento della sua stessa esistenza giacché, come scriveva Abdelmalek Sayad (2006: 13 sgg.), «esistere è esistere politicamente».
In un etnorama, una comunità immaginata e costretta alla mobilitazione generale, come si esercita la propria esistenza (politica)? È in questo quadro che l’esistenza degli immigrati, la comparsa di cittadini con background migratorio nelle legislazioni degli Stati di arrivo e permanenza dei migranti è, nel discorso pubblico, spesso una scoperta, quasi ex abrupto.
Seconda occorrenza del busillis di Lincoln: “Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo” in Michéa (2014: 145-146. Trad. dell’A.)
Le attuali condizioni di movimento perpetuo potrebbero dunque mettere in forse la dimensione temporale per cui una comunità matura un’esperienza comune, politica, lasciando spazio all’inganno di tutti.
Non ci sono risposte al busillis di Lincoln in questo articolo ma un’ultima suggestione: l’esistenza politica dei migranti può essere garantita nei termini della trasmissione culturale, della condivisione di un’esperienza politica comunitaria locale? Il liberalismo culturale che legittima le migrazioni condanna al contempo ogni tendenza “conservatrice”, “identitaria” delle comunità locali di arrivo e permanenza dei migranti, inneggiando alla produzione di sempre nuovi valori. Per evitare l’inganno, come può realizzarsi una trasmissione culturale in questi etnorami d’Africa fuor d’Africa?
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