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I Fasci Siciliani. Un dibattito lungo sessanta anni

 Mazara 1893

Mazara 1893

 di    Salvatore Costanza

Sessant’anni fa il primo anniversario dei Fasci Siciliani. L’evento fu allora (e anche in seguito) rievocato dal “sodalizio mentale” costituitosi tra storici e politici, che ne ha ridotto, o amplificato, la reale prospettiva. Economia e società, rapporto centro/periferia nel governo della cosa pubblica, ideologia e prassi organizzativa, escatologia e messianismo, si sono, di volta in volta, separate o confuse, senza trovare una vera, organica, simbiosi sulla base di una storia sociale dei Fasci, nella linea di continuità, e nei processi di discontinuità, col Risorgimento nazionale.

Almeno tre “anniversari” dei Fasci Siciliani a scadenza ventennale (1954, ’74 e ’94) debbono essere ricordati come riverbero (ed espressione) di posizioni intellettuali e politiche in atto: da quella marxista, nel 1954, alla riflessione post/marxista, nel ’94, quest’ultima segnata dalla de/ideologizzazione dei partiti della Sinistra, e dalla loro trasformazione in “partiti liquidi”.

A cento anni dalla Sicilia in rivolta di turatiana memoria, scompariva il Partito Socialista, che era stato (secondo la “vulgata” storiografica degli anni ’50 e ’60) l’anima insufflata al movimento. Ma i contadini del 1893-94 erano socialisti (e “non lo sapevano”), come erano comunisti i contadini del secondo dopoguerra, gli uni e gli altri mossi dalla sola speranza di migliorare le proprie condizioni di vita, e spinti, com’è naturale, alla mobilità sociale. I contadini della “riforma agraria” degli anni Cinquanta, se hanno potuto acquisire la terra l’hanno poi in gran parte abbandonata, spingendo i figli ad entrare in quel gigantesco reticolo clientelare che costituisce oggi natura e forma della Regione Sicilia.

Castelvetrano, 1893

Castelvetrano, 1893

Necessità, quindi, di de/ideologizzare pure la storia dei Fasci Siciliani, per intenderne la reale fisionomia e struttura. Nel gruppo feltrinelliano di giovani studiosi chiamati, nel ’54, a collaborare al fascicolo speciale sui Fasci, c’era pressoché univoca la loro germinazione gramsciana; ma, secondo un autorevole censore marx/leninista, «il puntiglio filologico» di chi si era limitato a ricostruire, filo per filo, quel movimento aveva «mascherato un distacco meccanico e non dialettico dalla storiografia borghese». Quando il “borghese” (o presunto tale) era condannato al ludibrio proletario, in mancanza di un tribunale speciale per le opinioni di “classe”.

Il dibattito che allora coinvolse il gruppo feltrinelliano, sotto vigilanza Alicata, rientrava nel «salto di qualità» (come allora si diceva) che si voleva dare alla ricostruzione di una storia d’Italia, che muovesse «dal punto di vista del movimento operaio». E poiché il movimento operaio era allora egemonizzato dal Partito comunista, il punto di vista della storia d’Italia era quello del Partito comunista, secondo l’orientamento  ispirato da Togliatti nel suo Discorso su Giolitti (1950).

Il dissenso da questa tesi teologale doveva lasciare sul terreno, vittima illustre, Gianni Bosio, sostenitore della necessaria fase “filologica” di questo tipo di ricerca storica. Bosio era stato, intanto, sollevato da direttore della rivista “Movimento Operaio”; e la sua passione “filologica” si sarebbe poi esercitata nell’iniziativa, da lui promossa, delle edizioni Avanti!

Paradigmi storiografici

I temi storiografici che interesseranno gli studiosi nei successivi incontri celebrativi saranno la “questione agraria”, “epicentro della crisi”, e il paradigma ideologico che formò e sostenne il gruppo dirigente dei Fasci (Agrigento, 1975); poi la “crisi italiana di fine secolo” (Palermo/Piana degli Albanesi, 1994), con “spunti di riflessione” su cultura coeva, cattolici e “questione contadina” nel Risorgimento (Franco Della Peruta). Anni prima (Messina, 1990), l’interesse si era spostato sul “socialismo nel Mezzogiorno d’Italia”, mentre si consumavano le “coordinate ideologiche” nate con la rivoluzione d’ottobre del 1917.

Campobello-1893

Campobello-1893 ( foto Giovanni Verga )

Seppure a ragione inseriti nel contesto della crisi italiana di fine secolo, e specificatamente in quella agraria siciliana, i Fasci dei Lavoratori si facevano entrare, a forza, in schemi precostituiti, da cui si lasciavano fuori caratteri propri del movimento, trascinamenti municipalistici (con ambigui inserti mafiosi), cultura (o subcultura, che dir si voglia) delle “masse” contadine e, soprattutto, quel sistema di gestione finanziaria dei Comuni, connotata da usurpi e balzelli, che aveva causato la violenta rivolta popolare, repressa con lo stato d’assedio proclamato il 3 gennaio del ’94.  Non solo i “vuoti” di memoria storica, ma anche il giudizio morale su “vinti” e “vincitori”, che in Francesco Renda trovava la sua piena legittimazione, insieme al “valore pratico” attribuito alla stessa memoria. Il «giusto valore della ricerca storica» doveva, quindi, esulare dal principio della “neutralità” dello storico; e ancor più provocatorio era l’invito a rivedere la storia dei Fasci «nella situazione nuova che si è creata in Italia, in Sicilia e nel mondo», riflettendo i nuovi orientamenti dell’opinione pubblica.

3Tralasciando i tanti contributi su esperienze locali, si deve tuttavia segnalare nell’intensa sequenza celebrativa dedicata ai Fasci l’“apertura” di Giuseppe Giarrizzo ad alcuni aspetti socio-culturali, sottesi alla vicenda. Anzitutto, «il radicale processo di modernizzazione del Paese nei decenni della Sinistra storica»; e, in relazione alle spinte alla politicizzazione delle campagne e del mondo contadino, la centralità della “questione municipale”. Ma su quest’ultimo aspetto della vita sociale dell’Isola, nessun apporto sistematico, e documentario, è venuto dalle ricerche coeve al dibattito storiografico sui Fasci. (Qui va però segnalata una pionieristica indagine sul bilancio del 1893 del Comune di Mazara del Vallo condotta da Sebastiano Nicastro nei suoi Studi di Scienze economiche e sociali - Alla vigilia della rivolta). Tutt’altro che marginale, poi, l’interesse che Giarrizzo segnalava per la “sociabilità” politica dei Fasci, relativa al patrimonio di cultura popolare, associazionismo, messianismo, lasciati in eredità al movimento operaio del nuovo secolo.

Dalla reazione ai Fasci seguirà quel processo di “normalizzazione” dell’equilibrio Nord/Sud che segnerà i tratti specifici della “questione italiana”, nella quale si salderanno “modernità” borghese e arretratezza del sistema agrario meridionale, sulle basi del consenso al potere, giolittiano, prima, mussoliniano, dopo (G. Carlo Marino).

3aNonostante le conoscenze acquisite, e gli apporti significativi degli storici “militanti”, non si può eludere, oggi più che mai, – cadute le cinture ideologiche dei referenti marxisti – la richiesta di una rilettura critica della vicenda dei Fasci, segnando tutti i “passaggi” e le fasi evolutive del processo di lungo periodo che, iniziato in Sicilia con la fine della feudalità (1812), rifluiva nel sistema agrario del latifondo e del borgesato, per quanto riguarda la società contadina; nonché nel formarsi, e svolgersi, del potere dei galantuomini nei Municipi, e delle mafie ad esso legate. È nel contesto del “riformismo” borbonico, prima, e di quello dello Stato unitario, dopo, che si produce la “modernizzazione” borghese, i cui costi sociali graveranno sui ceti contadini.

Verso il riformismo

L’analisi che fin qui si è fatta della “questione agraria” al tempo dei Fasci ha però ignorato genesi, e fisiologia, della mafia, rivelate già nella Inchiesta Franchetti del ’75 e, dopo il delitto Notarbartolo del ’93, da Napoleone Colajanni, con una riflessione più articolata per gl’intrecci politici connessi. Come rivelerà, del resto, Cammareri Scurti, l’ideologo del “socialismo rurale”, per il quale la mafia, tipico “prodotto dei latifondi”, aveva storicamente la sua centralità nella “questione agraria”.

Dall’esperienza dei Fasci, gl’intellettuali che ne avevano sostenuto la mobilitazione di massa – da Montalto a De Felice Giuffrida, da Barbato a Verro e De Luca – avrebbero tratto, da posizioni e “fronti” politici pur diversi, indirizzi pratici per l’avvenire. Lo stesso Cammareri Scurti ricorderà, peraltro, i limiti coi quali i Fasci, anni prima, avevano segnato la loro sconfitta, «facendo d’ogni erba fascio» («I fasci ebbero il torto di confondere l’organizzazione del Partito socialista con quella della classe lavoratrice»). Che era poi il giudizio di un socialista “riformista”, che assumeva da quella esperienza l’insegnamento a lavorare sulla realtà sociale col metodo dell’attivismo minuto e “gradualista”, su basi distinte di promozione politica e di associazionismo economico. Sulla stessa linea, gli eredi del movimento del ’93-’94, da Montalto a Verro, a Panepinto, i quali, dopo il successo dello sciopero agricolo del 1901, saranno impegnati ad organizzare leghe e cooperative agricole, separando la funzione politica di “guida e spinta all’azione” assegnata al Partito socialista da quella “mobilitante” della “lotta di classe”.

Ma secondo l’ottica prescelta dagli storici marxisti, l’«eredità dei Fasci» si sarebbe via via dispersa, per la «dispersione di un patrimonio di forze umane, di idee, di ipotesi e progetti di costruzione di una nuova società, che era stata sognata, ma che non si sarebbe mai più realizzata». Un’altra storia, cioè, «che potrebbe intitolarsi la diaspora dei Fasci» (F. Renda). Una tesi siffatta non sfuggiva a valutazioni traslatorie, di origine dottrinaria (il marxismo/leninismo), che negava al riformismo socialista ruolo (e vigore) rivoluzionario. Giuliano Procacci si spingeva oltre, definendo l’area della Sicilia occidentale, dove si era realizzata nel primo Novecento una diffusa rete di leghe e cooperative socialiste, una “patetica isola” del riformismo.

Manifesto

Manifesto

Marginalizzata l’esperienza storica successiva ai Fasci, il giudizio sui processi socio-politici che segneranno la vita della Sicilia nel nuovo secolo resterà, quindi, limitato alle storie locali, e comunque confinato alle velleità del sicilianismo. E, invece, si erano maturati processi “spontanei” di associazionismo e nuove esperienze politiche: dal movimento contadino delle leghe e cooperative socialiste alla presenza di una dimensione solidaristica religiosa, quella creata da Luigi Sturzo, pur essa erede dei Fasci; dai “blocchi popolari urbani”, operanti per una diversa funzione del ceto politico, all’emigrazione di massa dalla Sicilia verso le Americhe e il Sud del Mediterraneo, con l’acquisto di nuovi modelli e stili di vita, spesso reimportati. Del resto, la spinta emigrazionista di fine secolo si era formata sul sedimento delle coltivate speranze di progresso, e delle successive delusioni, che i Fasci avevano innescato.

Che cos’è stata, quindi, la storia dei Fasci? Non una vicenda isolata dal circuito nazionale delle idee e dal contesto economico della “modernizzazione” borghese, ma neppure estraniata dalla specifica identità della Sicilia, stratificata da secolari egemonie di potenti e, tuttavia, disarticolata nel suo tessuto sociale. Una rilettura dei Fasci, mentre deve riprendere dalla storia sociale i suoi itinerari di ricerca, non potrà ignorare l’orizzonte politico di fine secolo, in cui si è bloccata l’impetuosa esperienza del movimento, nel giuoco degli interessi dei ceti dominanti, ma anche delle reticenze e ambiguità del fronte della Estrema Sinistra, il cui osservatorio privilegiato era allora la “questione morale”, e ancora poco si comprendeva della “questione meridionale”. 

Dialoghi Mediterranei, n.10, novembre 2014
Gli Anniversari
{1954–2014}
1954 “Movimento Operaio”, Milano, Biblioteca G. G. Feltrinelli, 1954, 6 (novembre-dicembre). S. F. Romano, Storia dei Fasci Siciliani, Bari, Laterza, 1959.
1963-64 S. Costanza, Giacomo Montalto tra radicalismo e socialismo, in “Movimento Operaio e Socialista”, Genova, 1963, 1 (gennaio-marzo), pp. 65-95.
1973-74 S. Costanza, I tre anni che sconvolsero la Sicilia. Il processo ai Fasci (Resoconto  verbale degli Atti ufficiali del Tribunale di Guerra), in “L’Ora”, Palermo, 5 ottobre-11 dicembre 1974. (Cfr. R. Messina, Il processo imperfetto. 1894: i Fasci siciliani alla sbarra, Palermo, Sellerio, 2008). – I Fasci siciliani e la società nazionale (Agrigento, 9-11 gennaio 1975). I, Nuovi contributi a una ricostruzione storica; II, La crisi italiana di fine secolo (Atti, Bari, De Donato, 1975). S. M. Ganci, I Fasci dei Lavorati. Saggi e documenti, Caltanissetta-Roma, S. Sciascia, 1977. F. Renda, I Fasci Siciliani. 1892-94, Torino, Einaudi, 1977.
1984 I Fasci Siciliani. Mostra di immagini e documenti (Castelvetrano, Circolo della Gioventù, 10-24 novembre 1984).
1990-94 Mostra celebrativa sui Fasci dei Lavoratori. 1892-1894 (Trapani, Liceo “L. “Ximenes”, Maggio 1990). – Il Socialismo nel Mezzogiorno d’Italia. 1892-1926 (Messina, Istituto di Studi Storici “Gaetano Salvemini”, 4-6 ottobre 1990); Atti, Bari, Laterza, 1992. – Dall’artigianato all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892 (Palermo, Società Siciliana per la Storia Patria, 13-16 novembre 1991; Atti, 1994). – La formazione del Partito Socialista in Sicilia (Convegno storico, Istituto di Studi Storici “Gaetano Salvemini”, Polo didattico universitario di Trapani, 23-24 ottobre 1992). – Archivio di Stato di Trapani (10 dicembre 1993), I Fasci dei Lavoratori nel Trapanese (1892-1894). Mostra documentaria, 6-22 dicembre 1994 –– I Fasci dei Lavoratori e la crisi italiana di fine secolo (1892-1894). Convegno storico (Palermo/Piana degli Albanesi, 21-24 settembre 1994); Atti, Caltanissetta-Roma, S. Sciascia, 1995. S. Costanza, I Fasci dei Lavoratori. L’Esperienza Trapanese (1892-1894); Trapani, Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari, 1990. S. Fedele (a cura di), I Fasci Siciliani dei Lavoratori (1891-1894), Catanzaro, Rubbettino, 1994. S. Costanza, Dai Fasci Siciliani al socialismo rurale. Documenti e ricerche, Trapani, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1996.
2014 I Fasci dei Lavoratori e la questione siciliana – Ricordando Giacomo Montalto nell’80° della morte (Centro Studi “Simone Gatto”, Trapani, 26 ottobre 2014).

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Salvatore Costanza, già docente di storia e di ecostoria negli istituti superiori e universitari, ha svolto attività di ricerca presso l’Istituto G.G. Feltrinelli di Milano, collaborando con la rivista “Movimento Operaio”. Ha dedicato alla Sicilia moderna e contemporanea il suo maggiore impegno di studioso con i libri sulla marginalità sociale (La Patria armata, 1989), sul Risorgimento (La libertà e la roba, 1998), sui Fasci siciliani e il movimento contadino (L’utopia militante, 1996). Ha ricostruito la storia urbanistica, sociale e culturale di Trapani in Tra Sicilia e Africa. Storia di una città mediterranea (2005). Nel 2000 ha ricevuto il Premio per la Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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