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I covi di Matteo Messina Denaro e la secolarizzazione della mafia siciliana

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2023 @ 01:45 In Cultura,Società | No Comments

vaticanopiovradi Augusto Cavadi 

Matteo Messina Denaro è l’unico – o almeno uno dei rarissimi – boss nei cui covi non si sono trovati né Bibbie né crocifissi. Al posto di rosari e immagini di santi patroni, Rolex e Viagra. Solo dettagli cronachistici, addirittura pettegolezzi, o indici di mutamenti culturali? 

Prima considerazione

La constatazione non può stupire, anzi chi ha studiato le carte in questi decenni si sarebbe stupito del contrario. Quindici anni fa, dapprima la rivista palermitana “S- Il Magazine che guarda dentro la cronaca”, poi Salvatore Mugno in un libretto da lui curato per le edizioni Stampa Alternativa, hanno pubblicato le Lettere a Svetonio: missive autografe di Messina Denaro a un suo interlocutore chiamato, appunto, per ragioni di ovvia riservatezza, con il nome di un illustre romano antico.

Nella terza di queste missive confidenziali, ad esempio, l’autore scrive: 

«Ci fu un tempo in cui avevo la fede, l’avevo in modo naturale senza imposizioni di sorta, poi ad un tratto mi resi conto che  qualcosa dentro di me si era rotta, mi resi conto di avere smarrito la mia fede, ma non me l’ero imposto io ciò, è stata del tutto naturale la mia metamorfosi, vero è però che non ho fatto mai nulla per ritrovarla, mi sono accorto che in fondo ci vivo bene anche così, mi sono convinto che dopo la vita c’è il nulla, e sto vivendo per come il fato mi ha destinato». 

Quando Mugno mi invitò a presentare a Trapani la raccolta, da lui ben introdotta e commentata, di pagine del padrino di Castelvetrano, volli sottolineare la doppia anomalia della serata. La prima era amaramente umoristica: una cinquantina di persone discutevamo il testo di un autore vivo, molto probabilmente informato dell’evento e residente nelle vicinanze, ma…assente. La seconda anomalia era che – come aveva scritto sulla pagina palermitana di “Repubblica” M. Onofri – «dopo tante varianti di boss religiosissimi, se non superstiziosi, vissuti in clandestinità, ridicolmente bacchettoni», ci trovavamo davanti la «prima devastante dichiarazione di ateismo e materialismo mai pronunciata da un mafioso» (la citazione per esteso dell’articolo l’ho riportata, e commentata, nel mio Il Dio dei mafiosi, San Paolo, Milano 2009).  

9788862220538_92_310_0_75Seconda considerazione

I clan mafiosi sono sottoinsiemi della società e ne condividono le vicende culturali, oltre che politiche ed economiche. Non vanno immaginati come corpi estranei, né per mitizzarli né per demonizzarli. L’espressione “subcultura mafiosa” viene adoperata di solito impropriamente per designare una cultura inferiore alla media dal punto di vista cognitivo o etico, ma, tecnicamente, designerebbe la cultura di un sottosistema sociale (alla stessa stregua della subcultura contadina o imprenditoriale o aristocratica). Come opportunamente ha notato Umberto Santino, la formula più appropriata sarebbe “transcultura mafiosa” dal momento che i mafiosi condividono alcuni principi, alcune regole, alcuni simboli, pur appartenendo a ogni strato sociale (aristocrazia, proletariato contadino e urbano, soprattutto borghesia agraria e professionale).

Ebbene, la secolarizzazione occidentale galoppante (per cui osservatori sempre più numerosi ritengono che, a differenza di altre aree immense del pianeta, nella nostra siamo entrati in un’epoca “post-religionale” e addirittura “post-teistica) non ha risparmiato organizzazioni criminali che pur ci tengono a legare le innovazioni del presente alle radici del passato. È dunque facile profezia prevedere che le prossime generazioni di mafiosi – dal momento che non si tratta di marziani catapultati da altri mondi – saranno affezionate sempre meno ai simboli religiosi e sempre più agli oggetti di lusso e ai supporti farmaceutici in soccorso di virilità declinanti. 

s-l1600Terza considerazione

Il divorzio fra religione e mafia diventa pensabile. La laicizzazione delle nuove generazioni siciliane – dunque, al loro interno, anche delle generazioni mafiose e paramafiose – rende possibile (pensabile, se non probabile) l’allentamento delle vecchie relazioni pericolose fra esponenti di Cosa Nostra ed esponenti della Chiesa cattolica (ma non solo)? La domanda non consente risposte univoche trancianti. Proporrei di distinguere, molto schematicamente, due piani di osservazione: il punto di vista soggettivo, esistenziale, dei mafiosi e il punto di vista oggettivo, strategico, strumentale. Dal primo punto di vista, casi come Matteo Messina Denaro attestano che questo sganciamento si sta attuando davvero, sinceramente, spontaneamente. I vecchi padrini avevano una sia pur confusa percezione che l’orizzonte terrestre non è l’ultimo e che esistesse una qualche forma di trascendenza con cui dover fare i conti.

Quando, come Pietro Aglieri, chiamavano i frati Frittitta di turno a celebrare messa nella loro cappella privata di latitanti, non era per calcolo propagandistico. Non era certo neppure per fede nel messaggio rivoluzionario del Nazareno, nella sua utopia di fraternità universale e di convivenza pacifica ed equa, ma un mix di credenze pagane (deprivate di quanto possiedono di positivo, di luminoso), di dogmi medievali, di superfetazioni moralistiche bigotte: comunque, per quanto inquinata e distorta, una forma di religiosità. Ebbene, tutto questo armamentario risulta estraneo a sempre più ampie fasce sociali: perché dovrebbe sopravvivere nei mafiosi in carne e ossa, senza coppole né lupare, quali vivono e interagiscono nel mondo reale, fuori dagli stereotipi letterari, cinematografici e fumettistici?

Piuttosto noterei come questo divorzio fra mafia e religione stia avvenendo in modi, e per motivazioni, quasi paradossali. Infatti i vescovi più illuminati e i preti più impegnati nel sociale hanno denunziato dagli inizi del fenomeno mafioso (dunque dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi) le collusioni fra ambienti cattolici e associazioni criminali, ma senza ottenere tutti gli effetti sperati: basti andare con la mente al lungo elenco di preti, di frati, di dirigenti di associazioni cattoliche, di esponenti di partiti con etichette cristiane che sono stati indagati, processati e condannati per reati di mafia. Ma se troppi cattolici stentano a ripudiare la mentalità mafiosa, per fortuna alcuni mafiosi cominciano a rinnegare le appartenenze cattoliche giovanili.

Se Maometto non lascia la montagna, è la montagna a distaccarsi da Maometto. Fuor di metafora, personaggi come Matteo Messina Denaro, inqualificabili da mille punti di vista, offrono almeno un motivo di speranza: che si avvicini una separazione netta fra chiese e mafie. Se non sono state le prime a troncare con le seconde, ci sono buone probabilità che si arrivi al divorzio per iniziativa dei boss emergenti, attratti dall’edonismo post-moderno e dal consumismo di lusso. Eterogenesi dei fini: dove ha fallito l’evangelizzazione, potrebbe riuscire il processo di ateizzazione. 

9788897050353_0_536_0_75Quarta considerazione

I legami di interesse sono più forti delle affinità teologiche. Se dall’angolazione delle coscienze individuali, dei vissuti personali, ci spostiamo al punto di vista degli atteggiamenti pubblici, temo che l’auspicabile divaricazione fra il discorso mafioso e il discorso religioso, di cui il primo si è servito per darsi una credibilità e per attirare consenso sociale, non sarà né certa né rapida né radicale. Le affinità teologico-religiose possono affievolirsi senza compromettere la ferrea solidità dei legami d’interesse reciproco.

Qui vorrei essere chiaro, anche se non posso sintetizzare in poche righe il volume (Il vangelo e la lupara. Documenti e studi su Chiese e mafie, Di Girolamo, Trapani 2019) che vi ho dedicato ex professo. Può capitare che un parroco si rivolga direttamente a un capomafia per riavere indietro i tesori sottratti dalla teca di una Madonna o, al contrario, che un capomafia chieda al superiore di un convento di ospitare per un certo tempo un latitante. Ma si tratta di casi eccezionali. La norma statistica registra, invece, un contatto fra i due mondi mediato da esponenti del ceto politico-partitico.

Da una prospettiva – dalla prospettiva delle cosche mafiose – le chiese cristiane (sempre meno appetibili come fornitrici di credenze religiose, ardue perfino da intendere, e come produttrici di eventi devozionali, quali le processioni con relativi inchini, che non coinvolgono emotivamente come prima) mantengono il loro appeal elettorale. I politici interni a Cosa Nostra o ad essa attigui sanno che, promettendo certe leggi e certi provvedimenti amministrativi, possono ancora raccogliere voti espressi per interesse o per affinità ideologica. Come ho mostrato nel mio Il Dio dei leghisti (San Paolo, Milano 2012)  è lo stesso meccanismo adottato da vari esponenti della Destra nazionale: soggettivamente si può essere distanti sideralmente dai valori evangelici, ma ciò non  impedisce la difesa urlata delle radici cristiane dell’Europa, della famiglia tradizionale, della morale sessuale più bigotta (e gli storici del XXII secolo avranno qualche difficoltà a spiegare come mai, nella fase attuale della storia politica italiana, dei tre leader della maggioranza governativa proclamatasi baluardo dell’Occidente cattolico non ce ne sia uno solo convivente con un coniuge sposato in chiesa).

La strategia mafiosa funziona perché dall’altra prospettiva – dalla prospettiva delle parrocchie e delle associazioni di stampo più confessionale – vige certamente il rifiuto della mafia che spara, ma non della mafia che si presenta in giacca e cravatta: della mafia come sistema politico-economico. Omicidi e stragi suscitano sincero orrore in chi frequenta le chiese come nella stragrande maggioranza dei cittadini; non lo stesso orrore né lo stesso disgusto, però, suscita la mafia sistemica, quotidiana, feriale che inquina la vita democratica e altera le regole del mercato.  In molti circoli cattolici si tifa con sincerità per i giudici che arrestano latitanti pericolosi; ma – talvolta in malafede, quasi sempre per ingenuità – si ritiene inevitabile ricorrere all’aiuto di quei ‘potenti’ (appartenenti a settori della politica e più ampiamente del ceto dirigente) che, in combutta più o meno organica con le cosche mafiose, manovrano  dietro le quinte per distribuire i ruoli apicali nelle banche, negli ospedali, nelle università o per arricchirsi mediante corruzioni, concussioni, riciclaggi di denaro ricavato da traffici illeciti…

In sintesi: per azzerare ogni connessione fra chiese e mafie andrebbe tranciato il nodo gordiano costituito da quegli esponenti politici double face che, da una parte, promettono favori agli elettori cattolici (di cui si dichiarano sentinelle) e, dall’altra, si accordano con i mafiosi e i loro amici (di cui sono sodali) per mantenere le promesse clientelari, ad esempio in termini di assunzioni nel settore sia pubblico che privato. Affinché tale nodo venga troncato sarebbe necessario non solo rinnovare radicalmente la catechesi cristiana tradizionale (evitando, ad esempio, di presentare ai fedeli un Dio Padre-padrino di cui i padrini terreni non fanno fatica a presentarsi come copie in miniatura e strumenti di ‘giustizia’), ma anche e soprattutto accompagnarla con una seria istruzione sulla fisiologia e sulla patologia del ‘potere’ negli Stati contemporanei. Insomma: offrendo all’attenzione delle nuove generazioni, se continueranno a passare da adolescenti per le parrocchie, i Vangeli in una mano e la Costituzione repubblicana nell’altra. 

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023

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Augusto Cavadi, già docente presso vari Licei siciliani, co-dirige insieme alla moglie Adriana Saieva la “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo. Collabora stabilmente con il sito http://www.zerozeronews.it/. I suoi scritti affrontano temi relativi alla filosofia, alla pedagogia, alla politica (con particolare attenzione al fenomeno mafioso), nonché alla religione, nei suoi diversi aspetti teologici e spirituali. Tra le ultime sue pubblicazioni si segnalano: Il Dio dei mafiosi (San Paolo, 2010); La bellezza della politica. Attraverso e oltre le ideologie del Novecento (Di Girolamo, 2011); Il Dio dei leghisti (San Paolo, 2012); Mosaici di saggezze – Filosofia come nuova antichissima spiritualità (Diogene Multimedia, 2015); La mafia desnuda – L’esperienza della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone” (Di Girolamo, 2017); Peppino Impastato martire civile. Contro la mafia e contro i mafiosi (Di Girolamo, 2018), Dio visto da Sud. La Sicilia crocevia di religioni e agnosticismi (SCe, 2020); O religione o ateismo? La spiritualità “laica” come fondamento comune (Algra 2021).

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