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EDITORIALE
Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2014 @ 02:00 In Editoriali,Sommario | No Comments
SOMMARIO N. 9
Questa cupa estate che sta declinando ci lascia immersi in una temperie agitata di guerre e fiamme, nell’incubo di un anacronistico califfato, frutto nuovo e avvelenato della deflagrazione mesopotamica, e nella tragedia storica di quel permanente e indifferente genocidio che si consuma in Medioriente.
Quanto accade, e sta accadendo nello stesso momento, in Ucraina e in Iraq, a Gaza e a Gerusalemme, in Siria e in Libia sembra farci precipitare in una spirale incontrollata di stragi e violenze ovvero nella «terza guerra mondiale», per usare le parole del Papa, cui siamo largamente impreparati e pure inconsapevolmente assuefatti.
Nel frattempo, mentre l’Europa balbetta o si divide, scivolano sui fondali del Mediterraneo altri naufraghi che tentano la traversata, senza che sia ancora pienamente e universalmente compresa la relazione di causa ed effetto tra le vittime dei sanguinosi conflitti aperti e queste morti per annegamento, in macabra e reiterata sequenza, di uomini, donne e bambini; tra le mattanze eseguite nel nome di qualche dio o di qualche pozzo di petrolio e le fughe che ci ostiniamo a chiamare migrazioni o invasioni di clandestini scambiati tout court per terroristi.
Non c’è forse un nesso ben preciso tra la caotica decomposizione della Libia e la feroce spoliazione dei profughi? Tra la guerra tra miliziani e l’accelerazione dei transiti? E non è forse una conseguenza della chiusura di determinate frontiere e del rovesciamento delle alleanze politiche nell’area mediorientale l’emorragia drammatica di popoli, la fuga di minoranze etniche, il rovesciarsi nel mare Mediterraneo di una massa enorme di disperati senza più terra né patria? C’è infine ancora qualcuno che non capisca che il traffico clandestino degli uomini ridotti a merce è alimentato dall’ottuso proibizionismo e dal terribile disordine mondiale?
La verità è che i cosiddetti conflitti tribali, etnici o culturali, sono a ben guardare esclusivamente politici, perché non sono mai le civiltà a scontrarsi ma gli uomini e dietro il medioevo redivivo delle persecuzioni religiose e dei proclami dei finti profeti si praticano raffinate logiche finanziarie e di mercato, vecchi giochi di potere e moderne strategie tecnologiche di manipolazione dei valori identitari a fini eminentemente economici. Forse non si è riflettuto abbastanza che le prime vittime della violenza dei tagliagole e degli incappucciati che sventolano bandiere nere sono gli stessi connazionali, la popolazione inerme, i civili che fuggono dalle loro case. La loro tragedia è la disfatta della politica, il rimorso degli Europei e la sconfitta di tutto l’Occidente.
Sfiorano i diversi temi di questa drammatica attualità gli articoli contenuti in questo numero, che nella loro eterogeneità rinviano comunque ad una riflessione comune sul nostro tempo, su questioni che investono del Mediterraneo la storia, la società, l’economia, la cultura, la vita quotidiana. Accanto ai temi connessi al complesso fenomeno delle migrazioni e più ampiamente a questioni antropologiche della contemporaneità, uno spazio particolare ha guadagnato la fotografia, che è oggetto di studio e strumento tecnico di ricerca di più contributi. Nella sezione Immagini Dialoghi Mediterranei ospita questa volta Il Mediterraneo di Angelo Pitrone, che racconta un suo viaggio a Leptis Magna in Libia, a seguito di una spedizione di archeologi. Fotografo dei paesaggi, si conferma anche in questa selezione di immagini attento più ai luoghi che agli uomini, la cui assenza ne fa paradossalmente sentire ancora più forte la presenza iscritta nelle case, nelle mura, nei segni del costruito, negli scorci dell’abitato. Il Mediterraneo tracimato negli scatti di Pitrone è letteralmente e simbolicamente una strada, lunga quanto la storia che ci appartiene, un itinerario che si snoda a ritroso nel tempo, un viaggio che attraverso il deserto libico conduce alle radici del mito.
In questo numero, infine, abbiamo voluto salutare un amico che ci ha lasciato. Questa estate così greve e così amara ci ha infatti privato di Giuseppe Inzerillo, un noto collaboratore del nostro periodico, un uomo colto e raffinato per intelligenza e sottile ironia. Nella sua testimonianza intellettuale ha saputo tenere insieme i due luoghi elettivi della sua vita: Ferrara e Mazara. Nella città emiliana è stato alla guida per oltre trent’anni delle massime istituzioni scolastiche, nel tempo difficile e turbolento delle tensioni politiche e delle contestazioni giovanili. A Mazara ove era nato tornava ogni estate, riallacciando e rianimando amicizie, affetti, passioni. I suoi studi e i suoi interessi culturali – dalla letteratura all’arte, dalla storia al costume – lo portavano a far dialogare le vicende diverse delle città che ha abitato e amato. L’articolo che pubblichiamo postumo, a firma dell’illustre studioso, lo aveva mandato un paio di mesi fa alla redazione ed è un esempio delle sue capacità di dipanare con arguzia e competenza, sulla scia delle vicende cavalleresche, la trama sottile di esperienze e memorie che unisce la patria ariostesca alla Sicilia. A Giuseppe Inzerillo, la cui idea di scuola e di vita si ispirava ad un alto e severo impegno morale e civile, dedichiamo commossi questo numero di Dialoghi Mediterranei.
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