Stampa Articolo

Due intellettuali, un editore e una memorabile stagione culturale

9788833937137_0_536_0_75di Orietta Sorgi

Nell’Italia del 1943, devastata dal secondo conflitto bellico, avviene un incontro fra due giovani intellettuali, destinato a segnare una svolta progressista in un Paese chiuso e oppresso dalle angustie del ventennio fascista. Cesare Pavese e Ernesto de Martino, il poeta-scrittore e l’etnologo meridionalista. Piemontese il primo, di Santo Stefano Belbo, sempre in bilico fra la città di Torino e le colline delle Langhe, luogo delle sue origini; napoletano il secondo ma residente a Bari per motivi professionali. Entrambi, di formazione crociana, avevano condiviso una iniziale simpatia per il fascismo, presto abbandonato per aderire alle file della Resistenza e della lotta partigiana.

E insieme maturano, in quello storico incontro romano, un progetto di rinnovamento culturale del Paese e di apertura verso nuove discipline che in Europa e in America erano già affermate, mentre in Italia restavano ancora quasi sconosciute: la psicologia, l’etnologia e la storia delle religioni, quest’ultima che in realtà si andava diffondendo attraverso il magistero di Raffaele Pettazzoni.

giulio_einaudi_editore_logo2La sede ideale per dare corpo al nuovo progetto sembrò essere la casa editrice Einaudi, che nell’immediato dopoguerra avrebbe costituito il punto di riferimento di tutta la sinistra italiana. Così nacque la Collana viola, per il colore di una copertina fin troppo sobria, di cui Pavese fu direttore editoriale per tutta la sua breve esistenza, mentre de Martino rimase sempre un consulente esterno.

La collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici – questo il sottotitolo della collana – nasceva dunque in un momento particolare della cultura italiana che ora allargava i suoi interessi ai riti e alle usanze dei popoli primitivi. Già a livello internazionale fuori dal continente, autori come Edward B. Tylor, James Frazer, Andrew Lang, Emil Durkheim, Leo Frobenius, Lucien Lévi-Bruhl, Walter Otto erano noti, mentre   l’Italia non andava oltre l’orizzonte di «quella meravigliosa fioritura dell’Ellade» (De Martino) dell’umanesimo classico.

cesare-pavese-pierina-hp-1566994908-1-scaled-e1617612260470-960x1161 91cc56_2cd9d1d7bb30511eb4cd517c131ae148_xl_homeim_799x400Bisognava dunque ampliare i confini, aprendosi all’irrazionale, a quel «lato oscuro dell’anima» che solo l’etnologia poteva documentare nel confronto con le società primitive, offrendo una base di osservazione anche alla psicanalisi di Freud (Totem e tabù) e di Jung con la teoria degli archetipi. I titoli che entrarono a far parte della collana, pur nella varietà dei contenuti e metodi, si proponevano di far conoscere ai non specialisti la “crisi del comprendere”, un tema caro anche a Pavese, ma certamente a de Martino che ne farà la chiave di lettura di tutta la sua speculazione scientifica. E non è un caso che ad inaugurare il primo numero della collana sia stato proprio Il mondo magico. Prolegomeni allo studio del magismo, dove l’antropologo napoletano avrà modo di esporre, attraverso lo sciamanismo, le sue tesi sulla magia come insieme di tecniche di controllo e reintegrazione nei confronti della cosiddetta “crisi della presenza”: quel senso di smarrimento dell’esserci in cui si trova l’uomo primitivo, costantemente aggredito “dall’angoscia della storia”. In questo modo De Martino allarga il campo conoscitivo dell’Occidente, distaccandosi dall’idealismo crociano, nel proposito di storicizzare certe categorie proprie del pensiero primitivo. Da lì a breve la rottura con Benedetto Croce sarà inevitabile.

Seguiranno altri titoli della corrente irrazionalista e fenomenologica: a parte il già ricordato Jung, con L’io e l’inconscio, ci sarà L’anima primitiva di Lévi Bruhl, e di nuovo Jung con Kerenyi nei Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Eliade nelle Tecniche dello yoga, Durkheim e Mauss con Le origini dei poteri magici, e molti altri, fra cui Propp, ne Le radici dei racconti di fate e Frazer col Ramo d’oro.

mondo-magicoTuttavia, nel clima politico dell’epoca, i rischi legati a quelle scelte coraggiose non tardarono ad emergere, soprattutto all’interno degli ambienti comunisti più ortodossi. Il gusto per l’arcaico e l’irrazionale nascondeva delle insidie e poteva facilmente fraintendersi approdando ad un romanticismo vecchia maniera con pericolosi risvolti reazionari. Autori come Eliade non erano ben visti dai militanti della sinistra, per via del suo passato come guardia di ferro del regime, malgrado il successivo allontanamento e la ricchezza innovativa dei suoi apporti scientifici. Inoltre l’arrivo in Italia dell’opera di Volhard sul cannibalismo era stata introdotta da Giulio Cogne, che in molti casi aveva aderito al razzismo germanico. Anche la collaborazione con Giuseppe Cocchiara, non fu accolta con favore, in quanto simpatizzante del fascismo: accademico palermitano, rimase sempre una figura di secondo piano nella casa editrice, malgrado l’introduzione al Ramo d’oro di Frazer e altre pubblicazioni autoriali come la Storia del folklore in Europa.

Lo stesso Cesare Pavese, poco incline per natura ai fattori ideologici e disinteressato alla politica, aveva subìto dai suoi sodali ripetuti attacchi soprattutto dopo la pubblicazione dei Dialoghi con Leucò per l’evidente predilezione verso l’irrazionale mitologico.

Lentamente quell’intesa iniziale fra il direttore editoriale e il consulente esterno iniziava e disgregarsi. De Martino infatti, più sensibile di Pavese all’impegno politico, militante dapprima nel PSI e PSIUP e poi definitivamente nel PCI, cercò subito di correre ai ripari, di fronte alle critiche mosse dai compagni di partito che provocatoriamente proponevano di chiamare la collana nera, anziché viola, cioè filonazista! Tentava in tutti modi di sistematizzare la spinosa materia, stilando una serie di programmi che illustravano i criteri delle scelte editoriali e ricorrendo all’uso di dettagliate prefazioni per contestualizzare le opere in corso di pubblicazione, liberandole da malintesi e ambiguità di carattere ideologico.

ramo-studio-della-magia-della-religione-4a851044-e250-4163-85c9-ff75597a6d84-1Ma su questo punto Pavese fu irresolubile nel giudicare quelle prefazioni inutili e dannose, che avrebbero pregiudicato il gusto di una lettura diretta, senza tutti quei filtri risuonanti piuttosto come una sorta di “mani avanti”, una specie di vaccino e profilassi nei confronti di certe teorie. Un’excusatio non petita insomma, che Pavese non esitò a definire propria di una “politica pretina”, provocando il risentimento di de Martino.

La tormentata e conflittuale relazione fra i due artefici della collana ci viene ora riproposta dalla loro corrispondenza epistolare, in un arco temporale che va dal 1945 al 1950, interrotta bruscamente dall’improvvisa scomparsa di Pavese. La nuova edizione Bollati Boringhieri del volume   La collana viola. Lettere 1945-1950 è arricchita da una bella prefazione di Pietro Angelini insieme alle postille 2022 e alle appendici che danno ragione dei programmi e di altri documenti trovati nell’archivio De Martino. 

Il suicidio dello scrittore causava una battuta d’arresto per la collana e in De Martino un profondo disorientamento sulle nuove prospettive editoriali. Einaudi affidava la direzione a Bollati e dopo qualche tempo cedeva definitivamente i diritti a Boringhieri. Di fronte al cambio di guardia, la posizione di De Martino rimase altalenante, continuava sì a collaborare con la nuova casa editrice, ma nel frattempo intratteneva rapporti con Mondadori e Feltrinelli.

In realtà lo studioso napoletano restò sempre intimamente legato alla collana dell’Einaudi, nata dal sodalizio con Pavese, verso il quale, dopo la morte, nutriva ripensamenti e rimpianti. Nella cessione a Boringhieri avvertiva un tradimento e in qualche modo si sentiva ceduto anche lui come «anima morta di Gogol e Cicikov», secondo quanto lamenterà a Giulio Einaudi in una lettera del 1958. Fatto sta che la morte di Pavese sanciva per molti versi il tramonto di una stagione culturale.

La collana viola, sotto le nuove vesti della Bollati Boringhieri, avrà ulteriori sviluppi arricchendosi di altri titoli, fra cui molti italiani, con le opere di Cocchiara e di Toschi, mentre gli studi di psicanalisi traghettarono nella collana azzurra dell’Einaudi, sotto la direzione di Cesare Musatti.

Resta comunque la convinzione che, malgrado le apparenti divergenze, fra i due intellettuali vi erano non poche affinità dovute a una sensibilità comune. Pavese fu tormentato per tutta la sua breve vita da un dissidio interiore fra la modernità di Torino, capitale del Nord che si apriva all’Europa, e il mondo arcaico e primitivo del suo paese originario, immerso nelle colline delle Langhe. In quel paesaggio il poeta ravvisava il luogo mitico dell’infanzia, quale stadio primordiale dell’esistenza, scevro dai condizionamenti della ragione.

pavese-dialoghi-leuco-contrainte-1-scaled-e1617400400172Come lui stesso osserverà nelle pagine di Feria d’agosto (1946), il mito è qualcosa che è accaduto in illo tempore (proprio come volevano Van der Leeuw e Eliade, a lui particolarmente cari), e che da allora si ripete e si rinnova di volta in volta come in una festa di paese. La conoscenza è allora un ri-conoscere qualcosa che già è avvenuto fuori dal tempo storico. Il contatto con uno stadio primigenio, quello dell’infanzia, consente all’uomo di raggiungere le radici del sé, dei propri tratti costitutivi.

La poetica, la fiaba e la scrittura sono strumenti di riproposizione del mito e solo la forza della parola li può descrivere, anche se si tratta pur sempre di un’invenzione. Il divario fra il mito e la realtà ritorna allora con insistenza nel pensiero dello scrittore, consapevole dell’illusorietà di quest’atto di creazione. Non basta la volontà umana per ricreare quella dimensione simbolica e questo per il poeta fu il più grave struggimento.

Come ha osservato Furio Jesi a questo proposito, il campo emotivo più autentico entro cui si muove l’intera macchina mitologica dello scrittore è quella della nostalgia e della mancanza. Tutta la sua poetica è portatrice di una «ferita da sanare», testimone di ciò che l’uomo moderno ha irrimediabilmente perduto. La città è ormai sconsacrata e i tesori nascosti della campagna sono passati: è il dilemma di Anguilla nella Luna e i falò, quando ritorna dalle Americhe al suo paese d’origine. Pavese riconosce che la scrittura non può più svolgere alcun ruolo salvifico e in questo sta, secondo Jesi, il senso primario di una tragica scelta che si rivela in linea con l’orizzonte intellettuale del modernismo europeo (1964).

De Martino, da canto suo, approderà, per vie traverse, a conclusioni non del tutto differenti. Le ritroviamo nell’ultima fase del suo pensiero, con la pubblicazione postuma de La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali del 1977. In essa, l’allieva Clara Gallini, che ne curò l’introduzione, ne ravvisava un tradimento, un allontanamento da quei princìpi marxiani che avevano guidato le inchieste sul Meridione. In realtà, come dirà Marcello Massenzio nella riedizione francese del 2019, non si tratta di un mero ritorno all’ontologismo, ma di una riflessione più profonda sulle sorti dell’umanesimo. 

La crisi della presenza diviene un universale antropologico, non più un tratto costitutivo della mentalità primitiva o subalterna.  Dietro il concetto di apocalisse culturale si profila il rischio della fine del mondo: il non esserci, il senso di smarrimento e l’angoscia della storia colpisce ora l’uomo europeo. Come nell’alienato mentale, De Martino paventa i rischi di un’apocalisse psicopatologica dell’età contemporanea, dovuta alla perdita di prospettive, del senso di appartenenza, del disgregarsi del patrimonio storico collettivo. I suoi interlocutori sono non più i dimenticati del Sud, ma i borghesi di Sartre nella Nausea, o i soggetti figurativi dell’arte contemporanea di Picasso.

Al nichilismo di Pavese, De Martino oppone tuttavia una resistenza, offerta da un nuovo umanesimo e da un etnocentrismo critico basato sull’ethos del confronto come antidoto alla mancanza di prospettive di reintegrazione.

Una lezione esemplare da parte di due grandi pensatori del Novecento che, nel clima di imperante ottimismo del dopoguerra e della volontà di ricostruzione in vista del “Sol dell’avvenire”, avevano già intuito i rischi del modello occidentale e del modernismo. Si tratta di riflessioni, che oggi, fra guerre e pandemie e a distanza di oltre mezzo secolo, tornano estremamente attuali e opportune. 

Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022  
Riferimenti bibliografici
Gallini, Clara
1977    Introduzione a Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino, Einaudi 
Jesi, Furio
1964    Pavese, il mito e la scienza del mito, prima stampa in «Sigma», nn.3-4: 95-120, ora in Id., Letteratura e mito, Torino, Einaudi, 2002: 131-160.
Massenzio, Marcello
2019    Premessa a Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino, Einaudi 
Pavese, Cesare
1946    Del mito, del simbolo e altro, in Feria d’agosto, Torino, Einaudi

______________________________________________________________

Orietta Sorgi, etnoantropologa, ha lavorato presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, quale responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006); Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011); Gibellina e il Museo delle trame mediterranee (2015); La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta (2015); Sicilia rurale. Memoria di una terra antica, con Salvatore Silvano Nigro (2017).

______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>