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Dodici decurie decuriavan ad Uri. Sulle sparse membra di un ‘mostro’ di Ceriani

copertina-lestrazione-della-pietra-decumanadi Antonio Pane 

Dopo la grande stagione poème en prose-prose en poème che ha fruttato Le geosinclinali e Le sollecitudini (qui invano inseguite nei nn. 54 e 62), Marco Ceriani torna alla ‘poesia-poesia’ [1] con una terna di preziose plaquettes che attingono al corpus (o, meglio, al corpaccione) di Decurie: coacervo di seicento elementi suddivisi in dodici paritari manipoli che ‘avanzano’ in gruppi di dieci. La prima, L’estrazione della pietra decumana (Bohumil, 2023), ospita «gli ultimi 30 della terza Decuria» [2]. Onorando, a vent’anni dalla scomparsa, insieme a una ispirata scultura di Vincenzo Balena, il magistero di Giovanni Raboni, la successiva (Giovanni è stato qui?, Associazione Culturale Casa Berra, 2024) licenzia invece una puntiforme «selezione» di 22 poesie (dovuta a Fabio Magro, autore del forbito foglietto ‘fuori busta’ Sulle Decurie di Marco Ceriani), quando la più vicina, Passaggio nella regione dei ghiacci (Bohumil, 2025), rileva «le prime tre sezioni» dell’ultima Decuria [3]. L’opera-madre si manifesta così in un campione di 82 unità meno una [4] che, coprendone poco più del dieci per cento, lascia immaginare l’inverosimile intero, quasi interamente consegnato alla forma-sonetto [5].

A prosieguo di una storia sinora affidata ai 19 esemplari di Memorirè e ai 42 di Gianmorte violinista, il venerando metro, ora disposto in coriacee testudini, viene plenariamente a ribattere il tema inciso in quei titoli: la misurazione della presenza che Ripellino chiamò «la Senza ginocchia, la figlia di Bruegel» [6]. Nel menzionato «foglietto» il professor Magro registra che il sostantivo che la designa, «con le sue varianti, anche aggettivali, tocca le 400 occorrenze» (vi si aggiungono «le voci del verbo morire nonché il contesto mortuario che fa da contorno»): le sparse membra prudenzialmente mostrate del ‘mostro’ ne confermano in pieno il peso (rivendicato nel Sonetto dell’andarsene per morte, se non nel Sonetto della bara con gli agganci…). Direttamente detta, o distesa nelle sue mutevoli sembianze (che di volta in volta la vogliono «idra», «dotta», «longanime», «cuciniera», «parlatorio di lapidi», «picchio di scalpi», «Funeral parlor», «corriere degli spasmi», «mezzadra marsupiale | Che ci ghermisce nelle trouvailles già della culla», «voz de suave perdiz», Colei che «negozia sue glabre | matite che simulano rossetti», che «schiude le sue uova», che «come pulce | arrotola la coda non a un cane | ma a un’aspide», che «reciterà il deserto», che «assevera | che patimmo sete per ardore di bévere»), la Signora del Nulla vi contagia si può dire ogni sillaba, alimentando una «fatua Expertise», un penitenziale sondaggio che si è tentati di ricondurre al gesto apotropaico della stessa parola poetica portata a esorcizzare, insieme alla devastatrice dei corpi, il rigor mortis del significato, a fare insomma di quel micidiale stilo un liberatorio stile: un immoderato modulo che, deferendo alle manomissioni joyciane, a esempi come L’esorcismo col riso di Chlebnikov e Preghiera della pietra di Holan, e alla tradizione del limerick (dai prestigiosi modelli di Edward Lear e Lewis Carrol alle felici varianti nostrane di Toti Scialoja e Fosco Maraini, alle farneticazioni liriche di Carmelo Bene [7]), conquista una sua davvero intoccabile cifra.

Appeso talora al ritardo dell’iperbato [8] o declinato in lemmi desueti [9] e in idiomi allotri [10], avvinto ad ardite apocopi e arbitrarie dieresi [11], il suo sciamanico scongiuro si foggerà sui neologismi [12], sui conglomerati da Finnegan’s Wake [13], sul rovescio di voci in tmesi [14], e soprattutto sui molteplici commerci della paronomasia che, mossi agli estremi della aequivocatio [15], privilegiano l’autarchia della ‘figura etimologica’ [16], sino al culmine di Esalessandro, dove l’iniziale, ambiguo «Es» germoglia in progressione (lungo le strofe di un sonetto bi-caudato) «Esal», «Esales», «Esalessan», e l’«Esalessandro» che realizza il titolo (ma vi rimbalzano anche una «lince lìncea» doppiata da «la lince è lìncea», un «unicorno a due corni», un «Esal esallevava», una «moschïera» vs. «moscaiole», un «di lecci il lecceto»).

copertina-gianmorte-violinistaAl tintinnio dei talismani onomastici presi a personaggi di tutte le epoche [17] e a luoghi dell’orbe terracqueo e oltremondano [18], questo variopinto corteggio retorico-verbale promuove un incantesimo chiamato a convertire la dantesca vita→morte nella chimerica morte→vita della lapide, nella marmorea incisione che surroga il delusorio vivere; alchimia che pare effusa nel distico iniziale del sonetto non a caso onorato di una doppia stampa: «Come respira quel campo di pietre | e che asfissia in quello dei girasoli». Ceriani ribadisce ancora una volta il pensiero sotteso alle Iscrizioni della sua raccolta germinale, che daranno targa al tratto conclusivo di Passaggio nella regione dei ghiacci. Allo stesso modo, diresti in un riepilogo testamentario, i versi «tossicchiando in un dialetto di Focide» e «dal filo a verbo d’Oreste il focese», «stella cometa sarà al memorìre» richiameranno rispettivamente i Frammenti nel dialetto della Focide posti alla fine di Sèver e Memoriré, «Giusmorte gita in inguine e non fica» alluderà a Gianmorte violinista, mentre, sempre in Passaggio nella regione dei ghiacci, la sezione Sollecitudini rinnoverà l’insegna delle recenti prose kafkiane (echeggiate, fin dal titolo, in Gregor, nel «volar da rondine | a recapitare all’imperatore | il tuo messaggio», e in quel «bolso che come Kafka | volteggia, pensate, sur un sol pattino | che svende vento d’acciaio in Kamciatka…»).

L’implacabile coerenza di un tal singolare itinerario (giustamente ricordata da Fabio Magro, nella ricordata sede, quale «pietra d’inciampo con cui in un modo o nell’altro è necessario fare i conti», «via stretta che può consegnarlo al futuro e alla storia», «avanguardia senza partito o manifesto, e dunque senza ideologia») spinge a valutarne con il dovuto riguardo l’alea, distribuita fra i fenomeni sommariamente descritti, la surrettizia sintassi che al primo incontro mi apparve «orchestra di congiunzioni che dissociano, di interrogative che asseriscono, di avversative che annettono» [19], e l’ipertrofia di un fraseggio ipotattico (spesso appesantito da torturanti filze di relative) che toglie il fiato: modalità che cospirano alla sistematica elusione di ogni orizzonte di senso, al nichilismo specchiato dalle «erme senza gesso», dal «flor sin tallo y olor sin raíz», da anti-farfalle sfuggite al retino di Nabokov e recluse in urne-sonetti dove il loro gridio risuona come l’euforico e disperato slang dei ragazzi della ‘strada sbarrata’ (la Dead End di William Wyler). Questo ‘clamore di fondo’ tradisce il voto di un esercizio che, ripudiando il mutismo della compulsazione ‘ambrosiana’, richiede il compimento vocale calamitato dai punti interrogativi (Fabio Magro ne registra 457) e, in misura minore, dalle esclamazioni, quasi in attesa di un carmelobene che ne restituisca, all’ultimo altoparlante, il balenio fonetico, l’infiammata balbuzie: per accedervi bisognerà rinunciare a ‘capire’, limitarsi a eseguirla come una partitura.

copertina-giovanni-e-stato-quiNel citato poscritto che accompagna L’estrazione della pietra decumana Jean Robaey dichiara di aver trascelto per questo quaderno ‘minerario’ «componimenti che “suonano”». Fabio Magro coglie a sua volta «la musica che scaturisce dall’organizzazione dei suoni e dei versi». Per la sua moderna temperie, la melopea di Ceriani rimanda al cosiddetto ‘atonalismo’ di Vladimír Holan, il poeta con il quale il poeta ha stabilito negli anni una rara simbiosi [20], ma contiene una sfida ancora più alta: la «cattedrale» evocata da Fabio Magro sembra agonisticamente guardare ai monumentali edifici bachiani, a un’‘arte della variazione’ moltiplicata in vertigine, trasferita da Goldberg e da Federico II [21] all’immensa platea dell’umanità sofferente e annichilata.

Anche nella ridotta scala in cui viene oggi offerto, il Colosso elevato da questo autentico «cittadino di tutta la storia, di tutto il sistema del linguaggio e della poesia» [22] non dà scelta. Hic Rhodus, hic salta. Devi solo chiudere gli occhi e lanciarti: sillabarne immemore i versi ‘senza uscita’; ripetere a rosario le misteriose emissioni di un orecchio assoluto e ultrasonico; delibare in deliquiosa delizia i virtuosismi di una cucina linguistica senza confronti nel panorama odierno (il maestrevole gusto che, via Gozzano, rima pulce con Sulce; ànne con Adanne, Uri con Dürer, Cipro con cribro, urna con Ulma, salgemma con Gerusalemme, Niklastrasse con asse, tempere con Cerere, Abele con mele, Norna con corna, Samo con ramo, Ade con strade, Rebecca con secca, Desdemona con dèmoni). Entrerai in un sortilegio dal quale non ti sarà facile evadere. Seguendo il suo bizzarro transito d’ombre, nel frastuono dei suoi amuleti acustici, potrai persino intravedere i lumi tutti terrestri, la quiete di angoli abitabili: sprazzi di relativa affabilità che mettono in forse la diceria dell’artiere catafratto nella sua stregonesca armatura, divorziato dal mondo.

Ecco allora, a sollevare l’aria, l’«elléno | sole che picchia bussando agli infissi», la «murata | di barche in fila come proboscidi», l’«aurora annegata | a lume d’alba», il «bosco inguantato in un secco smeraldo» (e sarà poi «smeraldino l’esantema del bosco»), la «Falce che leva lo scalpo del maggese», il «livido crepuscolo di Praga», i pascoliani «fringuelli che cercano la tegola | come erti pellegrini col bordone», il passo alla Davanti San Guido di questa quartina ‘incoativa’: «d’ogni stella che cagli al firmamento | reputandosi da sé a sé l’albina | ne strappai una senza un ménomo accento | seduta in trono in mezzo a una decina». Ecco le sapienziali sentenze a prova di proverbio (letteralmente trascritto nell’«equi donati dentes non inspiciuntur»): «sono felice che niente è felice | tranne il mantello che chiude la bara»; «di più pesa millimetrata la asta | di bilancia che la bilancia stessa»; «e come Colombo cerchiamo terra | ma com’arca fatua imbarchiamo acqua»; «Ci depongono nella paglia fresca | alla nascita; in morte nella fradicia!». Ecco le uscite ‘narrative’, che contemplano il siparietto astronomico («io – dice il sole – per voi tutti vissi | muovendo i passi dal mio al vostro seno | e io – dice Copernico – io ti rescissi»), il cabaret rococò dello scheletro alla tastiera («e pizzichi, o tu mesta, i clavicembali | se rumorosamente con il naso | fiuti una presa di tabacco e tempri, | Morte, conciliandoli, il nulla e il caso?»), l’‘imitazione’ shakespeariana («s’escluse in vitro aquarum dal ruscello || amletaffè ma avvinta al proprio salcio | che il giureconsulto alle vegetate | piante misconosce per un tuo avello | Ofeglia che alla Morte tua s’immeglia»), l’epica gargantuesca dei «Soldati d’inverno querci dal membro | paragonabile a quello di Urano», fino al tassello che sembra inaugurare un vero e proprio racconto: «La vittima scivolava giù dalla ripida stradina verso il semicerchio della piazza anch’essa ripida, pallidamente rischiarata dal marmo del duomo in basso».

copertina-passaggio-nella-regione-dei-ghiacciMa queste inattese chiarie, queste oasi ‘euclidee’ restano illusioni ottiche, gibigiane di uno scenario in trompe-l’œil, false tregue di un discorso a vocazione ossimorica, che prende anima dal suo smentirsi, esaudito in logogrifo e filastrocca: «Un luì ci fu che bruciò il bosco tutto | se l’attraversava a lampi il solfito | d’una spingarda dall’osso a prosciutto | come dal calcio la nomammo apparita? | E ci furono alberi che a Xanadu | per lo spavento non apparvero più…». L’incendio appiccato dall’uccellino che rinvia allo scricciolo in saio della silloge accolta da Scheiwiller sarà il simbolo di una scrittura-autodafé, consacrata al proprio rogo. Vittima e inquisitore, prete-funambolo sempre sul punto di soccombervi, il suo amanuense continua a officiarne il martirio come se ogni linea fosse l’ultima, risorgendo ogni volta dalla sua petite mort con il giubilo del condannato che abbia avuto l’ennesima proroga. E, di azzardo in azzardo, quasi «scrosci di risa buttando sul ghiaccio del rischio» [23], il disumano, o troppo umano, celebrante riesce a parlarci: i suoi tortuosi dilemmi investono il radicale, bressoniano [24] sconforto che il dominio della comunicazione ‘patinata’ ci induce a rimuovere. Ma non serve parlarne: ti ridurrà al silenzio. E non puoi giudicarlo: è fuori da ogni giurisdizione. Poeta sovrano o madido mentecatto, verme di terra o sfingea acherontia, masticherà il suo più veemente vehme. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Testimoniata, oltre il prosimetro dell’esordio (Iscrizioni, nel Quaderno Collettivo di Poesia Uno, Guanda, 1980), da Fergana (Amadeus, 1987), Sèver (Marsilio, 1995), Lo scricciolo penitente (Scheiwiller, 2002), Memoriré (Lavieri, 2010), Gianmorte violinista (Stampa, 2014), Gipsoludi (Associazione culturale La Luna, 2016).
[2] Vd. la postfazione di Jean Robaey (Un gesto disperato).
[3] Vd. la postfazione di Jean Robaey (Elogio del sonetto).
[4] Quella del sonetto «Come respira quel campo di pietre», presente in Giovanni è stato qui? e in Passaggio nella regione dei ghiacci.
[5] Jean Robaey (Un gesto disperato, cit.) parla di «550 sonetti che compongono le prime undici Decurie». Fabio Magro (cit.), discorrendo dei «seicento testi in massima parte sonetti», precisa: «solo l’ultima sezione, Decuria delle ceneri o la dodicesima, è più varia sul piano formale con testi più brevi e liberi e qualche prosa» (Passaggio nella regione dei ghiacci, tratto, come si è visto, da quest’ultimo segmento, presenta frazioni di versi ‘aperti’ e prose poetiche).
[6] Nella chiusa della poesia n. 6 della Fortezza d’Alvernia.
[7] Quelle racchiuse nel plurilingue ‘poema’ ’l mal de’ fiori (Milano, Bompiani, 2000).
[8] Vd. «quel tuo a osso di prosciutto moschetto»; «d’una a man salva permanenza apostata»; «immortali a piè del botro | corpi»; «adamantina cumque, | Morte, tua punta»; «ha risolto | su pattini che rasoiano || il filo della pista enigmi»; «del tuo estrema tossicità salgemma».
[9] Vd. asciolvere, spedica, èbbimo, aulendo, eligendo, crimenlese, amento, molce, convellere, quatriduano, semicupio, ploro, esvalia, niuno, oriuolo, suravanza, cerebro, cervogia, cribro, iscacco, gerlo, guiderdone, diconmi, illuvie, suso, bévere.
[10] Con lacerti in spagnolo, francese, ceco, lombardo, inglese: un contrabbando che nelle quartine di Před sebevraždou (Prima del suicidio) spaccia, nell’ordine, un titolo boemo, una citazione dal surrealista René Crevel e movenze padane.
[11] Vd. «ernïa», «fläuto», «cäuto», «moschïera», «imperïale», «verzïeri», «cimïeri», «scïente», «ascensïone», «annëe», «cupressacëe».
[12] Vd. «ipocorica», «carpiatore», «dodorno», «invantante», «imeniure», «s’immisura», «paglia bestiaccina».
[13] Vd. «anzivirgilianamente», «mordoremì», «lasinellaalloboeeilbuedaffläuto», «stallabbetlemmecarcereccäuto», «danielverzïere», «arnodaniello», «Giusmorte», «daniellarnaudo», «verzierarnòdanïelverbaggine», «verzierarnaut», «Danteshakespeare», «ininverno e in anautunno», amletaffé», «gregorsamsizzato», «gerosolomiriamo», «gerosolomitiamo».
[14] Vd. «E | quinozio», «orna | mento», «ua | di», «pro | fano», «bro | lo», «uro | gallo».
[15] Vd. «ma che poi èlleno assentan all’elléno»; «con silla turca seduto alla turca»; «al fil della scure | dal filo a verbo».
[16] Vd. «killeraggio che fa al killer gola», «boschivi che radono le sfere | dei boschi», «Maculato che abbia macula», «l’amandier en son amande», e così via.
[17] Eschilo, Copernico, Dante, Petrarca, Laocoonte, Brenno, Lazzaro, Cerere, Eva, Adanne, Caino, Abele, Keats, Mozart, Bucefalo, Pegaso, Urano, Agamennone, Bořivoj Přemyslide, Norna, Patroclo, Achille, Giuditta, Oloferne, Ulisse, Cesare, Rachele, Rebecca, Giuda, Abramo, Socrate, Colombo, Ester, Adanne, Otello, Prometeo, Dürer, Ario, Luciano d’Antiochia, Lucifero, Dante, Shakespeare, Cristo, Caronte, Macbeth, Bruto, Dürer, Amleto, Gregor [Samsa], Clitemnestra, Carneade, Kafka, Elia, Urano, Oreste, Vulcano, Socrate, Paolo di Tarso, Girolamo, Giuliano l’apostata, Desdemona, Catone Uticense e Censore, Crevel, Bergotte, Vermeer, Flaubert, San Francesco, Oreste, Pilade, Pilato, Anna, Caifa.
[18] Lete, Ulan Bator, Birnam, monte Ventoso, Monpurgatorio, Ponto, India, Atene, Samo, Ade, Egitto, Somalia, Orsa, Sulce, Carpazi, Uri, Egitto, Cipro, Lete, Ulma, Calvario, Golgota, Gerusalemme, Montecranio, Macedonia, Grecia, Liège, Cerveteri, Ortigia, Kamciatka, Altstaadt, Samaria, Barga, Damasco, Gerusalemme, Argo, Corinto, Sagunto, Efeso, Xanadu, Acropoli, Tatra.
[19] Vd. la mia recensione (anepigrafa) a Lo scricciolo penitente (in Poesia 2002-2003, Annuario a cura di Giorgio Manacorda, Roma, Cooper & Castelvecchi, 2003: 329-330).
[20] Vd. le consonanti versioni depositate nei volumi Il poeta murato (Fondo Pier Paolo Pasolini, 1991), A tutto silenzio (Mondadori, 2005), Tempo di mutezza (Istmi, 2008), Addio? (Arcipelago, 2014).
[21] Dedicatario dell’Offerta musicale (Musicalisches Opfer), costruita su un suo tema.
[22] Così Mandel’štam definisce Chlebnikov. Vd. Osip Mande’štam, Il programma del pane. Come lievita la poesia, a cura di Lia Tosi, Milano, Jouvence («Eupalinos»), 2021: 73.
[23] Vd. Angelo Maria Ripellino, Piccolo circo, in Poesie prime e ultime, a cura di Federico Lenzi, e Antonio Pane, presentazione di Claudio Vela, introduzione di Alessandro Fo, Torino, Nino Aragno Editore («Biblioteca Aragno»), 2006: 81.
[24] Penso, in particolare, a Mouchette, e al corpo che, nell’epilogo, rotola al suo ineluttabile destino.

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Antonio Pane, dottore di ricerca e studioso di letteratura italiana contemporanea, ha curato la pubblicazione di scritti inediti o rari di Angelo Maria Ripellino, Antonio Pizzuto, Angelo Fiore, Lucio Piccolo, Salvatore Spinelli, Simone Ciani, Giacomo Debenedetti, autori cui ha anche dedicato vari saggi: quelli su Pizzuto, sono parzialmente raccolti in Il leggibile Pizzuto (Polistampa, 1999). Ha, inoltre, dato alle stampe le raccolte poetiche Rime (1985), Petrarchista penultimo (1986), Dei verdi giardini d’infanzia (2001). Fra i suoi lavori più recenti, i commenti integrali a Testamento e Sinfonia di Antonio Pizzuto (Polistampa, 2009 e 2012), i saggi Notizie dal carteggio Ripellino-Einaudi (1945-1977) (in «Annali di Studi Umanistici», 7, 2019), Bibliografia degli scritti di Angelo Maria Ripellino (in «Russica Romana», xxvii, 2020), Per Simone Ciani: un ricordo nel giorno della laurea (in «Annali di Studi Umanistici», IX, 2021) e la cura di volumi di Angelo Maria Ripellino (Lettere e schede editoriali (1954-1977), Einaudi, 2018; Iridescenze. Note e recensioni letterarie (1941-1976), Aragno, 2020; Fantocci di legno e di suono, Aragno, 2021; L’arte della prefazione, Pacini, 2022) e di Antonio Pizzuto (Sullo scetticismo di Hume, Palermo University Press, 2020).

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