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Difficili paesaggi
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2023 @ 02:45 In Cultura,Società | No Comments
CIP
di Pietro Clemente
Un lutto comune
Alberto Magnaghi, architetto urbanista fondatore della prospettiva territorialista e della Società dei Territorialisti e delle Territorialiste, è morto lo scorso settembre. Ha lasciato una grande opera fatta di progetti operativi e di azioni pratiche in giro per l’Italia. I suoi ultimi sforzi si erano concentrati sul raggiungimento di una coralità multidisciplinare sui temi ‘ecoevolutivi’ Riporto qui di seguito la sua richiesta di un mio contributo scritto per gli Atti del Convegno dal titolo Ecoterritorialismo. Aveva voluto che a questo Convegno aderissero e collaborassero i Dottorati di più settori di studi e ricerche:
Mi chiedeva un intervento su “Gli approcci antropologici nella ridefinizione del ruolo delle culture locali nell’eco-territorialismo”. Un intervento che, durante il Convegno, ho tentato di svolgere a voce ma che non sono poi riuscito a far diventare testo, anche perché non ero e non sono in grado di costruire una prospettiva così sistematica. Spero di riuscire a scriverlo prima o poi e di dedicarlo a lui.
In questo numero de Il centro in periferia sono stati raccolti tre ricordi su di lui (Pazzagli, Tarpino, Mininni). La sua morte è un grave lutto per i nostri impegni terrestri ma anche per il nostro mondo di sentimenti fatto di amicizia e di ammirazione. Tutti ricordano il suo sorriso. La sofferenza piena di dignità per gli anni passati ingiustamente in carcere preventivo a causa di una imputazione da cui, in seguito, fu assolto. La consapevolezza della malattia ma la forza di controllarla e renderla secondaria nella sua vita con l’azione intellettuale e sociale.
Nella consapevolezza della minaccia per la sua vita oltre che delle minacce che gravano sul nostro mondo, ha lasciato il grande testamento che è il suo volume Il principio territoriale. Ne citiamo la premessa che è anche uno sguardo sulla propria vita, un bilancio poetico, il disegno di un orizzonte pieno di memoria del passato e di dolore per presente. Ascoltiamolo:
Nel Centro in periferia n. 63 avevamo aperto un dibattito a partire dagli Atti del Convegno su Ecoterritorialismo a cura di Alberto Magnaghi e Ottavio Marzocca (Firenze University Press, 2023). Filippo Barbera e Letizia Bindi hanno avviato una discussione sui temi che sono al centro del libro, una discussione che avrebbe necessitato della risposta di Alberto Magnaghi. Una risposta che ormai non ci sarà. Per “lui” e in sua memoria cercheremo di continuare quel dibattito con il contributo di altre voci. Per ora ci inchiniamo alla ‘maestà della morte’ protestando dentro di noi con ‘sora nostra morte corporale’ per avercelo sottratto. E lo salutiamo ringraziandolo della chiarezza, della passione, del coinvolgimento che la sua ‘utopia concreta’ piena di futuro ha creato in un vasto campo di studi e di impegni civili.
Ripubblichiamo in suo onore un articolo che aveva proposto per “Dialoghi Mediterranei”, Alzare lo sguardo, poi sorvolare, o guardare a terra?, testo già pubblicato nel n. 28 della rivista, novembre 2017. Ricordarlo oggi in un mondo di guerre in cui la morte si è moltiplicata fino a produrre indifferenza nei paesi del benessere e della distanza è anche dar senso alla sua vita di lotta. E «di speranza per la bellezza futura del mondo».
Quello che Magnaghi ha chiamato lo sfarinamento dei luoghi domina purtroppo il nuovo quadro statistico. Su La lettura (1 ottobre 2023: 18-19) lo studioso di statistica Roberto Volpi ha mostrato in uno scritto dal titolo L’Italia sguarnita che, a parte le Alpi, il processo di rarefazione demografica delle periferie, che ottimisticamente pensavamo invertito, si è invece accentuato. Mi ero proposto di sfidare le tendenze individuate dagli specialisti della statistica e di mostrare che le loro previsioni non erano così catastrofiche. Ma a questo punto conviene fermarsi, come in una delle tappe dell’umanità rarefatta e dolente del libro La Strada di Cormack Mc Carthy, e riflettere, raccogliendo le forze. Non sono solo le periferie ad essere in pericolo ma anche una grande percentuale di giovani.
In questo scenario la Sardegna si situa in una drammatica e anticipata conferma della tendenza statistica. La stampa locale ne dà spesso conto come se fosse un inevitabile destino. Il paradosso che ne scaturisce è la visione di una terra spopolata e con bassissimi indici di fecondità ma fortemente ostile all’arrivo di migranti. Del resto gli stessi migranti, approdati nell’isola, non ci vogliono restare e si sentono lontani dalle capitali europee che avevano sognato. Nel volumetto Lento pede. Vivere nell’Italia estrema Domenico Cersosimo e Sabina Licursi, danno un quadro drammatico degli scenari nazionali con un affondo su alcune aree SNAI della Calabria. Il filo conduttore del libro (vedi qui la sintesi dei due autori) è ‘abitare la rarefazione’, una sorta di approccio realistico e non catastrofico alla vita ai limiti delle potenzialità delle zone interne. In un testo tratto da Facebook dialogano Vito Teti e Vincenzo Santoro. Ai confini dello sconforto danno conto dei dati costanti sulle restanze e sui ritorni e sui lutti che si registrano nella scena sociale dei luoghi.
Eppure salgo i boschi
Avevo trovato tracce della resistenza della vita in Composita solvantur di Franco Fortini anziano, poesie iscritte indelebilmente nella mia memoria. Anche contro l’evidenza del cambiamento, delle minacce, della perdita. A questo proposito mi torna ora in mente un breve testo che Fortini ci donò per il Museo del bosco inaugurato a Sovicille (Siena) nel 1993:
Eppure salgo i boschi … scriveva il poeta dopo avere parlato dei boschi della sua vita e dei cambiamenti che li hanno trasformati. E io scrivendo dei piccoli paesi, della crisi demografica in un mondo in fiamme ho sentito quell’EPPURE come una doverosa resistenza della vita alla paralisi agghiacciante delle armi e delle morti, delle guerre sempre presenti nelle preghiere di Papa Francesco. EPPURE ricordo gli amici e i maestri morti, le battaglie per sopravvivere anche lontano dalle guerre. EPPURE continuiamo a progettare intorno a idee e speranze di futuro, a utopie concrete come quella di Alberto Magnaghi. Mi è capitato di dirlo concludendo i lavori di un convegno dal titolo Ci sono case che sono musei, ci sono musei che sono case, promosso dal Museo Guatelli di Ozzano Taro e dal suo direttore Mario Turci. Dopo due giornate in cui si è parlato di musei antropologici, di case museo, di leggi regionali, di nuove missioni per le realtà museali, mi sono reso conto che discutevamo di tutto questo mentre le bombe cadevano su Gaza, mentre il doloroso pellegrinaggio dei profughi veniva minacciato dalla fame e dalla sete, mentre gli israeliani sospendevano il respiro per la sorte dei loro cari presi in ostaggio, ancora scioccati dalle stragi di civili innocenti. E questo ancora mentre la guerra prodotta dall’invasione russa dell’Ucraina già sembra dimenticata o ridotta a male secondario e mentre l’Europa che è ormai ai margini della terra, periferica, continua a immaginarsi come un centro vantando le sue antiche origini (i greci, i romani, la civiltà occidentale). Nonostante tutto questo abbiamo continuato a parlare – dal piccolo paese di Ozzano Taro – di riabitare i margini, di organizzare convegni, di dare una nuova finalità ai musei. É la resistenza della vita, la speranza che nel mondo in guerra le piccole azioni positive non perdano senso ma siano il modo di combattere il mondo guerresco con la forza della vita quotidiana, del lavoro per riconquistare spazi umanizzati, sottratti alla degenerazione della natura propria dell’antropocene, separati dalla tragedia ecologica e bellica. Eppure salgo i boschi, eppure continuo a curare il CIP, continuo a credere nella possibilità di una prospettiva di vita diversa.
Sono stato a Lucignano in Val di Chiana a curiosare sullo svolgimento di un incontro nazionale dei ‘borghi più belli d’Italia’, promosso dalla omonima Associazione. Abbiamo condannato sulle nostre pagine ‘ i borghi’, sia come parola scelta dal Ministero per un bando PNRR, sia come parola che allude a una medievalizzazione estetica dei paesi, una parola da élites che guardano benevole al mondo delle ex campagne contadine. Ho avuto l’impressione che siamo stati troppo severi con quei paesi che si autodefiniscono ‘borghi’. É pur vero che i borghi più belli rischiano la pura retorica autocelebrativa, prendendo parte a classifiche e a campionati, reclamando l’autodefinizione di bellezza, di autenticità e quant’altro (ci sono più associazioni di borghi: i borghi autentici, quelli della salute, quelli della bandiera arancione, etc.) ma ‘visti da vicino’ sono protagonisti sia di regole comuni ispirate al rispetto del territorio e alla sostenibilità, sia di uno spirito festivo che si traduce in musica, costumi d’epoca, bancarelle di gastronomia. Gente che si muove da varie parti d’Italia anche con spirito di sacrificio per promuovere il proprio ‘borgo’ o per incontrare gli altri ‘borghi’. Non c’è molto di originale in una festa come quella dell’incontro nazionale a Lucignano. C’è solo gente che si dà da fare e tanti giovani a fare da protagonisti. Discorsi di Sindaci e Presidenti di regioni, tutte cose che si possono considerare di basso profilo e scarsa originalità, ma che sono comunque attività della società civile sulle quali non è giusto esercitare un giudizio estetico. Per i golosi come me è stata anche un’occasione per fare piccoli assaggi di dolci calabresi, sardi, umbri e comprare cibo da portare a casa.
Una conversazione per piccoli luoghi e temi
Per la forza di questo ‘EPPURE’ mi fa piacere accogliere in queste pagine il testo di Viviana Massai che racconta con curiosità e passione un museo e una storia di vita. Marco Audisio, Alessandro Barabino, Tamara Garino e Olga Scarsi, nel quadro della collaborazione con la Rete degli Ecomusei piemontesi, ci raccontano ormai da molti numeri la vitalità della loro attiva presenza sul territorio, esemplare nello scenario di una museografia aperta alle comunità, allo sviluppo sostenibile e alla partecipazione. Dalla Corsica Corradino Seddaiu fa arrivare sempre idee e ricerche originali: qui un collettivo di architetti-artigiani i cui progetti si ispirano ai saperi tradizionali. E sono lieto di pubblicare il testo di Benedetto Meloni e Francesca Uleri che hanno stabilito una preziosa e costante collaborazione con Il centro in periferia sia con il continuo confronto con le buone pratiche (che vengono spesso dall’osservatorio della Summer School di sviluppo locale Sebastiano Brusco di Seneghe-Oristano), sia per la lunga esperienza di progettazione in campo agricolo e pastorale. In questo scritto è il pastoralismo ad essere al centro. Già in numeri precedenti è stato segnalato il forte ritorno da parte dei giovani all’allevamento ovino in una prospettiva ecosostenibile. Gli autori ci collocano in uno scenario legato al riconoscimento Unesco della transumanza come “patrimonio culturale immateriale dell’umanità”, su proposta di Italia, Austria e Grecia. Le Nazioni Unite hanno inoltre dichiarato il 2026 come anno internazionale dei pascoli e dei pastori. Eppure, verrebbe da dire, ci sono comunque proposte, entusiasmi, iniziative: il mondo non è solo pieno di guerra. E forse se nel mondo desolato rarefatto e sfarinato, un padre e un figlio, i protagonisti de La strada di McCarthy, in marcia solitaria sulle rovine della terra, avessero avuto un piccolo gregge o anche solo una pecora, il loro destino sarebbe stato diverso.
Proprio perché ogni numero del Centro in periferia mette in scena qualche dono di passione e di impegno, mostrando attività di cura (I care) del mondo naturale e della vita sociale possiamo ancora andare avanti, illuderci e nutrire speranze.
Per questo anche io ringraziare desidero con Mariangela Gualtieri tutti coloro che collaborano perché mostrano nei loro racconti un mondo faticoso ma pieno di attività positive, e per questo vivibile e ricco: questo mi spinge a vedere con la Gualtieri un “Bello mondo” nonostante tutto.
(vi chiedo di trovare il testo intero e leggere tutti i versi).
Così voglio chiudere con la sorpresa di avere incontrato per posta elettronica una impresa di volontariato: la Biblioteca diocesana Tommaso d’Aquino di Piedimonte Matese, una impresa culturale imprevista (ringraziare desidero per quante cose generose e impreviste ci sono nel mondo) che ha voluto partecipare – da una periferia che si è fatta centro – alle tematiche ‘nostre’ delle aree interne e della montagna proponendosi «di realizzare 10 podcast dal titolo Spaesati – storie di ordinaria ruralità sui temi che gravitano attorno a ruralità, conversione ecologica, aree interne».
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