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Desertificazione demografica dell’Italia

Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2018 @ 00:03 In Cultura,Società | No Comments

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Sardegna, da Gianluca Vassallo, La città invisibile (ph. Galeazzi)

di Giancarlo Macchi Jànica

Nel 2011, Sabbia, piccolo comune piemontese vicino al confine con la Svizzera contava una popolazione di 57 abitanti. Sempre nello stesso anno, il 49% della popolazione censita era anziana o composta da ultrasessantacinquenni; parallelamente una sola persona era stata censita con 14 anni o meno. Si tratta di cifre che portano “l’indice di vecchiaia” di questo comune a raggiungere il sorprendente valore di 2300. La densità della popolazione è sotto 3,8 persone per chilometro quadrato. Infine, a delineare il drammatico quadro di questa piccola comunità, va ricordato che tra il 1991 e il 2011, Sabbia ha perso il 57,4% della sua popolazione.

Questi dati possono fare apparire Sabbia come un caso raro adatto a qualche trafiletto giornalistico domenicale. Gran parte dell’attenzione relativa al tema della trasformazione demografica del territorio è stata incentrata su problematiche generate dalla crescita urbana così come sulle molteplici sfide che si verificano a livello sociale ed economico dalla crescita delle città. Credo sia comunque rilevante dedicare una parte del nostro interesse ai processi negativi (qui intesi come spopolamento) che investono le aree rurali e comprendere quanto frequente e diffuso sia il processo di abbandono demografico fra gli 8092 comuni che compongono il Paese. Come verrà illustrato nelle prossime pagine,diverrà sempre più una priorità comprendere l’impatto che il declino cronico della popolazione avrà nel futuro della società italiana.

Sabbia, in provincia di Vercelli.

Sabbia, in provincia di Vercelli

Introduzione

Il ventennio che separa il 1991 dal 2011 portò cambiamenti molto importanti che ebbero un impatto significativo per la società italiana e di conseguenza anche per il suo sviluppo demografico. Ad una scala globale, il periodo sotto esame si aprì con una fase di transizione che iniziò con la caduta del muro di Berlino nel 1989  e si concluse con gli eventi successivi al tentato colpo di Stato in Unione Sovietica del 1991 con l’obiettivo deporre il presidente Michail Gorbaciov.

La fine dell’influenza politica dell’Unione Sovietica e la conseguente disintegrazione della cortina di ferro, così come la fine della guerra fredda, saranno fra le cause di un intenso e sconosciuto processo di migrazione dall’Europa Orientale che avrà un pesante effetto in molti Paesi europei tra i quali anche l’Italia. La firma del Trattato di Mastricht nel 1992 siglerà l’inizio di uno dei passaggi più importanti per la formazione della Comunità Europea. Infatti, il trattato dettava fra le altre, anche le regole e il percorso per l’adozione della futura moneta che inizierà a circolare a partire dal 1 Gennaio 2002. La nuova moneta sarà responsabile di una complessa fase di adattamento e riequilibrio di alcune economie europee, tra le quali quella italiana. Saranno proprio queste difficoltà ad accentuare la crisi economica che ha caratterizzato questo periodo. A sua volta, quest’ultima potrà essere elencata fra le principali cause delle sempre maggiori difficoltà che i giovani sperimentano nel dare forma a nuovi nuclei familiari (Miccoli, Biscione, 2015: 23-26).

A livello nazionale, sempre in questa fase storica, gli italiani sono stati testimoni di “Tangentopoli”, la fine del vecchio sistema partitico e l’inizio della cosiddetta “Seconda Repubblica”. Si tratta di una serie di processi ed eventi che caratterizzeranno una fase di grande instabilità politica resa ancora più difficile dalla recrudescenza del conflitto Stato-Mafia. È evidente che si tratta di cambiamenti che hanno aggravato le condizioni e reso più difficile il clima economico nel quale le famiglie devono vivere, così come una delle cause che determineranno una dilatazione crescente delle disparità tra nord e sud del Paese (Baldi, Cagiano de Azevedo, 2005: 93).

A prescindere da questi importanti mutamenti e la complessità del momento storico, da un punto di vista demografico, questo ventennio si qualifica come una fase di grande stabilità. Secondo i censimenti ISTAT, la popolazione in Italia tra il 1991 e il 2011 è cresciuta del 4,6%; per essere più precisi, in questo ventennio, il tasso di crescita della popolazione è salito dello 0,00233 annuo. Tuttavia, se si guarda con attenzione alla composizione statistica dei dati di sintesi si scoprono anche altre trasformazioni rilevanti. Ad esempio, le nascite fra cittadini italiani iniziano a calare a partire dal 2002 (Gessano, Strozza 2011). In questo intervallo la stabilità demografica è stata frutto dei flussi migratori provenienti dai bacini del Mediterraneo e dall’Est Europa (Blangiardo 2013: 9-11) e, a tal proposito, i dati ISTAT mostrano come nel 1991 i residenti stranieri regolarizzati fossero 356.159 (ISTAT 2006). Questa cifra sale a poco più di 4 milioni nel 2011. L’attesa è che nei prossimi decenni la popolazione italiana cresca (o si mantenga) esclusivamente come effetto dei flussi migratori (Gesano, Strozza, 2011).

Questo articolo illustra alcuni dei risultati di uno studio condotto dal Laboratorio di Geografia dell’Università di Siena che ha come obiettivo principale quello di misurare nell’intervallo 1991-2011 il declino demografico nelle aree rurali italiane mettendo in evidenza le differenziazioni e le distinzioni a livello geografico. La conclusione generale alla quale questo studio è giunto è che la grande variazione e trasformazione della popolazione a livello rurale è caratterizzata anche da una perdita critica e problematica della popolazione residente.

Per essere più precisi, questo studio ha messo in evidenza come lo spopolamento cronico coinvolga il 14% dei comuni italiani, equivalenti al 19,1% della superficie del territorio nazionale. Per rappresentare e sintetizzare questo fenomeno, nel corso delle prossime pagine si farà uso del concetto di “desertificazione demografica”. Questa definizione cerca di sintetizzare quelli che appaiono come i due tratti distintivi di questo processo. Da una parte, nelle aree geografiche interessate si registra da una parte un crollo importante del numero di abitanti, dall’altra un invecchiamento consistente della popolazione. Questa doppia azione determina per queste aree un declino demografico che appare inarrestabile e che potrebbe culminare presumibilmente nella fine stessa delle comunità.

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Sardegna, da Gianluca Vassallo, La città invisibile (ph. Galeazzi)

Uno dei fattori che sembrano maggiormente condizionare questa decrescita pare essere la progressiva assenza e soppressione di servizi essenziali (vedi educazione, commercio, sanità, servizi vari come ad esempio gli uffici postali o i rifornimenti di carburante, ecc.) (Macchi Jánica, 2015). In ogni caso, l’uso del concetto di “fine della comunità” non fa riferimento alla dissoluzione definitiva a livello materiale (ovvero una popolazione di 0 abitanti), quanto al verificarsi di una serie di condizioni tali da non permettere lo sviluppo di una serie di funzioni fisiologiche minime tipiche delle comunità stesse. Si tratta di attività essenziali che possono essere il mantenimento di una rete sociale benché ridottissima, il corretto allevamento della prole, la capacità di crescita economica e di fare impresa ovvero,a livello antropologico, l’incapacità di trasmettere alle nuove generazioni una solida eredità e una tradizione locale.

Nella letteratura scientifica italiana, per molte scienze sociali, l’invecchiamento della popolazione è stato uno dei temi più approfonditi (Altavilla, Galizia, Mazza, 2012). La ragione principale di questa attenzione è l’impatto che l’invecchiamento ha sulla sostenibilità del sistema pensionistico (Bongaarts, 2004: 2-4) e sul peso sul sistema sanitario nazionale (Mechanic, Rochfort, 1996: 243-244). In ogni caso, uno studio più approfondito sulle fluttuazioni demografiche a livello rurale rappresenta un requisito importante, non tanto per fattori generazionali e di organizzazione della società, quanto per la corretta pianificazione del territorio e del paesaggio. Alla luce dei risultati di questa ricerca, Sabbia non risulta un’eccezione ma sta diventando rapidamente un fenomeno sempre più frequente nell’ampio e vario panorama rurale italiano.

L’obiettivo di questo studio è quello di analizzare la presenza di un pattern trans-regionale in grado di descrivere il processo di declino nel territorio italiano. Parallelamente, l’indagine proposta mira a valutare se esistano fattori associati al processo di desertificazione demografica.

È possibile determinare e contestualmente identificare quali siano gli indicatori di cause e conseguenze del fenomeno di tardo abbandono delle campagne? Il processo di desertificazione demografica è più frequente in certe regioni che non in altre? Quali sono le differenze tra i deserti demografici e altre aree non investite da questo fenomeno?

È innegabile che, in un futuro prossimo, lo spopolamento definitivo di ampie porzioni delle aree rurali rappresenterà un problema significativo per la società italiana. Un declino demografico di tale portata e così polarizzato a livello geografico rappresenta un processo sostanzialmente sconosciuto. La storia di questa nazione è la storia delle sue comunità che dalle sue origini nei secoli centrali del Medioevo fino alla seconda metà del XX secolo hanno mantenuto una vitalità ininterrotta. Dalla nascita della società comunale alla fine del XX secolo, l’Italia si è evoluta ed è cresciuta anche grazie all’equilibrio delle sue comunità disseminate dalle Alpi fino alle coste meridionali della Sicilia. I comuni moderni non rappresentano perciò solo delle unità amministrative a livello istituzionale, ma anche lo sviluppo vivente di comunità medievali, oltre a costituire un legame forte tra società e paesaggio. L’abbandono e la conseguente incuria di queste aree rurali determineranno nel tempo non solo la fine di alcuni paesaggi storici, ma anche una difficile sfida per la società italiana nel suo complesso. Infatti, le attività economiche ed agricole nelle aree interessate rappresentano un importante regolatore e un sistema di equilibrio per il territorio, e ciò ancora di più per un territorio con una orografia complessa e articolata come quella italiana. Non a caso, l’abbandono di ampie porzioni del mondo rurale è stato, da più studiosi, identificato e suggerito come una delle cause principali delle calamità naturali collegate all’instabilità e al collasso idrogeologico della Penisola (Cevasco, 2012; Pileggi, 2008; Gambino, 2007).

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Sardegna, da Gianluca Vassallo, La città invisibile (ph. Galeazzi)

Lo studio presentato in queste pagine può essere descritto come un’analisi GIS dei cambiamenti demografici a livello comunale tra il 1991 e il 2011 relativa all’intero territorio italiano. Le principali sorgenti per l’analisi sono state il XIII (1991) e il XV (2011) censimento ISTAT (ISTAT, 2012; ISTAT, 1992). Un grande vantaggio è stato la possibilità di acquisire le banche dati in questione direttamente in formato digitale attraverso il data-warehouse dell’ISTAT.

La prima fase di questa analisi è consistita nell’esplorazione statistica dei due censimenti sotto esame. Un fattore positivo si è riscontrato nella sostanziale stabilità della struttura della banca dati nell’intervallo 1991-2011. L’architettura e il modello dei dati delle due fonti sono equivalenti e le classi di età utilizzate negli archivi dei due censimenti sono identiche. Grazie a questo sono state possibili un’analisi diretta oltre a una normalizzazione e preparazione rapida dei dati. Nonostante ciò, la nascita di nuove province nel 1992 ha determinato la necessità di rielaborare i codici identificativi ISTAT per potere incrociare i dati relativi ai due momenti storici. Una lunga e articolata attività di armonizzazione dei numeri di ID sulla piattaforma GIS è stata necessaria prima di iniziare il lavoro di analisi. In questo modo è stato possibile fondere i dati provenienti dalle due raccolte in un’unica tabella.

In considerazione dell’estensione dell’area di studio equivalente all’intero territorio nazionale (301.788 chilometri quadri) e della superficie media per ogni comune (37,3 chilometri quadri), si sono escluse le sezioni di censimento come unità di analisi e si è optato per l’utilizzo dei confini comunali come scala di riferimento. Nel periodo sotto esame si è verificata anche una riduzione del numero dei municipi che sono passati da 8100 del 1991 a 8092 nel 2011. Nonostante la conseguente variazione dei confini fosse piccola (<0,1%), parte delle attività di preparazione dei dati ha previsto la costruzione di uno schema di analisi che garantisse la massima precisione nel confronto. Per questo motivo, un’analisi “di interpolazione delle aree” (Opensaw, 1984) è stata condotta fra i confini comunali del 1991 e del 2011. Una volta ultimata la costruzione di un piano cartografico interpolato per i confini comunali, è stato calcolato un gruppo di variabili che ha dato vita a una nuova tabella congiunta con i dati incrociati per l’intervallo sotto esame è composta dalle seguenti variabili: 

Pipopolazione comuni nel 1991;
Ripopolazione comuni nel 2011;
Didensità della popolazione nel 2011;
Mivariazione della popolazione tra 1991 e 2011;
Cipercentuale di variazione tra 1991 e 2011 ((Ri-Pi)×100)/Pi
Gigiovani(≤ 14 anni) nel 1991;
Higiovani (≤ 14 anni) nel 2011;
Yianziani (≥ 65 anni) nel 1991;
Zianziani (≥ 65 anni) nel 2011;
Ai indice di vecchiaia nel 2011 (Zi / Hi )×100 2011;

Queste variabili sono successivamente state rappresentate in ArcMap 10.1 come cartogramma a mosaico. Una serie di cartogrammi bivariati sono stati realizzati per esplorare e valutare il livello di correlazione fra variabili (Carstensen, 1986). Successivamente, i coefficienti di Pearson sono stati impiegati per valutare l’indice di correlazione. Sulla base delle analisi quantitative e sulla matrice di correlazione delle variabili, è stata eseguita un’analisi di auto-correlazione spaziale su gruppi di variabili.

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Fig. 1 – Rappresentazione dei valori dell’indice di desertificazione dei comuni italiani per l’intervallo 1991-2011

Sulla base delle informazioni raccolte è stato ideato e applicato un indice descrittivo di desertificazione. Il risultato è rappresentato da una variabile continua in grado di descrivere i valori di desertificazione Si: Si = (Ci+(Hi/Zi))/(Ri/1000)

L’indice Si è stato considerato soddisfacente anche se la variabilità significativa per i valori superiori suggeriva la ricerca di un metodo alternativo che garantisse un maggiore livello di applicabilità e comparazione tra contesti geografici diversi. Come alternativa a questo primo indice di desertificazione, ne è stato ideato e testato un altro: un indice discreto chiamato Ti, consistente in un indice cumulativo pesato con valori tra 0 e 3. L’indice di desertificazione demografica Ti viene calcolato attraverso la somma di un insieme di condizioni logiche. Così, ad esempio, se tutte le tre condizioni si dimostrano vere, allora il valore per quel comune è 3; se solo due vengono rispettate, allora il valore sarà 2 e così via di seguito. Le regole o condizioni utilizzate durante questa analisi e qui proposte sono:

  • nel 2011 l’indice di vecchiaia Ai è superiore a 170;
  • tra 1991 e 2011 la variazione della popolazione Ci è di -40% o inferiore;
  • nel 2011 la densità della popolazione a livello comunale Di è inferiore a 60 abitanti per chilometro quadrato.

I risultati di questa analisi sono illustrati nel cartogramma a mosaico per l’indice T (Figura 2). Successivamente, un test di autocorrelazione Moran I è stato condotto con l’aiuto della piattaforma GIS. L’indice Ti ha evidenziato un valore particolarmente significativo di organizzazione spaziale. Infatti l’indice di autocorrelazione spaziale per Ti è risultato di 0,184 con un valore z di 293.

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Fig. 2 – Rappresentazione dei valori dell’indice di desertificazione T dei comuni italiani nell’intervallo 1991-2011

Per verificare l’ipotesi della distanza dai servizi, come uno dei fattori principali nel processo di declino demografico, è stata realizzata una serie di analisi di controllo con lo scopo di valutare la correlazioni tra le classi dell’indice T e la distribuzione della viabilità principale. La viabilità veniva identificata non solo come servizio a sé, ma anche come meccanismo di accesso ai servizi. Per questo motivo è stato realizzato un piano cartografico con la distribuzione complessiva delle autostrade, superstrade e principali assi viari. Successivamente il piano cartografico T è stato suddiviso in due parti: il layer Ta per i comuni con valori 0 e 1 e quello Tb per comuni con valori 3 mentre i comuni con valore 2, per la loro condizione di peso intermedi, sono stati esclusi dall’analisi.

L’ipotesi di partenza era dunque che i comuni appartenenti a Ta avrebbero presentato un indice di prossimità superiore alle arterie viarie principali. In questo caso, distanza o vicinanza alle arterie vengono considerati come indicatori di appartenenza ad aree remote. Analogamente, secondo l’ipotesi di partenza, i comuni con valore 3 o appartenenti al layer Tb sarebbero stati lontani dalle principali arterie. Al fine di portare avanti le analisi all’interno della piattaforma GIS, sono state condotte procedure del tipo “select by lcation” su entrambi i layers. Il procedimento si è concluso calcolando per entrambi i piani cartografici il numero di comuni che si sovrapponessero a un corridoio di 1,5 chilometri delle arterie principali e successivamente ne è stata calcolata la proporzione. L’argomento di questa ipotesi era, dunque, che la proporzione di comuni di Ta vicini alle arterie principali sarebbe stata superiore a quella di Tb. I risultati di questa operazione saranno discussi alla fine della prossima sezione.

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Sardegna, da Gianluca Vassallo, La città invisibile (ph. Galeazzi)

Risultati

Scendendo di scala e analizzando nel dettaglio la complessità organica dei dati demografici, si può disegnare uno scenario, per il ventennio sotto esame, più complesso e articolato del generale quadro di stabilità che si può dedurre dai dati generali già descritti nella parte introduttiva dell’articolo.

Da un punto di vista demografico, nel corso degli ultimi 20 anni, i comuni italiani hanno vissuto un periodo di intenso cambiamento, caratterizzato da fluttuazioni anche significative. Infatti il 78% di essi ha registrato variazioni del ±5%. Una parte consistente di questi, ovvero il 59% del totale, ha subìto una forte variazione con cambiamenti tra il ±10%. Infine, il 31% ha subìto variazioni che si attestano intorno al ±20%. Nel complesso, i territori comunali in questo periodo registrano una variazione complessiva (positiva e negativa) di 7.015.725 abitanti persi o guadagnati. Si tratta nell’insieme di una cifra equivalente al 12,3% della popolazione italiana nel 1991.

Questi cambiamenti suggeriscono un quadro che contrasta parzialmente con l’idea tradizionale, benché oramai superata, di un milieu nazionale imperturbabile dove l’attaccamento alle radici familiari rappresenta uno dei valori identitari fondamentali. L’immagine che emerge da questi dati è quella di un Paese che attraversa silenziosamente e progressivamente cambiamenti radicali della propria struttura. Certamente molte aree mantengono una loro stabilità, ma molte presentano crescite o perdite consistenti.

Parte importante di queste variazioni riguarda i drastici mutamenti demografici che si registrano nelle aree rurali. Forse lo scarso numero di abitanti in queste zone potrebbe suggerire l’obiezione che, dopo tutto, preoccuparsi del fenomeno possa rappresentare uno sforzo irrilevante; detto in altri termini: non varrebbe la pena studiare questo fenomeno perché coinvolge una parte minima della popolazione. Semmai questo rappresentasse una giustificazione valida per qualcuno, occorre ricordare che, nonostante tutto, se si prende in considerazione la superficie complessiva coinvolta nel processo di desertificazione demografica, l’estensione di territorio compromessa in questo processo appare molto importante.

Nel 2011 il numero di comuni con 1000 o meno abitanti era di 1985 e la relativa superficie complessiva di 40.662 chilometri quadri, equivalente al 13% del territorio italiano. Al loro interno era presente una popolazione di 1.062.284 abitanti. I comuni con 2000 individui o meno ammontava invece a 3570; la loro estensione municipale copriva complessivamente un’area equivalente al 28% del territorio nazionale comprendente 3.414.027 persone (vedi tabella 1).

Nelle ultime due decadi i comuni con meno di 2000 abitanti hanno registrato complessivamente una leggera flessione (-2.8%).

 

comuni A B C D
≤ 1000
abitanti
40,662 km2
(13.4%)
1,062,284inh.
(1.78%)
1985
(24%)
−88.384
−7.9%
≤ 2000
abitanti
86,899 km2
(28.7%)
3,414,027inh.
(5.7%)
3570
(44%)
−100.035
−2.84%
 Tabella 1. Comuni con meno di 2000 e 1000 abitanti. A) superficie totale in km2 e percentuale sull’intero territorio italiano; B) totale residenti e percentuale sull’intera popolazione italiana; C) numero di comuni e percentuale sul numero complessivo di comuni italiani; D) cambiamento della popolazione tra il 1991 e il 2011 e percentuale della variazione in relazione al 1991.

Una delle ipotesi preliminari di questo studio era che la dimensione della popolazione fosse inversamente proporzionale al rischio di declino demografico. In altre parole, che le comunità più piccole fossero più vulnerabili e propense a soffrire processi di spopolamento. Nonostante ciò, la misurazione e il confronto dei dati ha confutato tale ipotesi. Popolazioni piccole non sono una caratteristica o un attributo sufficiente per caratterizzare e determinare processi di forte e rapido abbandono del territorio. Infatti il coefficiente Pearson di correlazione tra Ri e Ci mostra un basso indice di collegamento (r=0.005, p=0.66). Correlazione tra dimensione della popolazione e declino o desertificazione mostra che questa ipotesi può sostanzialmente essere confutata dato che, ad esempio, negli ultimi 20 anni, comunità con meno di 5000 abitanti hanno perso o incrementato parte della popolazione indipendentemente dalle loro dimensioni originali, mentre, nello stesso periodo, 1461 comuni con meno di 2000 residenti hanno registrato un incremento. Si tratta di un insieme significativo di comunità che apparentemente avrebbe potuto essere a rischio di desertificazione, ma ha registrato invece un incremento della popolazione.

Da un punto di vista cartografico, nelle rappresentazioni degli indici S e T (vedi figura 1 e 2), i comuni con un livello significativo di desertificazione demografica sono distribuiti sia lungo l’intera dorsale appenninica, ma anche in molte comunità dell’intero arco alpino (Varotto, 2004). D’altro canto, le analisi hanno evidenziato gravi processi di desertificazione demografica nella parte settentrionale della Sicilia, nel cuore della Sardegna e in gran parte della Basilicata.

Nel 2011, 1162 comuni (equivalente al 14,3%) presentano il più alto indice di desertificazione T equivalente a 3. L’area complessiva di questi ammonta a 57.594 chilometri quadri, equivalenti al 19% del territorio nazionale e in queste aree abitano 1.131.880 persone equivalenti al 1,9% della popolazione italiana. Si tratta di numeri che evidenziano una forte discrepanza nelle proporzioni tra area e popolazione. Venti anni prima, lo stesso territorio era occupato da 1.402.629 residenti. Nel corso di un ventennio si è registrato dunque un calo complessivo del 19,3%.

 Regione                   A                          B
Piemonte                  17.8                      26.7
Valle D’Aosta          5.4                        7.7
Campania                 7.6                        12.6
Puglia                       8.6                        6.8
Lombardia                5.9                        9.4
Emilia                       12.9                      16.8
Toscana                    15.8                      18.3
Abruzzo                   33.9                      34.9
Trentino                    4.5                        4.5
Umbria                     10.9                      7.2
Lazio                        13.2                       13.7
Veneto                     5.7                         11.8
Friuli                         20.3                      35.9
Liguria                      21.7                      28.7
Marche                     12.2                      17.4
Molise                      50.7                       45.7
Basilicata                  44.3                      38.6
Calabria                    12.2                      17.0
Sicilia                       10.6                       15.4
Sardegna                  38.6                      39.0
Tabella 2. Colonna A) Percentuale dei comuni con T=3; Colonna B) percentuale della superficie regionale dei comuni che registrano valori diT=3.
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Sardegna, da Gialuca Vassallo, La città invisibile (ph. N. Galeazzi)

Un frammento di informazione molto importante a questo riguardo è la distribuzione su scala regionale dei comuni che presentano una desertificazione demografica. La Tabella 1 illustra come non sia possibile affermare che l’incidenza di tale fenomeno sia più alta nel meridione che non nella parte settentrionale del Paese, come dimostrano livelli elevati di desertificazione demografica del Piemonte e della Liguria. Nella parte meridionale si può osservare che anche la Basilicata e l’Abruzzo registrano una percentuale molto elevata di territori coinvolti nel processo. Come già accennato in precedenza, la tabella 1 evidenzia altresì come altre aree con un elevato livello di abbandono siano il Molise e la Sardegna.

Come descritto nella sezione precedente, sono state condotte una serie di analisi per una prima verifica della distanza dai servizi come una possibile spiegazione alle cause del processo di abbandono dei territori sotto esame. L’ipotesi di partenza del test era che la distribuzione della viabilità principale costituisse non solo un servizio a sé stante ma, a sua volta, questo valore rappresentasse anche un indicatore dalla distanza ai servizi in generale. I test di vicinanza o prossimità alla viabilità principale hanno confermato questa ipotesi di lavoro: il 61.6% dei comuni con valori T pari a 0 o 1 (vedi sopra layer Ta), ovvero 3402 comuni su 5526 si trova entro una distanza di 1,5 chilometri dalle principali arterie viarie italiane. Al contrario, i comuni con valore T=3 oltre i 1,5 chilometri sono solo il 27,8%, ovvero 324 su 1162. Dunque, variabili come le variazioni demografiche negative e l’invecchiamento della popolazione si registrano laddove i servizi sono carenti, mancanti o addirittura difficili da raggiungere viste le distanze da percorrere.

In qualche misura questi dati sembrano confermare che comunicazioni e servizi sembrano giocare un ruolo fondamentale nel processo di desertificazione demografica. Al contrario, questa verifica ha confermato come la popolazione si mantenga in equilibrio o cresca in quelle aree caratterizzate da un rapido accesso alle vie di comunicazione che portano verso i servizi. Indagini più approfondite, volte a valutare l’impatto della distanza dai centri urbani, dovranno essere condotte per valutarne l’impatto complessivo e la distribuzione del fenomeno.

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Sardegna, da Gianluca Vassallo, La città invisibile (ph. Galeazzi)

Discussione

Con questo articolo si è cercato di fornire alcuni elementi e alcuni spunti che fossero in grado di mostrare evidenze concrete di un processo attualmente in corso che coinvolge una parte importante del territorio nazionale. Il primo aspetto che occorre sottolineare è come la decrescita cronica del popolamento delle aree rurali non rappresenti un processo costante o statico. La desertificazione demografica appare invece come un processo e una dinamica di profondo mutamento e proprio per i fattori generazionali e di invecchiamento coinvolti, si tratta di un fenomeno in rapida evoluzione. Per questo motivo sono auspicabili anche studi che vadano a monitorare, in futuro, l’andamento della popolazione prima dello scadere del censimento 2021.

Dunque la desertificazione demografica è un processo che coinvolge una parte consistente del territorio nazionale e il piccolo comune di Sabbia non rappresenta perciò una stranezza o una rarità. Tenendo conto di tutte le differenze e le particolarità, Sabbia è stato in questa sede adottato come emblema di un processo che coinvolge quasi il 15% dei comuni italiani. Si tratta di un quadro complessivo che sembra indicare un destino compromesso per l’economia e le comunità di questi luoghi. Questo articolo, così come i risultati illustrati non vogliono rappresentare una sentenza definitiva per queste comunità quanto piuttosto un avvertimento o una segnalazione sulla difficile condizione per il patrimonio culturale e identitario di queste comunità.

La recente storia dei deserti demografici non è un processo che coinvolge un gruppo ristretto di comuni di una regione particolarmente svantaggiata, ma appare piuttosto dalle fonti demografiche come un processo che colpisce tutto il territorio nazionale e tutte le regioni. Deserti demografici sembrano crescere, come dimostrano i dati relativi all’autocorrelazione spaziale delle aree con valori 3 e 2 per la variabile T. Pertanto, le ricerche future dovrebbero essere condotte in modo da identificare l’andamento di questo fenomeno e verificare parallelamente la condizione di quelle comunità che ancora oggi non possono, secondo i parametri definiti in questo studio, essere definite come deserti demografici ma che presentano già oggi segnali di difficoltà.

Le analisi condotte nel corso di questa ricerca sembrano confermare che le cause principali del processo di desertificazione demografica sono da ricercarsi nella disponibilità dei servizi o nella distanza (o tempo) necessari a raggiungerli. Il processo di trasformazione economica, accompagnato dai supposti meccanismi di “modernizzazione” ed efficienza, ha portato sicuramente a una perdita sostenuta di servizi essenziali in vaste aree del paese. Molte delle zone coinvolte sono quelle che proprio per la loro scarsa popolazione e per la loro debolezza erano già state vittime di tale nefasto meccanismo di razionalizzazione dei servizi. La chiusura di uffici postali, scuole o presidi sanitari sono tipici processi di riorganizzazione e risparmio che vanno a colpire a livello geografico precisamente le comunità più deboli. A sua volta questo meccanismo si ripercuote con maggiore severità sui gruppi più deboli, ovvero i giovani e gli anziani. È evidente che questa penalizzazione comporti la necessità per tutti coloro che sono in condizioni di migrare, di abbandonare le aree interessate.

Ma per quale motivo i deserti demografici dovrebbero preoccupare la società italiana? Credo che un dato inconfutabile sia il fatto che essi rappresentano un’entità geografica nuova e sconosciuta. Come più volte è stato suggerito nelle pagine precedenti, la storia della società italiana è quella del rapporto tra un territorio e le sue comunità che nel corso dei secoli hanno mantenuto inalterata la propria vitalità, perfino nelle fasi successive alla fuga dalle campagne registrato a partire dalla seconda metà del XX secolo.

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Sardegna, da Gianluca Vassallo, La città invisibile (ph. Galeazzi)

Penso sia importante prendere coscienza dell’esistenza di questi deserti umani e riflettere sulle potenziali implicazioni che potrebbero avere nel futuro della nostra società. Presto saremo costretti ad affrontare il problema del declino materiale delle infrastrutture, delle reti sociali e dei sistemi di governo di una parte molto ampia del nostro Paese. Sono convinto inoltre che presto impareremo che si tratta di un problema complesso e con soluzioni non facili. L’idea stessa di “deserto” fa riferimento, secondo l’ipotesi qui illustrata, all’incapacità della popolazione di invertire la tendenza. Come è stato evidenziato dai risultati di questo studio, il fenomeno sembra essere legato in modo significativo alla distanza o al tempo di percorrenza verso i servizi. La fase di transizione postindustriale e i nuovi modelli della società dell’informazione non faranno altro che aggravare e rendere più difficile questo processo.

Sono altrettanto convinto che le politiche di ripopolamento delle aree rurali con i migranti, come recentemente suggerito a livello politico, non possano costituire una soluzione definitiva. Lo straniero, proprio per la sua condizione precaria è condizionato dalla presenza di servizi e soprattutto dalla facilità di accesso ai medesimi. Nello stesso modo, politiche di ripopolamento grazie al passaggio agevolato di immobili a prezzi simbolici, come proposto da alcuni sindaci in Sardegna, non sembra nemmeno una possibile soluzione al problema: se un’immobile si svaluta fino a raggiungere il prezzo simbolico di €1, significa solo che si tratta di un immobile nel quale nessuno desidera risiedere.

Se i deserti demografici rappresentano una nuova entità geografica, con questi dovremo imparare a convivere e dovremo comprendere come gestirli. Ancora più importante è ricordare che la realtà è un tessuto organico. E queste nuove realtà geografiche avranno non solo come conseguenza la trasformazione del paesaggio rurale in certi ambiti, ma anche un impatto profondo su tutto il sistema; dunque anche sulle realtà urbane. È ancora molto presto per valutare chiaramente quale sarà l’effetto complessivo, ma certamente uno dei risultati più importanti di questo processo è che per la prima volta nella storia di questo Paese, si dovrà affrontare l’abbandono di una parte significativa del territorio nazionale. Si tratta della lenta sconnessione di quella fitta rete capillare di piccoli villaggi, case sparse e sentieri che mantenevano in vita buona parte del mondo rurale italiano.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
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Giancarlo Macchi Janica, ricercatore e docente aggregato di Geografia presso l’Università di Siena, è autore di diversi studi. Cartografo e senior GIS analist, si occupa di demografia e di storia della geografia della popolazione. Si interessa anche di intelligenza artificiale e di archeologia medioevale.
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