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Dedicato a Ludovico Corrao. Un catalogo di bellezza

 copertinadi Orietta Sorgi

Da piccolo borgo contadino dell’interno della Sicilia a luogo devastato dalle rovine del terremoto, risorto poi nel grande Cretto di Burri, in un percorso ideale che assegna all’arte il segno della rinascita. Questa la vicenda emblematica di un paese che ora viene raccontata in un volume curato dal Centro Regionale per il catalogo e la documentazione: Gibellina e il Museo delle trame mediterranee. Storia e catalogo ragionato. Un territorio sui generis, composito e multiforme, quasi un unicum nel panorama siciliano, che tuttavia sintetizza, come una metafora, i tratti salienti della storia millenaria, la posizione geografica di un’Isola che l’ha resa teatro di scambi e di incontri fra i diversi popoli del Mediterraneo.

Qui nasce nel 1996, per volontà di Ludovico Corrao, un Museo intitolato alle trame mediterranee, in un antico baglio agricolo, circondato dai vigneti, poco distante dalla città d’arte, come elemento rifondativo del tempo e dello spazio. I percorsi museali ripropongono le trame nell’accostamento eterogeneo di oggetti di diverse provenienze e datazioni, su cui si interrogano in apertura al volume una serie di studiosi da diverse prospettive interdisciplinari. A partire dall’antichità lungo sale del pianterreno, le ceramiche preistoriche della valle di Naro-Partanna dialogano tranquillamente con quelle nuove di Carla Attardi e Pietro Consagra, in una stretta uniformità di temi e funzioni; negli ambienti del secondo piano, le collezioni private di Corrao, oggetti di pregio artistico insieme a manufatti popolari a scopo devozionale, s’incrociano con numerose donazioni e acquisti che documentano l’apertura del mecenate verso i popoli del Mediterraneo: stoviglie d’uso quotidiano e arredi, costumi nuziali e gioielli, per arrivare all’allestimento del Granaio, con le installazioni degli artisti contemporanei, come le macchine sceniche di Pomodoro o il grande drappo processionale di Boetti, realizzato dalle ricamatrici di Gibellina per la festa di San Rocco.

Un Museo così concepito è anche una concreta dimostrazione della labilità di certe dicotomie convenzionali, relative e transitorie, maturate in una concezione ottocentesca della cultura e delle belle arti: arte vs artigianato, estetica vs utilità, produzione seriale vs creazione autoriale. Gradualmente si assiste al superamento dell’ accezione romantica e idealista che separava i fenomeni spirituali da quelli materiali, affermando la superiorità dei primi sui secondi e vengono meno i confini gerarchici fra le arti cosiddette maggiori e quelle minori, le prime contrassegnate dal momento creativo dell’estro individuale, le seconde dalla tecnica artigianale come fatto seriale e di mestiere, di pura utilità (Angioni 2015).

Di fatto nessuna espressione artistica può essere oggi considerata come puro fatto estetico, totalmente scevra dalla sua funzione sociale e dal bisogno strumentale che l’ha in qualche modo ispirata. E viceversa nessuna risposta dell’uomo ad un bisogno strumentale o materiale, può essere intesa priva di una qualsiasi forma simbolica, sia pur inconsapevole. Anche l’arte popolare, come la musica folklorica e la narrativa di tradizione orale, sebbene strettamente legata ad una funzione sociale, seriale e collettiva (Bogatireev-Jakobson 1967) è mai del tutto esente da principi estetici e decorativi. Come, al contrario, l’arte colta, di ispirazione borghese, espressione del genio dell’autore, è sempre strettamente condizionata ad una funzione pratica e ad un preciso contesto sociale, così come ci ha insegnato Arnold Hauser (1964).

Montagna di sale di Mimmo Paladino

Montagna di sale di Mimmo Paladino (foto Militello)

Tutte le produzioni umane socialmente intese possono, a questo punto, essere ricondotte ad un’attività squisitamente culturale, come significativo momento di discretizzazione sul continuum spazio-temporale, di affermazione del logos sul caos  indistinto della natura (Buttitta 1996). Leroi-Gourhan ricorda, nei processi di ominazione, la contestualità del linguaggio e della prassi, dei saperi e delle tecniche. L’uomo preistorico per sopravvivere si è dotato di utensili per trasformare la natura e al tempo stesso dell’emissione del linguaggio: il gesto e la parola, il fare e il rappresentare. La prassi umana è un fatto culturale, è azione materiale e simbolica al tempo stesso (Bauman 1976).

Di tutto questo Ludovico Corrao era fermamente convinto, della supremazia del “sapere della mano” (Angioni 1986), definendosi esso stesso un artigiano della cultura. Ha realizzato un luogo dalla labilità dei confini, dove le arti e i mestieri sono considerate congiuntamente nel loro essere, al tempo stesso, produzioni di tecniche e simboli, momenti dell’attività umana finalizzati ad uno scopo. Un museo che si pone nello spazio circostante non come mera conservazione ed esposizione ordinata di oggetti, ma come officina permanente di idee, laboratorio di saperi, tecniche e materie su cui esse si imprimono. I manufatti presenti nel Museo delle trame rivelano una straordinaria capacità di superare i confini spazio-temporali: dall’antichità alla contemporaneità è possibile individuare infatti una persistenza nelle forme, nelle tecniche e nei simboli, che si coglie  nelle stoviglie in terracotta come nelle manifatture tessili o nell’oreficeria fino alle opere d’arte delle avanguardie.

Baglio Case Di Stefano,ingresso del

Baglio Case Di Stefano, ingresso del Museo (foto Militello)

Un sito “museograficamente vivo” per dirla con Cirese (1977), dove gli oggetti di diverse tipologie, provenienze e datazioni, si incontrano in un rapporto dialogico, anche quando hanno perduto la loro funzione d’uso originaria. Nelle sale del Baglio Di Stefano e lungo il granaio, ogni reperto assume così una valenza comunicativa, testimoniando non soltanto il loro passato in rapporto ai contesti e alle comunità di provenienza ma il loro relazionarsi con altri oggetti di svariate origini, in un rapporto di trame per l’appunto. Costumi e gioielli, ad esempio, rivelano non soltanto il loro porsi come diretta scansione di determinati riti di passaggio quali il matrimonio e la nascita, ma anche inusitati legami con altri manufatti come gli arredi – le cassapanche per i corredi nuziali, le culle per i neonati – o le immagini devozionali protettive nei confronti dell’universo femminile. Si veda ad esempio, la Madonna di Lisbona, esposta al Museo sotto forma di manichino processionale, o la statua lignea africana raffigurante una divinità dai grandi seni per confermare il potere della donna sulla nutrizione e sulla  vita.

Ma il Museo delle trame è anche un momento di un disegno più vasto, come si è detto, che si apre al territorio locale e a tutto il Mediterraneo alla ricerca di un’unica koinè culturale. Se è vero che le idee camminano sulle gambe degli uomini, l’intera vicenda di questo paese è il risultato della tenace volontà di Ludovico Corrao di far rinascere un luogo duramente colpito dalla catastrofe del sisma. E sotto il segno dell’arte sarebbe avvenuta la rinascita, l’arte intesa come momento di sospensione del divenire e della negatività del presente e affermazione atemporale del mito e dell’utopia.

Quando i graffiti preistorici delle grotte dell’Addaura rappresentavano il sacrificio rituale sulla superficie rupestre, esprimevano non soltanto la volontà di fissare a futura memoria quell’immagine reale ma, attraverso essa, il bisogno di rigenerare il tempo e di perpetuare la vita. In questa prospettiva l’arte assume anche un significato propiziatorio e augurale che può intendersi come elemento di unificazione, di condivisione.

Una tenace volontà, quella di Ludovico, che si manifesta sin dalle prime esperienze giovanili, legate all’associazionismo cattolico e ai movimenti di protesta accanto a Danilo Dolci. La difesa degli umili come principale obiettivo del suo operare in un cammino che arriva alla ricostruzione di Gibellina come città fantastica e al Museo delle trame come apertura verso un mondo che una certa visione eurocentrica e occidentale della cultura aveva fino a quel momento trascurato.

Fu proprio Ludovico Corrao, alcuni anni prima della sua morte, ad affidare al Centro Catalogo della Regione Siciliana la realizzazione di un volume sul Museo delle trame mediterranee di Gibellina. Si trattava in fondo di trasferire sulla carta stampata quello che era stata la ragione stessa della sua vita e che trovava nel Museo una tangibile espressione. Non un catalogo in senso convenzionale, quindi, ma uno strumento ragionato che, da più punti di vista, ripercorresse la genesi di uno spazio simbolico: sotto le trame si riproponeva il paradigma di un luogo visibilmente trasformato dopo il terremoto, da comunità contadina a città fantastica, nel segno dell’utopia e della rinascita.

Abito in seta e fili d'argento

Abito in seta e fili d’argento, Marocco (foto Scalia)

Il Centro accolse subito quella sfida, consapevole tuttavia della complessità dell’impresa. Divenne subito chiaro infatti che un Museo così inteso non era che una tappa di un percorso in fieri, una risorsa diffusa sul tutto il territorio dove artisti e poeti avevano e avrebbero ancora impresso il segno del loro operare. Come separare allora il patrimonio custodito nel Baglio Di Stefano dalle opere d’arte contemporanea installate nei dintorni, dalla Montagna di sale di Mimmo Paladino alla Grande Stella di Pietro Consagra, che fa da porta d’ingresso alla città nuova? Come non considerare tutto questo in continuità con il cretto di Alberto Burri sulla città sepolta e poi risorta? Questo tipo di riflessioni indussero ad adottare, per la struttura dell’opera, non criteri quantitativi ma qualitativi, selezionando un corpus di oggetti che fossero quanto più possibile rappresentativi a evidenziarne le trame. In questo senso qualsiasi accostamento in senso cronologico e/o geografico o per tipologia e materia è da intendersi come scelta puramente occasionale ed espositiva, dettata da ragioni interne all’articolazione dell’opera.

Al volume si accompagna un bellissimo documentario realizzato da Salvo Cuccia, poco prima della tragica scomparsa del Senatore e prodotto nel 2012 da Abracadabra per Rai Educational, oggi generosamente concesso al Centro che lo ha, per la prima volta, editato. Fra le immagini scorrono alcune testimonianze dal vivo, a cominciare dallo stesso Ludovico, che, già visibilmente provato dagli anni e dalla malattia, spiega le ragioni del suo operare. Insieme al Senatore alcuni suoi sodali, da Achille Bonito Oliva ad Enzo Fiammetta e Francesca Corrao che lo accompagnarono in questa straordinaria esperienza culturale. Un’intensa pagina di storia siciliana, che abbraccia più di mezzo secolo, ancora per molti versi inedita e tutta da raccontare.

Dialoghi Mediterranei, n.16, novembre 2015
Riferimenti bibliografici
Angioni, Giulio, 1986,   Il sapere della mano: saggi di antropologia del lavoro, Palermo, Sellerio
2015,    Arte versus non arte, in “Dialoghi Mediterranei”, periodico bimestrale dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo, n.14
Bauman, Zigmunt, 1976,    Cultura come prassi, Bologna, il Mulino
Bogatirëv Petr- Jakobson Roman,  1967   Il folclore come forma di creazione autonoma, in « Strumenti critici», 3
Buttitta, Antonino,  1991,    L’artista popolare e le sue ragioni, in D’Agostino G. (a cura di), Arte popolare in Sicilia, Palermo, Flaccovio
1996,    Dei segni e dei miti. Un’introduzione all’antropologia simbolica, Palermo, Sellerio
Cirese, Alberto Mario, 1977,    Oggetti, segni e musei. Sulle tradizio ni contadine, Torino, Einaudi
Hauser, Arnold,  1964 ,   Storia sociale dell’arte, Torino, Einaudi, 2 voll.
Leroi-Gourhan, Andrè,  1977,    Il gesto e la parola, Torino, Einaudi, 2 voll.

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Orietta Sorgi, etnoantropologa, lavora presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, dove è responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006) e Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011)

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