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Dall’esasperazione la ricerca di una nuova luce

copertina  di Francesca Corrao [*]

Alla fine degli anni Sessanta questo libro del filosofo siriano Sadik Jalal al-Azm provocava un aspro dibattito tanto da spingere le autorità libanesi a ritirarlo dal mercato e a imprigionare l’autore. Nell’introduzione ne spiega le ragioni e ricorda che già in precedenza altri due libri avevano destato altrettanto scalpore: quello del teologo ‘Ali ‘Abd al-Raziq (1888-1966), L’Islam e i fondamenti del governo, che nel proporre la separazione tra la religione e la politica giustificava l’abolizione del califfato ottomano, e quello dello scrittore Taha Huseyn (1889-1973), Sulla poesia preislamica, che metteva in discussione l’autenticità della poesia preislamica. Per un pubblico di lettori occidentali non esperti di cultura arabo-islamica il riferimento potrebbe sembrare irrilevante, mentre è cruciale per capire il resto dell’opera che verte sul rapporto tra fede e scienza, il dialogo tra le religioni e il ruolo di Iblis, e quindi del male, nella concezione religiosa islamica. A suo tempo tali opere erano state respinte dalla gran parte dell’opinione  pubblica perché trattavano con rigore scientifico, e non secondo i canoni tradizionali, due temi sensibili per l’identità culturale, la religione e la poesia.

È chiaro che se l’élite culturale e la società mal si adattano ad accettare il ricorso al pensiero analitico moderno è difficile credere nelle dichiarazioni di gran parte di teologi e giurisperiti secondo cui l’Islam è compatibile con la scienza moderna. Il problema permane, tanto che al-Azm ricorda ancora un altro autore, l’egiziano Nasr Hamid Abu Zaid (1943-2010), che per aver messo in relazione la struttura semantica del Corano con la realtà storica nel libro Islam e storia: critica del discorso religioso è stato condannato per apostasia, e quindi costretto a lasciare il Cairo e morire in esilio (2010) senza che i colleghi universitari siano riusciti a difendere il suo diritto alla libertà scientifica.

Al-Azm, pertanto, denuncia la superficialità e l’approssimazione delle affermazioni dei religiosi che vogliono far credere che la religione si concilia con la scienza, dimostrando che sono inattendibili. Egli mostra come gli studiosi che usano criteri innovativi, e quindi non tradizionali, nella disamina di testi sacri, o nell’affrontare qualsiasi discorso relativo alla creazione dell’uomo e del mondo siano condannati all’ostracismo. Al cuore della questione si pone la “sacralità” della trasmissione della cultura secondo i rigorosi criteri del metodo tradizionale che impone la pedissequa imitazione e respinge ogni innovazione interpretativa. A monte di questo approccio, vi è il rifiuto dell’innovazione da parte di gran parte dell’autorità religiosa e degli esperti del diritto islamico, in quanto l’innovazione è considerata un’eresia.

Per spiegare tanta animosità Jalal Sadik al-Azm ricorda che, mentre in Occidente il dibattito intellettuale sul rapporto tra fede e scienza si è dispiegato lungo l’arco di quasi tre secoli, per i musulmani la modernità è arrivata con il colonialismo e ha posto gli intellettuali in modo repentino di fronte al dilemma di quale rapporto avere con la religione. L’affermarsi del pensiero scientifico ha, infatti, imposto una profonda riflessione critica sull’accettabilità del pensiero tradizionale, e da qui è sorto un violento conflitto tra conservatori e innovatori. Così si è venuto a creare un profondo iato tra l’élite intellettuale, aperta al pensiero scientifico, e la maggioranza dei musulmani convinti che la sapienza si acquisisca solo attraverso lo studio mnemonico e la comprensione dei testi sacri.

Tale convinzione, oltre a confliggere con il metodo scientifico, produce una costante tensione tra chi promuove l’innovazione e i teologi. Secondo il credo islamico la creazione e le cause inerenti al mistero della vita e della morte sono riconducibili esclusivamente alla volontà divina, pertanto per i più rigorosi teologi qualsiasi dubbio o valutazione razionale sono considerati un atto di blasfemia e quindi sono condannabili.

foto 1Al-Azm dimostra quanto siano contrad-dittorie le dichiarazioni di principio in favore della scienza da parte di teologi come Hasan al-Banna (1906-1949) e Sayyid Qutb (1906-1966), rispettivamente il fondatore e il teorico dei Fratelli musulmani, di fronte agli ammonimenti contro il pensiero razionale e ateo. Soprattutto se si valutano le conseguenze del pensiero di questi teologi, che ha portato al diffondersi della deriva settaria del jihadismo. Per al-Azm dietro le dichiarazioni generiche e superficiali di questi studiosi si nasconde un’ambiguità di fondo che mira a quietare i laici, per poi con fermezza imporre l’educazione religiosa a garanzia della trasmissione corretta della fede.

Al-Azm denuncia i danni che questo piano pedagogico schizofrenico produce in termini di paralisi della creatività nei giovani, stretti come sono tra un approccio universalistico e razionale tipico dell’educazione occidentale e quello rigorosamente conservatore dell’insegnamento religioso. Da una parte si insegnano Darwin e la rivoluzione francese e dall’altra si vigila affinché i ragazzi non siano sviati da questi modelli culturali.  Per il filosofo la retorica superficiale e accomodante di molti studiosi conservatori è pericolosamente tollerante nei confronti di un pensiero oscurantista. Al-Azm critica la vaghezza delle esperienze narrate dai mistici, inadeguate nel portare una prova documentaria dell’esperienza spirituale, finendo per fare prevalere l’idea che, di fronte alle infinite contraddizioni della fede, per credere «è necessario accettare e prestare fede al significato letterale, affidando la conoscenza della sua verità interiore a Dio stesso, o, in altre parole una credenza senza conoscenza».

Il filosofo estende le sue perplessità anche all’attendibilità del dialogo interreligioso; anche qui prevarrebbero discorsi banali e luoghi comuni. A suo avviso gli interlocutori, sia cristiani che musulmani, non entrano nel merito delle questioni né procedono con metodo nel confronto, perché non vogliono affrontare questioni cruciali. Il vero scopo sarebbe quello di non sollevare polemiche per mantenere in vigore l’attuale sistema politico settario a difesa degli interessi della classe dirigente sunnita e maronita in Libano. Non risparmia neanche i mistici che troppo distinguerebbero l’aspetto temporale della vita da quello spirituale, mostrando un approccio troppo irrazionale e arbitrario.

Al-Azm non esclude la possibilità che si possa credere, ma ritiene che una vera fede debba essere sfrondata da riti e credenze che non sono in grado di dare risposte adeguate agli interrogativi che mettono in crisi l’uomo moderno. Per contro argomenta che la figura di Satana, considerato nell’Islam come un ribelle, finisce per avere presso alcuni autori tratti positivi in termini di ribellione creativa che invita a scuotere l’immobilità del sistema.

Il filosofo crede che, a seguito della sconfitta del 1967, l’ideologia religiosa, tanto consapevole quanto recepita inconsciamente, sia diventata la fondamentale “arma ideologica” della reazione araba nella sua guerra frontale contro le forze progressiste e rivoluzionarie interne al mondo islamico. Il fallimento dell’utopia dell’unione araba ha spinto molti governi ad appoggiarsi alla religione per trovare il sostegno popolare, scelta che avrebbe portato ad una regressione culturale. D’altra parte, riprende l’analisi dell’intellettuale libanese Munah al-Sulh (1927-2014) che aveva già denunciato la fallacia dell’assunto per cui il cambiamento economico della società avrebbe portato al miglioramento dell’uomo.

Sadik Jalal Al- Azm

Sadik Jalal Al- Azm

Il fallimento economico e politico, infatti, avrebbe condotto a cercare le cause e le risposte relative al senso dell’esistenza dell’uomo nei testi sacri. Inoltre il mancato sviluppo di un’attitudine critica diffusa nella disamina dei testi ha reso difficile comprendere gli aspetti contraddittori delle affermazioni che ivi si trovano, finendo per aderire in modo incondi- zionato alla letteralità e rimandando a Dio la comprensione più profonda.

Per arrivare all’origine di tale contrasto riprende il dramma di Satana, il diavolo, creatura di fuoco concepita superiore all’uomo, che è creatura di terra: quando Dio intima agli angeli di prostrarsi dinanzi alla sua nuova creatura, Satana si rifiuta, non per orgoglio, ma perché obbedisce al primo ordine. Da qui il filosofo ripercorre un’approfondita analisi comparata con altri miti per arrivare a mettere in evidenza che nel credo islamico Dio ha il potere di decidere e la volontà di fare agire le sue creature, e pertanto può dare ordini contraddittori. In una parola in Dio si concentrano tutto il bene e tutto il male, e pertanto anche il diavolo nel fare il male non fa che eseguire la volontà di Dio. Il diavolo che tenta gli uomini, ne mette alla prova la fede; non è potente, ma agisce come strumento di Dio. Tale concezione fa sì che nella letteratura popolare sia diffusa l’idea che le figure del male sono dei poveri diavoli, degli stolti che non mettono paura.

Per spiegare la tragedia di Satana al-Azm ricorre al mistico al-Hallaj (858-922), che, come il diavolo, è innamorato di Dio e per amore di lui si immola pagando con il martirio. I mistici eterodossi sono dei ribelli che, come Satana, disobbediscono alle regole per avvicinarsi a Dio. Per spiegare la concezione islamica del rapporto tra l’uomo e Dio voglio ricordare la metafora scelta dall’imam al-Ghazali (m. 1111). Il grande teologo ricorreva all’esempio del teatro delle ombre; l’essere umano è come chi assiste allo spettacolo delle marionette proiettate sul telo, e ne scorge l’ombra; chi muove le marionette è Dio, una verità che si cela agli occhi dei molti; solo alcuni – i mistici – hanno la possibilità di avvicinarsi per scorgerla. Dio muove la marionetta, comanda e la dirige; il creatore è colui che dà gli ordini e per la cui volontà l’essere umano agisce.

Al-Azm confronta la tragedia di Satana con quelle di Sofocle e con il sacrificio di Abramo, e ritiene che la prima costituisca un dramma ancor più grave perché Dio costringe Satana a disobbedire per obbedire al suo primo ordine, e quindi lo pone in una contraddizione esistenziale contraddittoria che lo paralizza.  Tale appassionante interpretazione della vicenda di Satana, secondo le letture tradizionali e mistiche, fa emergere la funzione e la necessità del male, perché serva da stimolo e indirizzi verso il bene.

Il lavoro prosegue con la narrazione della miracolosa apparizione della Vergine al Cairo al tempo della disfatta della guerra dei sei giorni. L’evento fu abilmente montato da parte di religiosi e politici per distrarre l’attenzione pubblica dal tragico conflitto militare e darne una lettura consolatoria: anche la Madonna era angustiata per la perdita di Gerusalemme. Tutta la storia però venne smentita dopo che una nuova apparizione aveva seminato il caos tra la popolazione, provocando la morte di molti innocenti di lì a poco, ponendo così repentinamente fine alla storia delle miracolose apparizioni.

San Michele sconfigge Satana, Raffaello, 1518

San Michele sconfigge Satana, Raffaello, 1518

Infine nel quinto capitolo, nel commentare le osservazioni dello studioso tedesco Visser’t Hooft, si chiede come sia possibile che oggi la Chiesa ritenga sia stato un bene separare il potere temporale da quello spirituale, ma d’altra parte continui a considerare martiri quanti sono morti per difendere il suo potere temporale. Il filosofo osserva, con malcelata ironia, che i veri benefattori della Chiesa dovrebbero essere considerati quanti l’hanno costretta a liberarsi dalle pastoie del potere temporale, come ad esempio Marx, e paradossalmente non i martiri che l’hanno difeso sacrificando la propria vita. È di particolare interesse rileggere oggi la polemica di al-Azm sul discorso di Hans Kung sulla necessità di sincerità nella Chiesa, alla luce del papato di Francesco. In pochi decenni quello che al nostro filosofo sembrava un titubante appello del teologo tedesco alla sincerità e alla necessità di riforma della Chiesa, pare in gran parte accolto da papa Bergoglio. Tanta acrimonia da parte del filosofo siriano nei confronti delle religioni rivelate è comprensibile se la si inquadra nel clima di diffuso moralismo bigotto che ancora oggi prevale nella regione, e che a noi ricorda l’animosità dei laici ottocenteschi.

Infine se si rilegge la tragedia di Satana alla luce dei tragici risvolti del settarismo dell’IS, si capisce che laddove la gran parte dei musulmani interpreta le provocazioni del diavolo come sfide per operare il bene e rifuggire il male, invece nel delirante malinteso degli eterodossi jihadisti diventa compiere gesti conformi alla volontà divina.

Dall’opera emerge comunque un’indicazione positiva; se nel corso degli ultimi due secoli in Occidente le forti critiche del laicismo hanno aiutato la fede a fare grandi passi avanti verso la riscoperta della spiritualità, chissà che il demone del laicismo non possa aiutare l’Islam a dare nuovo vigore alla vena spirituale penosamente offuscata dalle strumentalizzazioni politiche.  Non è, infatti, un caso che il laico al-Azm citi un grande mistico dell’Islam, al-Hallaj, per spiegare la tragedia del diavolo; forse lascia intendere che dalla spiritualità possa venire la forza per salvare la fede dalla deriva islamistica della strumentalizzazione politica e dell’orgoglio umano.

                                       Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016
[*] Per gentile concessione dell’Autrice e dell’Editore si pubblica la Prefazione al volume di Sadik Jalal al-Azm, La tragedia del diavolo. Fede, ragione e potere nel mondo arabo, appena stampato da Luiss University Press. Un libro scritto oltre quarant’anni fa, profetico nel paventare quanto sarebbe successo nei decenni successivi, vibrante nell’incitare i cittadini dei Paesi arabi ad abbracciare un pensiero più laico e secolare, terribilmente attuale nel denunciare le azioni disumane dei regimi totalitari.
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Francesca Corrao, ordinario di Lingua e Letteratura Araba, Luiss Guido Carli Roma, ha studiato in Italia e al Cairo la cultura del mondo arabo e islamico. Tra le sue pubblicazioni numerosi articoli in sedi internazionali e nazionali e gli approfondimenti su: La rinascita islamica (ed. Laboratorio antropologico, Università di Palermo 1985); Poeti arabi di Sicilia (Mondadori 1987, Mesogea 2001) Le storie di Giufà (Mondadori 1989, Sellerio 2002), Adonis. Ecco il mio nome (Donzelli 2010), Le rivoluzioni arabe. La transizione mediterranea (Mondadori università 2011).

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