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Dalla periferia al centro. Omaggio a Romeo Riva, protagonista della vita di un museo etnografico

Rossa di Galbiate, 1960 ca. Fratelli e sorelle Riva con i genitori e i figli sotto il portico della casa colonica

Rossa di Galbiate, 1960 ca. Fratelli e sorelle Riva con i genitori e i figli sotto il portico della casa colonica

CIP

di Massimo Pirovano 

La sera del 23 maggio 2025 nella sala conferenze del Museo Etnografico dell’Alta Brianza di Galbiate, spazio “del dialogo antropologico” dedicato a Roberto Leydi, si sono riuniti diversi volontari e amici del museo, ad un mese dalla morte di Romeo Riva, per ricordare questo speciale protagonista della storia e della vita del MEAB attraverso il ricordo di episodi e tratti significativi di una persona molto importante per ognuno di loro. Il tentativo è stato quello di formare un puzzle meno incompleto di quello che un singolo individuo può riuscire a comporre su qualunque esistenza, con la sua durata piena di infinite azioni e relazioni, nonché con la sua complessità.

A me, come direttore del MEAB, è toccato il compito di tratteggiare un ritratto del “mio” Romeo, che come ho sempre pensato, forse non a caso, “fa rima con museo”. Ho cercato una traccia del mio primo incontro con lui e ho trovato la prima intervista, fatta a Rossa di Oggiono e dunque nella sua casa, vicino al lago di Annone: è del 10 maggio 1993. Il tema del nostro incontro era quello delle risorse del lago e lui mi aveva parlato con passione e competenza di pesca, bracconaggio, caccia, barche, toponomastica.

Il museo era di là da venire, ma un paio di anni prima, quando con mia moglie Giovanna e i nostri figli ci eravamo trasferiti da Oggiono nel comune di Galbiate, chiamato dal presidente del Parco monte Barro, avevo, il “Primo convegno di studi sulla cultura popolare in Brianza” per porre le basi del futuro MEAB. Gli atti di quel simposio uscirono nel 1993, con un volume stampato nella veste grafica raffinata voluta da Panzeri, nello stesso anno in cui lavoravo alla ricerca sui pescatori che nel 1996 sarebbe diventata un libro: Pescatori di lago. Storia, lavoro, cultura sui laghi della Brianza e sul Lario.

 2 Rossa di Galbiate, 1960. Romeo con il padre dopo una pesca di tinche


Rossa di Galbiate, 1960. Romeo con il padre dopo una pesca di tinche

Io conoscevo già Romeo, anche se superficialmente, a causa della passione comune per il ciclismo. Infatti sapevo che i fratelli Riva – Francesco, Beniamino e Romeo – erano cicloturisti attivi nella prima società per cui avevo gareggiato da ragazzo: il G. S. Emilio Colombo di Oggiono. Quando però ero diventato galbiatese, per l’anagrafe, oltre ad avere scoperto che avevamo lo stesso numero civico della frazione Rossa, seppure nei due comuni divisi da un torrente di confine, avevo individuato Romeo come testimone esperto della vita sul lago e di altre attività, che avrei indagato nei mesi e negli anni successivi.

Credo di avere almeno una ventina di nastri o files registrati con testimonianze e interviste in cui Romeo parlava di vari argomenti della vita passata. Avevo così saputo che aveva trascorso l’infanzia in campagna vicino al lago in una famiglia di mezzadri, che aveva conservato fino al secondo dopoguerra una serie di attività agricole, ad integrare le entrate dei salari che i genitori come i fratelli e le sorelle Riva ricavavano dal lavoro in fabbrica. Romeo era quindi diventato un operaio metalmeccanico specializzato.

Con Romeo si creò un po’alla volta una frequentazione continua, tanto che per i nostri figli divenne un quasi nonno: dato che non hanno avuto la fortuna di conoscere quelli veri. Per esempio Franco ha imparato da Romeo a pescare, e la stessa cosa ha sperimentato Sasha durante le estati quando dall’Ucraina veniva da noi in vacanza. Nonostante questo ci siamo sempre dati del “lei”, cosa che stupiva qualche guida volontaria del museo che a Romeo dava del “tu”, ricambiata.

1965. Romeo con i suoi cani da caccia

1965. Romeo con i suoi cani da caccia

E a proposito di museo, i nostri incontri si intensificarono quando, dopo il 1998 si ristrutturò l’edificio in cui si è poi realizzato il museo e si cominciò a pensare più fattivamente all’allestimento. Dai suoi racconti e dalle mie riflessioni sull’importanza fondamentale delle voci dei testimoni per quelli che sarebbero stati i visitatori del MEAB, venne l’idea di scegliere alcuni brani delle spiegazioni di Romeo sulla bachicoltura, sull’agricoltura, sulla stalla, da diffondere con l’impianto sonoro nei diversi spazi di questo vecchio ‘condominio’ contadino.

Memorabile fu la decisione di introdurre il visitatore nel museo partendo dalle attrezzature per l’allevamento del baco da seta, dopo che con l’architetto Ponti, incaricato della ristrutturazione dell’edificio, si era accantonata l’idea di partire da una comune (e forse banale) biglietteria con bookshop. Il locale con il focolare che doveva essere servito per cucinare e per riscaldare l’ambiente, in cui ancora oggi si entra al museo, ci sembrò molto più adatto a illustrare l’attività che vi si svolgeva in primavera, con la disponibilità della foglia del gelso. Romeo con i suoi ricordi ebbe un ruolo decisivo nella scelta, nonostante, o forse proprio perché, il baco da seta gli ricordava la mole di lavoro che serviva in quel mese e mezzo per allevarlo e la puzza degli escrementi che avevano accompagnato l’infanzia del nostro testimone. Romeo mi raccontò di quando la proprietaria della terra che la famiglia Riva lavorava, vicino al lago, si era raccomandata a sua mamma perché ancora nei primi anni ’50 montassero le lettiere per allevare i bachi. I figli però – ormai occupati in fabbrica e meno soggetti alla necessità dei lavori di campagna – si erano ribellati e avevano deciso di distruggere le tavole perché non volevano più saperne di quell’impegno e di quei sacrifici.

1968 ca. Romeo con i compagni ciclisti del G. S. Emilio Colombo di Oggiono

1968 ca. Romeo con i compagni ciclisti del G. S. Emilio Colombo di Oggiono

Ma ora si trattava di mostrare e spiegare cos’era e cosa significava la bachicoltura nella maniera più realistica a chi non l’aveva sperimentata. Ora Romeo voleva recuperare i materiali che erano serviti a generazioni di donne per collocarli nel museo con una finalità ben più che didattica: una finalità educativa, specie per le giovani generazioni, come dice lui stesso nel film che racconta la storia della sua vita (oggi visibile sul canale Youtube del Parco Monte Barro).

Prima di aprire al pubblico il museo, domenica 6 aprile 2003, organizzammo un convegno con moltissimi partecipanti interessati alle relazioni di studiosi italiani e non solo, che si tenne a villa Ronchetti di Sala al Barro, per diversi anni sede del Parco. Tra tutti gli amici del museo impegnati nell’ospitalità di chi era intervenuto per parlare delle sue esperienze museali o per ascoltare i relatori, ci fu anche Nina Gaetanina Butti, la moglie di Romeo, che si diede da fare per rendere più accoglienti le camere dell’ostello e per partecipare al servizio del catering nell’oratorio di Sala al Barro, a pochi passi dalla sede del convegno.

Dopo l’inaugurazione, oltre a far da guida per tanti gruppi di visitatori, Romeo collaborò nel 2008 attivamente ad allestire la sezione del MEAB dedicata alla uccellagione e alla caccia presso il roccolo di Costa Perla, sempre all’interno del Parco, dopo essere stato un testimone fondamentale su un’altra delle sue passioni: la caccia. Lui, tra l’altro, aveva costruito gli archetti, destinati alla esposizione, che si usavano per la cattura dei pettirossi.

1975. Romeo e un compagno di lavoro su una macchina per movimento terra

1975. Romeo e un compagno di lavoro su una macchina per movimento terra

Per esercitare con generosità le sue abilità manuali, affinate dai lavori in vari campi tra cui spiccava la meccanica, Romeo portava anche molte attrezzature personali al MEAB, tanto che l’armadio a muro originale, che si trova nella sala conferenze, conserva diverse delle sue cose e soprattutto la sua tuta da lavoro, che indossava per operare, con scrupolo ed efficacia, negli interventi tecnici più diversi. Romeo non era un uomo che in Brianza si definirebbe un sciampón, una persona che lavora di fretta puntando sulla quantità della produzione; era invece meticoloso e preciso. Devo ricordare, a questo proposito, che Romeo era anche disponibile a risolvere, con abilità e con la sua esperienza, alcuni problemi tecnici che si manifestavano a casa nostra.

A proposito della ‘morale museale’ del nostro protagonista, mi sono venute in mente alcune considerazioni di Marcel Mauss sul dono, quando affermava che «le cose hanno ancora un valore sentimentale oltre al loro valore venale, ammesso che esistano valori soltanto venali» o quando ricordava la famiglia contadina della Lorena, che si limitava a fare la vita più modesta nei giorni normali, mentre si rovinava per gli ospiti, in occasione delle feste, spendendo il suo patrimonio con una generosità inimmaginabile. Per Romeo venire al museo era sempre un po’ fare festa, elargendo doni in varie maniere e a vantaggio di diverse persone. Del resto, come ci ricorda lo steso Mauss, sono state le nostre società occidentali a fare, assai di recente, dell’uomo “un animale economico”, pur non essendo ancora diventati tutti esseri di questo genere.

Ma torniamo al giugno 2008: due settimane dopo l’inaugurazione del casello della bresciana come sezione del MEAB sull’uccellagione e la caccia, Romeo, grazie alla candidatura che avevamo supportato con il documentario che con Giosuè Bolis gli avevamo dedicato, fu invitato a Castelnuovo Nigra in Piemonte per ricevere il premio nella sezione “Testimoni della tradizione”. Elegante, insolitamente con giacca, camicia e cravatta, ricevette i complimenti del sindaco e dei professori che componevano la giuria, tra cui Antonino Buttitta, Piercarlo Grimaldi e, in particolare, Pietro Clemente che ha conservato, negli anni, con Romeo un rapporto di stima reciproca.

Rossa di Galbiate, 2001. Romeo istruttore di un aspirante pescatore

Rossa di Galbiate, 2001. Romeo istruttore di un aspirante pescatore

Mi sembra molto importante far notare che Romeo è stato un uomo sempre molto interessato a conoscere cose e persone nuove. Grande lettore di pubblicazioni sugli argomenti che gli stavano a cuore, partecipava ai convegni dove mi accompagnava in cui si parlava ad esempio di pesca oppure di ciclismo con curiosità e grande attenzione, entrando in relazione informale con gli esperti presenti. Sempre con un atteggiamento rispettoso, ma anche dimostrando la sua vivacità intellettuale.

Negli stessi anni, dal 2007 al 2009, quando glielo proposi, Romeo fu molto felice di entrare a far parte anche della piccola squadra dei volontari del Museo del Ciclismo alla Madonna del Ghisallo, vicino al santuario dedicato alla patrona dei ciclisti, dove lui e Nina si erano sposati molti anni prima. Anche qui, come accompagnatore dei visitatori, metteva a disposizione le sue conoscenze di appassionato praticante e di suiveur che ha sempre seguito le gare alla radio e sui giornali, alla tv e sulla strada, quando possibile, con i suoi campioni preferiti: gli attaccanti, dotati come si dice in gergo “di classe”. Per questo era un coppiano e un tifoso di Gianni Motta, mentre non sopportava Gimondi… che chiamava addirittura “satana”, perché lo riteneva un campione che giocava spesso in difesa approfittando del lavoro degli avversari.

Galbiate, 2007. Romeo con una sgranatrice donata al MEAB

Galbiate, 2007. Romeo con una sgranatrice donata al MEAB

Gli piaceva molto dare i soprannomi alle persone: un vicino di casa che trovava particolarmente antipatico era “Brutus”, mentre una coppia che passava spesso passeggiando sotto casa sua, forse perché relativamente giovani e in apparenza perditempo, erano per lui “la duchessa di Kent e il principe Edoardo”. Ma trovavo interessanti e bonariamente divertenti le sue definizioni collettive dei tipi umani diventati più comuni negli ultimi decenni anche in Italia e in Brianza: un bambino nero poteva essere definito “un negusèl” (da Negus, sovrano di Etiopia, che l’Italia del periodo coloniale aveva fatto conoscere), mentre gli uomini generalmente di fede islamica per il loro abbigliamento erano “suchetùni” (da sóca, gonna). Come si capisce anche da questi esempi, Romeo era una persona ironica e a volte sarcastica, che molti al museo hanno conosciuto in una veste ammirevole e degna di rispetto, ma che sapeva essere intransigente, come capitava di verificare frequentandolo in privato.

Tornando alla curiosità di Romeo, che è anche la base di qualunque scienza, fu molto contento di venire a Nuoro per l’edizione 2009 di ETNU, festival dell’etnografia, a presidiare lo stand del MEAB, facendosi conoscere dai visitatori e da vari studiosi che partecipavano alla manifestazione. Avevamo deciso di illustrare due aspetti delle tradizioni della Brianza e del Lecchese, esponendo oggetti e filmati sulla pesca e sul flauto di Pan: il solo argomento evidenziato al MEAB su cui Romeo si dichiarava ignorante. È stata, quella sarda, per lui l’unica occasione di un viaggio aereo e, forse, anche di essere accompagnato in taxi da Olbia a Nuoro e viceversa. Le nostre conferenze al MEAB gli avevano, d’altra parte, permesso di incontrare, tra gli altri relatori, Elisabetta Silvestrini, che nel 2013 ci invitò a Roma, dove, anche dopo la mia partenza, Betty e Vincenzo lo accompagnarono per qualche giorno a visitare la città. Questo viaggio, grazie al museo, fu la sua occasione per provare i 300 km/h del Frecciarossa.

Castelnuovo Nigra, 2008. La consegna del premio Nigra a Romeo Riva “Testimone della tradizione”

Castelnuovo Nigra, 2008. La consegna del premio Nigra a Romeo Riva “Testimone della tradizione”

Tra gli studiosi – i professori – che hanno fatto amicizia con Romeo, apprezzandolo come testimone e come persona generosa, devo ricordare Italo Sordi, mentre tra gli operatori culturali e i curatori di musei con cui abbiamo collaborato hanno avuto un rapporto speciale con Romeo, Caterina Napoli, Stefano ed Enrica Mariotti, Fabrizio Merisi, Michela Capra. Ma negli anni sono stati tanti i visitatori anonimi, giovani o vecchi, che hanno potuto apprezzare le sue doti di guida, capace di mettersi in sintonia con tutte le categorie di persone arrivate a Camporeso, il borgo dove ha sede il MEAB per scoprire il museo e la suggestione di un luogo speciale.

Il museo ha quindi cercato in varie occasioni di sdebitarsi, almeno un po’, con chi ha fatto tanto e per molti anni per il MEAB, come donatore, come testimone, come operatore tecnico, come guida, come ‘attore’ di documentari, anche portando altre guide volontarie nella squadra, come il suo compagno di classe (e di caccia) Ferruccio o come i figli dei pescatori di Civate: Giuseppe, Giancarlo e Peppino. Nomi di persone che si avvicendano in questa storia: ma cosa sono le istituzioni senza i protagonisti che le fanno nascere e vivere?

Nuoro, 2009.  Romeo con il MEAB ad ETNU

Nuoro, 2009. Romeo con il MEAB ad ETNU

Per questo è giusto aggiungere a queste note personali alcune considerazioni di parecchi amici del MEAB che, nella serata dei ricordi, hanno preso la parola, a cominciare da Valentina, neolaureata in antropologia culturale, la quale da un’importante testimonianza di Romeo, raccolta sul campo, aveva ricavato il titolo della sua tesi sui boschi. Da lì in poi hanno preso la parola tante guide del museo. Luciana, per prima, ha aggiunto di aver trovato in lui un maestro di tradizioni brianzole, per lei “forestiera”, arrivata nel Lecchese dal Veneto e priva di tante conoscenze necessarie per accompagnare i visitatori. Mariangela ha sottolineato la sensibilità ‘politica’ di Romeo, segnata anche da esperienze personali e familiari, da cui emergeva un forte desiderio di equità sociale. Valeria, che nei suoi turni si accompagna al marito Ernesto, ha parlato della pazienza e della dolcezza con cui Romeo si rivolgeva ad ognuno di loro e ai visitatori, ricordando i dialoghi tra lui e Ernesto, entrambi “uomini di terra”. Franco ha ricordato il suo apprendistato come giovane pescatore, allievo del maestro che lo accompagnava al lago, parlandogli anche dei boschi e della campagna.

10 Galbiate, 2009. Giuseppe Panzeri, presidente del Parco Monte Barro e Romeo Riva insieme, in occasione della mostra “Saperi femminili” al MEAB

Galbiate, 2009. Giuseppe Panzeri, presidente del Parco Monte Barro e Romeo Riva insieme, in occasione della mostra “Saperi femminili” al MEAB

Maestro rigoroso, con una sensibilità ambientalista ante litteram che si accompagnava alla parsimonia diffusa tra i contadini: “sapeva e sapeva fare tante cose”, come ad esempio usare la bici da corsa. Francesca, anche lei con un debito speciale con Romeo per la sua tesi di laurea, ha voluto sottolinearne la generosità ma anche l’abilità narrativa, talora capace di commuovere. Roberto, con i suoi interessi di studio per i beni immateriali, trovando in questo uomo un pilastro per la sua ricerca oltre che per la vita del museo, ha notato la sua umiltà nonostante una certa dose di celebrità, acquisita negli anni da Romeo attraverso le iniziative del MEAB. Quando lo si incontrava, emergeva la capacità di condivisione del proprio sapere, anche con gli estranei. Rina, guida della prima ora, ha voluto ricordare il legame speciale che Romeo, soprattutto grazie in particolare alla passione comune per il ciclismo, ha avuto con il suo compagno Sandro, per molti anni fotografo del museo prima della sua scomparsa. Ha aggiunto di quando una volta Romeo l’ha invitata a casa sua per farle dono dei filetti di pesce persico che aveva pescato e lavorato (dono analogo a quello ricevuto da molti degli intervenuti in questa serata). E a questo proposito Lauretta, che è stata a lungo compagna di turno di Romeo quando ad ogni primo sabato del mese lo accompagnava in auto da casa al museo e viceversa, ha parlato dei consigli gastronomici ricevuti sul risotto con il pesce persico. Tanto tempo trascorso insieme a lui l’ha portata ad affermare che “potrei scrivere un libro su Romeo”. Tra i molti ricordi ha citato quelli dei pomeriggi in cui la guida e l’appassionato di ciclismo dovevano faticosamente trovare un accordo perché arrivava qualche visitatore mentre la TV trasmetteva una tappa del Giro d’Italia o il Giro di Lombardia. Così, grazie al tablet di Lauretta, Romeo cercava di conciliare le due passioni nello stesso pomeriggio, magari dopo aver confidato alla sua collega: “sperèm che rüa nesögn” (speriamo che non arrivi nessun visitatore…). Romeo era un maestro di esperienze ma aveva anche una grande sensibilità e signorilità, sapendo rispettare i momenti di fragilità delle persone. È giusto aggiungere che sapeva anche detestare alcune persone, ma entro il limite della buona educazione.

11 Galbiate, 2010. Visita del museo con una classe di liceo

Galbiate, 2010. Visita del museo con una classe di liceo

Guido, che con la passione della pratica agricola ereditata in famiglia, ha trovato qui un insegnante competente in questo campo, tanto da invitarlo come esperto a condurre una visita guidata di una mattinata per le varie zone del suo paese, ha ricordato di avere involontariamente scatenato la preoccupazione e le ire dei figli di Romeo che non sapevano dove era finito…

Mario, più giovane di lui ma cresciuto in una cascina vicina all’abitazione dei Riva, ne ha ricordato la passione come ciclista praticante: insieme al fratello avevano le biciclette da corsa, rarissime all’epoca; e per questo erano conosciuti nella zona. Inoltre lo ha definito il “mago del lago” perché la sua conoscenza di questo ambiente era tale che “dove c’era Romeo c’erano i pesci”.

Giovanna, dopo aver parlato della signorilità di Romeo con le donne, ha voluto ricordare come amica del museo “la mia Nina” come la definiva lui: moglie generosa, vivace, intelligente, ironica e talvolta sarcastica come lui, “ul me Méu”, attiva coprotagonista dei primi tempi della vita del museo, impegnata in varie mansioni pratiche. Un ricordo necessario questo, dato che marito e moglie si completavano a vicenda e che la perdita di Gaetanina è stata per Romeo e per l’organizzazione della famiglia un colpo molto duro.

Paola, da parte sua, ha raccontato di essere arrivata nel 2011 per la prima volta al museo incontrando proprio Romeo: è stato lui a convincerla a rimanere per cominciare questa avventura tra i collaboratori del MEAB, dopo che la giovane laureata in antropologia aveva inviato il proprio curriculum senza avere mai condotto ricerche sulla cultura popolare della Brianza. Pertanto Paola ha trovato qui il suo primo testimone reale che, a fronte di una istruzione scolastica limitata, dimostrava una cultura e delle competenze eccezionali, oltre ad una speciale capacità di raccontare. Cristina ha voluto parlare della vivacità di questa persona all’interno del gruppo scuola, impegnato nei laboratori e nelle visite con i bambini e i ragazzi, ma anche della sua capacità di essere “bravo ascoltatore” con tutti quelli che incontrava nel museo: un luogo che sentiva come casa sua, di cui rappresentava una “componente viva”. Gilberto, appassionato pescatore e in famiglia dedito alla lavorazione del pescato, ha ricordato di aver ricevuto una lezione di filettatura del persico sole, pesce molto piccolo di dimensioni, che lo ha letteralmente impressionato per l’eccezionale abilità manuale con cui Romeo praticava questa operazione, tanto da paragonarlo a Jimi Hendrix con la chitarra.

oma, 2013. Romeo con Elisabetta Silvestrini in visita al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari

Roma, 2013. Romeo con Elisabetta Silvestrini in visita al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari

Da tutto quello che si è detto in questa serata si può capire in che senso Romeo sia diventato da figura ‘periferica’ a persona centrale per un progetto museale imperniato sulla ricerca e sulla divulgazione con una missione civile. Tra i primi ad accettare, per il MEAB, il ruolo di testimone vivo con la sua competente e generosa partecipazione, è stato mediatore di quella missione, capace a sua volta di sollecitare l’adesione di tante nuove guide, più o meno giovani: figli di contadini o di pescatori, operai, insegnanti, impiegate, tecnici, studentesse e studenti arrivati dalle università, più spesso da facoltà umanistiche o più raramente scientifiche, che dovrebbero rappresentare il futuro del MEAB. Romeo ha anche fatto parte del primo Consiglio direttivo dell’Associazione “Amici del MEAB”, nata nel 2024, che riunisce le guide del museo. Testimone ideale per l’antropologo, con la sua disponibilità a condividere con tutti le sue esperienze e le sue conoscenze, Romeo Riva, grazie alle sue doti e ai suoi doni, rimarrà per lungo tempo dentro coloro che ne hanno condiviso l’impegno per il museo, come resterà nei visitatori che ascoltano la sua voce parlare dell’allevamento dei bachi da seta, della stalla, del lavoro in campagna.

Pensando al MEAB come museo delle voci e alla presenza sonora che ancora oggi vi ha Romeo, vengono in mente le parole di Paul Zumthor quando scrive: «Il suono, l’elemento più sottile e più duttile del concreto, non ha forse costituito, e non costituisce ancora, nel divenire dell’umanità come in quello dell’individuo, il luogo d’incontro iniziale tra l’universo e l’intelligibile? La voce è infatti voler dire e volontà di esistere. Luogo di un’assenza che, in essa si trasforma in presenza…».

Molti ricercatori, come le persone citate qui, devono molto a questo uomo al di là delle proprie abilità: quelle che Joseph Casagrande definiva come la capacità, la comprensione e l’interessamento di colui da cui l’antropologo deve avere notizie, emerso con una propria personalità distinta, su molti argomenti riconosciuto come “informatore capo”, portatore di una cultura che in questa personalità si riflette. 

Dialoghi Mediterranei, n. 74, luglio 2025 

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Massimo Pirovano, ha insegnato discipline umanistiche nella scuola media, negli istituti secondari e nei licei. Dottore di ricerca in Antropologia della contemporaneità, si interessa di lavoro e ritualità presso le classi popolari, del canto e della narrativa di tradizione orale, di alimentazione, di gioco e sport, di musei etnografici, temi a cui ha dedicato saggi, documentari, cd musicali e mostre. Dirige il Museo Etnografico dell’Alta Brianza (Galbiate) dalla sua fondazione e coordina la Rete dei Musei e dei Beni Etnografici Lombardi (REBEL). Tra le sue pubblicazioni la cura del volume Le culture popolari nella Storia della Brianza (Cattaneo 2010) e dell’ipertesto Dalla fame all’abbondanza (MEAB – Parco Monte Barro 2014), oltre al saggio Un antropologo in bicicletta. Etnografia di una società ciclistica giovanile (Mimesis 2016).

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