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Da Isnello al Piemonte, l’umanesimo contadino nella microstoria di un partigiano
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2021 @ 01:37 In Cultura,Letture | No Comments
Nel 2013 Enrico Pagano in un articolo pubblicato in «l’impegno», rivista dell’“Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea”, auspicava che si ricostruissero le storie dei tanti partigiani venuti dal Sud Italia che diedero il loro contributo, anche a costo della vita, alla Resistenza contro il nazifascismo. Auspicio che prendeva le mosse dall’esigenza, storiografica e civile, di dimostrare quanto anche il Sud sia stato coinvolto, anche al proprio interno, nella lotta di resistenza.
Antonio Ortoleva, giornalista e saggista, che ha lavorato a Milano e a Palermo per trent’anni presso il «Giornale di Sicilia», docente a contratto di Giornalismo presso l’Università di Palermo, aperto anche a interessi per il mondo orientale – suo con lo stesso editore C’era una volta l’India e c’è ancora (2015) –-, ha dato risposta a siffatto auspicio.
Non posso salvarmi da solo. Jacon, storia di un partigiano (Navarra editore, 2021) è appunto la storia di Giovanni Ortoleva, originario di Isnello, paese delle Alte Madonie, che il 15 luglio del 1944 aderì alla Resistenza, distaccamento Zoppis della Divisione Garibaldi Piemonte, per essere catturato a Salussola, nel biellese, torturato e ucciso il 9 marzo del 1945, dopo aver rifiutato la possibilità di salvarsi che gli aveva offerto il Commissario, suo compaesano, della squadra fascista di cui era caduto prigioniero. Nel 2011 le sue ceneri sono tornate a Isnello.
Come è narrata questa storia, quale il suo tempo-spazio? È uno dei tanti motivi di interesse che presenta questo libro che cercheremo qui di rilevare. Vi si intrecciano infatti strettamente narrazione e commento storiografico, documentazione e anelito civile. La narrazione vi si struttura come un “racconto a cornice che include altri racconti”.
La cornice è data da un’efficace mise en abȋme, qui un testo che include un altro testo teatrale – Rosa bella, ciao, dello stesso Antonio Ortoleva –, data dalla ricostruzione, immaginaria ma di certo realistica, del dialogo fra l’Ufficiale fascista compaesano di Jacon che gli offre la possibilità di salvarsi e il rifiuto del giovane partigiano che non accetta perché «non può salvarsi da solo», come dirà ai suoi compagni.
Segue una serie di “racconti” (livelli intradiegetico e diegetico) che qui elenchiamo:
7. La figura di Francesco Moranino, il comandante (“Gemisto”), ex operaio tessile, capo in Piemonte della XII Divisione Garibaldi. Il racconto degli scioperi operai con la partecipazione attiva delle donne. La ricostruzione di ciò che avvenne dopo la sconfitta del Fronte Popolare alle elezioni del 1948, il permanere dell’apparato fascista, dopo Yalta, in funzione antioperaia e antidemocratica, il delinearsi della “strategia della tensione” (Resistenza e lotta di classe).
Come si può evincere da questa sintetica e schematica esposizione della struttura e dei contenuti principali della narrazione, il campo degli eventi narrati è quanto mai ampio, le 138 pagine del libro sembrano nella lettura dilatarsi enormemente.
Il tempo scorre rapido, vola, come ha ben rilevato Simona Laudani, la storica che con me ha intervistato l’autore il 30 settembre u.s., nella rubrica “Mezz’ora con” che su Facebook tiene l’Associazione “Memoria e Futuro”, ma, c’è da aggiungere, cambiano i tempi dei singoli “racconti”, da più rapidi a più dilatati, non solo il passato ma le sue proiezioni nel presente e nel futuro, tempi dall’alto spessore valutativo-emozionale.
Gli spazi sono circolari, intrecciano aree diverse del Paese, cosmi di vita e atmosfere diversi eppur concomitanti, sentimenti e visioni individuali e collettivi, lo spazio del racconto e del commento storiografico, lo spazio della fitta documentazione apportata. Un libro dove vige la “pienezza del tempo-spazio”: il passato-il presente-il futuro, per citare Michail Bachtin.
Dettagli luminosi
La narrazione si apre non di rado a quelli che Roberto Calasso, riferendosi a Roberto Bazlen, detto “Bobi”, l’ispiratore della fondazione della casa editrice Adelphi, chiama “dettagli luminosi” (si veda R. Calasso, Bobi, Adelphi, 2021): il cogliere dettagli che illuminano mondi diversi.
Come non fare riferimento a questo proposito a quanto ritroviamo nel libro a proposito del cosmo contadino? La vita di campagna che gli emigranti abbandonano, la visione solidaristica che si manifesta nei legami individuali e collettivi, e la citazione dell’Ode di Quasimodo Ai fratelli Cervi, alla loro Italia: «[…] Scrivo ai fratelli Cervi, / non alle sette stelle dell’Orsa: ai sette emiliani / dei campi. Avevano nel cuore pochi libri, / morirono tirando dadi d’amore nel silenzio. / Non sapevano soldati, filosofi, poeti, / di questo umanesimo di razza contadina».
L’umanesimo contadino, nonché, è da aggiungere, l’umanesimo operaio: la solidarietà, l’aiuto reciproco, la visione di una società diversa, il valore del lavoro a fondamento della democrazia. Come non fare riferimento a quel «Non posso salvarmi da solo» che porta Jacon al martirio, a quella compartecipazione di popolo alla lotta e al sacrificio dei resistenti?
Per continuare
Il libro di Antonio Ortoleva, in sintesi, pone tre grandi questioni, ancora aperte.
Sì, per continuare: questo libro che l’autore definisce un reportage storico, lo è, ma si accosta anche a quel filone di studi che è rappresentato dalla microstoria, cioè il risalire da un evento particolare a un quadro storico generale (ricordate, per il metodo, di C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi, Einaudi, 1976?).
Per continuare: è un libro che deve circolare fra i giovani per rendere chiaro da dove veniamo e verso dove dovremmo andare nella visione dei valori della vita e della società.
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