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Corpo, sacro, natura. Sulla fisicità del sacro

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2023 @ 03:05 In Cultura,Religioni | No Comments

Scena di un sacrificio, cratere a figure rosse,. 430–420 a.C.

Scena di un sacrificio, cratere a figure rosse, 430–420 a.C.

di Paola Elisabetta Simeoni [*] 

La nozione di sacro è complessa, spesso sfumata e ambigua e cercherò qui di riprendere in breve le linee principali di riflessione scientifica [1] per poi sviluppare le mie riflessioni. La nozione viene elaborata nella seconda metà del Ottocento – scrive Giovanni Filoramo [2] – che la qualifica come una “scoperta” «della scienza comparata delle religioni che si è affermata in Francia, Germania e Inghilterra quale tentativo di studiare e di comparare, su di un piano di pari dignità, in quanto prodotti culturali, le differenti religioni».

Precisa Filoramo che «le “origini” di questo concetto affondano nella cultura illuministica, e precisamente sia nel tentativo di trovare un comune fondamento antropologico al sentire religioso dell’uomo sia nel tentativo parallelo, messo in atto in particolare da Jean-Jacques Rousseau, di trovare un fondamento non teologico, ma comunque religioso (la cosiddetta ‘religione civile’), alla convivenza sociale». In questo ultimo senso il sacro è nozione che non riguarda la religione intesa in senso stretto ma si estende anche in un orizzonte “laico” della società ed è in grado di affrontare i temi della secolarizzazione del pensiero contemporaneo.

durkheimÉmile Durkheim (1912) evidenzia del sacro soprattutto l’aspetto cognitivo e normativo, la natura di fenomeno collettivo e la funzione di integrazione sociale. Egli distingue il sacro dalla religione: «la religione, in quanto dato istituzionale, presuppone il sacro, che ne costituisce appunto la fonte esperienziale» e «il sacro è, in ultima analisi, ciò che, consacrando un oggetto o un valore, viene ad attribuirgli un valore assoluto in grado di guidare l’azione sia del singolo sia della comunità».

Rudolf Otto (1917) [3] presuppone una realtà “ontologica”, das Heilige, che ha validità universale e che fonda una realtà “a priori”, una religiöse Anlage, una disposizione religiosa, che caratterizza l’Homo religiosus: vi è secondo Otto un universale Gefühl o sensus numinis che sta alla base dell’esperienza religiosa. Il sacro, o meglio la sua percezione, è sottoposto all’Erlebnis, ha carattere misterioso ed emozionale.

Per certi versi vicino a Otto è Roger Caillois (1939) [4] per il quale il sacro ha i tratti psichici di «forza indivisibile, onnipresente, incomprensibile, pericolosa, sommamente efficace, un’energia che manifesta il suo potere contagioso, epidemico, in grado di provocare, non più facendo ricorso alla metafora dell’elettricità ma della chimica, fusioni improvvise e irresistibili». Esso, sostiene lo studioso, concerne i principi vitali dell’essere e veicola le forze pre-razionali.

calloisSottolinea l’opposizione e l’interdipendenza funzionale tra sacro e profano che considera come un «néant actif, che degrada la pienezza del sacro, permettendone nel contempo la manifestazione» pur essendo entrambi «necessari allo sviluppo della vita: l’uno come il luogo in cui essa si dispiega, l’altro come la fonte inesauribile che la crea, che la mantiene, che la rinnova». Per questo studioso e per il Collège de Sociologie (1937-1939), «la nozione di sacro diventa centrale per capire l’instaurarsi di quella esperienza di effervescenza collettiva – di ‘parossismo sociale’ – in base alla quale l’individuo trascende se stesso e si identifica in una collettività più ampia». Caillois riprende quindi, per altri versi, l’idea di Durkheim che il sacro fonda il vincolo sociale e in questo senso rileva il suo carattere di trasgressività che conduce a uno stato psichico e sociale caotico e indifferenziato che permette il rinnovamento della persona e della società.

Mircea Eliade (1949-1957) [5] persegue l’individuazione di una “morfologia del sacro”. Come per Otto e diversi altri studiosi, il sacro «serve a formalizzare le esperienze del numinoso, ma è prima di tutto e soprattutto un’esperienza di natura interiore che ha in qualche modo in sé i contenuti del suo esperire». Egli si basa in particolare sull’opposizione “sacro/profano” e, seguendo la corrente fenomenologica, ne sottolinea «il particolare carattere di realtà, se non di verità. Il sacro eliadiano, infatti, è un dato strutturale della coscienza umana, che storicamente manifestano le ierofanie, guidate da una peculiare dialettica secondo la quale la particolare “realtà” del sacro si manifesta, e non può non manifestarsi, nella profanità degli oggetti più diversi, senza che però questi oggetti la possano esaurire». Per Eliade il sacro è il fondamento energetico della vita che segna il rapporto dell’uomo con l’universo.

bateson-mnteDiverso pensiero sviluppa Gregory Bateson il quale, partendo dalla cibernetica, spazia su diversi orizzonti scientifici [6]. Egli affronta l’argomento con uno studio che è stato pubblicato postumo a cura dalla figlia, anch’essa antropologa, Mary Catherine Bateson [7]. Le riflessioni di Bateson sono assai articolate, per cui cercherò di evidenziare, con la speranza di non essere eccessivamente riduttiva, quanto può aiutarci ad affrontare il tema secondo il paradigma della complessità assunto dallo studioso.

Egli intende la realtà come una rete di diversi sistemi interconnessi o “intertessuti”: individuo, società ed ecosistema (ambiente biologico naturale), che vivono in relazione di omeostasi. Essi si trovano a essere in relazioni dinamiche e reciprocamente adattive e capaci di autocorreggersi. La teoria cibernetica [8] della comunicazione a cui Bateson si ispira in questo paradigma prevede che ogni sistema organizzato coordini le sue stesse parti componenti e controlli il coordinamento che le une esercitano sulle altre attraverso meccanismi di scambio di informazioni di tipo circolare. Tale funzionamento dinamico “olistico” interconnette differenti livelli del reale ed è aperto alle possibilità [9]. Egli distingue d’altra parte il Pleroma (nozione di origine gnostica che mutua da Jung) e che definisce come mondo fisico non-vivente, e la Creatura, il mondo vivo, soggetto alla percezione della differenza, alla distinzione e all’informazione. La frontiera tra i due mondi che si potrebbe collocare al posto della separazione fra mente e materia, non è una dicotomia unicamente strutturale è «in realtà un ponte, un canale per la trasmissione dei messaggi»: egli sostiene infatti che vi è interazione tra struttura (forma) e processo (flusso).

I tre sistemi fanno parte di un sistema “supremo” che non ha solo una funzione di interazione ma un vero e proprio controllo sugli altri. Lo definisce Mente e – sostiene – potrebbe essere anche denominato Dio, designazione quest’ultima che non va presa nel senso datole dalle singole religioni. Tutte le reti si riconnettono a Pleroma e Creatura e si riallacciano nell’unità della Mente; in tal modo il senso e l’organizzazione si proiettano sul mondo.

Per ciò che riguarda il sacro, Bateson lo definisce come «la dimensione integrale dell’esperienza» [10] , terreno «dove gli angeli esitano a mettere piede» (in inglese il titolo del volume è Angels fear) [11] e dove si avventura con circospezione e cautela.

Questo nuovo paradigma segna un vero e proprio ribaltamento del punto di vista cartesiano e dell’epistemologia occidentale e può diventare il punto di partenza per riesaminare i nostri presupposti scientifici più generali e svelare le nostre prese di posizione etnocentriche. All’interno di esso e della visione dicotomica della realtà propria alla nostra civiltà va inserito un processo di decostruzione della opposizione tra sacro e profano: definita a volte dagli studiosi come base della interpretazione del sacro, può alla fine essere considerata una mera lettura tautologica e meccanicistica della realtà che dovrebbe essere letta in un modo diverso. Nell’ambito degli studi antropologici, filosofici e nella storia delle religioni, il sacro si oppone a profano, come straordinario a ordinario, delineando contrapposizioni che, nel creare categorie irriducibili, contraddistinguono i livelli del vissuto. Questa antitesi consolida il dualismo natura/cultura, individuo/società, ecc. e non riesce a spiegare la diversità degli orizzonti culturali (Simeoni 2022).

bateson-angeliPer Bateson siamo di fatto vittime del dualismo cartesiano che fu una “barriera formidabile” che dominava la scena e che impediva di far luce sulla «convinzione che mente e natura  formano un’unità necessaria in cui non esiste una mente separata dal corpo o un dio separato dalla sua creazione» [12]; egli sostiene di avere imparato, superata tale visione, a «guardare con occhi nuovi il mondo integrato» [13] e pensato in modo nuovo il concetto di sacro [14]. Secondo questo assunto è necessario perciò superare il riduzionismo meccanicista che ha creato la contrapposizione tra le categorie di sacro e profano e analizzare piuttosto il flusso esistente tra queste due categorie e mettere in luce i processi evolutivi, che Bateson intende come svolgimenti conservativi volti ad assicurare la sopravvivenza del sistema. Inserirei quindi tali processi nella più ampia sfera dei flussi attivi e vitali atti a regolare le relazioni tra i diversi livelli esperienziali e tra le diverse dimensioni della realtà. 

Il pensiero umanistico occidentale ha ancorato dunque in maniera dicotomica e oppositiva il sacro al “profano”, perfino gli studiosi che hanno criticato questa opposizione non sono riusciti a liberarsene (Sabbatucci, Filoramo, Eliade ecc.) [15]. L’opposizione sacro versus profano è una interpretazione fuorviante che impedisce di comprendere le Weltanschauungen delle culture etniche ed è assente perfino nell’etimologia antica alla quale gli studiosi summenzionati in genere si riferiscono per sostenere tali punti di vista. Nel mondo antico questa etimologia risponde invece a un sistema complesso e non meccanicistico delle relazioni al divino.

Il termine “sacro” è stato fatto risalire alla radice indoeuropea sak, “conferire validità, realtà” e, in questo senso, secondo Eliade, esso è conforme al “cosmo” (universo ordinato) ed è “struttura fondamentale delle cose”, ovvero “il reale per eccellenza”, oggettivamente condiviso a livello sociale, semantizzato da un’azione culturale e religiosa che attribuisce una vita immaginaria a quella parte del cosmo percepito come sistema immutabile che instaura con esso una rete di relazioni, senza dirimere l’opposizione strutturale tra le due dimensioni.

In verità, a un’analisi più approfondita, tale connessione etimologica va corretta poiché la massima distinzione tra sacro e profano che si possa rintracciare è in latino (Benveniste 1976) dove però non ha il senso datole dai diversi studiosi di storia delle religioni mentre risponde a un processo rituale peculiare attinente alla creazione di rapporti religiosi e sociali con il divino: 

«Profanus è ciò che è esterno al sacro, ciò che si trova alla periferia di esso (“pro-”), ma non comporta una radicale negazione del sacro: semplicemente, il profanus attende di essere investito dalla dichiarazione di sacralità. Nulla è sacro di per sé, nulla è profano di per sé: ogni cosa può diventare sacra o profana, a seconda delle esigenze del momento, purché la collettività la dichiari tale con gli appositi riti» (Morani 1981: 39). 
 Devozione alla Santissima Trinità di Vallepietra, ICCD (ph.  A. Palma, 2004)


Devozione alla Santissima Trinità di Vallepietra, ICCD (ph. A. Palma, 2004)

In latino «il termine sacer indica solamente l’esistenza o il crearsi di un “rapporto” positivo fra l’uomo e il dio» (ivi: 37-38), rapporto che indica una relazione tra gli uomini e la divinità e suggerisce un sistema “totale” stabilito da un processo di dono e contro-dono (Sabbatucci 1950-1952; Morani 1981). Il sacro è un dono “offerto alla divinità” (Sabbatucci 1950-1952: 91) che crea propriamente un legame contrattuale: «un patto che lega la divinità stessa alla linea di condotta richiesta dall’uomo (do ut des)», che istituisce cioè una relazione di reciprocità dinamica al divino; ogni volta che l’uomo fa sacer qualcosa chiede di fatto l’intervento divino (ivi: 98). Mette cioè in atto un processo relazionale, crea un nuovo rapporto dinamico.

Si potrebbe riconoscere in questa azione rituale uno speciale conferimento di “energia” che ha la funzione di rinvigorire e dinamizzare le relazioni vitali e quindi anche i collegamenti con il naturale e il sovrannaturale. In tale procedura ritualizzata di “sacralizzazione”, il corpo e le sue pratiche – religiose e non religiose – risultano essere centrali. Nel corso di questo processo l’immaginazione crea relazioni simboliche e metaforiche, performa in maniera drammatica e socialmente condivisa le relazioni tra i corpi individuali uniti nel sociale e la natura circostante, crea un tramite con ciò che vuole identificare come divino elaborando un sistema di connessioni. 

eliadeIl sacro come sistema di relazioni 

La individuazione dei segni del sacro – quelli che Eliade chiama “epifania” – non consiste difatti solo nel disegnare un punto su una mappa, ma nell’istituire un complesso sistema di relazioni che stabiliscano dei legami con l’altro, l’altrove o il divino. Il processo di sacralizzazione semantizza il mondo fisico circostante, ma non possiede virtù dinamiche se non è agito attraverso il sostegno di una fede, di performazioni rituali, di elaborazione di un racconto mitico, ecc. Esso mette in chiaro le strutture e le performance che coinvolgono in maniera dinamica i diversi livelli del reale, la natura, il mondo degli oggetti, il corpo nella sua totalità mentale, fisica ed emozionale.

La società, nella rappresentazione mitico/rituale, drammatizza periodicamente – ciclicamente – le dinamiche stesse della Vita nella sua evoluzione e ribadisce il suo essere un tutt’uno con la Natura. Può essere attribuita sacralità a una montagna, a un albero, a una roccia, ovvero a un tempio o a un oggetto (icona, statua, reliquia…), perfino a una persona viva o defunta o ai resti terreni di essa, cosicché il mito le rende vere espressioni del divino e chiede di porvi fede.

Vi sono sempre punti di incontro tra gli esseri umani, il divino è il mondo naturale nelle azioni di fondazione che istituiscono le epifanie: mentre un contadino ara in cima alla montagna i buoi cadono nel dirupo e rimangono inginocchiati davanti un’immagine sacra; delle capre brucano le foglie di edera che coprono il muro e appare l’immagine della Madonna; Dio scrive con lettere di fuoco su una tavola in cima alla montagna del Sinai i dieci comandamenti; l’eroe divino muore e dal suo corpo crescono le piante utili all’uomo; Mosè batte la roccia e zampilla una sorgente d’acqua; Gesù muore sulla croce e le montagne si spaccano; il Santo sale sulla montagna e lascia le sue impronte nella roccia…

La relazione al sacro disegna il continuum esistente tra le diverse entità fisiche. Le “mappe del sacro” ridisegnano l’ambiente secondo immagini di senso. Così viene dato un surplus di valore ad alcuni luoghi, oggetti, gesti che rimangono impressi sul mondo fisico e indicano l’incontro avvenuto e continuamente rammemorato tra il mondo di qua e un altrove spazio-temporale. In questo spazio di fondamentale significato collettivo si incrociano le linee di comunicazione tra la realtà quotidiana, l’immaginario e una realtà che si pensa collocata in un altrove con il quale non vi è soluzione di continuità. Il processo di sacralizzazione istituisce perciò ritualmente un legame tra mondi diversi che permette di collegare e rinsaldare la realtà fisica a quella spirituale, in modo speciale rendere materiale l’immateriale, fisico lo spirituale e viceversa, sì da creare una relazione reciproca tra senso e azione.

I gesti durevoli della memoria rituale – quali recarsi al santuario in pellegrinaggio, raggiungerlo a piedi, percorrere in processione il paese, salire le scale della chiesa in ginocchio o a piedi nudi, passare la mano sullo stipite della porta, sfiorare la roccia della grotta o le pareti del tempio dove rimane l’orma della mano, toccare l’icona o la reliquia, baciarla, inginocchiarsi, distendersi sulla terra nuda o sul pavimento del tempio, oppure sulla roccia dove sono visibili le tracce dei piedi divini, baciare la terra e perfino leccarla, bagnarsi nella sorgente, raccogliere l’acqua per portarla a casa, battersi il petto, flagellarsi, mangiare o digiunare, ballare, suonare e cantare, inneggiare a Dio e anche pregare – sono vere e proprie performance fisiche, narrazioni mitiche e allo stesso tempo dichiarazioni di fede riguardo a una profonda unità universale . Il corpo si pone allora quale perno o cerniera tra i diversi livelli e reifica il desiderio del sacro mentre risponde all’esigenza di entrare in un rapporto fusionale con il Creato.

Partenza di una Compagnia dal santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, ICCD (ph.. A. Palma 2004)

Partenza di una Compagnia dal santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, ICCD (ph. A. Palma 2004)

Il linguaggio non-verbale del corpo anche più importante di quello verbale, attiva in questi casi percezioni immaginarie ed esperienze vissute in maniera totalizzante. Come osserva Caillois, nell’immersione nel sacro, il corpo in unità con tutto il creato è portato al parossismo testimoniato dall’intensità emozionale propria di un atteggiamento mistico (il “sentimento oceanico” degli psicoanalisti).

Il sacro è anche uno spazio/tempo dove la parola è spesso sostituita dal silenzio o da un linguaggio rituale specifico, a volte esoterico, da una gestualità la cui comprensione non è verbale ma risiede nell’inconscio. Bateson sostiene che il sacro è necessario alla vita e se lo vogliamo conservare occorre anche «preservare una qualche forma di non-comunicazione». «La comunicazione – sostiene – è [in questi casi] indesiderabile, non perché faccia paura, ma perché in qualche modo altererebbe la natura delle idee… perché siamo in un terreno diverso che è quello della materia fisica che non necessita dello scambio delle parole, ma di uno scambio puramente energetico. E così ci sono molte questioni e molte circostanze in cui la coscienza è indesiderabile e il silenzio è d’oro, sicché la “segretezza” può fungere da segno per indicare che stiamo avvicinando un terreno sacro» [16]. La segretezza che accompagna il sacro e lo annuncia è un tema interessante che permette di aprire a nuove interpretazioni. Intanto possiamo effettivamente osservarla in opera in numerose performance religiose e non solo: i segreti in materia religiosa o la capacità di mantenere un segreto sono elementi narrativi diffusi nelle mitologie di diverse culture.

isambertOvviamente, come già evidenziato sopra, Bateson non intende il sacro come legato unicamente a una o alla religione, ma indica la maniera secondo la quale gli organismi viventi si auto-regolamentano e vivono in maniera integrata. Nei processi di interazione – argomenta lo studioso – vi sono lacune, non-comunicazioni e mancanza di autocoscienza che interrompono il continuum della comunicazione verbale e, d’altra parte, l’onniscienza può distruggere la flessibilità necessaria al rinnovarsi della Vita. «Nella storia passata – sostiene Bateson – la religione è stato l’unico tipo di sistema cognitivo capace di fornire un modello dell’integrazione e della complessità del mondo naturale, perché queste sono le caratteristiche destinate a sottrarsi sempre anche ai più meticolosi sforzi di descrizione» [17].

Ma tale segretezza, una sorta di black-out momentaneo della comunicazione, non è un non-sapere ma un altro modo di sapere che permette un adattamento ad un nuovo livello esperienziale che ravviva i processi immaginifici, una percezione integrata che fornisce un arricchimento del modello mentale. È – come afferma Bateson – una “struttura che connette” e perciò provoca nuova tensione vitale.

Le cose sacre sono spesso sottoposte a un tabù, al divieto di guardare, di ascoltare e di toccare, ecc., sono tenute nascoste, isolate o circondate da una aurea di mistero. A volte solo il sacerdote può accostarvisi, in altri casi solo alcune categorie di persone, solo gli uomini e non le donne, solo gli iniziati, ecc. Solo Mosè può salire alla montagna dove gli appare Javeh, la reliquia è chiusa nel suo reliquiario al quale può avvicinarsi solo il sacerdote, il Santissimo Sacramento è conservato nell’ostensorio, la statua della Madonna può essere vestita per la festa solo dalle donne abilitate a farlo, la pietra nera sacra all’Islam è custodita nella Kasbah e coperta di veli e può essere baciata dai fedeli solo in occasione del pellegrinaggio alla Mecca, ecc. solo in poche occasioni il fedele vi si può accostare.

Devozione alla immagine della Santissima Trinità di Vallepietra. Il contatto con il sacro, ICCD (ph. A. Palma 2004)

Devozione alla immagine della Santissima Trinità di Vallepietra. Il contatto con il sacro, ICCD (ph. A. Palma 2004)

Ho potuto più volte osservare sul campo come tali momenti intensi e assoluti siano analoghi a quelli che si stabiliscono tra madre e neonato, in una ricerca fusionale, nell’afflitta invocazione di aiuto e nella gioia di un incontro inesprimibile. Di fatto questo attimo straordinario (che è allo stesso tempo ordinario e necessario al vivere quotidiano) viene performato in una dimensione che potremmo chiamare “mistica”, modalità del vivere che l’orizzonte razionale cancella, relega all’irrilevanza o all’inadeguatezza dell’irrazionale. Freud, ne Il disagio della civiltà (1929), sostiene che tale sentimento dell’infinito non è altro che la nostalgia della condizione infantile pre-edipica (e anche pre-verbale) quando il bambino non è ancora in grado di percepire un confine tra sé e la madre. I momenti di incontro con il sacro ristabiliscono in verità quella particolare fusione primaria con Madre/Natura, affine alla indistinzione primordiale narrata nei miti di fondazione quando non vi era separazione tra cielo e terra e acqua, donna e uomo, ecc.

Tali eventi sono infatti vissuti a livello religioso con commozione intensa e sono percepiti e considerati dai fedeli come l’occasione per rinnovare profondamente la persona, per riannodare i rapporti sociali, per intuire in profondità il senso di unione con l’Universo. Mi spiegava un pellegrino devoto alla Santissima Trinità di Vallepietra che al santuario «tutto… la roccia, la chiesa, l’acqua sono sacre… fanno parte di un complesso sacro. La sacralità esce fuori dalle mura della chiesa e comprende tutto, dalla natura all’aria che si respira e tutto il resto» [18]. Di fatto tali vissuti straordinari e totalizzanti sono funzionali a ri-armonizzare periodicamente e in tempi di crisi l’equilibrio psico-somatico e a ri-programmare i processi vitali. 

massenzioLa religiosità popolare, una religiosità del sacro 

La “religiosità” popolare contadina è governata dal pensiero magico e da un orizzonte integrato del mondo, è un sentimento socialmente condiviso che si basa sull’esperienza del sacro, che è relazione con l’universo, mentre la religione è un’istituzione di regole sociali e di fede che si forma intorno ai dogmi e alle liturgie ufficialmente imposte dalla gerarchia sia essa civile o cattolica. Tale assunto richiama le affermazioni di Émile Durkheim che distingue la religione dal sacro e intende la prima come una istituzione sociale caratterizzata da una propria grammatica e costituita da un corpus di leggi che connotano culturalmente credenze e pratiche fondate storicamente, mentre considera il secondo “presupposto” della prima e “fonte esperienziale”, cioè “propedeutico” alla religione. Ritiene il sacro adatto a evidenziare la natura di fenomeno collettivo della religione e la funzione di integrazione sociale mutuando da Henri Hubert un nuovo paradigma che definisce la religione come “amministrazione del sacro” (Simeoni 2022: 30) [19]. 

La religiosità popolare contadina aderisce infatti solo in parte alla religione ufficiale cattolica, a volte anche solo formalmente, e sviluppa configurazioni sincretiche di antiche religiosità agropastorali, alcune consone ad antiche credenze, altre pertinenti al cattolicesimo ufficiale più recente. È caratterizzata da subalternità storica alla religione dominante e, per questo motivo, e per la sua alterità riguardo ad essa, è spesso tenuta segreta alle autorità religiose cattoliche perpetuando così credenze che sono conosciute solamente dai devoti contadini (Simeoni 2022: 38).

Festa dell’alloro, Forza D’Agrò (Messina), ICCD, (ph.. Palma 2005)

Festa dell’alloro, Forza D’Agrò (Messina), ICCD, (ph. A. Palma 2005)

Tale necessità di conservazione tramite la segretezza ha indubbiamente influito sulla persistenza diacronica delle credenze e dei rituali popolari [20]. Immersa fortemente nel sentimento e nella percezione del sacro ed essendo priva di una vera gestione politica strutturata, essa appartiene all’orizzonte orale ed è storicamente ed evolutivamente legata a processi sensoriali e mentali più vicini all’ambito della fisicità, delle emozioni, delle sensazioni e delle percezioni primarie che caratterizzano le culture pervase da visioni mistiche e da una mentalità magica e miracolistica. È ancorata inoltre alle radici produttive basate sul legame con la terra e la natura e a sistemi di credenze che hanno resistito perfino per millenni e che, oggi, sono conservati nei residui della cultura popolare. Tramite le ricerche etnografiche che testimoniano anche la lunga storia di conflitti con la Chiesa locale attraverso gli studi storici e religiosi o anche attraverso fortunati ritrovamenti documentali, quelli che Carlo Ginzburg ha chiamato “archivi della repressione” (Ginzburg 1979: XX) si riescono oggi a delineare i tratti di questa religiosità e l’universo di sentimenti all’interno del quale è immersa (Simeoni 2022: 39).

Dupront scrive che un aspetto della vita religiosa collettiva tipica della religiosità contadina è una speciale dimensione straordinaria «che accorpa detriti sparsi, sopravvivenze o testimonianze di radicamenti tenaci di una cultura tradizionale»…che caratterizza questa “religiosità trasmessa” oralmente, un sentimento e una pratica riconducibili all’orizzonte del bricoleur di levistraussiana memoria che non è un collegio di teologi, ma memorie, saperi e invenzioni continue. Un orizzonte che mette in primo piano un corpo integrato che si relaziona costantemente con l’ambiente e che usa nella stessa misura una sapienza appresa tramite il “fare” e una capacità intuitiva sempre all’erta nella costruzione di una relazione attiva con la realtà sulla quale opera, alla realizzazione di soluzioni sempre nuove e di immaginazioni in mutazioni fluide. Tale Weltanschauung rifonda ogni momento la creazione, le sue basi, il suo funzionamento, la sua stessa rivoluzione.

duprontLa religiosità del sacro, secondo la quale è il corpo il cardine del processo di sacralizzazione basato sulle emozioni (Dupront 1978: 190), costituisce la massima integrazione del rapporto tra natura e cultura e proietta questa unità sul mondo. Il fatto è che il sacro, che è relazione tra il corpo e il mondo, si manifesta a un livello materiale, e fisico deve essere il contatto con le ierofanie: sono il corpo del santo, gli oggetti a lui appartenuti e i luoghi con i quali è entrato in contatto che acquisiscono infine valore divino. Questa percezione, smarrita nella razionalità del culto cattolico che fabbrica santità eteree, rimane invece percezione fondamentale della religiosità popolare che si nutre delle stesse fonti emozionali delle religioni antiche annidate nel profondo della psiche, in quell’attività neurologica e in quel “proto-sé” damasiano che si alimenta dei “sentimenti spontanei” e “primordiali” del corpo che vive (Damasio 2012: 230 e seg.). Tale dimensione percettiva del corpo in azione è sentita specialmente dalle donne e dell’universo femminile più vicino ai processi naturali che hanno in molte società il compito di trasmettere di generazione in generazione i valori della tradizione e della fede.

Siamo parte della natura, siamo natura, il nostro corpo è inserito nel vortice dei processi biologici di organizzazione vitale interna, esternalizzata e internalizzata e produciamo cultura che a sua volta entra in questa spirale d’azione. Senza voler ridurre la cultura alla biologia o la biologia alla cultura si può osservare che questo corpo integrato che si integra a sua volta nel mondo è al centro di ogni azione, è un perno dell’esistenza biologica e dei processi di metaforizzazione e di creazione di simboli. «Non possiamo prescindere dalla storia che è incorporata nei nostri organi – scrive Giovanni Pizza (1997: 46) – ed è perciò difficile [ma inevitabile] trarre le conseguenze dell’intreccio inestricabile di natura e cultura che è il corpo umano e dare ragione dell’incredibile complessità della vita umana».

damasioIl cervello traccia delle mappe sia del mondo circostante, sia dei propri stessi processi. Nella nostra mente, quelle mappe vengono esperite come “immagini” – osserva Damasio (2012:3 0-31) – termine che non si riferisce solo alla modalità visiva, ma a qualsiasi canale sensoriale: udito, viscerale, tattile, ecc.; ma è il corpo integrato a tutti i livelli il “fondamento della coscienza” che si costituisce a partire dall’“attività cartografica” del cervello («l’aspetto distintivo di cervelli come il nostro è la prodigiosa abilità di creare mappe») che gli servono a informare se stesso sullo stato del resto del corpo e del rapporto con l’ambiente. Sono mappe esplicite e dettagliate delle strutture che compongono il corpo e che hanno «la capacità di introdurre il corpo nel processo della mente quale suo contenuto» (ivi: 119); per cui mano a mano che il corpo “si narra” influisce sulla sua stessa narrazione. Si tratta di un fermento costante finalizzato alla sopravvivenza e all’omeostasi che necessita da una parte dell’azione e d’altra parte serve all’azione stessa in un immenso flusso circolare vertiginoso che procede nello scambio incessante di informazioni a tutti i livelli fisici interni ed esterni.

Il cervello può essere informato solo attraverso il corpo, «la rappresentazione del mondo esterno al corpo può entrare nel cervello solo attraverso il corpo stesso», ed è quindi il tramite tra sé e se stessi, tra sé e il mondo circostante. Il corpo e l’ambiente circostante interagiscono e le modificazioni che quella interazione produce “nel corpo” sono mappate nel cervello (ivi: 122). Tutti i nostri organi interni sono organi dei sensi e specialmente e ricettori olfattivi (i recettori più antichi dal punto di vista dell’evoluzione) sono disseminati in tutto il corpo, nella pelle, nel fegato, nel cuore, nei reni e persino nello sperma.

Culto a santa Sara: toccare la Santa, Saintes-Maries-de-la-Mer, Camargue-Francia, (ph.A. Palma 2012)

Culto a santa Sara: toccare la Santa, Saintes Maries de la Mer, Camargue Francia, (ph. A. Palma 2012)

Il corpo crea quindi configurazioni che proietta sulla realtà, interagisce con l’ambiente esterno ed elabora nuove immagini rendendo sempre più complesso l’universo del vissuto di modo che le manifestazioni del microcosmo si rispecchiano nel macrocosmo alimentandosi a vicenda: «dati sempre più numerosi e convincenti indicano che, nell’arco di numerose generazioni, gli sviluppi culturali inducono modificazioni del genoma» (ivi: 43) [21]. Potrebbe essere possibile dimostrare allora che gli archivi biologici che risalgono perfino all’origine della specie possano a loro volta avere una parte nella durevolezza delle immagini arcaiche ?

Molte cose si possono comprendere tramite il paradigma della “complessità” che riflette il funzionamento dell’insieme delle relazioni e che è metafora della vita: Bateson, che abbraccia tale punto di vista, definisce il sacro come «la dimensione integrale dell’esperienza» (Bateson 2008), una dimensione che ha il corpo come vero e proprio perno intorno al quale ruotano le relazioni fisiche che si intersecano con quelle di senso.

atlanSe l’ordine culturale messo in atto dalle comunità umane – come osserva Henri Atlan – risulta apparentemente “stabile”, è pur sempre «una linea di confine esile e momentanea, al di qua e al di là della quale si sviluppano le vere condizioni della vita, prodotte dai processi relazionali, dinamici, contraddittori, i flussi che costituiscono di fatto la vita stessa». Le “perturbazioni aleatorie” che lo caratterizzano sono casuali e «producono [nei sistemi] un esito disorganizzatore»; ma tali sistemi sono in grado di «riorganizzarsi secondo proprietà strutturali e funzionali nuove, e in qualche misura imprevedibili a priori in una ricerca continua di equilibrio» nel flusso complesso di una continua trasformazione (Atlan 1985: 142). La nozione di vita – scrive Edgar Morin (1980: 349-350) – deve essere «rispettata nei suoi caratteri versatili, multidimensionali, metamorfici, incerti, ambigui, anche contraddittori: tali aspetti sono precisamente per noi i segni della sua complessità».

Contrariamente a quanto percepito in genere dalle speculazioni della Civilisation occidentale, il nostro corpo fa parte di un processo integrato di cultura e natura: «[…] oggi molte e disparate scienze umane e sociali si accostano con sempre maggiore interesse ai modelli della complessità elaborati dalle scienze del vivente, dalle neuroscienze e dalle scienze fisico-chimiche» (Bocchi, Ceruti 2007: XIX).

Allora occorre fare uso di una nuova visione del mondo che de-costruisca le categorie troppo o malamente usate e riparta da considerazioni volte ai processi integrati e dinamici  grazie anche al fatto che all’inizio del secolo scorso le scienze umanistiche hanno, seppur lentamente, iniziato a spostare lo sguardo dagli oggetti ai processi e riconosciuto la centralità di un nuovo sguardo. In questo evolversi della visione del mondo colto occidentale siamo arrivati al punto di fare un ulteriore passo avanti che permetta di restituire al corpo la sua naturalità, lasci irrompere la soggettività nell’osservazione scientifica sulla scia delle nuove scoperte, riconosca la naturalità alla cultura e rilegga nella cultura la vasta componente naturale che la compone e legittimi il corpo integrato e i suoi processi dinamici per troppo tempo disconosciuti. 

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
[*]Le riflessioni qui esposte sono il frutto di decenni di ricerche antropologiche anche sul terreno; in particolare una prima relazione è stata esposta nel corso del XX Congresso internazionale dell’Associazione Internazionale di Studi Medico-Psicologici e Religiosi-AIEMPR, Montreal, luglio 2016, poi sviluppata e pubblicata in P. E. Simeoni, Il corpo sacro. Itinerari nella durevolezza del mito, Meltemi, Milano 2022. 
Note 
[1] Per citare solo alcuni degli studiosi maggiori oltre a quelli qui presi in considerazione: A. Comte, H. Hubert, M. Mauss, R. Smith, G. van der Leeuw, G. Bataille, P. Klossowski, M. Leiris (del Collège de Sociologie), É. Benvéniste, A. Dupront, J. Ries, J. Cazeneuve, F. Ferrarotti, G. Filoramo, L. de Heusch, F.-A Isambert, R. Tessier, ecc.
[2] Giovanni Filoramo è professore ordinario di Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino e presidente del Centro di Scienze delle religioni. http://www.treccani.it/enciclopedia/sacro_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/
[3] R. Otto (2009), Il sacro, SE, Milano (or. Das Heilige, 2017)
[4] R. Caillois (2001), L’uomo e il sacro, Bollati Boringhieri, Torino (or. L’homme et le sacré, 1939)
[5] M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino 1972 (Traité d’histoire des religions, Paris 1949) e Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 2013 (Das Heilige und das Profane, 1957).
[6] G. Bateson è stato inizialmente antropologo e ha compiuto diverse indagini sul terreno in Estremo Oriente. Successivamente è stato uno dei fondatori della cibernetica, e ha applicato tale epistemologia in diversi campi come la sociologia, la linguistica, l’antropologia visuale, la semiotica.
[7] G. Bateson aveva già affrontato gli argomenti trattati in questo libro in Steps to an Ecology of Mind: Collected Essays in Anthropology, Psychiatry, Evolution, and Epistemology (1972) (it. Verso un’ecologia della Mente), Mind and Nature. A Necessary Unity (1979) (it. Mente e natura), e in un altro volume postumo: G. Bateson, Donaldson, E. Rodney (1991). A Sacred Unity: Further Steps to an Ecology of Mind, Harper Collins. (it. Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente).
[8] Da un punto di vista generale la cibernetica può essere definita come lo studio generale di sistemi complessi altamente organizzati, indipendentemente dalla loro particolare natura
(http://www.treccani.it/enciclopedia/cibernetica/).
[9] Per la nozione di omeostasi in Bateson: G. Bateson – M.C. Bateson, op.cit.: 182-183; vedi anche G. Bateson, Mente e Natura: 211. Riguardo al “paradigma della complessità” vedi: G. Bocchi – M. Ceruti (1985), La sfida della complessità, Mondadori, Milano. Vedi anche la Prolusione della sottoscritta al XIX Congresso dell’AIEMPR, Assisi 2013.
[10] G. Bateson-M.C. Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi Edizioni, Milano: 12-13 (Angels Fear. Towards an Epistemology of the Sacred 1989).
[11] Ibidem: 21.
[12] La sottolineatura è mia.
[13] G. Bateson-M.C. Bateson, op.cit.: 27.
[14] ibidem:30.
[15] Questa opposizione si trova anche in Ernesto de Martino ma, pur inserendosi in continuità/opposizione con le riflessioni di R. Otto e di G. van der Leeuw, è inserita in una visione scientifica e interpretativa ben diversa e in una visione speculativa complessa e assai interessante per le ipotesi da me qui affrontate specialmente per la dicotomia da lui operata tra natura/storia e che è alla base del suo pensiero: cfr. Marcello Massenzio, Sacro e identità etnica. Senso del mondo e linea di confine, Franco Angeli, Milano 1997.
[16] G. Bateson-M.C. Bateson, op.cit.: 127.
[17] Ibidem: 300.
[18] Intervista a Ennio Passa di Anagni, Roma, gennaio 20068
[19] Citato da F.-A. Isambert 1982: 314.
[20] Vedi ad esempio la segretezza a cui è tenuta la percezione femminile della Santissima Trinità a Vallepietra (Roma)(Simeoni 2006: 19 e segg.).
[21] Secondo l’epigenetica vi sono processi di interazione tra genotipo, ambiente e fenotipo; espressione parziale del genotipo, il fenotipo espresso nel vivente si ritiene modulato dall’ambiente. Questi temi, fra determinazioni biologiche e determinazioni storico-sociali, sono stati affrontati da Tullio Seppilli fondatore in Italia dell’Antropologia Medica (Fondazione Alessandro e Tullio Seppilli, già Fondazione Angelo Celli per una Cultura della Salute) e della Società italiana di antropologia medica (SIAM) (Cfr. Simeoni 2022: 61, nota 43). 
Riferimenti bibliografici 
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Simeoni P.E. (a cura di), Fede e tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra. 1881-2006, Catalogo della mostra “Fede e tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra, 1881-2006” (Roma, ICCd, 2006-2007), Artemide, Roma 2006 
Simeoni P.E., “Facce la grazia Santissima Trenetà Madonna mia”. Il segreto della Santissima, in P.E. Simeoni (a cura di), Fede e tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra. 1881-2006, Artemide, Roma 2006c: 19-34 
Simeoni P. E., Il corpo sacro. Itinerari nella durevolezza del mito, Meltemi, Milano 2022.
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Paola Elisabetta Simeoni, laureata presso la Facoltà di Lettere della sapienza, è stata direttrice-coordinatrice demoetnoantropologa presso il Museo nazionale delle Arti e tradizioni popolari e poi presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione dell’allora Ministero dei Beni e le attività culturali. Si occupa di patrimonializzazione dei beni DEA, di attività museali, di ricerca; ha progettato e realizzato diversi musei locali. E’ docente presso la Scuola di specializzazione in beni DEA presso la sapienza di Roma e presidente dell’EtnoLaboratorio per il Patrimonio culturale Immateriale (EOLO). Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra cui, ultimo, Il corpo sacro. Itinerari nella durevolezza del mito, Meltemi 2022. Da una decina d’anni ha ripreso la sua attività di scultrice.
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