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Cooperativa di Comunità “Il Feudo”
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2020 @ 00:53 In Politica,Società | No Comments
il centro in periferia
di Filippo Lambardi
Attratti dal sempre più variegato, e vivo, mondo delle cooperative di comunità sorto in tutta Italia, nella primavera del 2019 un gruppo molto eterogeneo di murlesi iniziò a trovarsi in riunioni molto circoscritte ed informali per capire se pure a Murlo la cosa potesse avere un senso.
Partecipando ad alcuni convegni in Toscana si capì che alcune potenzialità potevano esserci e con la spinta significativa della nuova amministrazione comunale, insediatasi a giugno del 2019, la “cosa” iniziò ad avere una sua consistenza.
Fu avviato un dialogo con la Regione Toscana, fra le più attive in questo campo grazie all’opera dell’Assessore Vittorio Bugli, e fu elaborata una conferenza col giornalista Francesco Erbani, autore di un bel volume per Einaudi sul fenomeno, appunto, delle cooperative di comunità.
A Murlo abbiamo pensato alla cooperativa di comunità come progetto pilota. Murlo è un comune rurale, interno, ma né troppo periferico né troppo spopolato. Si raggiunge Siena, nel migliore dei casi, in 25 minuti, ed ha una popolazione di 2400 abitanti raggruppati sulle due frazioni maggiori (Casciano e Vescovado) e su 18 fra frazioni minori e case sparse.
Territorio cerniera fra le valli dell’Arbia, dell’Ombrone, del Merse e del Farma, è geograficamente (e morfologicamente) divisibile in due versanti. Ad est quello più simile al circondario delle Crete, con la frazione di Vescovado (sede peraltro della casa comunale) e ad ovest quello più attinente alle caratteristiche della val di Merse con colli più alti ricoperti da fitti boschi.
Per secoli importante polo industriale etrusco, poi riassorbito dalla predominanza etrusca di Chiusi, Murlo ha rappresentato un’eccezione istituzionale unica in tutto lo Stivale, costituendo per quasi sette secoli una signoria personale del vescovo, poi arcivescovo, di Siena.
Di fatto quello che oggi è il territorio del nostro comune fu un “feudo”, parola in verità usata impropriamente, della figura apice della Chiesa senese. Un territorio che, giustappunto, si chiamava Vescovado, toponimo rimasto oggi alla frazione sede del Comune.
In età contemporanea la divisione è stata ampliata dalle condizioni socio economiche dei versanti di cui sopra. Se nella zona, chiamiamola così, di Vescovado si riscontravano poche famiglie di proprietari terrieri che gestivano i poderi a mezzadria e un importante polo industriale presso il sito estrattivo di lignite, in località (neanche a dirlo) Miniere di Murlo, nella zona di Casciano, complici condizioni migliori delle rese agricole, già dalla fine dell’Ottocento si faceva largo una conduzione agricola che avrebbe portato ad una più significativa presenza e relativo radicamento dell’esperienza diretto-coltivatrice.
Ciò inasprì le vicende politiche per tutto il Novecento con una spaccatura che tutti, in provincia di Siena, addetti alla materia, hanno conosciuto. Con annesso un campanilismo fra i più feroci dell’intero circondario, oggi ridotto a mera goliardia e battuta.
Ciò premesso, anche per scongiurare uno spopolamento sempre a rischio e poter intervenire in supporto al reddito di giovani, e meno giovani, con necessità lavorative più importanti, è parso doveroso tentare questa esperienza pure in una comunità come la nostra, lontana dagli altri esperimenti fatti in Toscana e nel territorio senese.
Sbrigate le pratiche formali, costose e complesse come per una cooperativa “normale”, cosa che sta sollevando idee per comporre un quadro normativo ad hoc per queste cooperative, abbiamo presentato la Cooperativa di comunità Il Feudo in un incontro pubblico, presso le scuole elementari di Murlo, il 15 febbraio u.s. a pochi giorni quindi dalla chiusura per il Corona Virus.
Alla presenza delle istituzioni ma soprattutto di quasi 300 cittadini (cosa che a mia memoria non si era mai manifestata per iniziativa di carattere pubblico), il sottoscritto ha tracciato le priorità sintetizzate sopra argomentando come la cooperativa avrebbe prodotto reddito. Nello specifico andando a recuperare i tanti fondi agricoli abbandonati (su tutti gli uliveti), compiendo servizi di prossimità alla popolazione che gravita nelle frazioni più piccole o addirittura nei poderi (commissioni per anziani, piccole riparazioni in arredi privati interni e esterni, servizi navetta ecc.), gestione di servizi comunali e sovracomunali non più affrontabili da parte dell’ente pubblico. Il tutto con la collaborazione delle associazioni.
A mero titolo illustrativo spiegammo che nel nome non si andava a tracciare una ideale consonanza con l’istituzione feudale di medievale memoria ma a circoscrivere, attraverso un sostantivo che rimanda immediatamente al nostro territorio, un simbolo riconoscibile da parte di tutti.
Proprio le associazioni hanno collaborato, mediante una lettera d’appoggio, al progetto che ho presentato in Regione e che verrà finanziato nelle prossime settimane per avviare tutta la progettualità.
La fortuna non ci ha assistito poiché siamo rimasti bloccati proprio sul più bello dal diffondersi della pandemia, ma proprio da un momento di crisi speriamo di riprendersi con maggiore slancio.
Al momento la cooperativa assomma venti soci, studenti, pensionati, lavoratori autonomi e dipendenti. Nessuno di essi ha necessità impellenti quindi di lavorare ed è stato volutamente così, per l’inizio, in modo da non dare adito a polemiche (che sono frequenti nei piccoli centri) ma anche per non creare false aspettative.
Pur con notevoli aspirazioni non ci siamo presentati come agenzia di collocamento, e la risposta della cittadinanza è stata positiva proprio su questa trasparenza iniziale, ma come potenziale volano di sviluppo (e perché no di recupero di antichi valori nel saper lavorare e fare le cose) per un territorio a un tiro di schioppo da Siena ma comunque a rischio.
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