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Complessità e unitarietà delle scienze

Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2017 @ 01:01 In Cultura,Società | No Comments

Uomo-vitruviano

Uomo vitruviano

di Piero Di Giorgi

Tutta la cultura occidentale, almeno da Platone a Hegel, raggiungendo l’apice con Cartesio, è stata caratterizzata dalla ricerca dell’epistéme e delle razionalità. Anche la fisica, madre di tutte le scienze, che, per prima si è resa autonoma dalla filosofia, è rimasta ancorata per lungo tempo alla visione cartesiana-newtoniana di mondo, secondo la quale l’intero cosmo si evolveva in modo prevedibile e nulla era lasciato al caso. Come diceva Laplace, bastava conoscere lo stato di un sistema in un determinato momento per prevedere come esso si sarebbe evoluto, disegnando, una concezione meccanicistica e deterministica della realtà.

Nel 1900 è avvenuta una rottura epistemologica rispetto al passato, a partire da una grande intuizione di Max Planck, confermata da Albert Einstein nel 1905 con l’esperimento chiamato “effetto fotoelettrico”, secondo cui tutte le radiazioni elettromagnetiche, compresa la luce, sono quantizzate, cioè sono costituite da particelle, chiamate fotoni. Questa rivoluzione si è arricchita del contributo di Louis De Broglie, nel 1923, il quale ha formulato l’ipotesi che il dualismo onda-particella si dovesse applicare anche al comportamento di particelle come gli elettroni e i protoni, riconosciute materiali, perché dotate di massa.

Successivamente, nel 1926, Erwin Scrödinger ha descritto la funzione d’onda come una particella che passa da un’esistenza potenzialmente non localizzata (in sovrapposizione di stati) a un’esistenza localizzata, attraverso la cosiddetta riduzione del pacchetto d’onda, che si compie con l’osservazione. Nello stesso tempo, Werner Heisenberg sviluppava il principio d’indeterminazione, che è un’integrazione del principio di complementarità di Niels Bohr. Secondo Heisenberg non è possibile determinare contemporaneamente la quantità di velocità e di moto e la posizione di una particella, in quanto l’osservazione o lo strumento di misura producono una perturbazione e fanno perdere neutralità e oggettività alla realtà osservata. Ne concludeva che l’epistemologia causale-lineare si fondava su un presupposto fallace e cioè non era vero quel che diceva Laplace, secondo cui bastava conoscere lo stato di un sistema in un determinato momento per potere prevedere come esso si sarebbe evoluto. Crollava la concezione meccanicistica e deterministica. Noi non possiamo conoscere il presente in ogni sua determinazione perché ogni osservazione è una selezione di una quantità di possibilità. Tutto ciò ha portato a riformulare le leggi della fisica come stocastiche.

La fisica contemporanea è approdata alla negazione dell’epistéme, che aveva caratterizzato la filosofia e la fisica classica, ci ha posto di fronte ad antinomie che mettono in crisi il nostro modo di pensare, a una realtà subatomica in cui visibile e invisibile, materiale e immateriale convivono, al fatto che il continuo è allo stesso tempo discontinuo, a una negazione del principio di non-contraddizione. La misurazione e l’osservazione stanno proprio a margine tra il mondo classico e quello quantistico, dove probabilmente sta la vita stessa. Nonostante queste stranezze della teoria, senza l’organizzazione quantistica della materia, noi non esisteremmo.

Con le grandi rivoluzioni compiute dalla meccanica quantistica, dalla relatività di Einstein, dal principio d’indeterminazione di Heisenberg, dalla psicoanalisi di Freud, dalle teorie della complessità, ci si è trovati di fronte a un nuovo paradigma che include l’osservatore nella realtà osservata e che rende più complessa la conoscenza. In definitiva, il nuovo paradigma indica che l’irrompere della casualità è fonte d’incertezza e d’imprevedibilità e la realtà non è come appare. In sostanza, «la scienza non poggia più su un solido strato di roccia». Questa frase dell’epistemologo austriaco Karl Popper [1] disegna in maniera lapidaria lo sgretolarsi dell’edificio delle certezze che aveva caratterizzato la scienza per il passato. Sostenitore del metodo della falsificazione, come criterio di unificazione delle scienze, lo studioso mostra che le diverse discipline non pretendono più di conseguire verità inconfutabili ma sanno che i risultati possono essere falsificati. Per l’epistemologo americano Thomas Kuhn [2], la scienza non progredisce gradualmente verso la verità, ma si sviluppa per grandi catastrofi, che segnano il crollo di vecchie teorie e il sorgere di nuove, senza garanzia che le nuove siano migliori delle vecchie.

 Thomas Khun.

Thomas Khun

Ormai, dall’indeterminatezza del mondo subatomico alla meteorologia, alla imprevedibilità dei fenomeni umani, in ogni ambito del sapere non vi sono più ancoraggi obiettivi. Caso, caos, complessità diventano i nuovi paradigmi. Come aveva annunciato Friedrich Nietzsche, il mondo è disordine e caos. «Su tutte le cose sta il cielo del Caso, il cielo dell’innocenza, il cielo dell’approssimazione, della baldanza (…) Un po’ di saggezza è possibile; ma in tutte le cose ho trovato che c’era questa beata sicurezza: che cioè esse preferiscono danzare ai piedi del caso» [3] Tuttavia, da questa condizione di caos e di disordine, per eventi della natura che non conosciamo, può nascere ordine e organizzazione. Se l’indeterminismo e l’impossibilità di prevedere coinvolgono le scienze della natura, a maggior ragione ciò vale per le scienze umane. Paradossalmente, per lungo tempo si è creduto che i metodi delle scienze umane e sociali fossero inadeguati a elevarsi alla dignità delle scienze naturali, dove regnava l’ordine del determinismo. Ciò ha spinto le scienze umane a volere copiare i metodi delle scienze naturali, proprio mentre quest’ultime introducevano un indeterminismo, un’incertezza, una provvisorietà e una complessità, che è propria degli individui umani.

Nella psicologia, già a partire dalla teoria della Gestalt (forma), nata dalla collaborazione di tre grandi scienziati tedeschi, Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfgang Köhler, è stato introdotto il concetto di campo, di totalità, d’interazione. Il campo è la totalità dei fatti psicologici interdipendenti e, per quanto riguarda l’individuo, la totalità di tutti gli eventi possibili che lo influenzano, il suo “spazio di vita”, cioè la totalità dei fatti che determinano il comportamento di un individuo all’interno della sua famiglia, della sua società, della sua cultura e del suo ecosistema. Essa trae lo spunto da alcuni concetti della fisica moderna. Per Köhler, gli effetti del campo si verificano sia nel mondo inorganico della fisica che in quello organico della psicologia. Il problema della coscienza è simile alla concezione gestaltistica della percezione e cioè che quantità si trasformano in nuove qualità formali, concetto questo che aveva espresso anche Freud [4].

Un altro aspetto evidenziato dalla Gestalt è il postulato dell’isomorfismo, e cioè un collegamento tra il dato fenomenologico e i sottostanti processi neurofisiologici, che si prefigge di mostrare che processi astratti come il pensiero, la memoria, l’apprendimento hanno un preciso supporto materiale, e cioè sono originati da movimenti di atomi e di molecole. Si può dire che la nostra mente, in prima istanza, coglie la realtà in modo globale, olistico e soltanto dopo in modo analitico. Max Born [5], in una lettera del 1948 a Einstein, sostiene che le sue teorie sul campo sono un’eredità in forma rinnovata delle Gestalten di Wertheimer. Queste totalità, attraverso le quali noi percepiamo immagini, oggetti, un pensiero, sono da riferirsi al concetto di campo quantistico.

Ritengo che l’individuo umano vivente sia fatto della stessa complessità di cui è fatto l’universo, perché la sua mente è, forse, l’oggetto più misterioso e complesso. Come ha messo in luce Paul Mc Lean (1970), il cervello umano si compone di tre formazioni anatomiche, che si sono sovrapposte e integrate nel corso dell’evoluzione. Il primo cervello, R-complex, è il più antico, eredità del cervello dei rettili, che contiene i bisogni e gli istinti innati dell’uomo e le funzioni vitali come il controllo del ritmo cardiaco e della respirazione; il secondo, il paleo-mammaliano o mesencefalo o sistema limbico, eredità del cervello degli antichi mammiferi, che presiede l’elaborazione delle emozioni e dei sentimenti; Il terzo cervello, il più recente, neocortex, la neocorteccia, sviluppatosi, fondamentalmente, tramite la cultura, contiene le capacità logico-razionali, analitiche e astratte e le capacità di linguaggio. Le tre facoltà sono complementari e interattive. Per quel che sappiamo, l’uomo è un essere in cui convivono emotività e razionalità, amore e odio, fattori genetici e ambientali, saggezza e patologia, egoismo e altruismo. In sostanza, per dirla con Marx, l’uomo è ente naturale e storico. Ed è per questa complessità che i suoi comportamenti sono imprevedibili e possono cambiare all’interno dei contesti in cui si trova ad agire. Poiché la società è composta dalla totalità dei singoli uomini e sono essi che governano la cosa pubblica, stabiliscono regole e tra i loro comportamenti si annoverano la politica e l’economia, partecipano al lavoro manuale e intellettuale nella società, ecco che il modo in cui si evolverà la società, se verso maggiori ingiustizie e violenze o piuttosto verso la costruzione di un mondo migliore, dipende dagli uomini e dalle loro interazioni nella società e nell’ambiente, ma è imprevedibile. Questo non significa che tutto possa essere lasciato al caso. Non c’è dubbio che l’educazione può favorire e fare prevalere le caratteristiche migliori dell’uomo, l’amore anziché l’odio, l’altruismo, la generosità e la solidarietà piuttosto che l’egoismo, l’avidità e la competitività.

 Norbert Wiener.

Norbert Wiener

Nel mondo complesso in cui viviamo, caratterizzato da processi non lineari, da interdipendenza, incertezza, imprevedibilità, non vi sono ricette o verità oggettive. Bisogna liberarsi delle posizioni dogmatiche e arroganti e avere l’umiltà che discende dalla coscienza della complessità. Tutto appare provvisorio, incerto, “liquido”. Da qui anche la crisi delle ideologie e delle narrazioni forti. E tuttavia, valori consustanziali alla natura umana quali la libertà, l’uguaglianza di dignità, la giustizia, il rispetto dell’habitat, la salute e la vita umana, l’educazione e l’istruzione restano valori universali, che non si possono barattare e che sono la premessa per una vita degna di essere vissuta.

Sulla scia dei profondi cambiamenti avvenuti nel passaggio dalla fisica classica a quella quantistica, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, si viene sviluppando anche la cibernetica di Norbert Wiener [6], che ha coniato il concetto di “anello retroattivo”, secondo cui l’effetto ritorna in maniera causale sulla causa che lo produce. Alla cibernetica si affianca qualche anno dopo la teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy [7], basata anch’essa su un’epistemologia circolare e totalità di elementi interagenti. Nata in ambito logico-matematico dalle nuove impostazioni organiciste che la biologia aveva cominciato a sviluppare nei primi anni del XX secolo, e che si opponevano a quelle meccaniciste del secolo XIX, si è rilevata applicabile in ambiti disciplinari diversi, dalla biologia, alla sociologia, alla psicologia, secondo il principio dell’isomorfismo e cioè del «parallelismo dei principi conoscitivi generali in campi differenti». Essa ha affermato che una proprietà fondamentale dei sistemi aperti è la totalità, ossia il fatto che ciascuna parte del sistema è in rapporto con tutte le altre parti e che ogni modificazione di un elemento influenza tutti gli altri elementi che lo costituiscono e provoca cambiamenti in tutto il sistema, nel senso che «un sistema può essere definito come un complesso di elementi interagenti».

Anche un organismo vivente, una famiglia, una società, un sistema economico-sociale possono pertanto essere definiti sistemi complessi, totalità, qualcosa di diverso e di più della somma dei suoi elementi, un’organizzazione superiore con qualità e proprietà emergenti nuove. Da queste premesse nasce quella che è stata chiamata “la sfida della complessità” [8], come necessità di una scienza sistemica e olistica, una scienza della complessità, adeguata alla complessità dei fenomeni derivanti dall’interconnessione e dalle interazioni dei vari fenomeni e aspetti della realtà ma anche dai principi di auto-organizzazione e retroazione dei sistemi.

Anche la biologia è caratterizzata dalla crisi delle spiegazioni semplici e pensa in termini sistemici. È impensabile il più semplice degli organismi isolato dal suo ambiente naturale. Gli organismi viventi sono sistemi aperti che scambiano materia ed energia con l’ambiente circostante. La nuova biologia fa ricorso a concetti come organizzazione, codice, messaggio, retroazione, informazione, ordine, complessità. Nella stessa matematica, l’oggetto di studio è il rapporto tra variabili.

Per dirla con Paul Valéry, «la complessità è l’imprevedibilità essenziale». La complessità, tuttavia, ha anche postulato la necessità di uno sforzo maggiore per comprendere la realtà che ci circonda e di un nuovo metodo di approccio interdisciplinare proprio perché la natura di ogni conoscenza è multidisciplinare. Come ha rilevato Edgar Morin, l’economico, il politico, il biologico, il sociologico, lo psicologico, l’antropologico sono aspetti di un’unica realtà e occorre un metodo della complessità, che colga le articolazioni, le interdipendenze, che tenda a unire ciò che è disgiunto e colga la multidimensionalità dei fenomeni [9]. Una sorta di sinergetica ibridazione-confluenza di varie discipline per studiare i sistemi complessi.

Edgar-Morin

Edgar Morin

Anche Gregory Bateson, negli anni ’50, aveva messo in luce che i sistemi sono organizzati sulla base di processi circolari e che l’intero mondo vivente è inter- connesso. Per dare l’idea di sistema, usa la locuzione struttura che connette [10] e sostiene che la mente deve essere vista in termini olistici. Come le parole e i comportamenti, al di fuori del contesto, non hanno alcun significato, così è anche per tutti i processi mentali, per la mente. Bateson afferma che l’unità fondamentale dell’evoluzione non è l’organismo o la specie ma l’organismo più l’ambiente. Evidenzia l’importanza dei meccanismi comunicativi e degli effetti di feed-back e ribadisce che ciascun individuo esiste e si determina come essere sociale, inserito in una vasta rete di comunicazione e di relazioni interpersonali, per cui non può comprendersi il suo comportamento se non lo si analizza all’interno delle sue relazioni significative, della sua cultura, dei valori e dei ruoli della società in cui vive.

La nuova visione sistemica, secondo cui il tutto è diverso e più della somma delle singole parti, ha condotto al superamento del materialismo meccanicista, soprattutto in ambito biologico. Le interazioni sistemiche mettono in luce nuove proprietà della materia ed interazioni di natura non-locale. L’interazione tra gli elementi di un sistema crea un’organizzazione di livello superiore, con qualità e proprietà emergenti nuove.

La teoria dei sistemi aperti costituì anche il punto di partenza per un nuovo importante indirizzo di ricerca fisica, la termodinamica dei processi irreversibili, che sono non lineari e circolari, basata anch’essa su concetti di auto-organizzazione, non linearità e biforcazioni catastrofiche, nota anche come teoria del caos, di cui un esempio noto sono i fenomeni meteorologici. Il filosofo, fisico e matematico Henri Poincaré, nel 1908, aveva sostenuto che anche se conoscessimo perfettamente le leggi naturali, potremmo conoscere la situazione iniziale sempre con approssimazione. «Può accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali producano differenze grandissime nei fenomeni finali; la previsione diviene impossibile e siamo di fronte a un fenomeno fortuito» [11]. Quindi, una caratteristica dei sistemi caotici è la sua sensibilità anche alle più piccole perturbazioni che possono verificarsi in qualsiasi punto del sistema. Accade che piccole perturbazioni iniziali vengano amplificate e il comportamento, benché prevedibile a tempi brevi, alla lunga risulti imprevedibile.

L’intuizione di Poincaré è stata ripresa, negli anni ’60, dallo studioso di meteorologia Edward Lorenz, il quale mostrò che i fenomeni meteorologici non possono essere previsti se non per tempi brevi e che nella maggior parte dei sistemi biologici, chimici, fisici, economici e sociali, insignificanti perturbazioni iniziali, interagendo tra loro, sono in grado di amplificarsi, generando effetti catastrofici. Egli si accorse, infatti, che il sistema si comportava in maniera aleatoria e scoprì che perturbazioni microscopiche iniziali venivano amplificate fino a interferire con il comportamento macroscopico. È il cosiddetto effetto farfalla e cioè basta un battito d’ali di una farfalla a Singapore per provocare un uragano in Sud Africa. Il comportamento apparentemente caotico di questi sistemi nasconde, tuttavia, un ordine sottostante. L’ampia gamma di fluttuazioni e biforcazioni consente un adattamento continuo alle esigenze dell’ambiente e un’auto-organizzazione.

Il termine auto-organizzazione, introdotto, nel 1947, dallo psichiatra e ingegnere W. Ross Ashby, ripreso poi dalla cibernetica di Heinz Fon Foerster e di Norbert Wiener e in seguito dalla teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy nel 1960, significa che gli esseri viventi sono considerati sistemi auto-organizzati e aperti che si nutrono di entropia negativa.

Heinz-von-Foerster

Heinz von Foerster

Il fisico Von Foerster [12] ha indagato sulla natura della vita, della percezione, della memoria, dell’apprendimento e della cognizione. Anche per merito suo, alla fine degli anni ’70, c’è stata una transizione dalla cibernetica dei sistemi osservati (cibernetica di I ordine) alla cibernetica dei sistemi che osservano (cibernetica di II ordine). In conformità con la teoria quantistica, il mondo esterno non può essere indipendente da colui che osserva. L’osservatore non può più essere separato dall’oggetto osservato. L’introduzione dell’osservatore provoca la perdita di neutralità e di oggettività. Ogni de- scrizione è un’interpretazione. Ed è proprio questo rapporto osservatore-osservato a mettere in luce il carattere complesso e composito della realtà. Egli dice che fuori nel mondo non c’è né luce né colori ma solo onde elettromagnetiche; non ci sono né suoni né musica ma variazioni periodiche della pressione dell’aria; non ci sono né caldo né freddo ma solo molecole in movimento, dotate di maggiore o minore energia cinetica e sicuramente non c’è dolore. Egli  s’interroga sul problema della cognizione e la comprensione dei processi cognitivi [13]. L’osservatore è il costruttore e l’ordinatore della realtà, colui che stabilisce un ordine tra quelli possibili, quello a lui più utile. Con la nozione di “sistema auto-organizzatore”, egli intende un sistema che assorbe energia e ordine dal proprio ambiente. Infatti, laddove per i sistemi termodinamici l’entropia cresce, per i sistemi auto-organizzati l’entropia diminuisce. In un sistema auto-organizzato, la diminuzione dell’entropia si realizza a spese del suo ambiente, grazie a un aumento dell’entropia dell’ambiente, altrimenti si violerebbe il 2° principio della termodinamica.

Il concetto di auto-organizzazione è fondamentale per la descrizione dei sistemi biologici. Le leggi della natura tendono a produrre auto-organizzazione, come mostra la storia dell’universo, dal big-bang in poi (formazione dei sistemi planetari, delle galassie ecc.). Lo stesso cervello umano è l’espressione di un sistema complesso che si auto-organizza, producendo percezione, pensiero, l’Io, la coscienza. Su quest’idea dei sistemi che si auto-organizzano, il neurobiologo Humberto Maturana e il suo allievo Francisco Varela hanno sviluppato il concetto di auto-poiesi. Il loro modello è uno dei più globali tra quelli che, nell’ambito delle neuroscienze, si occupano della mente e della coscienza. Complessità cerebrale e socio-culturale s’intricano a vicenda. Essi hanno formulato una teoria centrata sul concetto di auto-poiesi, che consiste nel fatto che gli esseri viventi sono unici perché la loro caratteristica è che si producono da soli, all’interno di una rete continua di interazioni [14].

Con la parola “auto-poiesi” Maturana e Varela intendono l’organizzazione propria del vivente, ossia particolari relazioni fra le sue componenti organiche che, costituendo una rete di interazioni, si auto-producono e mantengono in vita l’intero organismo. In certi casi le perturbazioni, quali ad esempio l’informazione culturale, anziché generare disordine, provocano un ordine nuovo. I sistemi viventi strutturalmente determinati si organizzano automaticamente in sistemi interattivi e ogni volta che interagiscono, cominciano a co-creare un modello chiuso d’interazione, Quando le interazioni tra due o più unità auto-poietiche sono ricorrenti o molto stabili, ci sarà un accoppiamento strutturale. che è un nuovo sistema (si pensi, ad esempio, al rapporto di coppia in cui i due partner, dopo un lungo rapporto, finiscono per somigliarsi nei loro atteggiamenti, o al rapporto allievo-insegnante, o tra due amici, che finiscono per formare un nuovo sistema o agli alunni di una classe che formano un sistema-classe). Il nuovo sistema è il modo in cui le sue componenti si adattano reciprocamente. Il sistema autopoietico, dunque, modifica e seleziona l’ambiente che lo modificherà e selezionerà. Cioè, ogni cosa non va letta in modo lineare, ma circolare.

Dal 1977, il concetto di auto-organizzazione ha ricevuto una maggiore attenzione dal premio Nobel Ilya Prigogine, chimico e fisico, propugnatore di una nuova alleanza tra scienze umane e scienze della natura e del loro inscindibile nesso [15], noto, soprattutto, per le sue scoperte, nell’ambito della termodinamica dei sistemi lontani dall’equilibrio e per avere incluso nella natura la “freccia del tempo”. Prigogine, in accordo con quanto sostenuto da Scrödinger, secondo cui l’organismo vivente si alimenta d’informazione o di energia negativa –  chiamata dal fisico francese Leon Brillouin, negaentropia, nonché sintropia dal Premio Nobel Albert Szent-Györgyi – che gli impedisce di degradarsi, sostiene che in natura esistono organismi viventi in grado di auto-organizzarsi, diminuendo la propria entropia a spese dell’ambiente, dal momento che l’informazione, in quanto flusso d’energia, svolge una funzione antientropica e porta, invece, a una tendenza degli organismi viventi a maggiore organizzazione e ordine.

Ilya-Prigogine

Ilya Prigogine

I sistemi viventi, infatti, lungi dall’essere isolati, sono sistemi aperti, che scambiano energia e informazione con l’ambiente, tale da permettere, al loro interno l’auto-organizzazione e il mantenimento di strutture coerenti e cooperative. Da ciò le sue ricerche sulle “strutture dissipative” [16] create dalla natura (sistemi fisici, chimici e biologici lontani dall’equilibrio termodinamico, che ne sancirebbe la morte). Tali sistemi hanno la caratteristica di essere fluttuanti e quindi instabili, lontani dall’equilibrio termo- dinamico. Per vivere devono consumare continuamente energia ma sopravvivono perché ricevono energia dall’ambiente esterno, scaricando su di esso l’entropia. Lo stesso ambiente esterno esercita un’influenza continua sotto forma di fluttuazioni, trasformando quest’ultime in ordine. Queste “strutture dissipative” portano movimenti coerenti di grande portata, che aprono a una serie di possibilità di stati e quindi alla storicità delle scelte [17].

L’instabilità, il caos ci obbligano a guardare la realtà che ci circonda in termini probabilistici. Secondo Prigogine l’ordine di un sistema deve passare attraverso l’aumento del caos, per raggiungere un ordine maggiore e più complesso. I sistemi viventi possono arrivare a forti fluttuazioni, dovute all’ambiente, che se raggiungono una certa soglia, rendono instabile l’intera struttura, il sistema si trova a un punto di biforcazione, in cui si auto-organizza a un livello di ordine superiore, oppure volge verso il caos. Perciò, egli parla di “ordine per mezzo di fluttuazioni” e ipotizza che si tratti di un principio organizzativo fondamentale presente in natura. In sintesi, nei sistemi lontani dall’equilibrio subentrano processi auto-organizzativi, che associano ordine e disordine, auto-organizzazione contro entropia.

In definitiva, per Prigogine, la capacità di organizzarsi è una delle proprietà fondamentali dei sistemi complessi, e la vita è la storia di un ordine sempre più elevato. I fenomeni di auto-strutturazione mettono in luce una nuova proprietà della materia. L’ordine procede dal caos, sia a livello macroscopico che microscopico. La sorgente dell’ordine è il non-equilibrio. Accanto alla freccia dell’entropia c’è una freccia del tempo, secondo cui l’universo progredisce verso stati di materia ed energia sempre più sviluppati ed elaborati. L’irreversibilità della freccia del tempo si caratterizza per la convivenza dialettica di ordine e disordine. In sostanza, il concetto di strutture dissipative è una condizione di squilibrio permanente e dal caos (instabilità) emergono ordine e disordine. Prigogine ha rilevato che la maggior parte dei sistemi sono instabili e sono caratterizzati da un’evoluzione non uniforme, ma da balzi improvvisi; non rispondono a leggi di ordine causale-lineare ma di ordine circolare. Anche l’universo è nato da un’instabilità e la sua comparsa è stato un cambiamento di fase. Esso è il risultato di una trasformazione irreversibile in cui un’enorme produzione di entropia si è prodotta all’origine, per cui la morte termica è alle nostre spalle, come mostra anche la continua espansione ed evoluzione cosmologica. Anzi è proprio grazie all’entropia che l’universo si è sviluppato e che la materia porta in sé il segno della freccia del tempo [18].

Prigogine sostiene l’idea di un universo in evoluzione all’interno del quale si collocano la vita e l’uomo e lo stesso universo non avrebbe alcun senso senza osservatori umani e senza coscienza. I fenomeni irreversibili non comportano un aumento di disordine ma hanno un ruolo costruttivo importantissimo [19]. L’uomo fa parte di questa corrente d’irreversibilità, che è uno degli elementi costitutivi dell’universo, in evoluzione continua. In biologia si passa dagli organismi unicellulari a quelli multicellulari e gradualmente verso un’evoluzione sempre più complessa. L’evoluzione biologica e l’evoluzione della società sono certamente una storia naturale del tempo. La freccia del tempo ci dà l’idea di un processo evolutivo dell’universo, di cui noi stessi siamo parte e che smentisce il passaggio dell’energia dall’ordine al disordine.

Protagora

Protagora

Ai fini della conoscenza del reale diviene primario il problema della coscienza e della mente. Infatti, il sistema natura è osservato da un sistema cerebrale che fa parte di un sistema uomo,  inserito in un sistema socio-culturale, parte di un sistema planetario, a sua volta, un piccolissimo frammento del sistema universo. Pertanto, come aveva intuito Protagora, «l’uomo è la misura di tutte le cose». È dall’uomo e dalla sua coscienza che bisogna partire. Senza l’uomo che lo osserva, l’universo non significherebbe nulla, non avrebbe alcun senso.

«Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, all’attività dell’uomo. Senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici, cosa sarebbe l’oggettività? Un caos, cioè niente, il vuoto, se pure così si può dire, perché realmente, se s’immagina che non esiste l’uomo, non si può immaginare la lingua e il pensiero. Per la filosofia della prassi l’essere non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto» [20].

L’uomo è parte integrante di un processo cosmico complessivo e con una gerarchia di livelli di organizzazione che, dal Big Bang alle prime particelle di materia e poi alle sue graduali aggregazioni, è giunto alla nascita della vita, all’homo sapiens e alla sua coscienza che conosce e interpreta il mondo intorno a sé.

Di conseguenza, sulla premessa che ci sono principi generali che regolano il comportamento dei sistemi complessi, occorre andare non solo oltre la cesura tradizionale tra scienze della natura e scienze umane, ma verso un’epistemologia che tenda a ricondurre a unità tutti i saperi separati. La sfera antropo-sociale deve essere articolata con quella biochimica e fisica. La scienza contemporanea ha la tendenza a non isolare i problemi o i fenomeni ma a estendere le indagini alle loro interazioni. Complessità cerebrale e socio-culturale s’intricano a vicenda. Come ha scritto anche Edgar Morin [21], «l’organizzazione connette in maniera interrelazionale elementi o eventi o individui diversi che di conseguenza diventano componenti di un tutto e garantisce una solidarietà e una solidità relativa a tali legami, e al sistema una certa possibilità di durare nonostante le perturbazioni aleatorie; l’organizzazione, dunque, trasforma, produce, connette, mantiene».

L’uomo è un sistema bio-fisico-psico-socio-culturale. È indispensabile giungere a una sintesi delle conoscenze, cercando di cogliere, al di là delle specificità delle singole discipline, gli aspetti che le accomunano a livello dei concetti fondamentali, secondo le previsioni di Karl Marx, il quale scriveva nei Manoscritti economico-filosofici del 1944 che l’uomo è natura e le scienze naturali ingloberanno in seguito le scienze dell’uomo, come le scienze dell’uomo ingloberanno le scienze naturali. Non ci sarà più che una sola scienza [22].

Ciò significa, sul piano pedagogico, che è necessario abbandonare la pratica diffusa dell’erudizione incerta e nozionistica, priva di concretezza, che considera i discenti come semplici e passivi  ricettori di ciò che trasmette l’insegnante, per imboccare una metodologia scientifica, in cui nulla è dato per scontato, che punti cioè sulla problematizzazione della realtà, abituando i giovani al pensiero critico e creativo e alla soluzione di problemi, a sviluppare le capacità relazionali e il lavoro cooperativo in gruppo.

Contestualizzare ogni sapere nella società complessa e globale in cui viviamo, significa che l’educazione non può essere fondata sulla separazione e compartimentazione dei saperi, incapace di fare cogliere la totalità del reale nelle sue interconnessioni. Occorre invece un sapere unitario, che colga le relazioni tra le diverse discipline. Significa applicare il principio che non si può conoscere il tutto senza conoscere le sue parti e che non si possono conoscere le parti senza conoscere il tutto. In passato, la specializzazione del sapere ha portato non solo ad una netta separazione tra scienze umane e scienze naturali, ma anche ad una separazione tra i vari saperi. Le varie discipline vengono solitamente insegnate in modo disgiunto, separato, mentre la realtà è unitaria. Ciò impedisce di vedere il contesto, il globale. In queste condizioni, i giovani non sono messi in grado di contestualizzare i saperi e d’integrarli e ciò confligge con le caratteristiche della mente che tende a integrare, ad astrarre e globalizzare.

Dialoghi Mediterranei, n.26, luglio 2017
Note
[1] Popper K., Logica della scoperta scientifica, trad. it. Einaudi, Torino 1970.
[2] Kuhn Th., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. Einaudi, Torino 1999.
[3] Nietzshe Fr., Così parlò Zaratustra, trad. it. Longanesi, Milano 1979: 235-236.
[4] Freud S., Progetto di una psicologia (1895), in Opere, vol.II: 201-284, trad.it. Boringhieri, Torino 1972:214.
[5] Einstein A., Born M., Scienza e vita, trad. it. Einaudi, Torino 1973.
[6] Wiener N., Cybernetics or Control and Communication in the Animal and the Machines, Wiley, N. Y., 1948.
[7] Bertalanffy L. Von, Teoria generale dei sistemi,trad. it. Isedi, Milano 1976.
[8] Bocchi G., Ceruti M., La sfida della complessità, Bruno Mondadori, Milano 1985.
[9] Morin E., Il Metodo. Ordine, disordine, organizzazione, trad. it. Feltrinelli, Milano 1983.
[10] Bateson G., Mente e natura, trad.it. Adelphi, Milano 1980.
[11] Poincaré H., Il caso, in Geometria e caso, trad. it. Bollati-Boringhieri, Torino 1995: 107-108.
[12] Von Foerster H., Sistemi che osservano, trad. it. Astrolabio, Roma 1987.
[13] Von Foerster H, Costruire una realtà, in P. Watzlawick (a cura di), La realtà inventata Contributi di costruttivismo, trad. it., Feltrinelli, Milano 1988: 41.
[14] Maturana H. R., Varela F. J., Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente, trad.it. Marsilio, Venezia 2001.
[15] Prigogine I., La nuova alleanza, trad. it. Einaudi, Torino 1981.
[16] Prigogine I,, Nicolis G., Le strutture dissipative. Autorganizzazione dei sistemi termodinamici in non-equilibrio,  trad.it. Sansoni, Firenze 1982.
[17] Prigogine I, La nascita del tempo,  trad. it. Bompiani, Milano 1994: 26-
[18] Prigogine I., L’esplorazione della complessità, in La sfida della complessità, op. cit.: 58 e ss.
[19] Prigogine I., Le leggi del caos, trad. it. Laterza, Bari 1993: 15.
[20] Gramsci A., Il Materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Einaudi, Torino 1966: 55-56.
[21] Morin E. , Il metodo, op. cit.:133.
[22] Marx K., Manoscritti economico-filosofici del 1944, in Opere filosofiche giovanili, Edizioni Rinascita, Roma 1950.

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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014).

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