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Come si costruisce l’uomo d’ordine

Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2018 @ 01:11 In Cultura,Società | No Comments

Padre-e-figlio-di-E.-Schiele-1913

Padre e figlio, di E. Schiele, 1913

di Piero Di Giorgi

Ho scritto già sul razzismo e sul protofascismo (Migrazioni, sciacallaggio e fascismi in “Dialoghi Mediterranei” n. 30, marzo 2018; L’abolizione dei confini generazionali e la crisi culturale della scuola italiana in “Dialoghi Mediterranei” n. 31, maggio 2018) dove evidenziavo lo spettro di una deriva autoritaria e xenofobo-fascista che si aggira per l’Europa e nel mondo. Oggi, mi preme affrontare il tema da un punto di vista psicologico, nella convinzione che la politica sia fondamentalmente psico-politica e che il fondamento di una società autoritaria, xenofoba e fascista risieda nella personalità degli individui, la quale affonda, a sua volta, le sue radici nell’educazione familiare  e nei contesti sociali di riferimento.

Affrontando la tematica della personalità autoritaria, non si può non fare riferimento, per quanto datata, alla scuola di Francoforte e in particolare alla teoria critica di Max Horkheimer e di Theodor Adorno. Per questi autori, la famiglia è, in quanto principale agenzia educativa, riproduttrice dei caratteri che esige la vita sociale. Entrambi i genitori, assorbiti dal lavoro ed estraniati dai figli, mancano al compito educativo di rendere possibili identificazioni fondate sul dialogo e la comunicazione e devono ricorrere alla coercizione autoritaria. «L’educazione nella famiglia coniugale forma un’eccellente scuola per il comportamento autoritario che contraddistingue questa società» (Horkheimer 1974: 53 e ss.). Adorno et alii hanno condotto una vasta ricerca presso l’università di Berkeley dal titolo Research Project on Social Discrimination, che ha evidenziato una stretta interdipendenza tra certi tratti della personalità e opinioni politiche fasciste o potenzialmente tali e cioè sulle condizioni psicologiche che determinano una maggiore o minore ricettività alle idee fasciste, indipendentemente dal dichiararsi tali. La teoria di riferimento per la loro analisi è stata la psicoanalisi.

La loro ipotesi è che le credenze, le ideologie politiche e sociali siano espressione di tendenze più profonde della personalità e anche le tendenze autoritarie e antidemocratiche affondino le radici nelle esperienze infantili in ambito familiare. Ciò spiegherebbe anche perché individui che si trovano nella stessa situazione socio-economica abbiano ideologie, valori, pregiudizi, atteggiamenti diversi, mentre individui di posizione sociale diversa abbiano ideologie e valori simili. Le conclusioni cui sono giunti i ricercatori sono che l’ideologia fascista e autoritaria si correla a una personalità autoritaria, prodotta da un’un’educazione autoritaria, rigida e intollerante. L’orientamento verso il potere e il disprezzo per i più deboli viene ricondotto all’atteggiamento dei genitori che sfruttano la debolezza del bambino, il quale, a sua volta, impiega le sue energie a reprimere il timore, la debolezza, la passività, gli impulsi sessuali, i sentimenti aggressivi.

1Una critica contro l’autoritarismo è stata sviluppata anche da Gérard Mendel (1973, 1974), il quale concorda con Sigmund Freud, secondo cui l’autorità si sviluppa attraverso il fenomeno della interiorizzazione e lo stabilirsi del senso di colpa. La paura di essere abbandonato è, per Mendel, il fondamento psico-affettivo del fenomeno autorità, in quanto spinge il bambino, sotto la paura dell’abbandono, a sottomettersi alle esigenze dell’adulto rinunciando alla sua autonomia. E ciò lo renderà un individuo incapace di compiere scelte libere e coraggiose.

Freud, a cui si riferiscono le ricerche di cui sopra, aveva scritto che l’individuo, all’interno della massa, si trova nelle condizioni di potere sbarazzarsi delle difese contro i propri moti pulsionali inconsci. Perciò scompare il modo specifico di essere degli individui e affiora l’inconscio “razziale”. Nella massa l’individuo diventa un istintivo, un barbaro. Citando Gustav Le Bon, Freud scrive che «la massa è incredibilmente credula  e acritica, si sente onnipotente, non conosce né dubbi né perplessità. In una massa tutte le inibizioni scompaiono e tutti gli istinti crudeli, brutali, distruttivi si ridestano  e si pongono istintivamente sotto l’autorità del capo, come un gregge docile che ha bisogno di un padrone (1977: 265 e ss.). Il fenomeno d’identificazione reciproca gli uni con gli altri ci indica quanto ogni singolo sia dominato dagli atteggiamenti dell’anima collettiva, che si manifestano come peculiarità razziali, pregiudizi sociali ecc. Questa pulsione gregaria porta al rifiuto di tutto ciò che è nuovo e insolito (1977: 305 e ss.)

I genitori autoritari cercano di regolare il comportamento dei figli in base a modelli prefissati e rigidi, considerano l’obbedienza una virtù e sono favorevoli a misure punitive, non incoraggiano il dialogo. Spesso gli atteggiamenti autoritari dei genitori si esercitano con atteggiamenti punitivi, o con lo scambio di benefici materiali senza puntare a un adeguato sviluppo della fiducia del bambino e ciò determina una dipendenza opportunistica dei figli dai propri genitori per timore di dispiacere loro e anche un meccanismo difensivo di formazione reattiva che comporta la trasformazione di una certa ostilità verso i genitori in una idealizzazione di essi. Quanto più predominano i bisogni difensivi tendenti a evitare ansie e angosce, tanto più il soggetto è portato a distorcere le informazioni o a rimuoverle e a lasciarsi condizionare dalle pressioni esterne. La sua mente è più chiusa, portata a dogmatizzare e accettare l’autorità in modo irrazionale e rimuove informazioni che contestano l’autorità perché perderebbe le sue sicurezze ed entrerebbe in situazione di ansia per paura della sua debolezza.

2Un’educazione troppo rigida porta spesso a una perdita di fiducia in sé. Un’educazione dialogica, invece, in cui i genitori discutono criticamente, porta il bambino ad accettare certe norme senza sentirsi minacciato. L’autoritarismo, cioè, è la deformazione dell’autorità vera, che si fonda su un equilibrio tra razionalità ed emotività, su uno scambio relazionale autentico e su regole certe e condivise. L’eccesso di rigore nell’educazione può provocare nel bambino uno svilimento di se stesso, una mancanza d’iniziativa, atteggiamenti remissivi e passivi o un comportamento opposto, che degenera poi nell’oppressione tirannica dei suoi compagni o dei propri dipendenti nel lavoro. Un’educazione repressiva forma degli “automi sociali” e cioè individui obbedienti e passivi.

Il correttivo di un’educazione autoritaria non è certo il suo contrario, cioè il vuoto educativo. Anche l’atteggiamento remissivo e iperprotettivo è fonte di un non corretto sviluppo psichico e genera ansia nel bambino, il quale ha bisogno dell’autorità come protezione e limite alle sue pulsioni. La stessa situazione si determina per l’assenza pressoché totale dei genitori che hanno sempre meno tempo da dedicare ai figli. È noto che per i bambini i genitori sono degli esseri onnipotenti, mitizzati e idealizzati. Spesso tuttavia, il bambino, deluso dai genitori, resta in cerca di identificazioni più sicure ed emotivamente più solide. Va in cerca di un padre più potente che gli offra più sicurezze, più ordine. Vuole qualcuno che scelga per lui. Nasce l’uomo d’ordine su cui si fondano i fascismi e i nazionalismi di tutte le patrie. In altri termini, sia che predomini una struttura familiare autoritaria sia una pratica educativa permissiva o un’abdicazione al ruolo di genitori, le basi democratiche di una società sono in pericolo.

Le trasformazioni tecnologiche, economico-sociali e culturali degli ultimi decenni hanno inciso profondamente sui modi di vivere e di pensare e in particolare sulla famiglia e sulla relazione educativa genitori-figli. Già nel 1963, Alessandro Mitscherlich (1970) aveva evidenziato l’assenza paterna. Dopo il 1968 e soprattutto negli ultimi decenni i genitori hanno vissuto una sorta di crisi d’identità derivante dalla messa in discussione dei ruoli socio-sessuali, dalla critica giovanile e femminista alla famiglia, dai gravi problemi e dalle minacce incombenti che gravano sul futuro del mondo e dalle frustrazioni accumulate nel sociale con la perdita della speranza di cambiamento, dalla cosificazione delle relazioni interpersonali, dal trionfo di egoismi e individualismi. Tutto ciò ha determinato una de-storicizzazione dell’individuo, un senso diffuso di malessere, disagio e senso d’impotenza e di solitudine.

3Spesso i genitori, impegnati tutto il giorno nel lavoro, frustrati, carichi di sensi di colpa e disorientati tendono a rinunciare al loro ruolo di guida e di filtro critico verso la realtà circostante,  cedono a ogni richiesta dei figli, abdicando al loro ruolo educativo. Nel tentativo di liberarsi dell’autoritarismo dell’epoca patricentrica, per sedare le loro ansie, diventano iperprotettivi, camerateschi, piuttosto che esercitare un’autorità promotrice e di reciprocità emozionale. Hanno atteggiamenti ambivalenti verso i figli, in una spirale fatta di punizioni, sensi di colpa e concessioni. oscillano tra atteggiamenti autoritari e permissivi, tra tendenza a prolungare la dipendenza e spinte all’autonomia. Alle nuove generazioni vengono a mancare due elementi fondamentali della costruzione della personalità: rassicurazione e conquista della fiducia, validi modelli d’imitazione e d’identificazione.

All’evaporazione della figura paterna, messa in luce da Mitscherlich, si accompagna l’appannarsi di entrambe le figure genitoriali. I coetanei finiscono per orientarsi tra di loro, verso una socializzazione orizzontale. Per Mitscherlich, l’individuo deve sviluppare un Io critico e perché ciò si realizzi occorre un’educazione non autoritaria ma che temperi le esigenze istintuali con le regole sociali. Lo sviluppo di un Io critico e autonomo permette un’adesione meno rigida alle regole sociali e lascia una parziale soddisfazione istintuale senza caricarla di sensi di colpa. A distanza di cinquant’anni dal libro di Mittscherlich, Massimo Recalcati (2014), è tornato sul tema dell’assenza del padre, scegliendo la figura di Telemaco come emblematica del disagio delle nuove generazioni di fronte all’evaporazione del padre ma non come rimpianto del padre-padrone. Il complesso di Telemaco è proprio il rovesciamento del complesso di Edipo, il quale vive il padre come rivale che ostacola il proprio cammino. Telemaco che guarda e scruta l’orizzonte nell’attesa-fiducia del ritorno del padre è il rappresentante del desiderio e della speranza delle nuove generazioni di trasformare l’assenza  del padre in una presenza di un referente identitario, di una guida, di un legislatore saggio che coniuga le regole con l’amore.

4Nell’attuale società, si è spezzato quel filo sottile della trasmissione orale dell’esperienza, le nuove generazioni finiscono per risentire dell’assenza di relazioni significative e rischiano di crescere in un vuoto pedagogico e affettivo, con scarse possibilità di comunicazione e d’identificazione e privi di sicurezza e di fiducia. L’identità è diventata incerta e problematica. Il vuoto pedagogico genera una nuova patologia della personalità, quella narcisistica. Quando il bambino vive una relazione empatica e accogliente, il suo Io si potenzia;  se, invece, gli manca una relazione empatica, modelli di riferimento chiari e disponibili, l’investimento si rivolgerà sull’io e imboccherà la via di uno sviluppo narcisistico, la struttura della personalità regredisce a un Io arcaico, infantile e narcisista, che si esprime nella tendenza a soddisfare costantemente i propri impulsi e desideri (Lasch Chr., 1981). La debolezza dell’Io abbisogna di un costante appagamento come risposta ai bisogni narcisistici, che è facile ottenere nella sfera dei consumi.

Se manca il calore di una relazione qualitativamente significativa, l’insufficiente relazione con i genitori tende a essere compensata da una relazione con le cose (giocattoli, oggetti). L’individuo narcisista, anziché progredire verso l’individuazione, regredisce verso la fusione con gli altri, per bisogno di protezione, per colmare le sue insicurezze e all’esterno intrattiene relazioni reificate. La funzione del Super-Io, che attinge la propria forza dall’identificazione con i genitori e che è in grado di proteggere l’individuo da sensi di colpa consci e inconsci, risulta indebolita, dalla debolezza dei genitori, dall’educazione permissiva, che blocca l’evoluzione dell’Io. Il risultato può essere l’inquietudine, la depressione, la ricerca di gratificazioni succedanee continue. L’individuo narcisista è incapace di amare se stesso e gli altri. La condizione del narcisista è simile a quella del bambino. L’Io infantile è onnipotente, c’è una sopravvalutazione dei propri desideri, una sete di grandezza, una fiducia incrollabile nella possibilità di dominare il mondo. C’è oggi nei giovani un atteggiamento tendente a posporre la norma al desiderio, a mettere al primo posto il principio del piacere. Ciò che conta è l’istante (Di Giorgi, 1996: 100 e ss.).

La personalità delle nuove generazioni, caratterizzata da un Io debole e instabile, oscilla tra narcisismo e atteggiamenti autoritari che talvolta si esercita sui propri coetanei e poi si proietta nella società più ampia. Si pongono, in tal modo, le premesse per la nascita di personalità narcisiste, conformiste e autoritarie.

5In conclusione, sia l’educazione autoritaria sia quella permissiva sono due lati della stessa medaglia. Non c’è dubbio che qualsiasi processo educativo deve avere come premessa il rispetto della personalità del bambino e tenere conto che questa personalità è ancora in fieri e che servono al bambino certi punti fermi per fargli acquisire sicurezza. Si può dire che il bambino avverte il bisogno di essere protetto dalle sue stesse pulsioni. I genitori permissivi non impongono chiare regole cui conformarsi, sono quasi sempre disponibili a soddisfare le pretese dei figli, rinunciando a un ruolo attivo e responsabile per strutturare il loro comportamento. L’educazione permissiva aumenta l’aggressività del bambino, produce individui incapaci di prendere iniziative e che si conformano agli altri per decidere.

In ultima istanza, i due contrapposti atteggiamenti educativi convergono nel produrre guasti nello sviluppo della personalità. La critica dell’autoritarismo, pertanto, non significa rinuncia al ruolo educativo, inteso come guida, come scambio, come sostegno e rassicurazione, come capacità di comunicare l’esperienza. Quando i genitori cedono a qualsiasi pretesa dei figli o li trascurano, essi ritardano e ostacolano il processo di socializzazione e di maturazione.

6I genitori autorevoli, invece, cercano di dirigere i comportamenti dei figli in modo razionale avendo di mira degli obiettivi, incoraggiano lo scambio di idee, rendono i figli partecipi della dialettica educativa e sollecitano le obiezioni. Mantengono dei chiari confini generazionali, facendo rispettare in quanto adulti le loro opinioni, indicando dei valori e discutendone con loro. L’autorità razionale non schiaccia la creatività ma l’aiuta a emergere. I genitori non devono inseguire un modello che hanno in testa, non devono costruire il figlio che vorrebbero ma aiutarlo a svilupparsi secondo le sue potenzialità e i suoi ritmi. I presupposti essenziali di un rapporto educativo  devono essere una relazione emotiva che lo sorregge sulla base di lealtà e autenticità e la proposizione di valori  e di regole certe. Essere genitori significa essere capaci di condurre un bambino da uno stato di completa dipendenza a quello di una persona autonoma e dal pensiero critico.

Quanto sono venuto dicendo postula la necessità di profonde trasformazioni sociali e soprattutto di normative sul lavoro che rendano la vita dei genitori più agevole (orari più flessibili, strutture ricreative, culturali, reti di servizi sociali sul lavoro  e autogestite nei quartieri). I nostri governanti, crogiolandosi nei loro privilegi, dimenticano di essere, oltre che “professionisti della politica”, anche genitori e dovrebbero avere più attenzione per i problemi educativi e della socializzazione dell’infanzia. Come scrive Erikson (1974), gli studiosi di sociologia, di psicologia, di storia, di economia e di scienza politica dimenticano spesso che tutti gli esseri umani nascono dal grembo materno, che tutti siamo stati bambini, che siamo vissuti in una famiglia, che la società si evolve da bambini a genitori. Ogni capo politico, religioso, ogni dirigente industriale è stato un bambino. Ciascuno proietta nel campo della politica, dell’economia, dei rapporti interpersonali paure e angosce infantili. La paura infantile riattivata rimane una determinante che viene sfruttata da uomini politici, capi religiosi, capi mafia, boss di ogni genere.

Dialoghi Mediterranei, n.33, settembre 2018
Riferimenti bibliografici
Di Giorgi P., 1996: La crisi del ruolo dei genitori, Edizioni Kappa, Roma.
Erikson E., 1974, Gioventù e crisi d’identità, Armando, Roma.
Freud S., 1977, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino.
Horkheimer M., 1974, Studi sull’autorità e la famiglia, Utet, Torino.
Lasch C., 1981, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano.
Mendel G., 1973, La Rivolta contro il padre, Vallecchi, Firenze.
Mendel G., 1974, Infanzia nuova classe sociale, Armando, Roma.
Mitscherlich A., 1970, Verso una società senza padre, Feltrinelli, Milano.
Recalcati M., 2014, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano.
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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014), Siamo tutti politici (2018).
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