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Aree interne e agricoltura multifunzionale. Il neo-popolamento
Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2022 @ 00:29 In Cultura,Società | No Comments
il centro in periferia
di Benedetto Meloni
Le aree interne sono state spesso caratterizzate da una rappresentazione unitaria in negativo e per differenza: tutto ciò che resta una volta tolte le aree costiere, le pianure fertili, le città; una grande periferia come contraltare dei fenomeni di urbanizzazione e di litoralizzazione della popolazione e delle attività produttive, noto ad esempio per la Sardegna come “effetto ciambella» (Bottazzi, 2014). È l’Italia dei «vuoti» come la definisce il Manifesto per riabitare l’Italia: «del declino demografico, dello spopolamento e dell’abbandono edilizio, della scomparsa o del degrado di servizi pubblici vitali (dalla scuola alla farmacia, dall’ ufficio postale al forno, al presidio ospedaliero)» (Cersosimo, Donzelli 2020: 3).
Esistono letture e interpretazioni sul declino che si focalizzano sulla rarefazione produttiva e sociale, sul calo delle attività e dell’occupazione, sulla mancanza dei servizi essenziali, abbandono della terra, degrado ambientale, modificazioni del paesaggio, diminuzione della superficie coltivata, del pascolo e delle pratiche boschive, perdita di importanza del patrimonio territoriale (naturale, agrario, architettonico, materiale o immateriale) accumulato nella storia.
Una lettura in prospettiva
Una lettura in prospettiva focalizza invece la centralità delle specificità e delle risorse territoriali, con attenzione ai sistemi socioeconomici locali (si prendano ad esempio in considerazione la SNAI, le indicazioni del Manifesto per Riabitare l’Italia o ancora il Manifesto di Camaldoli), al ruolo della multifunzionalità, della nuova imprenditorialità agricola (Ploeg et al., 2019), della multifunzionalità del territorio.
La Strategia Nazionale Aree interne rileva che sebbene si sia di fronte a tre quinti del territorio nazionale e un quarto della popolazione distanti dai centri di agglomerazione e di servizio, al tempo stesso si è davanti a aree dotate di risorse che mancano alle aree centrali, con problemi demografici ma fortemente policentriche e con elevato potenziale di attrazione (Barca, 2013). Le Aree Interne riguardano la parte più estesa del territorio italiano, quella delle colline e delle montagne, tutte quelle realtà essenzialmente rurali che sono state marginalizzate dal processo di sviluppo dell’età contemporanea e che oggi tornano alla ribalta come contenitori di patrimonio, risorsa per il futuro e ambiti di sperimentazione di un nuovo rapporto tra uomo e natura, a sua volta generatore di paesaggio, di economia, di società.
Un’Italia diffusa, che è presente a tutte le latitudini e si interseca con l’Italia dei “pieni”, tutt’altro che residuale (Donzelli, 2020). La distanza dai poli è criterio di identificazione delle aree interne utilizzato dalla SNAI; i poli sono intesi come centri di offerta di alcuni servizi essenziali definiti in base alla collocazione geografica e agli indicatori di accessibilità. Tale criterio permette di spostare l’attenzione verso la sfera dell’accesso ai servizi di una parte non irrilevante della popolazione. In questa logica il rafforzamento delle interconnessioni tre aree interne e poli diffusi, tra aree rurali e centri urbani anche di piccole e medie dimensioni (Lucatelli, 2013), diventa centrale dal punto di vista progettuale.
In senso positivo le aree interne sono meno soggette a pressioni antropiche, dispongono di risorse specifiche, sottovalutate ma preservate più che in altri contesti: vocazioni produttive, qualità dell’ambiente, risorse naturali e paesaggistiche, risorse insediative, risorse culturali, archeologiche, saper fare locale, potenzialità di sviluppo (produttive, energetiche, turistiche) inespresse. Ciascun territorio offre risorse e una diversità e specificità per certi versi latenti. Grazie anche al carattere policentrico, sono in grado di offrire una diversità di produzioni uniche, identitarie, di qualità, quindi di rispondere alla forte domanda di specificità (Barca, 2013) (in coerenza con la teoria dei consumi di Lancaster) che emerge dal cambiamento dei modelli e delle pratiche di consumo.
Le aree interne vanno quindi pensate e progettate sia come destinatarie di beni collettivi e servizi fondamentali – scuola e salute, diritti di cittadinanza – sia come sistemi capaci di produrre diversità e specificità, di offrire beni agroalimentari, strutture insediative, beni collettivi, paesaggio, qualità delle acque, energie, biodiversità, cultura e esternalità positive (OECD, 2001 e 2003). Si tratta di risorse nascoste, che stanno lì, possono essere estratte, tirate fuori e valorizzate a patto che questa estrazione e valorizzazione sia fatta mobilitando le intelligenze prevalentemente locali, e che non sia imposta, paracadutata o guidata dall’attore centrale (Hirschman,1958).
Obiettivi specifici di policy della SNAI, e in ciò sta la sua innovazione, diventano in questa prospettiva la connessione tra diritti di cittadinanza, con attenzione ai servizi, e sviluppo locale, con attenzione alle risorse e specificità locali
Centralità dell’agricoltura multifunzionale nelle aree interne
Ma a che cosa ci riferiamo quando parliamo di agricoltura per le aree interne? Si tratta di uno slogan di propaganda politica “movimentista”? Di un’utopia che non ha alcun fondamento economico, né alcuna possibilità di riuscita? Per secoli l’agricoltura italiana – come sottolinea Bevilacqua – è stata una pratica economica delle “aree interne”, vale a dire dei territori collinari e montuosi, gli ambiti orografici dominanti nella Penisola.
A ciò risponde la multifunzionalità aziendale, ovvero l’insieme di contributi che il settore agricolo può apportare al benessere sociale ed economico della collettività e che quest’ultima riconosce come propri dell’agricoltura (Idda et al., 2005): produzione di beni alimentari e materie prime ad uso non solo alimentare, fornitura di servizi di varia natura come la tutela, la gestione e la messa in valore del paesaggio rurale, la protezione dell’ambiente, servizi sociali e culturali, valorizzazione delle peculiarità anche culturali del territorio, forme di solidarietà tra cittadini e produttori. Si tratta di attività no-food realizzate all’interno dell’azienda che possono comprendere: (1) servizi turistici, ristorazione, pernottamento, escursionismo, cicloturismo, turismo a cavallo, visite guidate paesaggistiche archeologiche; (2) servizi verdi e forme variegate di gestione della natura, della biodiversità e territorio, manutenzione per garantire estetica e funzionalità, produzione di energia alternative, uso biodiversità, benessere animale, sicurezza alimentare; (3) servizi sociali di cura ed assistenza come l’agricoltura sociale, fattorie didattiche, pet therapy; (4) servizi al territorio tra cui l’istituzione di marchi collettivi, sponsorizzazioni a eventi, partecipazione a ricerche, promozione tradizioni ed eredità culturali, convegni ed eventi culturali, la strutturazione di musei di civiltà contadina, ecc.
La ricerca comparata su specifiche tendenze attualmente in atto nei sistemi agricoli e alimentari in Europa (si veda ad esempio Ploeg et al., 2019) individua un processo di ricontadinizzazione della maggioranza dei dieci milioni di aziende agricole a conduzione familiare, una transizione “silenziosa” verso sistemi “proto-agroecologici“ come espressione di resistenza innovativa (si consideri ad esempio Farmers for the Future, Open letter of European scholars to: European Commission, Commissioner for Agriculture, President of European Parliament -Ploeg et al., 2021).
L’agricoltura è di per sè multifunzionale perché nel momento in cui si produce cibo, energia, fibra e biomateriaIi, contemporaneamente produce altri servizi. Tra questi servizi, alcuni hanno un mercato (es. agriturismo, agricoltura sociale), altri non lo hanno e generano beni collettivi, pubblici come paesaggio, qualità delle acque, biodiversità, cultura ecc. (OECD, 2001; Cavazzani, 2006; Polman et al., 2010). Nel momento in cui si sostiene l’agricoltura, attraverso politiche specifiche, in realtà si sostiene anche la produzione di una serie di beni pubblici non riproducibili in un contesto specializzato e intensivo (van der Ploeg, 2008).
Anche la pastorizia si colloca pienamente all’interno di quel processo di rinascita delle aziende contadine, attentamente descritto da Van der Ploeg (2008; 2018) per la capacità di occupare spazi come quelli delle aree interne che le civiltà contadine hanno abbandonato garantendo la produzione di beni e servizi di consumo alimentare di qualità preservano beni pubblici come paesaggio, biodiversità ambientale e sociale, benessere degli animali, qualità della vita, tradizioni ed eredità culturali, elementi che valorizzano il rapporto equilibrato con l’ambiente. Produrre in ambienti marginali rispettando l’ambiente con grandi capacità di adattamento pare la risposta antica a problemi del futuro (Ellis et al., 1988; Nori, 2020; Scoones, 2020).
È importante sottolineare che dalla multifunzionalità aziendale si passa alla multifunzionalità del territorio, tramite la consapevolezza del ruolo ambientale e del contributo attivo all’uso e salvaguardia delle risorse naturali. Fattori di successo che generano attrazione, rispondono ad una domanda specifica, che non possono essere ricondotti alle sole capacità aziendali, ma che vanno al di là di tali contesti per interessare l’ambito territoriale. Tutti gli aspetti legati al paesaggio agricolo e insediativo, al patrimonio culturale e al silenzio sono costruzioni collettive a cui le singole aziende partecipano.
Obiettivo di policy generale connesso alla multifunzionalità
Obiettivo di policy generale connesso alla multifunzionalità è riconoscere il ruolo dell’impresa agricola multifunzionale, individuando specifiche modalità di compensazione economica per la vasta gamma di “beni pubblici” associati alla produzione di alimenti (ambiente, risorse naturali, paesaggio, tutela e gestione del territorio, benessere animale ecc.) che diventa quindi passaggio centrale. Molti dei beni prodotti dall’agricoltura multifunzionale sono esternalità prodotte in “maniera inconsapevole” allora uno degli obiettivi delle politiche dovrebbe essere trasformare l’esternalità positiva in obiettivo consapevole. Questo vale soprattutto per i servizi verdi e per la valorizzazione del paesaggio rurale quale rapporto coerente tra le comunità locali e il paesaggio come prodotto dell’interazione tra le pratiche di costruzione e trasformazione antropica e i sostrati naturali.
Per attuarsi il progetto paesaggio richiede centralità della multifunzionalità dell’agricoltura (Agnoletti 2011, Magnaghi 2011), presuppone un’idea di “tutela attiva”, restituendo la tutela del territorio alle comunità locali (Cersosimo, 2013), con ruolo attivo attraverso modalità come contratti di responsabilità per vigilanza e manutenzione. Richiede la valorizzazione del sistema insediativo (ne esempio l’Atto della Camera 2020 su mozione Borghi, art.14) con misure di agevolazione fiscale per le spese connesse all’acquisto e alla trasformazione degli immobili nelle aree interne e montane, interventi di recupero di borghi montani che abbiano alla base forme associative e/o di cooperazione tra giovani e che prevedano la residenzialità per un numero minimo di anni. Riguarda modelli di intervento a favore degli anziani che mettano in relazione il patrimonio edilizio delle aree montane/rurali con patrimonio immobiliare degli anziani che vivono in città. A tal riguardo, si può citare la soluzione offerta dal “prestito ipotecario vitalizio” (Barbera 2014), che è quella di dirottare le risorse immobilizzate con utilizzi possibili come comunità residenziali per over 65, che rispondono ai reali bisogni delle comunità rurali e ai bisogni delle realtà urbane.
Gli obiettivi di policy generali partono in questo caso dalla centralità che l’Europa dà al tema della multi-funzionalità per focalizzare sia il rapporto coerente tra le comunità locali e il paesaggio, sia le interconnessioni, le azioni interdipendenti, non separate tra aree deboli e forti, tra aree rurali e urbane.
Aree interne e città medie: Evoluzione del rapporto tra rurale e urbano.
Dall’epoca antica sino a quella contemporanea la storia ci racconta di un avvicendarsi di situazioni di confronto e di scontro, nel quale non sempre è la città a prevalere. Storicamente le città (medie) nascono dalla disponibilità di surplus di prodotti agricoli, luoghi di mercati, di materie prime da trasformare in prodotti finiti da commerciare, servizi per la campagna. Questa è stata la media città italiana, che ha in qualche modo governato il contado, ma contemporaneamente ne è stata governata, in rapporto dialettico, per quanto riguarda la distribuzione e la dimensione di nuclei urbani minori (Lanaro 1989: 55-56). In realtà per lungo tempo è individuabile una sorta di reciprocità di prospettive tra città e campagna; i mercati contadini esistevano già in questi contesti.
Nell’immediato dopoguerra con l’intensificarsi dei processi di modernizzazione e di urbanizzazione (con i fenomeni migratori verso le aree urbane e lo spopolamento di quelle marginali), il rapporto tra la città e la campagna inizia a divenire problematico e la reciprocità città-campagna si spezza, si attenua, anche per fenomeni interni al mondo stesso dell’agricoltura: lo sviluppo agricolo volto alla modernizzazione per settori, con la specializzazione dell’agricoltura nella produzione di beni alimentari, le politiche agricole si caratterizzano per una natura marcatamente settoriale a scapito della sostenibilità territoriale, ambientale e sociale.
All’interno del processo di modernizzazione il rapporto rurale-urbano viene presentato e affrontato in termini oppositivi e dicotomici. A partire dagli anni ’90, con l’emergere della crisi del modello di modernizzazione agricola, l’emergere di forme variegate di sviluppo rurale, le politiche assumono la centralità dei territori rurali nella loro dimensione ampia, ovvero attraverso la valorizzazione delle specifiche potenzialità-risorse (umane, fisiche, ambientali ecc.). Come detto, inizia ad essere attribuita all’agricoltura non solo la funzione produttiva ma le funzioni multiple prima descritte.
All’interno della strategia SNAI, delle indicazioni del Manifesto Riabitare l’Italia, del Manifesto di Camaldoli, il futuro delle aree interne e della montagna appare strettamente legato a quello delle città, superando la statica contrapposizione tra il rurale e l’urbano. Un importante contributo è Metromontagna, Un progetto per riabitare l’Italia (Barbera, De Rossi 2021) che focalizza a più voci il rapporto tra territori metropolitani e rurali-montani. I due ambiti, pur avendo caratteristiche radicalmente diverse, sono complementari tra loro e quindi possono stabilire connessioni reciprocamente vantaggiose.
Dal 2014 Dematteis parla di policy per lo sviluppo territoriale indirizzando verso una regolazione solidale dei rapporti di prossimità città-campagna. La campagna rurale dà alla città beni con un buon grado di non sostituibilità, beni e servizi eco-sistemici, idrici ed energetici, spazi di attraversamento delle grandi infrastrutture, una parte consistente del patrimonio fondiario e di quello architettonico tradizionale, la qualità delle produzioni alimentari locali, la cura dell’ambiente e del paesaggio fruito dagli abitanti della città, la cura del territorio che protegge le città pedemontane dal rischio idrogeologico e idraulico. La campagna rurale riceve dalla città più vicina input di importanza vitale, dipendente per i servizi necessari quali ospedali, istruzione superiore, offerta commerciale specializzata, amministrazione e gestione pubblica sovralocale, flussi di visitatori e villeggianti sono in molti casi il principale sostegno dell’economia locale.
È necessario comprendere il senso di questa possibile evoluzione recente del rapporto aree interne e città medie. Bisogna dare conto di più centri e più periferie, di diversi livelli di scala coinvolti, di differenti gradi di integrazione e interconnessione tra gli stessi (Sciarrone, 2020: 31). Il quadro cambia molto se le aree marginali hanno come terminale di riferimento una rete di città medie oppure una vasta area metropolitana (ivi: 34). Le città medie in Italia sono molto importanti dal punto di vista demografico e produttivo. Basti pensare al fitto tessuto di città medie del Centronord-est, ovvero alla campagna urbanizzata quale elemento storicamente qualificante della terza Italia (ibidem). Particolare focus è stato posto alle città medie pedemontane che godono di vantaggi che altre città (Barbera, De Rossi 2021) non hanno. Si delinea, dunque, oggi una potenziale e nuova convergenza di interessi tra montagna e città-pianura, nell’ottica del reciproco vantaggio e delle potenzialità di innovazione insite in questa modalità di regolazione solidale dei rapporti (Barbera, 2018: 9).
La multifunzionalità in agricoltura assume valore non solo economico. La strategia per diversificare le attività aziendali si strutturano in risposta alla nuova domanda di beni e servizi espressa dai cittadini consumatori consapevoli nei confronti del settore primario (Brunori et al., 2008, Brunori 2017). La sinergia tra attori interni al rurale e all’urbano ha portato allo sviluppo dei cosiddetti nested market (Oostindie et al., 2010; Polman et al., 2010), alla diffusione dell’agricoltura sociale (Di Iacovo, 2008) e della rete dei Gruppi di Acquisto Solidale (Fonte, 2013). Possiamo dunque dire che nuovi beni e servizi – ad alto grado di qualità territorializzata – sostengono la creazione di nuovi rapporti città-campagna (Oostindie, Van der Ploeg e Renting, 2002).
Localizzare significa, dunque, non chiudere le aree rurali in sé stesse, bensì individuare le risorse e competenze disponibili da mettere a valore attraverso la creazione di una relazione di continuità con l’‘esterno’ (Sivini e Corrado, 2013). Il rapporto aree interne e città medie è leggibile in una prospettiva multifunzionale. La multifunzionalità come elemento di connessione: da una parte le imprese attraverso la multifunzionalità offrono delle specificità, servizi, inserendosi nel mercato “per qualità”, dall’altra le città riconoscono la necessità di un processo di differenziazione produttiva, gli attribuiscono valore anche e soprattutto attraverso le scelte di consumo.
Pertanto il rapporto città-campagna come obiettivo generale di policy può essere ripensato e considerato anche in questa prospettiva multifunzionale (Oecd, 2001; Barbera 2015; 2018; Meloni, 2015; 2020).
Aree interne popolazioni vecchie e nuove
La lettura attenta dell’insieme delle popolazioni che fanno riferimento a luoghi specifici mostra la presenza di diversi gruppi:
La varietà dei luoghi si accompagna quindi a una pluralità di popolazioni e forme di vita (Pasqui, 2020; Membretti, 2021), “nuove popolazioni” e spesso “nuovi abitanti produttori e innovatori” (Carrosio, 2013; Barbera, De Rossi, 2021). La concettualizzazione dello sviluppo può essere portata avanti a partire dal progressivo differenziarsi di popolazioni: restanti, nuovi abitanti, emigrati di ritorno, coloro che gravitano attorno a paesi, residenti part-time, rural users, e emigrati. Inoltre nuovi modelli di vita, di socialità e di compresenza culturale richiedono un’alleanza fra anziani restanti, depositari di saperi contestuali, e “nuovi montanari” innovativi.
Vi concorrono iniziative e nuovi strumenti come cooperative di comunità (punto 3 del Manifesto di Camaldoli 2021). A questo scopo la vecchia cultura materiale e le sue manifestazioni intangibili hanno un ruolo essenziale nei processi di crescita: «richiede abitanti attivi, lavoratori e imprenditori socialmente (e territorialmente) responsabili capaci di mettere a frutto, con tecnologie appropriate varietà delle risorse locali come beni comuni di luogo» (Becattini, 2015). Per sua natura l’economia montana e quella delle aree interne si regge soprattutto sull’integrazione multisettoriale di molte piccole e medie imprese, sovente esse stesse multifunzionali. Queste aree “fragili” sono quindi laboratorio di innovazione economica, ecologica e sociale, grazie all’economia dei nuovi abitanti, incentrata sulla valorizzazione delle risorse locali, reincorporazione degli elementi naturali nei sistemi produttivi e sull’elaborazione di un progetto locale comune (Magnaghi 2010).
Il neo-popolamento montano è la proposta di policy anche del Manifesto di Camaldoli, per gestire il patrimonio territoriale in modo auto-sostenibile (Dematteis, Magnaghi, 2021).
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