- Dialoghi Mediterranei - http://www.istitutoeuroarabo.it/DM -

Ambigrammi e misteri nella ‘Camera delle Meraviglie’ di Palermo

Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2020 @ 02:03 In Cultura,Società | No Comments

1_camera-delle-meraviglie-di-palermo

Camera delle Meraviglie di Palermo

di Francesco Medici

Il 28 febbraio 2017, di primo mattino, durante un mio breve soggiorno a Palermo, ebbi occasione di recarmi in via Porta di Castro 239 per visitare l’ormai celebre ‘Camera delle Meraviglie’, in compagnia del fotografo Calogero Campione (originario di Favara [Agrigento], ma palermitano d’adozione). Molto è già stato scritto su quella sala così insolita e suggestiva, fin dalla sua scoperta risalente al 2003, quando i coniugi Giuseppe Cadili e Valeria Giarrusso, nel corso di importanti lavori di restauro e ristrutturazione, rinvennero casualmente sulle quattro pareti di una stanza del loro ampio appartamento d’impianto settecentesco alcune misteriose iscrizioni di colore oro e argento su fondo blu, celate sotto diversi strati di calce e vernici. Oltre a un paio di agili volumi (La Camera delle Meraviglie: Il mistero della stanza di via Porta di Castro, a cura di G. Cadili, Banca Nuova, Palermo 2014; G. Cadili e V. Giarrusso, La Camera delle Meraviglie. Codice Palermo, Torri Del Vento Edizioni, Palermo 2017), vorrei menzionare qui almeno i due articoli comparsi sull’argomento in «Dialoghi Mediterranei»: Il Mistero in una stanza di Nino Giaramidaro (n. 14, luglio 2015) e Rendere arabo ciò che arabo non è. La Camera delle Meraviglie di Palermo di Giulia Gallini (n. 29, gennaio 2018).

Negli ultimi anni in tanti si sono cimentati nel tentativo di decifrare quelli che, a prima vista, parrebbero caratteri arabi. In particolare tre ricercatori dell’Istituto di Lingue Orientali e Asiatiche dell’Università di Bonn: Sarjoun Karam, Chiara Riminucci-Heine e Sebastian Heine. A quanto mi risulta, tali studiosi hanno proposto ad oggi almeno due (invero alquanto diverse) letture di quella che si è presto rivelata essere in realtà un’unica epigrafe parietale che, come una sorta di mantra segreto, si ripete innumerevoli volte, sempre identica a se stessa, lungo tutto il perimetro della camera: «Ciò che Dio vuole accade, ciò che Dio non vuole non accade» oppure «Sia lodato Dio, niente è simile a Lui», quest’ultima, probabilmente, a confutare e a soppiantare la prima. Le due interpretazioni – ancorché, a mio avviso, difficili da verificare – troverebbero invero entrambe riscontro sia nel Corano stesso sia in alcuni aḥādīṯ (detti del Profeta secondo la tradizione islamica).

La seconda interpretazione in particolare, quella per così dire confermata dagli arabisti di Bonn, include la cosiddetta ḥamdalah (al-ḥamdu li-Llāhi, letteralmente «la lode [appartiene] a Dio»), espressione che figura nella prima sura del Corano, «L’Aprente» (al-Fātiḥah), al secondo versetto, ma, ammesso che essa compaia realmente nell’epigrafe, risulta a dir poco arduo trovarvene riscontro. Seguirebbe poi, in tutto o in parte, il quarto versetto conclusivo della sura 112, nota come «La Purezza» o «La Pura Fede» (al-Iḫlāṣ), che recita: «wa-lam yakun lahu kufuwan aḥad» («E nessuno gli è pari») [1]. Anche in questo caso, l’epigrafe non sembra in effetti restituire tale contenuto.

3_wunderkammer-siciliana-del-xvii-secolo-particolare

Wunderkammer siciliana del XVII secolo (particolare)

Ben prima del mio viaggio a Palermo, avevo passato alcuni giorni cercando di penetrare l’enigma della ‘Camera delle Meraviglie’, tuttora irrisolto, servendomi di svariate fotografie in buona risoluzione facilmente reperibili in rete. Ciò che a prima vista mi parve subito lampante fu che l’autore di quella presunta iscrizione in arabo (ma c’è chi sostiene possa trattarsi piuttosto di ebraico, oppure di siriaco…) non fosse soltanto un pessimo calligrafo, ma qualcuno che non avesse alcuna familiarità con le lingue semitiche. Inoltre, ogni elemento in quella stanza mi appariva insensato, e non riuscivo a condividere né che si trattasse di una sorta di ‘moschea in miniatura’ né tantomeno che fosse realmente una ‘camera delle meraviglie’, per le ragioni che mi accingo qui di seguito a chiarire.

Una moschea, per quanto di piccole dimensioni, dovrebbe, per esempio, almeno ospitare un miḥrāb, cioè una nicchia per indicare la qiblah (la direzione della Mecca dove si trova la Kaʿbah) verso cui ogni musulmano rivolge le proprie cinque preghiere quotidiane. Che possa poi essere una comune finestra aperta sull’esterno dell’edificio a sostituire il miḥrāb, come taluni hanno pure asserito, sarebbe una circostanza quantomeno inconsueta, se non singolare. Per quanto concerne poi l’ipotesi secondo cui ci troveremmo dinanzi a un eccezionale esempio di Wunderkammer, non si comprende la motivazione per cui qualcuno abbia voluto decorare l’intera camera con elaborati arabeschi e motivi ornamentali realizzati con una costosa pittura ad olio, se il suo intento non era altro che quello di occultarne completamente le pareti dietro a scaffali traboccanti di mirabilia e delle più svariate bizzarrie al solo scopo di destare lo stupore dei visitatori più ingenui.

Ciò che ho potuto appurare nel corso della mia visita è stata invece la precisa localizzazione della stanza all’interno della casa – particolare che mi incuriosiva moltissimo, dato che le fotografie visionate sul web non mi erano state di alcun aiuto in tal senso. La stanza in questione dispone di una porta principale di uscita/ingresso ed è attigua, rispettivamente a destra e a sinistra, ad altri due ambienti, ad essa collegati tramite altrettante porte: una stanza adibita dagli attuali proprietari a studiolo da un lato, e da un ampio salone dall’altro. Quasi una stanza di disimpegno, insomma, per consentire libertà di passaggio ad altri locali. Ciò renderebbe anche poco verosimile che essa possa essere identificata – così qualcuno avrebbe suggerito – come una ‘camera magica’, un laboratorio-studio, un cantuccio segreto (o perlomeno appartato) di un qualche alchimista o esoterista.

6_iscrizione-originale-e-resa-grafica-del-modulo-compositivo

Iscrizione originale e resa grafica del modulo compositivo

Per una curiosa coincidenza, il giorno prima, a Cefalù, avevo faticosamente raggiunto a piedi Villa Santa Barbara, che nei primi anni Venti del secolo scorso l’occultista inglese Aleister Crowley (1875-1947) abitò e scelse come tempio per i suoi adepti denominandola Abbazia di Thélema, oggi ridotta a un anonimo rudere fatiscente a ridosso di un’autorimessa e di un impianto sportivo. Nonostante il suo squallore e le sue condizioni miserabili, mi sembrò tuttavia che la tetra costruzione cefaludese, sebbene attualmente inaccessibile, conservasse ancora l’aspetto inquietante di un luogo deputato a rituali oscuri. La camera che i coniugi Cadili mi andavano illustrando, rischiarata dalla luce abbagliante di quella mattina di sole, mi suscitò sensazioni ben più rasserenanti, sebbene abbia provato per un momento a immaginare come essa dovesse essere a metà Ottocento, quando cioè – si dice – venne realizzata: con tutte le iscrizioni, i motivi ornamentali e il suo colore blu perfettamente vividi e nitidi, benché probabilmente adombrati da pesanti tendaggi a schermare i raggi solari e illuminati appena da qualche luce soffusa di candele.

4_rosario-gregorio-rerum-arabicarum-quae-ad-historiam-siculam-spectant-ampla-collectio

Rosario Gregorio, Rerum Arabicarum quae ad historiam Siculam spectant ampla collectio

La prima impressione fu quella di trovarmi in quella che doveva essere stata una strana anticamera, un’austera sala d’aspetto, un luogo severo in cui visitatori e postulanti in attesa di udienza si preparavano ad essere ricevuti da una qualche personalità eminente, senz’altro abbiente e autorevole. Qualcosa di simile, insomma, a quanto si può vedere visitando il Vittoriale dannunziano, che conta addirittura due diverse sale d’attesa: una per gli ospiti graditi e un’altra per i seccatori.

Oppure quella stanza non era che una chambre turque, frutto del mero capriccio di un nobile facoltoso influenzato da certa moda in voga in Occidente in quel periodo, in particolare da quella tendenza che oggi si suole definire, con accezione tutt’altro che benevola, “orientalismo” – come ebbe a dire nel 2014 Sherif El Sebaie, docente di Lingua Araba, Civiltà e Arti dell’Islam presso il Politecnic di Torino. Nell’Ottocento il gusto per l’esotico trovava del resto larghi consensi in tutta Europa, anche in virtù del successo riscosso da Le mille e una notte, le cui traduzioni cominciarono a circolare nel Vecchio Continente già dal secolo prima, spesso impreziosite da suggestive e sfarzose illustrazioni a colori. Certo, non va dimenticata neppure la storia della Sicilia araba (Imārat Ṣiqilliyah, IX-XI secolo), le cui vestigia furono studiate con rigorosa attenzione da importanti figure originarie proprio di Palermo. Alludo nello specifico al canonico Rosario Gregorio (1753-1809), che pubblicò nel 1790 la sua Rerum Arabicarum quae ad historiam Siculam spectant ampla collectio, e allo storico e politico Michele Amari (1806-1889), autore, tra gli altri suoi numerosi titoli, dell’opera in tre tomi Le epigrafi arabiche di Sicilia (Virzì, Palermo 1875-1885). Entrambe le opere palermitane citate sono corredate da nutriti apparati iconografici che avrebbero senza dubbio potuto fornire di per se stessi infiniti spunti per il progetto e la conseguente realizzazione della ‘Camera delle Meraviglie’ di Palermo.

5_michele-amari-le-epigrafi-arabiche-di-sicilia

Michele Amari, Le epigrafi arabiche di Sicilia

Orbene, nient’affatto convinto dell’autentica ‘arabicità’ di quelle iscrizioni, ero invece ansioso di condividere con i coniugi Cadili quella che umilmente ritenevo e ritengo tuttora una suggestiva intuizione personale. Camuffata sotto le sembianze di un’epigrafe araba di pura invenzione, mi pareva di leggere, tra quelli che definirei piuttosto dei glifi – segni grafici che nei testi esoterici designano concetti alchemici, lettere di alfabeti segreti o simboli astrologici –, una locuzione in latino: «recto lucet». Lo stupore e l’interesse dei padroni di casa per questa mia interpretazione è stato immortalato da uno scatto dell’amico Calogero. Ricordo che sulle prime entrambi restarono disorientati da quanto andavo loro indicando su una delle pareti. Poi vidi dipingersi sui loro visi una convinta espressione di assenso. Mi assicurarono che nessun altro fino ad allora si era mai accorto della presenza di quelle parole contenute nell’iscrizione. Me ne chiesero il significato, ed io ne improvvisai una traduzione piuttosto libera (il tempo a disposizione per la visita si era ormai concluso, altri visitatori attendevano all’ingresso, e non era certo quello il momento migliore per intrattenere oltre i miei ascoltatori con ulteriori disquisizioni filologiche). «Risplende… brilla di rettitudine» azzardai.

8_muhammad-ali-ambigramma-in-arabo

Muhammad-Ali (ambigramma in arabo)

Aggiunsi inoltre, in quell’occasione, che a mio avviso quell’iscrizione poteva celare un ambigramma, cioè una frase resa con lettere di forma grafica tale che, se letta al contrario oppure riflessa in uno specchio, dà luogo a un’altra frase (in questi casi si preferisce la definizione di eterogramma) o addirittura alla stessa (omogramma). Al momento dei saluti e dei reciproci ringraziamenti non mancai di esprimere tutta la mia frustrazione e il sincero rammarico di non essere riuscito a completare l’impresa: sia la lettura inversa sia quella speculare della (presunta) scrittura araba, nonostante i miei sforzi, si erano purtroppo rivelate vane (mi ero infatti persuaso si trattasse di un ambigramma arabo-latino o pseudoarabo-latino).

9_serena_andrea-eterogramma-in-caratteri-latini

Serena Andrea eterogramma in caratteri latini

Circa un anno dopo mi capitò per caso di imbattermi in un articolo del «Corriere della Sera» (Corriere TV / dall’Italia, versione online), datato 6 gennaio 2018, a firma di Felice Cavallaro e intitolato Palermo e il pentagramma misterioso: «Sol, Sol, Re, Sol, Mi, Fa, Mi, Fa, Fa, Re, Mi, Sol». La musica celestiale nella «Stanza delle meraviglie», in cui si attribuiva la mia intuizione ad altri: nientemeno che a uno dei più noti critici d’arte italiani e al primo cittadino del capoluogo siculo. Nell’articolo si legge: «[…] come hanno notato Vittorio Sgarbi e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando […] la stessa epigrafe al suo interno ne cela un’altra, scritta in latino: “Recto lucet” (Brilla di rettitudine)» [2]. La notizia è riportata anche nella voce di Wikipedia dedicata alla «Camera delle meraviglie (Palermo)» insieme a una nota al piede che rimanda a un video (con breve articolo annesso) pubblicato da repubblica.it il 1° settembre 2018 in cui è lo stesso Cadili a farne menzione senza tuttavia citare l’autore di quella particolare ‘scoperta’ [3]. L’informazione è stata infine ripresa da Francesco Musolino nel volume Le incredibili curiosità della Sicilia edito da Newton Compton nel 2019.

Beninteso, questo mio contributo non intende assumere certo la forma e i toni di una piccata rivendicazione di paternità. Il suo solo fine vuole essere invece quello di riportare più nel dettaglio ciò che non ho ancora avuto finora occasione di esporre, rendendo dunque un onesto e (spero) utile servizio culturale, esaudendo peraltro una richiesta che Cadili stesso mi ha fatto sia di persona sia, successivamente, per iscritto nel corso di un più recente scambio di messaggi telefonici.

La locuzione latina «recto lucet» è polisemica, cioè latrice di più significati. L’avverbio recto (qui adoperato al posto del più comune recte) è traducibile come: in modo diretto, direttamente, giustamente; ma anche: rettamente, onestamente, bene. Il verbo luceo, se intransitivo, è traducibile come: brillare, risplendere; se intransitivo, ma in senso figurato: essere evidente, chiaro, manifesto, saltare agli occhi; se transitivo: far brillare; se impersonale (lucet): si fa giorno. Si può dunque comprendere come l’espressione completa si presti a numerose interpretazioni, due delle quali in particolare, a mio parere, maggiormente intriganti.

10_simboli-asrologici-di-sole-e-luna

Simboli astrologici di sole e luna

Una prima interpretazione potrebbe riferirsi all’equinozio, cioè al fenomeno astronomico per cui, due volte all’anno (in primavera, il 21 marzo, e in autunno, il 23 settembre), a mezzogiorno il Sole si trova allo zenit dell’equatore: [Aequinoctium est dies cum Sol in lineam aequatorialem] recto lucet («[L’equinozio è il giorno in cui il Sole] risplende in modo diretto [sulla linea dell’equatore]»). È utile al riguardo menzionare che il termine ‘zenit’, che designa il punto di ideale congiunzione tra la volta celeste e il piano terrestre, trova la sua origine proprio in una locuzione araba: samt al-ra’s (letteralmente «via/direzione della testa»). Va altresì ricordato che la denominazione aequinoctium (dal latino aequus «uguale» e nox «notte») deriva dal fatto che agli equinozi la durata del giorno è pressoché uguale a quella della notte in ogni punto della superficie terrestre (dies noxque circiter eiusdem longitudinis ubique in mundo sunt). A corroborare l’ipotesi di un riferimento al fenomeno equinoziale vi sarebbero, tra i glifi ornamentali, i simboli astrologici del Sole e della Luna. Infatti, se si osserva attentamente l’epigrafe, si possono notare i suddetti simboli riprodotti in modo sovrapposto, quasi a coincidere (un punto a indicare il Sole, il crescente a simboleggiare la Luna).

Il binomio Sole-Luna ricorre numerose volte nel Corano. Il primo è indicato con il termine šams, la seconda con il termine qamar. La sura 91, “Il Sole” (al-Šams), fa da pendant alla sura 54, “La Luna” (al-Qamar). Nel Libro dei musulmani, i due astri vengono per esempio menzionati insieme in riferimento alla loro creazione, alla loro sottomissione agli ordini divini, alla loro evoluzione in cielo, alla loro riunificazione nel giorno del Giudizio, al loro essere asserviti agli uomini per misurare il tempo. Se, come è noto, è la Luna a determinare il calendario islamico, il sorgere e il tramontare del Sole scandiscono invece le preghiere quotidiane. Secondo alcune correnti ṣūfī (quelle cioè afferenti al misticismo islamico), il Sole rappresenterebbe lo Spirito che illumina il mondo, mentre la Luna ne sarebbe soltanto lo specchio. Inoltre il Corano (26,61; 71,16) qualifica talvolta il Sole come una lampada o fiaccola (sirāǧ), motivo ornamentale riprodotto ripetutamente lungo l’intero perimetro della volta della ‘Camera delle Meraviglie’ di Palermo. La luce promanata dalla fiaccola solare è manifestazione della conoscenza divina. Quando i due simboli cosmici sono portati sul piano del microcosmo, l’anima del mistico è allora simbolizzata dalla Luna che riflette la luce del Sole [4]. Come non ricordare al riguardo il celeberrimo ‘Versetto della Luce’ (24,35)?

 «Dio è la Luce dei cieli e della terra, e si rassomiglia la Sua Luce a una Nicchia, in cui è una Lampada, e la Lampada è un Cristallo, e il Cristallo è come una Stella lucente, e arde la Lampada dell’olio di un albero benedetto, un Olivo né orientale né occidentale, il cui olio per poco non brilla anche se non lo tocchi fuoco. È Luce su Luce; e Iddio guida alla Sua Luce chi Egli vuole, e Dio narra parabole agli uomini, e Dio è su tutte le cose sapiente».
12_alfabeto-latino-riprodotto-in-pseudo-arabo-stile-thuluth

Alfabeto latino riprodotto in pseudo arabo stile thuluth

Ma i numerosi significati sopra elencati dell’avverbio e del verbo potrebbero indurre anche a un’ulteriore traduzione, che suonerebbe in realtà come una sorta di dichiarazione di sfida per chi cerchi di risolvere l’enigma dell’iscrizione: «salta facilmente agli occhi» oppure, se si vuole, «è ben evidente/chiaro/manifesto». D’altro canto, in bibliologia, i termini recto e verso (diritto e rovescio), associati a folio, formano la locuzione latina traducibile come «sulla parte anteriore/posteriore del foglio». Quest’ultima interpretazione suffragherebbe l’ipotesi che l’iscrizione costituisca davvero un ambigramma, ovvero una frase leggibile da sinistra a destra (latino) e da destra verso sinistra (arabo o pseudoarabo). Esempi di ambigrammi arabo-latini, seppure rari, sono stati realizzati soprattutto negli ultimi due secoli. Si cita qui come esempio un traforo su legno del calligrafo turco Halil Açıkgöz (Konya, XX secolo), che riproduce in forma di omogramma il nome di Dio, Allāh (ﷲ), utilizzando i caratteri dei due alfabeti, ben riconoscibili a seconda del verso di lettura [5].

Potrebbe anche darsi, tuttavia, che l’espressione recto lucet, interpretata alla luce di questa seconda ipotesi, intenda invece semplicemente ammonire il visitatore occidentale a non lasciarsi sviare dall’iscrizione in pseudoarabo (riprodotta pretestuosamente con caratteri fittizi, meramente evocativi della lingua coranica), che sarebbe solo un mero camuffamento, e ad attenersi invece al solo recto della stessa, ovverosia alla sua sola lettura da sinistra a destra – forse un modo per affermare il primato della religione cristiana su quella islamica?

Quanto appena detto ricondurrebbe dunque nuovamente alla prima ipotesi, cioè che l’epigrafe vada letta esclusivamente in latino e che il suo solo significato sia quello inerente al fenomeno equinoziale e a ciò che esso rappresenta a livello mistico-spirituale. Oppure, di contro, si tratterebbe di un’esortazione rivolta a chi legge a non farsi distogliere dai caratteri latini dell’epigrafe poiché proprio l’opposto senso di lettura, quello dei caratteri arabi (o presunti tali, si ribadisce), sarebbe quello corretto (cioè il recto). In quest’ultimo caso, sarebbe dunque il Cristianesimo ad essere collocato in una posizione subalterna rispetto ad altro e differente culto? Oppure si tratta soltanto di una sorta di indovinello, di rompicapo, di una qualche specie di sciarada?

dav

Allah (omogramma arabo-latino), calligrafia di Halil Açıkgöz, Konya (Turchia), XX secolo

Nello sforzo di interpretare in chiave latina il significato dell’epigrafe può tuttavia sorgere il dubbio che il verbo trascritto non sia lucet, ma ducit. Ne risulterebbe in questo caso la locuzione [Qui] recto ducit, che tradurrebbe alla lettera uno dei cosiddetti ‘Novantanove Bei Nomi di Dio’ secondo la tradizione islamica, per la precisione il novantottesimo: al-Rašīd (Colui che ben guida, il Condottiero, il Giustiziere; il Ben Guidato [da se stesso] e che guida sulla retta Via; Colui che guida, dirige con giustizia, con dirittura). Tale nome assume particolare rilevanza per i ṣūfī, chiamati a compiere un ‘viaggio’ verso Dio: nel sufismo (taṣawwuf in arabo) è infatti Dio stesso ad accompagnare il cammino spirituale di chi è correttamente determinato. La guida terrena per eccellenza dei ṣūfī è invece il misterioso e immortale personaggio di al-Ḫiḍr (o al-Ḫaḍir, “il Verde” o “il Verdeggiante”), che si manifesta di tanto in tanto agli ‘iniziati’, generalmente identificato con il profeta Elia, secondo i versetti del Corano nei quali quest’ultimo conduce Mosè nella ricerca della Fonte della Vita (XVIII,60-82) [6]. Henry Corbin, d’altronde, definendola «iniziatore alla Verità mistica che emancipa dalla religione letterale», colloca la «persona-archetipo» di al-Ḫiḍr all’interno di una tradizione ben più ampia, che trascende largamente i confini dell’Islam (sunnita e sciita) o di qualsiasi altra fede intesa nel senso più ortodosso [7].

Un altro particolare che risalta osservando l’iscrizione perimetrale è che, a prescindere dalla foggia dozzinale dello stile calligrafico – dall’aspetto quasi arcaico e vagamente somigliante al cufico classico –, i singoli caratteri si ripetono perfettamente identici per forma e dimensioni, quasi fossero stati tracciati con l’ausilio di uno strumento simile a un normografo. Per essere più precisi, sembrerebbe anzi che l’iscrizione tutta sia composta dal medesimo modulo riprodotto in replica innumerevoli volte.

11_volta-della-camera-delle-meraviglie-di-palermo

Volta della Camera delle Meraviglie di Palermo

Quanto rilevato appare ancor più evidente se si confronta tale iscrizione per così dire ‘lineare’ con i due diversi monogrammi, anch’essi ripetuti più volte identici a se stessi, che ricorrono a intervalli abbastanza regolari a inframmezzare l’epigrafe principale (anche se sarebbe più corretto parlare di una interpolazione o giustapposizione dall’effetto estetico non sempre armonioso). Tali monogrammi, tracciati con ogni probabilità da un’altra mano, forse più esperta (o quantomeno più fluida nel tratto), sono realizzati in forma di tuğra: si ispirano cioè a quegli emblemi o sigilli dei sultani selgiuchidi e ottomani recanti di norma il nome del sovrano, comprensivo di patronimico, associato a una qualche formula d’augurio (quella più ricorrente, tra le altre, è [al-]Muẓaffar Dā’imā, «(Dio) Il Sempre Vittorioso»). È pur vero che l’arte calligrafica araba sovente ha fatto e continua tutt’oggi a fare ricorso allo stile della tuğra anche per la scrittura di versetti coranici o per altre espressioni, in modo particolare quelle di buon auspicio [8].

Sfortunatamente, anche in questo caso, si tratta di scritture approssimative e scarsamente decifrabili, oltreché carenti dei punti diacritici, ovvero di quei segni che contraddistinguono gran parte delle lettere dell’alfabeto arabo. Si può tuttavia tentare un’interpretazione per ciascuna tuğra della ‘Camera delle Meraviglie’. L’una parrebbe ricordare la già menzionata ḥamdalah («la lode [appartiene] a Dio»). L’altra sembra invece racchiudere, seppure in modo altrettanto impreciso nonché parziale, la cosiddetta basmalah, ovvero la formula con cui si aprono tutte le sure coraniche: Bi-smi Llāhi al-Raḥmāni al-Raḥīmi («Nel nome di Dio, Clemente, Misericordioso»). Il monogramma palermitano sembra però limitarsi alla sola prima parte della formula («Nel nome di Dio»).

Eppure, il mistero della ‘Camera delle Meraviglie’ potrebbe essere svelato più facilmente di quanto non si creda. Basterebbe, forse, semplicemente condurre un’indagine accurata sull’allora proprietario dello stabile. La scarsa bibliografia in circolazione menziona en passant un certo «Stefano Sammartino, duca di Montalbo, ministro delle Finanze e capo della Polizia borbonica», che avrebbe abitato il palazzo prima del 1860 – informazione peraltro confermatami personalmente da Cadili. Ma chi era questo nobile palermitano? Una paziente ricerca in rete fornisce qualche elemento di conoscenza in più al riguardo. Certo, si tratta di dati che andrebbero puntualmente e opportunamente verificati, ma che raccontano di un personaggio che ricoprì cariche di primo piano nel Regno delle Due Sicilie.

18_blasone-dei-san-martino-ramondetto-1892

Blasone dei San Martino Ramondetto, 1892

Stefano San Martino (attestato anche come Sammartino o Sanmartino) Notarbartolo Ramondetta (o Ramondetto) (Palermo, 1787-1856) era il primogenito di Giovanni Maria, duca di Montalbo, e di Maria Anna (o Marianna) Reggio dei principi di Campofiorito. Nel 1806 sposò in prime nozze Eleonora Statella (m. 1837) dei principi del Cassero. Nel 1828 divenne barone di Carcaci (stato feudale esistito nell’attuale provincia di Enna tra gli inizi del XVIII e gli inizi del XIX secolo) de jure alla morte della madre. Sposò in seconde nozze Giovanna di Blasi, da cui ebbe due figlie: Marianna (1847) e Maria Felicia (1854). Per quanto concerne i suoi innumerevoli titoli onorifici e gli incarichi pubblici svolti, si cita quanto segue:

 «Fu Gentiluomo di Camera con Esercizio nel 1823, Cavaliere di Devozione dell’Ordine di Malta, della Corona di Ferro d’Austria, Commendatore dell’Ordine di Francesco I nel 1838, Consultore del Regno, Pari ereditario del Regno, come Barone di Campobello, Prefetto di Catania nel 1818, di Messina nel 1822, di Palermo nel 1824, Direttore, col grado di Ministro Segretario di Stato, per i dipartimenti degli Affari Esteri ed Interni, Finanza e Polizia, presso S.A.R. il Conte di Siracusa, Viceré di Sicilia; nel 1838 fu Direttore per i dipartimenti degli Affari Esteri, Interni, Agricoltura, Commercio, Lavori Pubblici, presso S.A.R. il Conte di Aquilea, Viceré di Sicilia. In marzo del 1848 fu Presidente della Camera dei Pari in Palermo; nel 1850 Direttore Generale del Gran Libro del Debito Pubblico in Sicilia, Governatore della Compagnia dei Bianchi di Palermo, Tesoriere ed Amministratore Generale della S. Crociata in Sicilia ed Isole adiacenti» [9].

Si stenta davvero a credere come non vi sia stato alcuno studioso locale che si sia dedicato a ricerche d’archivio su una figura di portata storica tale da poter far presumere l’esistenza di una copiosa quantità di materiali documentali. È del resto attestato che fu proprio grazie alla sua intercessione in qualità di Intendente del Valle di Catania (intercessione sollecitata dalla prima moglie Eleonora, profonda amante della musica) se nel 1819 il diciottenne Vincenzo Bellini (1801-1835) riuscì a ottenere dal Decurionato della città etnea una borsa di studio per l’ammontare di 36 onze annue per poter frequentare il Real Collegio di Musica di San Sebastiano a Napoli (oggi noto come Conservatorio di San Pietro a Majella) [10].

Vi sarebbe infine da indagare la vicinanza dei San Martino agli ambienti massonici, considerato per esempio il fatto che il «Maestro Venerabile» Stefano San Martino Reggio (Palermo, 1725?-1796), nonno omonimo di Stefano, era «tra i membri della loggia “Marie au Temple de la Concorde”, all’obbedienza della Gran Loggia Nazionale de’ Regni delle due Sicilie, “Lo Zelo” (o “dello Zelo”)» [11], benché la ‘Camera delle Meraviglie’ manchi al suo interno, almeno allo stato attuale, di qualsiasi simbolo tradizionalmente riconducibile alla massoneria. Al medesimo proposito, sarebbe fondamentale anche appurare quali rapporti intercorsero tra il duca di Montalbo e il suo già citato concittadino Michele Amari, arabista e a sua volta massone [12]. Si può ad ogni modo ritenere che San Martino abbia avuto contatti personali e diretti con la cultura arabo-andalusa, senza bisogno di mediazioni, quando, durante il regno di Francesco I (1825-1830), svolse la funzione di Incaricato d’Affari delle Due Sicilie in Spagna [13].

 Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
 Note

[1] Per tutte le citazioni coraniche in italiano presenti in questo articolo cfr. Il Corano, introduzione, traduzione e commento di A. Bausani, Rizzoli, Milano 2001.
[2] https://www.corriere.it/video-articoli/2018/01/05/sol-sol-re-sol-mi-fa-mi-fa-fa-re-mi-sol-musica-celestiale-stanza-meraviglie/ce7f9196-f267-11e7-97ff-2fed46070853.shtml?refresh_ce-cp
[3] https://video.repubblica.it/edizione/palermo/palermo-la-meraviglia-blu-della-camera-delle-meraviglie/313411/314039?refresh_ce
[4] Cfr. Dizionario del Corano, a cura di M.A. Amir-Moezzi, edizione italiana a cura di I. Zilio-Grandi, Mondadori, Milano 2007: 466-467, 824-825.
[5] Cfr. G. Mandel Khân, L’alfabeto arabo. Stili, varianti e adattamenti calligrafici, Mondadori Electa, Milano 2010: 134.
[6] Cfr. G. Mandel, I novantanove nomi di Dio nel Corano, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010.
[7] Cfr. H. Corbin, L’immaginazione creatrice. Le radici del sufismo, Laterza, Roma-Bari 2005: 36-69.
[8] Cfr. M. Chebel, Dizionario dei simboli islamici: riti, mistica e civilizzazione, Arkeios, Roma 1997: 345.
[9] Citato dal web (https://www.geni.com/people/Stefano-San-Martino-Ramondetta/6000000109113005880); cfr. anche A. Signorelli, Catania borghese nell’età del Risorgimento. A teatro, al circolo, alle urne, FrancoAngeli, Milano 2015: 237.
[10] Cfr. U. Carcassi, Vincenzo Bellini: cultore di medicina e musicista, Delfino, Sassari 2004: 13; M. Musumeci, Dal Medioevo al Risorgimento, una famiglia italiana di nobili meridionali: I San Martino Ramondetto Pardo, Catania-Messina 2012-2019:8 (https://musicaemusicologia.files.wordpress.com/2014/09/i-san-martino-principi-del-pardo-versione-8-gennaio-2019-1.pdf).
[11] R. Di Castiglione (a cura di), La massoneria nelle Due Sicilie e i «fratelli» meridionali del ’700, vol. 5, Gangemi, Roma 2011: 39 e 209; cfr. anche: 189, 208 e ss., 213, 220.
[12] Cfr. A.A. Mola, Storia della Massoneria in Italia, Bompiani/Giunti, Firenze-Milano, 2018: 19.
[13] Cfr. I documenti diplomatici italiani, Prima Serie: 1861-1870, vol. VII (20 giugno-7 novembre 1866), Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – Libreria dello Stato, Roma 1983: 440-441.

______________________________________________________________

Francesco Medici, membro ufficiale dell’International Association for the Study of the Life and Work of Kahlil Gibran (University of Maryland), è tra i maggiori esperti e traduttori italiani dell’opera gibraniana, nonché autore di vari contributi critici su altri letterati arabi della diaspora tra cui Mikhail Naimy, Elia Abu Madi e Ameen Rihani. Si è inoltre occupato di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare di Leopardi, Pirandello e Luzi. Docente di materie letterarie nella scuola secondaria, lavora attualmente in un CPIA di Bergamo come insegnante di italiano L2.

_______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF

Article printed from Dialoghi Mediterranei: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM

URL to article: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/ambigrammi-e-misteri-nella-camera-delle-meraviglie-di-palermo/

Copyright © 2013-2020 Dialoghi Mediterranei. All rights reserved.